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Autore: Desma    30/09/2017    3 recensioni
Cliantha Pumpkinseed ha vissuto i primi diciannove anni della sua vita nel tepore e nella protezione dell'amore dei genitori, ma, ora che è rimasta sola, per guadagnarsi da vivere lavora come cameriera alla taverna Il Puledro Impennato nella sua città d'origine, Brea. Il pessimo ambiente di lavoro e i fantasmi di una felicità brutalmente interrotta la stringono come un cappio, ma l'incontro con uno speciale ospite della taverna le darà l'occasione di cambiare le carte in tavola.
Dal capitolo 3:
(...)-E sia, ragazza, ma ricorda che i nani sono poco inclini a dimenticare il male subito, così come il bene ricevuto. Se anche solo una sillaba scivolerà fuori dalla tua bocca, saprò per certo da chi tornare a riscuotere i danni. Sono stato chiaro?
-Limpido- rispose Cliantha.
Questa storia ripercorre i fatti narrati ne Lo Hobbit, appoggiandosi all'interpretazione cinematografica di Peter Jackson; non ha alcuna pretesa, ma solo la speranza di intrattenere e di spronarmi, con la pubblicazione, a mantenere un ritmo di scrittura il più regolare possibile (compatibilmente con gli impegni scolastici).
Genere: Avventura, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bilbo, Gandalf, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Brea, luglio del 2941° anno della Terza Era

La città era in fermento: quell’anno era stato particolarmente generoso con le coltivazioni di grano, frutta e ortaggi della Contea e delle campagne vicine, che sui terrazzamenti, scavati nei profili delle colline, brillavano di oro al sole di luglio. Grossi chicchi gialli come pepite facevano bella mostra di sé tra le macchie rosse dei papaveri e l’aria era così mite per quel periodo dell’anno che si prevedeva un grandioso raccolto e una ancor migliore produzione di farina.

Data la prospettiva assai rosea, i contadini che venivano al Puledro Impennato erano più propensi a spendere e a bere per la gioia e la signora Cactaceo era ben felice di accontentarli.

Persino il signor Cactaceo, toccato dall’aria di festa che aleggiava in città, aveva dimostrato un insolito autocontrollo nel bere e, annusando nell’aria il profumo dell’oro che tintinnava nelle tasche di avventori così ben disposti a spenderlo, non solo rimaneva sveglio per quasi tutta la giornata, ma partecipava attivamente ai lavori della locanda.

Dal canto suo la signora Cactaceo, vedendo quella forza di volontà nel marito, era fuori di sé dalla gioia e il suo animo era persino incline a dimostrarsi benevolo nei confronti Cliantha, affidandole dei compiti (leggermente) meno faticosi e concedendole persino delle ore libere in più.

-Questa è una grande annata- aveva detto la padrona quando Cliantha, sorpresa da tanta generosità, aveva cercato di capirne la ragione, sospettando che fosse un modo contorto e subdolo per mettere alla prova la sua dedizione al lavoro -E anche le ragazze scialbe e insipide come te, che hanno tutta la vita davanti, devono gioire di ciò.

E così il mese di luglio era trascorso a Brea nell’euforia e nel fermento collettivo e stava per concludersi con la prospettiva di una grande festa, all’ultimo del mese, per celebrare la prosperità del raccolto. Al Puledro Impennato si facevano grandi preparativi per accogliere degnamente quell’evento, per il quale il signor Cactaceo aveva fatto accordi con il sindaco per avere quel giorno l’esclusiva della vendita di alcoolici, famosi lungo tutto il Decumano Est; pertanto la signora Cactaceo era indaffarata nella scelta delle birre e nel calcolo delle quantità quando, la mattina del, un avventore oltrepassò la soglia del locale, facendo tintinnare il campanello.

-Buongiorno- salutò il vecchio viaggiatore, esibendo un sorriso cordiale.

La donna, infastidita dall’interruzione, alzò il naso a patata dal foglio su cui stava scribacchiando i suoi conti e squadrò il nuovo venuto: -Gandalf... - esordì, poggiando la penna d’oca spelacchiata sul bancone e incrociando le grosse braccia -Vuoi bagnare il becco, vecchio?

-Vorrei fare colazione prima di riprendere il mio viaggio- spiegò calmo quello, per nulla toccato dai modi burberi della donna -Vado a sedermi lì- aggiunse poi, prendendo posto in uno dei tavoli liberi.

Cliantha, che era intenta a spazzare il pavimento del corridoio del piano superiore, lo vide dalla balaustra e rimase ad osservarlo per qualche istante, chiedendosi il perché del suo ritorno a un anno da quella strana serata in cui aveva illustrato a un nano l’esistenza di una taglia sulla sua testa.

I suoi pensieri si intrecciarono a cupe congetture che la mente della ragazza generava nel tentativo di darsi una spiegazione, ma vennero interrotti dal gracchiare della signora Cactaceo, che la richiamava ai suoi doveri e le ordinava di scendere a preparare la colazione all’anziano viandante.

Cliantha dovette obbedire e, riposti secchio e spazzolone nello sgabuzzino del retrobottega, andò a chiedere all’uomo chiamato Gandalf cosa desiderasse mangiare: -Una tazza di tè e dei biscotti, per cortesia- rispose l’uomo, studiandola con un sorriso sulle labbra sottili e nascoste sotto due spessi e lunghi baffi bianchi -Sei la figlia di Thornrose?

Al nome della madre, Cliantha si irrigidì, lanciando al vecchio un’occhiata inquisitoria: come faceva a conoscerla?

-Ti avevo notata un anno fa, quando sono venuto a prendere del vino- spiegò Gandalf, estraendo la pipa da sotto il mantello e caricandone il serbatoio di Vecchio Tobia da un astuccio di cuoio -Ma allora non ho avuto tempo di indagare. Le somigli parecchio.

