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Autore: daemonlord89    04/10/2017    1 recensioni
""Erano da poco passate le tre di notte quando successe. Non so come spiegarlo, ma avevo avvertito il cambiamento. Forse un lieve formicolio alla punta delle dita, forse un alito di vento sulla pelle. Molto più probabilmente fu solo istinto. Quale che fosse il motivo, avevo capito tutto. Capito che quella notte non sarebbe mai finita."
Genere: Dark, Malinconico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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II.

Maria correva a perdifiato, mentre i rami caduti e le radici scoperte degli alberi le tagliavano le gambe. Il dolore era intenso, ma nulla sarebbe bastato a fermarla. Doveva correre, fuggire lontano, lasciarsi alle spalle quei demoni travestiti da bambini che le stavano addosso.
Il bosco si chiudeva su di lei, le foglie dita di mani che volevano ghermirla. I demoni-bambini la chiamavano, e ogni volta che sentiva il suo nome vedeva i loro volti senza nemmeno il bisogno di girarsi, impressi a fuoco nella sua mente.

-Lasciatemi stare!- tentò di gridare, ma dalla sua bocca uscì uno sciame di insetti, milioni di piccoli esseri che le si appiccicarono al viso. Cercò di scacciarli, ma era come se si fossero incollati. E bruciavano, oh, se bruciavano. Era come avere la faccia immersa nell'acido.
Dimenandosi furiosamente per cercare almeno di liberare gli occhi, Maria corse ancora per qualche metro lungo quel sentiero di cui non vedeva la fine. Gli insetti, però, le impedirono di accorgersi di un grosso masso, nel quale inciampò per poi ritrovarsi stesa a terra.
Ancora cieca, cercò di tirarsi su, ma le gambe non le rispondevano.
Gli insetti cominciarono quindi a staccarsi dalla sua pelle, permettendole di vedere di nuovo l'ambiente circostante. La colse una fitta al cuore, quando vide che i demoni-bambini erano sopra di lei e la guardavano con un sorriso.
-Mamma.- disse uno di loro, con una voce che la donna aveva creduto, sperato di non sentire mai più nella sua vita. Una voce che apparteneva ad un passato che credeva sepolto da sempre.
-Mamma, siamo noi.- fece l'altro, chinandosi verso di lei e guardandola con quei dolci occhi verdi -Non ci riconosci?-
Certo che li riconosceva, ma non potevano essere loro. Non c'era la minima possibilità.
-Via! Andate via!- gridò lei, riuscendo finalmente ad emettere qualche suono.
-Mamma, perché ci cacci?-
-VIA!-
-Ma no, mammina.- ora erano tutte e due vicinissimi, stavano per toccarla. Lei cercò di allontanarsi, ma nuovamente non riuscì a muovere gli arti inferiori, bloccati da un qualche incantesimo oscuro.
-Noi siamo qui perché ti vogliamo bene. Non vogliamo farti male, non lo capisci?-
-Enrico ha ragione, vogliamo solo parlare un po' con te, guardare qualcosa insieme.-
Guardare qualcosa insieme. Erano parole tremende, perché Maria sapeva cosa le avrebbero mostrato. Era quella vita di cui si era liberata, quel passato morto e sepolto.
Fece cenno di no con il capo, troppo terrorizzata per parlare.
Uno di loro rispose annuendo e sorridendo. Tutto fu buio.

