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Autore: Sospiri_amore    01/10/2017    4 recensioni
❤️SECONDO LIBRO DI UNA TRILOGIA❤️
Ritorneranno Elena, Kate, James, Jo, Adrian, Stephanie, Lucas, Rebecca, (Nik ??).
Ci saranno nuovi intrecci, guai, incomprensioni e amori.
Elena avrà dimenticato James?
Chi vivrà un amore proibito?
Riuscirà il Club di Dibattito a sconfiggere la scuola rivale?
Nik sara sempre un professore del Trinity?
Elena andrà al ballo di fine anno?
IL FINALE di questo libro corrisponde alla fine del liceo, il terzo libro sarà incentrato sulla vita adulta dei personaggi. Più precisamente quattordici anni dopo.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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EPILOGO
(IERI):
Questa sedia è fredda


 

Questa sedia è fredda. Il mio vestito di seta non riesce a ripararmi dalla plastica della seduta. Non so bene che ore siano, so solo che devo avere solo un po' di pazienza prima di poter tirare un sospiro di sollievo.

 

Non posso fare a meno di pensare a tutte le scelte d'amore che ho fatto. Ho seguito il mio istinto, credo, non ho mentito a me stessa, forse. Possibile che tutto ciò che ho sentito nel mio cuore fosse frutto di menzogna? Si può fingere di amare?

Io, no.

James, sì.

Le parole di James sono come incise nella carne, ogni insulto, ogni cattiveria è marchiata a fuoco sulla mia pelle. Un giorno forse saranno cicatrici, ora sono ferite aperte.

In questi due anni ho lottato e sbagliato, ho riso e pianto. Mai con cattiveria, forse a volte ho esagerato pure io, ma mai troppo a lungo. Sono stata male per quello che ho fatto e ne ho pagato le conseguenze.

 

Uno spiffero d'aria gelata arriva da dietro, qualcuno ha aperto una finestra. Tremo. Il mio vestito rosa non basta a ripararmi dal freddo. Mi stringo le braccia una con all'altra, muovendo le gambe su e giù provo a riscaldarmi. Faccio finta di nulla, non voglio che la gente intorno a me pensi che io stia male, non voglio far sapere più nulla di me. 

 

Già. Quando ho aperto il mio cuore ho avuto solo guai, anche perché mi sono fidata di persone che non hanno fatto altro che sfruttare la mia ingenuità e le mie debolezze.

Jo. Jonathan da codardo si è accodato a quei... quei... non ho neanche le parole per descriverli. Il mio amico Jo, quello che mi ha consolata e appoggiata, che mi è stato vicino nei momenti duri. Non posso credere che abbia buttato via tutto solo per essere ammesso a Yale. Lui non aveva bisogno di me per essere un grande, lo era già di suo.

Menzogne, anche lui dice solo menzogne.

 

Una voce risuona. Tutti l'ascoltano.  C'è chi guarda a destra e sinistra, chi si affretta a raggiungere il posto giusto. Tutti sono in attesa come lo sono io. Si muovono, parlano è come se danzassero una marcia segreta, un movimento che mi incanta.

La gente intorno a me ha certezze.

Tutti sanno dove andare e cosa fare.

Io ho solo tanta stanchezza.

 

Mi sento sola, forse lo sono sempre stata. Mio padre ha Tess. Kate ha le sue fotografie. Nik il suo lavoro. James e gli altri le loro ambizioni. Ed io? 

Il ricordo delle carezze, degli abbracci e delle risate fatte, il pensiero delle emozioni condivise, i primi sguardi e le paure provate, sono come istantanee che scorrono nella mia testa. A volte sorrido pensando a quello che ho passato, bei momenti che però non sono veri. 

Ho vissuto in una bolla. 

Mi hanno costruito una bolla.

Ho voluto che mi costruissero una bolla.

È adesso è scoppiata lasciandomi nuda come un verme, con le mie emozioni violentate e la mia vita distrutta.

 

Questa sedia diventa sempre più fredda, provo a coprirmi meglio le gambe scoperte con il mio vestito rosa. È tutto sgualcito. 

Credo che dovrei essere felice, la gente intorno a me sembra così contenta. Sorridono e chiacchierano. C'è chi mi guarda e chi mi ignora. Non mi importa molto possono pensare ciò che vogliono.

Una voce risuona, ancora.

L'eco si sparge.

C'è frenesia.

A me non importa molto, voglio solo finire tutta questa storia e tirare un sospiro di sollievo. Voglio poter scrivere la parola fine, tutto qui.

 

E se mi fossi meritata quello che mi è successo?

Posso ritenermi colpevole?