-Come conoscete mia madre?- chiese alla fine Cliantha, incapace di attendere oltre -Non vi ho mai incontrato prima di quella sera.

L’uomo sorrise, soddisfatto della curiosità instillata nella ragazza, e si accese la pipa, da cui prese una prima lunga boccata per avviare il fuoco -Sono parecchi anni che manco, ma io ho conosciuto te, in qualche modo. L’ultima volta che ho visto Thornrose era incinta di te al sesto mese. Come sta?

-È morta quattro anni fa- rispose secca Cliantha.

I lineamenti del vecchio mutarono improvvisamente, la fronte si corrugò, il sorriso svanì nel fumo della pipa e gli occhi, che prima brillavano di soddisfazione, si spensero e Cliantha lesse sincerità nel suo volto quando, con voce bassa e grave, disse: -Mi dispiace molto.

La schiena di Cliantha si rilassò: -Grazie, ma era malata da diverso tempo. Non è stato inaspettato.

L’uomo annuì solennemente e lei approfittò del silenzio che era calato per andare in cucina a preparare quanto richiesto. Armeggiando tra pentole e piatti, l’iniziale diffidenza provata per il vecchio si trasformò in vorace curiosità: se quello che Gandalf diceva era vero, Cliantha era intenzionata a scoprire ogni dettaglio di quanto egli conosceva.

“Non può esserselo inventato” rifletteva la ragazza, mentre versava i biscotti dentro una scodella e disponeva tazza e teiera su un vassoio “Thornrose non è un nome comune e non può aver certo tirato a indovinare. Ma perché mia madre avrebbe dovuto avere a che fare con lui? Chi è?”.

Con queste domande che pulsavano nella testa, la ragazza uscì dalla cucina e portò la colazione al tavolo del vecchio: -Come ti chiami?- le chiese l’uomo, versandosi il tè nella tazza che gli aveva portato.

-Cliantha- rispose quella, dopo un istante in cui il suo cervello valutò se fosse prudente rivelare quell’informazione.

-Pumpkinseed, giusto?- completò Gandalf -Tuo padre è Gideon Pumpkinseed.

-Esatto- rispose Cliantha, certa a quel punto che quell’uomo sapesse bene quello che stava dicendo.

Gandalf annuì e le fece cenno di sedersi alla sedia accanto a lui, cosa che la ragazza fece: -Come conoscete i miei genitori?- chiese di nuovo.

L’uomo prese un biscotto e lo inzuppò nel tè, poi, quando lo ebbe degustato con calma, spiegò: -Tempo fa frequentavo abbastanza assiduamente queste zone, soprattutto in concomitanza delle feste, quando i miei fuochi d'artificio rappresentavano l’attrazione principale, ma tua madre chiedeva altro da me. Era avida di conoscere il mondo al di là del Fiume Bianco e attendeva con impazienza il mio arrivo per interrogarmi sui miei viaggi. Di quando in quando le portavo delle erbe medicinali o degli unguenti, conoscendo la sua passione per l’arte della guarigione.

A quel racconto Cliantha non riuscì a trattenere un sorriso, ricordando la collezione di libri, piante e strumenti che la madre cercava sempre di ampliare e che custodiva gelosamente.

-Era una brava ragazza- continuò Gandalf, prendendo un altro biscotto -E fui contento quando seppi che si era sposata con Gideon e stava mettendo su famiglia- sottolineò quel concetto indicandola con il biscotto smangiucchiato.

-E quindi cos’eravate per lei?- lo interrogò Cliantha -Una sorta di mentore o cosa?

-Un amico- rispose lui -Qualcuno che condividesse e alimentasse le sue passioni.

-Ha mai viaggiato insieme a voi?

-No, era una ragazza molto devota alla sua famiglia che, al contrario suo, non nutriva particolare simpatia nei miei confronti- bevve un sorso di tè e si schiarì la voce -Per quanto le abbia letto negli occhi il desiderio di accompagnarmi, non credo abbia mai davvero progettato di seguirmi. Di certo non me lo chiese mai.

La ragazza rifletté per un attimo su quanto aveva appena udito e domandò: -Di cosa vi occupate, dunque? E cosa vi ha riportato a Brea dopo un anno?

Gandalf bevve un altro sorso e una strana scintilla brillò dal retro delle sue iridi grigie, come se non avesse aspettato altro che rispondere a quella domanda: -Mi occupo di vari affari- iniziò vago -Ma adesso sono diretto alla Contea per cercare qualcuno con cui condividere un’avventura.

Cliantha sgranò gli occhi, esterrefatta, aspettandosi tutto fuorché una simile risposta: -La Contea?- ripeté -Credo che andiate proprio nella direzione sbagliata: da queste parti, e tra gli hobbit soprattutto, le avventure non vengono viste di buon occhio, di qualunque genere siano. Temo che farete un clamoroso fiasco.

-Staremo a vedere- ribatté lui, che finito di prendere il tè era tornato alla sua pipa -E tu dove mi consiglieresti di cercare, Cliantha Pumpkinseed?

“Qui” avrebbe voluto rispondere, desiderosa di scoprire di quale avventura si trattasse, ma poi il ricordo della taglia sulla testa del nano (che chissà se era ancora in vita) le accese un campanello d’allarme, che le fece sospirare un “Non saprei” rassegnato. Sebbene quell’uomo sembrava aver conosciuto davvero sua madre, era troppo rischioso offrirsi volontaria per qualcosa che non sapeva dove l’avrebbe portata, pertanto si alzò dalla sedia e caricò il vassoio delle stoviglie sporche, pronta a tornare in cucina.

Ma quando fu a un passo dall’uomo, egli la fermò e con un sorriso sornione disse: -Se ti stai chiedendo cosa sia successo al nano con cui ho parlato quella famosa sera, sappi che sta bene.

Cliantha rimase di stucco, imbambolata ad osservare il ghigno divertito del vecchio, che l’aveva sorpresa una volta di più; Gandalf tornò a concentrare la propria attenzione sulla sua pipa, lasciandola rifugiarsi in cucina, dove, intenta a lavare i piatti da lui usati, continuava a chiedersi per quale ragione, essendosi accorto che stava origliando un discorso tanto delicato, non le avesse detto nulla, ma l’avesse lasciata semplicemente fare.

Quand’ebbe finito e fu tornata in sala, Gandalf se n’era andato, lasciando sul bancone l’esatta somma di denaro per pagare la colazione, che lei però non gli aveva ancora riferito. Immaginò che fosse stata la signora Cactaceo a presentargli il conto e dispose le monete accanto al cassetto dell’incasso, poi riprese le sue mansioni, mentre il suo cuore cominciava a riempirsi del rimpianto per non averlo trattenuto di più: avrebbe potuto farsi spiegare meglio la natura di quella misteriosa avventura e farsi raccontare qualcos’altro di sua madre, ma oramai era troppo tardi e Cliantha sentì di aver perso un’occasione unica, trattenuta dalla paura dell’ignoto e ora costretta a dover convivere con la propria decisione. Ossia lasciare che le cose rimanessero come erano e aspettare una nuova occasione, nella speranza di essere abbastanza lungimirante da saper coglierla.

Il lavoro l’aiutò a distrarsi da quei pensieri e il sole calò molto più in fretta di quanto la ragazza se ne fosse accorta. Prima di congedarla (quella sera la locanda sarebbe stata chiusa per permettere ai signori Cactaceo di sistemare i loro conti e pianificare adeguatamente le derrate da preparare per la festa) il signor Cactaceo le ordinò di andare a casa a prendere il carro e il cavallo del padre per fare una consegna: ogni estate il signor Baggins, stimato hobbit di Hobbiville, acquistava presso i Cactaceo alcune botti della migliore birra che il mercato locale potesse offrire e se le faceva spedire a casa.

Solitamente era il signor Cactaceo a occuparsi della cosa, prendendo in affitto carro e animale da tiro e facendosi pagare l’incomodo, ma quella sera le priorità erano altre e, sapendo che Cliantha disponeva del mezzo necessario per la consegna, diede a lei l’incombenza.

Cliantha dovette così attaccare la cavalla Brithil al vecchio carretto e portarla davanti alla locanda, dove aiutò il signor Cactaceo a caricare i barili; poi, sforzandosi di ignorare le occhiate licenziose che l’uomo aveva lanciato al suo fondoschiena ogni volta che aveva dovuto chinarsi a prendere una botte, Cliantha salì al posto di comando e spronò l’animale al passo.

Le strade della città erano piuttosto animate e il clima mite e piacevole di quella serata spingeva la gente a passeggiare tra le vie dei negozi, alcuni dei quali avevano colto l’occasione per rimanere aperti e guadagnare qualche soldo in più; la ragazza dovette gridare più volte ai pedoni di farsi da parte per lasciarla passare, ma alla fine, quand’ebbe oltrepassato le porte della città e si fu immessa sulla strada principale, poté guidare in santa pace senza doversi preoccupare dei viandanti disattenti.

Una coltre di stelle avvolgeva le campagne che costeggiavano la vecchia via e di quando in quando la ragazza poteva udire qualche cicala cantare alla luna calante; i profili delle colline erano dolci e coperte di campi e ogni tanto si distinguevano in lontananza le luci della casa di un contadino o il falò acceso da un pastore che vegliava sulle sue pecore al pascolo.

L’unico rumore che Cliantha poteva udire in quella sera senza vento era lo scalpitare degli zoccoli dell’animale sulla terra asciutta e il cigolare delle ruote sotto al peso dei barili.

Brithil era un cavallo sauro di quindici anni che suo padre era solito adoperare quando andava a caccia per i boschi, ma che, dopo la morte del suo padrone, era stata costretta ad accontentarsi di pascolare nel piccolo giardino di casa Pumpkinseed e di uscire solo nei giorni di festa, quando Cliantha era a casa dal lavoro e poteva cavalcarla nelle campagne fuori da Brea. Occasionalmente, però, fungeva anche da animale da tiro.

L’animale tirò il carro obbedientemente e lei e la sua padrona raggiunsero il ponte sul Brandivino, dove la quiete della sera venne interrotta dal vivace dibattito di due viaggiatori che litigavano al margine della strada, mentre ai loro piedi giacevano due grossi zaini prossimi a scoppiare per quanto erano stati riempiti.

-Dobbiamo andare a nord, fratello!- diceva uno, illuminando una mappa sotto la luce di una lanterna, che teneva alta sopra le loro teste, e mostrandolo al suo compagno -Guarda qua, mi sembra chiaro.

L’altro, evidentemente in disaccordo, gli strappò di mano la cartina e la rigirò sottosopra, studiandola per qualche istante: -No, no, no, Fili!- ribatté, puntando il dito contro la carta spessa della mappa -Sei completamente fuori strada, dobbiamo attraversare il ponte e prendere a sud!

-Beh, ora staremo a vedere chi ha ragione- disse il primo, dirigendo la lanterna verso il carro che si avvicinava per richiamare l’attenzione del conducente: -Ehi, voi del carro!- disse, mettendo una mano a lato della bocca per aumentare il suono della sua voce -Un’indicazione, per cortesia.

Cliantha tirò le redini e Brithil si arrestò, accorgendosi solo ora, alla debole luce della lanterna che il viandante sorreggeva, che si trattava di giovani nani: -Ditemi, mastro nano- rispose la ragazza con gentilezza -Come posso aiutarvi?