Ogni mia azione ha scatenato una conseguenza che a sua volta a creato una reazione. È tutto collegato. 

Forse se non avessi risposto male a Rebecca in gelateria quel giorno che l'ho conosciuta le cose sarebbero andate diversamente.

Forse se non fossi entrata al Club di Dibattito le cose sarebbero andate diversamente.

Forse se non avessi baciato James  a  teatro le cose sarebbero andate diversamente.

Già.

Avrei risparmiato dolore, ansia, tristezza e sofferenza, ma non avrei mai conosciuto il dolce sapore delle sue labbra. Il solo pensiero mi fa affondare nella melma. Il ricordo di quella dolce e infinita perfezione mi fa soffocare.

Mi sentivo così bella e unica.

Credevo di essere come la neve in un giorno d'estate invece sono solo un miraggio che il caldo crea a chi si dimentica di essere sotto la canicola. Sono finzione.

Mi sentivo speciale, invece ero e sono solo un oggetto, un pezzo di carne da usare.

 

La voce rimbomba.

C'è chi corre.

C'è chi aspetta.

 

Volo intercontinentale Boston-Parigi, numero 0195, delle 08.15 partirà dal Gate 23.

Volo intercontinentale Boston-Parigi, numero 0195, delle 08.15 partirà dal Gate 23.

 

Sono in aeroporto.

Già.

Chi non sta correndo a prendere l'aereo mi guarda stranito, vedere una ragazza con un vestito rosa da ballo, con il trucco e i capelli sfatti non è certo una cosa usuale, soprattutto se se ne sta immobile seduta su una sedia di plastica della sala d'aspetto con due grosse valige e uno zaino. Me ne sono andata dalla festa del Trinity, non mi importa più nulla dei loro stupidi complotti.

Michael si sta avvicinando con un bicchiere di carta, probabilmente è il tè caldo che si è offerto di andarmi a prendere al bar. Se non fosse per lui starei vagando per le strade di New Heaven, mi ha fatto compagnia per tutta la notte, un amico silenzioso che mi ha salvato la vita, che ha avuto la pazienza di portarmi qui.  

 

«Lo beva caldo, vedrà che le farà bene. Mi sono permesso di prendere dei biscotti. Credo sia il caso di mangiare qualcosa, non crede?», mi dice l'uomo porgendomi un piattino colmo di delizie.

 

Peccato non abbia minimamente fame.

Zero.

Non riesco ad ingoiare nemmeno una briciola.

 

«Le dispiace se prendo una boccata d'aria?», mi chiede con estrema gentilezza.

«No, figurati. Anzi, se vuoi andare via sei libero. Non devi sentirti obbligato a restare posso cavarmela da sola», gli dico con candore e semplicità.

Michael fa un inchino poi si dirige verso l'uscita principale.

 

Stringo il tè. Brucia.

Soffio il vapore, l'aroma erbaceo si spande invadendo le narici.

Mi sembra di essere a casa a fare colazione, ma non è così.

 

«Se fossi in te starei attenta, cara ragazza. Potresti ustionarti». Una voce conosciuta viene dalla sedia di fianco alla mia.

È Geltrude. La vecchia è avvolta in una giacca di cotone pesante con i capelli acconciati male e dei pantaloni di una tuta.

«Non mi guardare in questo modo. Non ho avuto modo di rendermi presentabile. La notizia della tua fuga mi ha colto alla sprovvista», mi dice con un certa disapprovazione.

«Non volevo... non credevo», dico per giustificarmi.

«Sciocchezze. Non devi chiedere scusa di nulla. Michael ha fatto bene a stare con te. Ho chiesto a un mio domestico di portarmi qui a Boston, anche se avrei preferito avere un certo preavviso. Non potevi partire domani?», chiede acida.

Faccio cenno di no con la testa.

«Sicura che Yale non sia la strada giusta?», mi chiede mentre mi osserva il vestito stropicciato con un certo disgusto.

«Non ho mai voluto Yale», le dico sincera.

«Tuo padre lo hai avvisato, oppure no?».

«Ha dormito da Tess, non era in casa. Gli ho lasciato una lettera prima di fare i bagagli, ho preso lo stretto necessario, qualche vestito, il passaporto e i miei documenti. Ho diciotto anni, posso andarmene dove voglio». La sedia è fredda, un brivido mi parte dai piedi arrivando fino a dietro al collo.

«E di grazia dove vuoi andare?». Geltrude si guarda intorno con tranquillità come se quello che sta succedendo fosse la cosa più normale del mondo.

«Non so. Per ora vado a Parigi, poi vedrò», le dico.

«Un piano ben congegnato, perfetto. Non credi che...». La interrompo.