Il fuoco della torcia illuminò i lineamenti simmetrici del nano, i suoi baffi biondi intrecciati e gli occhi turchesi aperti nello stupore di trovarsi una fanciulla a quell’ora della sera alla guida di un carretto: -Ehm…- si schiarì la voce -Qual è la strada per Hobbiville, mia signora? Io dico che da questo ponte bisogna proseguire a nord, mentre mio fratello, qui presente- indicò il nano moro accanto a lui, che fece una smorfia di disappunto sotto la corta barba scura -Sostiene che si debba andare a sud dopo averlo attraversato.

Cliantha studiò per qualche istante i due viaggiatori e li trovò molto differenti dalla maggior parte di quelli che aveva avuto modo di vedere a Brea, presso cui talvolta facevano tappa nani mercanti, famosi per la loro merce ricercata e di grande qualità: Cliantha si era fatta l’idea che i nani fossero tutti (o quasi, ricordando quello che Gandalf aveva incontrato al Puledro Impennato un anno prima) personaggi dai tratti del viso molto marcati, talvolta così accentuati da risultare quasi caricaturali, con quei grossi nasi e le barbe e i capelli folti e intrecciati con il metallo, ma quei due erano ben proporzionati, sia nel viso che nel corpo, e non avevano grossi nasi o pance prominenti. Al contrario i loro visi erano armoniosi e dai lineamenti gentili, così da renderli assai gradevoli allo sguardo, e il loro portamento era elegante e nobile.

-Siete entrambi in errore, miei signori- rispose la ragazza, che aggiunse indicando il ponte davanti a loro -Dovete attraversare il ponte e prendere a ovest, oltrepassando Lungacque, ma io stessa sono diretta a Hobbiville e posso accompagnarvi, se volete.

I due borbottarono tra loro per qualche secondo, valutando l’offerta, poi annuirono all’unisono e accettarono, lanciando i propri bagagli nel carretto e accomodandosi sulla panca ai lati della ragazza, che spronò il cavallo e riprese la corsa.

-Vi siamo riconoscenti, mia signora- esordì il giovane nano moro, rivolgendole un sorriso gentile -Abbiamo temuto di non riuscire ad arrivare più. A quale nome dobbiamo rivolgere la nostra gratitudine?

-La buona creanza impone che ci si presenti prima di domandare il nome a qualcuno- rispose Cliantha, senza staccare gli occhi dalla strada, non tanto perché la guida richiedesse una particolare attenzione (la strada era dritta e totalmente sgombra), ma piuttosto per evitare che i due si accorgessero della risata che faticava a trattenere: essendo abituata a contesti tutt’altro che formali, fare appello alla “buona creanza” era spassoso, quanto insolito.

-Avete perfettamente ragione, mia signora- intervenne il biondo, che, schiaritosi la voce, pose la mano destra sul petto e accennò un inchino con il busto, dicendo: -Il mio nome è Fili, figlio di Lady Dís, e lui è mio fratello minore Kili, al vostro servizio gentile fanciulla.

-Il mio nome è Cliantha Pumpinkseed, figlia di Gideon Pumpinkseed e di Thornrose Coriander- rispose Cliantha, ridendo sotto ai baffi dalla pomposità di quella presentazione -Cosa vi porta a Hobbiville, signori?- li interrogò poi, lanciando loro fugaci occhiate e intuendo dai loro vestiti di buona fattura che si trattassero di persone di ceto agiato -Siete forse mercanti?

-No, mia signora- rispose Kili -Siamo diretti a un raduno presso un certo signor Boggins e…- ma la spiegazione del nano venne bruscamente interrotta da un colpo di tosse (evidentemente forzato) di Fili, che lanciò un’eloquente occhiata al fratello minore, come a volergli ricordare qualcosa e, infatti, Kili proseguì dicendo: -Ma in realtà siamo qui solo in vacanza, la campagna ci piace molto, con tutti questi bei... campi coltivati e… le case e… la totale assenza di montagne…

A Cliantha non sfuggì quel goffo tentativo di rimedio e insistette sull’argomento di partenza: -Conosco il signor Baggins e non sapevo che organizzasse raduni, solitamente è una persona molto riservata.

-Beh- si schiarì di nuovo la voce Fili, evidentemente a disagio -È un’occasione particolare, sa com’è… ma lei invece, miss Pumpkinseed, cosa la porta a Hobbiville? Abitate lì?

-No, signor Fili- rispose Cliantha, tutt’altro che convinta -Mi occupo di una consegna.

-Cosa consegnate?- domandò Kili, voltandosi verso il retro del carretto per guardare il carico -Cosa contengono i barili?

-Birra- specificò la ragazza, spronando Brithil a proseguire sulla strada per oltrepassare Lungacque -Sono i barili che il signor Baggins acquista ogni anno alla locanda dove lavoro.

-Ѐ stato Mahal a mandarvi da noi!- esclamò Fili, colpito da quella singolare coincidenza -E inoltre- aggiunse, fregandosi le mani al pensiero della birra che stava sul cassone del carro -Gandalf ci aveva detto che Bilbo Baggins era un intenditore in merito di cibo e bevande. Questo sarà un gran raduno!

A quel nome, Cliantha si voltò verso il nano, puntandogli contro i suoi grandi occhi castani inquisitori: -Gandalf?- chiese, volendosi accertare di aver capito bene -Conoscete quell’uomo?

-Lo stregone?- domandò Kili -Certamente, lui…

-Stregone?- ripeté Cliantha, incredula.

-Sì- rispose Kili, confuso da quella reazione -Non ci senti bene?

Cliantha ignorò quella domanda, controllando l’impulso di rispondergli per le rime, e chiese al biondo: -Ci sarà anche Gandalf al vostro raduno?

Fili sembrò valutare per un istante se rispondere oppure cercare di cambiare argomento, ma ormai la ragazza sapeva del raduno, pur ignorandone il motivo, quindi non c’era ragione di nasconderle quell’informazione: -Sì, lui ne è l’organizzatore in realtà.

Le tessere del puzzle cominciavano a incastrarsi tra loro: quei due facevano parte dell’avventura di cui lo stregone le aveva parlato e anche quel famoso raduno a casa Baggins doveva essere in qualche modo collegato alla cosa.

Il cuore di Cliantha cominciò a battere forte dietro la gabbia delle sue costole al pensiero che non tutte le sue chances di cambiare le carte in tavola erano andate completamente perse e che la luce della speranza brillava ancora, ma non riusciva a spiegarsi perché mai Gandalf fosse andato a rivolgersi proprio a Bilbo Baggins, lo hobbit più rispettato e abitudinario di tutta la Contea, la persona meno incline a voler partecipare a un progetto così imprevedibile.

-Lo conoscete?- domandò Fili, interrompendo il filo dei suoi pensieri.

-Gandalf, dite?- rispose Cliantha, dissimulando il suo interesse con un colpo di spallucce -Di fama. I suoi fuochi d’artificio sono leggenda da queste parti.

Continuarono a chiacchierare del più e del meno lungo tutto il resto della strada e Cliantha rimase piacevolmente sorpresa dai modi allegri e gioviali dei suoi compagni di viaggio: emanavano entusiasmo e curiosità da tutti i pori ed erano pieni di aneddoti divertenti sul loro viaggio dai Monti Azzurri, da cui provenivano. Alla fine le luci di Hobbiville li avvolsero, con le sue colline scavate come zucche e trasformate in comode e accoglienti abitazioni su un solo piano; i due nani sembravano essere sinceramente affascinati dalla quiete e dal calore che la piccola città trasmetteva con i suoi orticelli ordinati e ben curati, gli steccati verniciati di bianco, le porte rotonde con i pomelli di bronzo perfettamente lucidati e i prati tagliati uniformemente.

Ma tra tutte, l’abitazione che più risaltava per la sua posizione e per le sue grandi dimensioni era Casa Baggins, la loro destinazione, e mentre Cliantha disponeva il carro all’ingresso del giardino, i due nani saltarono giù e recuperarono i loro bagagli, poi accorsero all’ingresso e bussarono alla porta.

Cliantha fissò Brithil allo steccato e le diede una carezza sul crine bruno, mentre osservava la porta che si apriva, inondando i due giovani nani di luce gialla e mostrando un signor Baggins in colorata vestaglia da camera.

-Fili- disse il nano biondo non appena il padrone di casa ebbe aperto la porta -E Kili- completò l’altro -Al vostro servizio!- finirono in coro con un profondo inchino.

-Voi dovete essere il signor Boggins!- esclamò Kili, esibendo un sorriso a trentadue denti, e Cliantha dovette fare del proprio meglio per trattenere una risata davanti al disappunto dipinto sul viso teso dello hobbit.

-No!- esplose Bilbo, cercando di chiudere la porta ma trovandosi a spingere contro quattro forti mani naniche -Non potete entrare, avete sbagliato casa.

-Come?- chiese Kili -Volete dire che è stato annullato?

-Non ne abbiamo saputo niente- commentò Fili.

-Cosa?- chiese Bilbo, confuso -Non è stato annullato niente!

Con grande sollievo, i due nani fecero irruzione in casa dello hobbit, lasciandogli in mano le loro armi (un brivido freddo corse lungo la schiena della ragazza nel vedere le due spade che Fili lasciò con disinvoltura tra le braccia di Bilbo) e mettendosi comodi, nonostante le proteste del padrone di casa, il quale, lasciate le armi nell’ingresso, notò la presenza della ragazza: -Cliantha!- esclamò, asciugandosi il sudore nervoso con un fazzoletto -Cosa ci fai qui?

-Buonasera, signor Baggins- rispose quella, sorvolando sulla mancanza di convenevoli -Le ho portato i barili di birra per conto del signor Cactaceo.

Lo hobbit parve rilassarsi a quella notizia e, ripreso il controllo di sé  stesso, disse: -Scusa la mia maleducazione, mia cara, è un momento un po’ complicato.

-Lo vedo…- commentò la ragazza, notando la presenza di altri due nani, oltre a Kili e a Fili, più anziani, che facevano avanti e indietro dalla dispensa, per poi raggiungere lei e il padrone di casa nell’ingresso.

-I ragazzi hanno detto che è arrivato un carico di birra- disse uno dei due, un nano muscoloso, massiccio e coperto di tatuaggi, con una folta e ispida barba nera e lunghi capelli che partivano dalla nuca, lasciando il cranio tatuato scoperto.

-Siamo venuti a vedere se potevamo dare una mano- sorrise l’altro, più basso e anziano, con barba e capelli colore della neve e un lungo naso carnoso e di un vago tono rubicondo.

Cliantha accettò di buon grado l’offerta di aiuto e i quattro nani si operarono per scaricare il carro e far rotolare i barili dentro la cantina di casa Baggins; alla fine del lavoro il nano più anziano, che Cliantha scoprì chiamarsi Balin ed essere il fratello del nano tatuato, di nome Dwalin, si offrì di versare  da bere a tutti per riprendersi dal lavoro e la ragazza fu lieta di accettare.