«Non credo niente. Non voglio programmare più nulla. Ho deciso, questa è la cosa più saggia, l'unica cosa che in questo momento possa farmi star bene». Sono categorica, non ho intenzione di cambiare idea.

La vecchia mi guarda con severità:«Quanti soldi hai?».

«Cosa? Ma che le importa quanti...».

«Cara ragazza, la mia domanda è semplice. Quanti soldi hai? Rifarsi una vita non è facile, tutto ha un prezzo», il suo tono è duro, secco.

«Sono in grado di lavorare, non ho paura della fatica», le rispondo con orgoglio.

«Ti rifaccio la domanda. Quanti soldi hai? Voglio una risposta», mi chiede.

Ci penso un attimo:«I soldi guadagnati in gelateria. Una parte almeno, gli altri li ho spesi per il biglietto aereo e altre cose». Ho la faccia rossa per l'imbarazzo, se ripenso che li usati per comprare borse e scarpe firmate, mi prenderei a schiaffi.

«Una miseria, quindi... ti farò un prestito. Soldi che mi ridarai con calma, poco alla volta. Niente interessi, solo una promessa», mi dice come se le sue parole fossero una sacrosanta verità, incontestabili.

«Io non ho intenzione di usare i suoi soldi, posso farcela da sola», le dico a muso duro.

«Se non credessi che puoi farcela da sola credi che ti lascerei andare? È perché ho estrema fiducia in te che ti presto i soldi. So che li userai solo in caso di necessità e che farai di tutto per ridarmeli, appena potrai», mi risponde a tono.

«Come fa ad essere così sicura? Per quanto ne so io... io... io non valgo nulla», le dico con gli occhi gonfi di lacrime.

«Finiscila di dire stupidaggini. Lo so e basta e poi ti terrò d'occhio. Il mio indirizzo lo conosci. Esigo delle lettere. Lunghe lettere. Mi devi scrivere spesso, mi devi raccontare ciò che fai. Ho una certa età, sono anziana, ma non sono una vecchia stupida, so se mi mentirai», mi dice decisa anche se mi pare di intravedere una lacrima scivolarle sulla guancia.

 

Volo intercontinentale Boston-Parigi, numero 0195, delle 08.15 partirà dal Gate 23.

Volo intercontinentale Boston-Parigi, numero 0195, delle 08.15 partirà dal Gate 23.

 

«Da domani avrai i soldi sul tuo conto, mi raccomando fanne buon uso. Adesso vattene prima che cambi idea». Geltrude mi porge lo zaino ai miei piedi, lo alza a fatica: «È pieno di mattoni? Come mai pesa così tanto?».

«È la cosa più preziosa che io possegga, una scatola di legno che contiene il mio più grande tesoro». Tremo. Piango. Non ho più freni, le mie guance sono umide di lacrime, sfiorano il mento per poi scivolare verso il pavimento. Una goccia dopo l'altra, singulto dopo singulto.

«Cara ragazza, questo non è un addio», mi dice la vecchia stringendomi la mano.

«Questo è un addio», le dico singhiozzando.

 

Volo intercontinentale Boston-Parigi, numero 0195, delle 08.15 partirà dal Gate 23.

Volo intercontinentale Boston-Parigi, numero 0195, delle 08.15 partirà dal Gate 23.

 

Mi allontano con lo zaino sulle spalle, due grosse valige e un vestito di seta rosa con bellissimi fiori di stoffa applicati sullo scollo, ormai appassiti. I sandali ticchettano sul pavimento liscio dell'aeroporto, le rotelle delle valige scivolano rumorosamente.

«Elena. Elena».

Le urla della vecchia rimasta vicino alle sedie di plastica mi arrivano forti, chiare.

«Mi dispiace. Mi dispiace che James ti abbia fatto del male. Io... Io...», mi urla ancora più forte.

 

I passeggeri del volo intercontinentale Boston-Parigi, numero 0195, delle 08.15 sono pregati di affrettarsi al Gate 23.

 

Con tutta l'eleganza che possiedo sollevo i lembi del mio vestito sgualcito, piego leggermente le ginocchia e abbasso la testa rispettosa. Delle ciocche di capelli mi cadono disordinatamente sulle spalle.

«Addio vecchia scorbutica», le urlo sorridendo.

«Addio Elena», mi urla dopo aver fatto un inchino nella mia direzione.

 

Il display luminoso indica che il mio aereo è pronto ad imbarcare.

Mi affretto, non voglio perderlo.

Sono pronta a lasciare questo mondo alle spalle e non tornare mai più.

Sono pronta a scrivere quella parola che mi darà il sollievo che desidero.

Sono pronta.

Sì.

È ora.

Questa è la fine.

 

FINE

 

   
 
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