Mentre giravano per la casa, facendo rotolare i grossi barili sul pavimento della casa, seguiti dalle nervose raccomandazioni di Bilbo, Cliantha  aveva avuto modo di verificare che di Gandalf non c'era nemmeno l’ombra, pertanto aveva deciso di restare a casa Baggins fino a quando non si sarebbe fatto vivo, cosa che non sarebbe risultata per nulla spiacevole, sia per la simpatica compagnia (Balin si dimostrò da subito essere un conversatore colto e coinvolgente, a differenza di Dwalin che non le aveva ancora rivolto più di tre o quattro parole in fila), sia per l’ottimo cibo che i nani trafugavano dalla dispensa in barba ai pallidi tentativi di protesta di Bilbo.

-Dunque, signorina- disse Balin, servendosi di un boccale della birra che aveva portato -Al di là del fatto di aver portato qui dei barili di ottima birra, cosa di cui siamo tutti molto grati, non credo di aver capito il vostro nome.

-Cliantha- rispose quella, prendendo un pezzo di formaggio da un tagliere disposto sul tavolo della sala da pranzo -Pumpkinseed.

-Come dite, mia cara?- domandò l’anziano nano, rimasto con il boccale a mezz’aria e con gli occhi sbarrati dalla sorpresa.

-Cliantha Pumpkinseed- ripeté più lentamente la ragazza, sorpresa da quella reazione, soprattutto quando Balin lanciò un’occhiata carica di significato al fratello maggiore, che emise un grugnito e infilò il naso nel proprio boccale.

-Questa è di certo- commentò l’anziano nano, prendendo un sorso di birra e lanciando uno sguardo alla mano sinistra della ragazza, che la chiuse subito attorno al proprio boccale, a disagio per il proprio palmo -Un’insolita coincidenza.

Cliantha stava per chiedergli spiegazioni in merito a questa “insolita coincidenza”, quando il campanello suonò e Bilbo Baggins, infuriato, accorse alla porta nel tentativo di dissuadere il nuovo venuto dall’entrare, ma quando ebbe aperto la porta una cascata di nani precipitò sul tappeto dell’ingresso, seguito da una serie di lamentele dei nani e da un lungo sospiro di Bilbo: -Gandalf- sentì dire la ragazza dalla sala da pranzo.

A quel nome Cliantha saltò in piedi come una molla e corse nel corridoio, trovando lo stregone tra un gruppo di nani borbottanti.

-Buonasera, Cliantha- le sorrise Gandalf, impegnato a togliersi cappello e mantello e ad affidarli al padrone di casa -Sapevo che ti avrei incontrata qui.

-Davvero?- chiese sorpresa la ragazza, mentre l’orda di nani le passava a fianco, salutandola e presentandosi, per andare ad unirsi ai loro compagni.in sala da pranzo.

-Sì, certo- annuì lui, facendole l’occhiolino -Perché credi che sia passato dalla locanda stamattina? Non certo per i biscotti rinsecchiti di Dora Cactaceo.

-Non potevi dirmi semplicemente di venire qui, invece di sparire?- domandò Cliantha, non capendo la logica di quello strano individuo -Quante probabilità c’erano che Cactaceo mi dicesse di portare la birra al signor Baggins?

-Immagino un numero abbastanza alto- rispose Gandalf con un sorriso sornione sotto ai folti baffi grigi -Siccome le ho detto di aver visto un gran numero di viandanti sulla strada di Brea per unirsi alla festa della vendemmia, consigliandole di valutare attentamente le quantità di cibo e bevande.

-Oh…- non immaginava che Gandalf avesse pianificato il suo coinvolgimento nel raduno e la cosa la inquietava ed emozionava allo stesso tempo, lasciandola senza parole, cosa che sembrò divertirlo e, ridendo sotto ai baffi, le mise una mano sulla spalla: -Coraggio, ragazza mia- disse lo stregone, incoraggiante -Gli altri stanno preparando la cena, andiamo ad aiutarli.

Dalla cucina il gruppo passò in sala da pranzo in un brusio di voci accese e allegre, trasportando sedie e stoviglie e allestendo il tavolo per la cena.

In un battito di ciglia la tavola venne imbandita con ogni ben di dio e i commensali, i quali non avevano smesso un istante di parlare e ridere, iniziarono a mangiare in una maniera che Cliantha non riuscì a descrivere con parole diverse da “selvaggio”.

Non c’era avidità nel loro trangugiare una pietanza dopo l’altra, ma le loro mani erano come gli artigli di uccelli rapaci che si avventano sulle ignare prede e le loro bocche accoglievano ogni forma di cibo e bevanda emettendo gorgoglii, risate e grida di incitamento, soprattutto quando qualcuno lanciava un pezzo di carne o un uovo a un amico dall’altra parte del tavolo e costui lo prendeva al volo con la bocca.

Era uno spettacolo a dir poco surreale, persino divertente.

Notandola ancora in piedi, Fili diede una pacca al suo vicino, un nano con i capelli rossi disposti a tricorno, per invitarlo a scalare di un posto e far accomodare la ragazza.

Il giovane le fece un cenno e Cliantha accettò l’invito, prendendo dalle mani di un nano dai capelli argentati e dai baffi accuratamente intrecciati un piatto pieno di formaggio, carne e patate arrosto.

-Avete paura che vi mordano, mia signora?

-Come prego?- domandò Cliantha, guardando in faccia il giovane dai capelli biondi, che le sorrideva sornione con i baffi che scintillavano alla luce delle lanterne.

-I miei amici sono persone irruente, ma innocue, soprattutto adesso che hanno cibo di cui saziarsi.

-Saziarsi?- bofonchiò l’uomo con i capelli a tricorno, sputacchiando pezzi di formaggio -Basta a mala pena per tutti.

-Signor Nori!- lo rimproverò Kili, a fianco del fratello -Non dica così: il signor Boggins ci ha messo gentilmente a disposizione la sua dispensa, che era anche ben fornita per una persona sola, aggiungerei!

-E che temo dovrà riempire presto- commentò Cliantha, prendendo un boccone dal proprio piatto e osservando gli altri commensali mangiare come cavallette -Di nuovo.

-Facciamo solo onore alla tavola, signorina- ammiccò un nano con il cappello dalle falde all’insù e vispi occhi che traboccavano di intelligenza -Non credo che siamo stati presentati, io sono Bofur e questi sono i miei cugini Bifur e Bombur- aggiunse, indicando due nani accanto a lui: uno esibiva una lunga chioma corvina, una folta barba sale e pepe e lunghi baffi pettinati in due trecce che alternavano ciocche nere a ciocche bianche, dalla tempia sinistra (Cliantha fece del proprio meglio per non esternare il proprio stupore e l’interesse che la cosa le suscitava) emergeva la testa di un’ascia, conficcata nel suo cranio; l’altro, invece, era il più grosso della compagnia e a malapena riusciva a stare sulla propria sedia, sulla sua pancia prominente stava adagiata una lunga e spessa treccia fulva e i suoi baffi erano altrettanto spessi e voluminosi, sotto cui il doppio mento ondeggiava ogni qualvolta che il nano apriva bocca per addentare un tocco di formaggio o un pezzo di salsiccia.

-Con chi ho il piacere di parlare?- domandò Bofur, esibendo un allegro sorriso sotto ai baffi ispidi.

-Cliantha Pumpkinseed- rispose la ragazza, ricambiando di buon grado il sorriso.

-È la cameriera che ha portato la birra- tagliò corto  Dwalin con tono di sufficienza, storcendo il naso e segnando uno smacco nell’orgoglio di Cliantha, che sentì le proprie guance avvampare di rabbia.

A Bofur non sfuggì il suo disagio e, agguantato il proprio boccale, lo innalzò per un brindisi a cui tutti si unirono: -A quest’ottima birra e a una nuova amicizia!

-Come vi siete procurata quella scottatura?- intervenne, previsto e gradito come un fulmine a ciel sereno, il più giovane del gruppo, un nano con i capelli castani a scodella e i baffi corti e ispidi, indicando la sua mano sinistra -Sembra che vi siate fatta molto male…

L’attenzione dei presenti, un attimo prima focalizzata sul brindisi, venne concentrata sul palmo sinistro della fanciulla, che, messa a disagio da tutti quegli sguardi puntati su di lei, aveva iniziato ad agitarsi sulla sedia e a cercare nella stanza qualcosa che potesse salvarla da quella situazione.

Ori, il giovane nano, notò l’effetto che la sua domanda aveva procurato nella ragazza e se ne vergognò, così, rosso in volto come un peperone, cercò di rimediare: -Mi dispiace! Sono stato inopportuno, non volevo!

-Non fa niente, davvero- rispose Cliantha, su cui le scuse di Ori riuscivano a farla sentire ancora più a disagio -È solo in segno di nascita- spiegò -Nulla di che.

-Siete sicura di non esservelo procurata in qualche modo?- insistente Balin, lanciando occhiate colme di interesse sulla sua mano dal suo posto a lato del tavolo.

-Sì, ci sono nata- rispose Cliantha, che non aveva dimenticato la storia dell’ “insolita coincidenza” e a cui non quadrava quell’interesse morboso nei confronti della sua mano e del suo nome -Anche mia madre lo aveva. È una cosa di famiglia.

A quel punto la conversazione si perse su discorsi legati al cibo, alle bevande e ai parenti lasciati a casa, i toni divennero più vivaci e i nani irruenti, lanciandosi cibo, camminando sul tavolo per portare pietanze agli altri commensali e indicendo gare di rutti. Le risate rieccheggiavano tra le pareti così forte da far vibrare i quadri appesi e i soprammobili sulle mensole, mentre Bilbo Baggins, estenuato da quell’invasione, discuteva animatamente con Gandalf, cercando una spiegazione.

La cena giunse al termine e i nani si alzarono per sparecchiare la tavola: -Scusate se vi interrompo- chiese Ori, che finito di mangiare, si era recato dal padrone di casa con il proprio piatto in mano -Ma cosa dovrei fare con il mio piatto?

-Dallo a me- si intromise Fili, prendendolo dalle sue mani e lanciandolo al fratello dall’altra parte della sala da pranzo. Cliantha vide il volto di Bilbo sbiancare davanti all’immagine del piatto che volava da una parte all’altra e la cosa peggiorò quando anche le altre stoviglie incontrarono lo stesso destino e i nani, tenendo il ritmo battendo i piedi sul pavimento e le posate sulla tavola, intonarono una canzone.

Spuntar lame neanche poco,

Romper bottiglie e tappi al fuoco,

Scheggiar coppe con tutto il resto,

Questo Bilbo lo detesta!

La tovaglia per mangiar,

Sopra il letto le osse lasciar,

In dispensa il latte versar,

Vino ovunque poi schizzar.

Le stoviglie nell’acqua e poi,

Nel mortaio le puoi pestar,

E se qualcuna poi si salvò,

Sempre in terra gettar si può…

Questo Bilbo lo detesta!

Cliantha osservò quella scena estasiata dalla maestria con cui i nani maneggiavano piatti, bicchieri e pentole, tenendoli perfettamente in equilibrio li uni sugli altri e facendoli volteggiare, senza farli mai cadere, a tempo con la musica. Immaginò la faccia che avrebbe fatto la signora Cactaceo,  se quello spettacolo si fosse tenuto nella sua cucina, e una risata le sgorgò dal cuore, incitando i nani ad accelerare le loro acrobazie, fino a quando la canzone terminò e la ragazza gratificò gli altri ospiti con un applauso.

-Non incoraggiarli, per favore- le sussurrò Bilbo all’orecchio, asciugandosi il sudore dalla fronte e riprendendo fiato dopo aver rincorso i piatti per tutta la cucina e la sala da pranzo -Forse è il caso che ritorni a Brea- aggiunse poi, ignorando le risate di compiacimento dei nani al suo stato di affanno -Si sta facendo tardi e non è prudente stare in strada con il buio.

-Ecco io…- iniziò la ragazza, ma le parole le si smorzarono in bocca, non sapendo cosa dire per giustificare la sua presenza in casa di un cliente del suo datore di lavoro. I suoi occhi cercarono l’aiuto di Gandalf, sperando che se ne sarebbe uscito con una scusa perfetta per farla restare, ma Bilbo la stava già accompagnando all’ingresso, spiegando come, a suo avviso, il signor Cactaceo non avrebbe dovuto incaricare lei, una giovane donna da sola, di un lavoro a quella tarda ora.

Lo hobbit ruotò il pomello al centro della rotonda porta di legno laccato di verde e tirò per permettere alla ragazza di uscire, ma la sua strada venne sbarrata da un tredicesimo nano, avvolto in un lungo mantello di pelliccia, con lunghi capelli corvini, interrotti qua e là da sottili fili argentati, e dai lineamenti del viso nobili e armoniosi.

Cliantha rimase bloccata sulla soglia di casa, riconoscendo nel nuovo venuto, la cui fierezza sprizzava da ogni dettaglio, dal portamento allo sguardo, dall’abbigliamento di ottima fattura alla capigliatura perfettamente curata, il nano che aveva servito al Puledro Impennato un anno prima.

-Voi…- sussurrò la ragazza, colta di sorpresa da quell’inaspettata apparizione.

Il nano la osservò per qualche istante e a Cliantha parve di leggere nei suoi penetranti occhi azzurri lo stesso sentimento di sorpresa che lei stessa provava: -Vi chiedo permesso- disse il nano, rompendo il silenzio, educatamente, ma con fermezza, e Cliantha si fece da parte -Gandalf!- esclamò poi, riconoscendo l’amico alla soglia del salotto -Avevi detto che questo posto sarebbe stato facile da trovare. Ho smarrito la via due volte, non l’avrei trovata se non fosse stato per quel segno sulla porta.

Nel frattempo l’intera compagnia si era radunata all’ingresso per accogliere degnamente il nuovo arrivato: -Bilbo Baggins- iniziò Gandalf, avvicinandosi allo hobbit e estinguendo le sue proteste circa l’impossibilità che ci fossero segni sulla porta appena verniciata -Permettimi di presentarti Thorin Scudodiquercia, il capo della nostra compagnia.

“Scudodiquercia?” pensò la ragazza, soprendendosi nel trovare una certa familiarità in quell’appellativo.

-Dunque- disse Thorin, girando attorno a Bilbo e studiandolo dalla testa ai piedi -Questo è lo hobbit… Sembra più un droghiere che uno scassinatore- commentò, suscitando le risate dei compagni.

-Come prego?- chiese Bimbo, indispettito.

-Ditemi, mastro Baggins- continuò Thorin, ignorando la sua domanda -Quante battaglie avete combattuto? Quale arma preferite? Spada o ascia?

-In realtà- rispose lo hobbit, messo alle strette da quell’interrogatorio di cui tutti i presenti attendevano ansiosi le risposte -Sono bravino a Lancia Castagne, ma non credo che questo risponda alla domanda.

La tensione in quell’ambiente stretto e affollato era diventata palpabile e Cliantha sentiva l’elettricità scorrere nel gruppo di nani, che a bassa voce commentavano tra loro le parole di Bilbo, sottoposto al vaglio di un giudice severo; la loro attenzione, però, tornò implacabile su di lei quando Thorin, mollata per il momento la presa su Bilbo, domandò allo stregone: -Cosa ci fa qui la ragazza?

-Ecco- esordì Gandalf -Lei...

-Cliantha- interruppe la fanciulla, irritata e offesa dal fatto che il nano non le si fosse rivolto direttamente.

Le palpebre del nano ebbero un fremito e i muscoli del volto parvero irrigidirsi, ma accadde così in fretta che Cliantha non riuscì a comprendere se fosse accaduto davvero o se fosse stato solo un casuale effetto di luce dato dal tremore di una candela.

-Come dici?- chiese Thorin, questa volta guardandola negli occhi e concentrando su di lei tutta la sua attenzione.

-Il mio nome è Cliantha Pumpkinseed- ripeté quella, sostenendo lo sguardo -E lavoro alla locanda Il Puledro Impennato, a Brea. Sono qui per una faccenda di lavoro.

-Sì- disse Thorin, il cui sguardo, notò Cliantha, andò istintivamente alla ricerca del suo palmo sinistro, che lei teneva ben nascosto, serrato in un pugno -Mi ricordo di te.


L’autrice: eccoci qui! Benvenuti alla fine del secondo capitolo de Il marchio del drago! Vi ringrazio con tutto il cuore di essere arrivati alla fine della pagina e spero tanto che vi sia piaciuto e che vi abbia intrattenuto per un po’.

Vorrei mandare un grosso abbraccio a LaViaggiatrice e a Princess_of_Erebor che, oltre ad aver iniziato a seguire la storia, l’hanno anche recensita, a michela30 e Odette Kahwamura per seguire la fanfiction e Ankoku10, elanorstella e Lucson89 per averla aggiunta addirittura tra le preferite! Vi ringrazio tutte di cuore per il vostro incoraggiamento!

Un grosso grazie anche ai lettori silenziosi che passano a dare un’occhiata ;)

Sarò felice di accogliere i vostri commenti e le vostre opinioni, che sicuramente mi aiuteranno a migliorarmi.

Un abbraccio e alla prossima!

Desma


   
 
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