Un attimo dopo, Maria si trovava in un altro luogo, un luogo che però conosceva molto bene. Non aveva più il controllo del suo corpo, viveva la sua vita come se stesse guardando un film. Non poteva che rifare le stesse azioni compiute quella volta. I suoi due figli, Enrico e Giovanni, la stavano seguendo lungo il canale in bicicletta. Era primo pomeriggio e il sole filtrava tra le fronde degli alberi, illuminando tutto di una luce calda ed accogliente. I due bambini, sei e otto anni, parlavano tra loro, scherzavano. E gridavano, gridavano sempre. Non ricordava, Maria, un momento della sua vita da madre senza il sottofondo di quelle maledettissime urla.
Passarono un ponte e finirono in una zona poco trafficata. Maria sorrise; tra non molto sarebbe stata libera. Frenò dolcemente e scese dalla sua mountain bike. I bambini fecero altrettanto.
-Siamo arrivati?- domandò Giovanni.
-E' qui che faremo la nostra Merenda Selvaggia?- rise l'altro.
-Sì, bimbi.- confermò lei con il sorriso più falso del mondo. Era in quel modo che li aveva convinti a seguirla. Aveva messo un sacchetto pieno di cianfrusaglie nello zaino per dare l'idea che avesse davvero preparato una merenda al sacco. E ora li vedeva saltellare felici in attesa di vedere quali meraviglie ne avrebbe tirato fuori. E li sentiva urlare. Urlare, urlare, urlare. Sempre.
Si guardò intorno per essere sicura che non ci fosse nessuno.
Poi indicò il canale con un'espressione stupita.
-Uh, guardate che pescione!- disse. Subito i due figli si voltarono.
-Dove?- urlarono all'unisono.
-Io dico che è una carpa!-
-No, un siluro, un siluro!-
-Lì, lì in mezzo, guardate!- continuò Maria, avvicinandosi a loro.
Eccoli al limitare della sponda. Dove li voleva. Ebbe forse un secondo di ripensamento, poi corse verso di loro e li fece cadere in acqua.
Loro urlarono, questa volta di terrore. Non sapevano nuotare, e la corrente era troppo forte perché potessero stare a galla.
Maria valutò se fare un po' di scena per far credere che fosse stato un incidente, poi scartò l'ipotesi. Che la vedessero pure mentre li guardava annegare. Le avevano reso la vita un inferno, e ora l'inferno li avrebbe accolti.
Buio.

Maria tornò nel bosco, coi demoni che avevano assunto l'aspetto dei suoi figli che la stavano accarezzando. Lei piangeva, mentre le manine lasciavano scie di fuoco sulla sua pelle.
-Perdonatemi.- sussurrò tra i singhiozzi. Loro non smettevano.
-Ho sbagliato! Perdonatemi!-
Maria sapeva che nessuno al mondo, nemmeno Dio, se poi esisteva, avrebbe potuto perdonarla. Una madre non uccide i suoi figli.
Le mani ora artigliavano la carne, lei urlava ad ogni colpo inferto. La cosa più terribile erano però le espressioni dei bimbi, indifferenti come la sua quel giorno. Anche loro, come aveva fatto lei, la stavano semplicemente osservando. Continuarono ad osservarla fino alla fine.

Mi svegliai urlando nella notte. Il cuore batteva come un matto, non riuscivo a respirare. Mi sentivo morire come Maria.
Non so quanto tempo ci volle perché riacquistassi coscienza di dove mi trovavo. Ricordai pian piano tutto; il canale, la notte eterna, le voci.
Le voci, già. Ora erano scomparse.
Ed ero sicuro, dopo averle sentite in quella strana visione, che si trattava di quelle dei due bambini.
Misi la mano tremante sulla bocca, cercando di raccogliere i pensieri.
C'era una verità che mi ronzava in testa e, per quanto assurda, non poteva che essere l'unica verità possibile. Avevo sognato i sogni di qualcun altro. Qualcuno che si trovava in quella casa. Tentai di aprire la porta sulla quale avevo battuto i pugni poco (o chissà quanto) tempo prima. Questa si spalancò senza problemi, solo cigolando un po'. La casa era malmessa quanto il giardino. Sapevo perché, dopo aver visto i sogni della sua proprietaria. Dopo ciò che aveva fatto era sicuramente impazzita e aveva lasciato che la vita le scorresse davanti, abbandonandosi alla depressione. Tutto, in quella bettola, rispecchiava la sua tristezza.

Salii una rampa di scale e vidi una porta semi-aperta, dalla quale filtrava una fioca luce di lampada. Mi avvicinai e la aprii, entrando nella camera da letto di Maria. Lei era lì, stesa sul letto. Ma non dormiva, non più. Le tastai il polso per avere la conferma di ciò che temevo: era morta. L'espressione che aveva sul volto non l'avrei mai dimenticata. Era l'espressione di chi era stata costretta a fare i conti con un passato che non avrebbe mai voluto rivedere.
Per pietà le chiusi almeno gli occhi, poi me ne andai.
Dunque era vero. Avevo sognato ciò che stava sognando lei in quel momento. E ciò che aveva sognato l'aveva anche uccisa. Ma perché? Com'era possibile e come si collegava, perché ero sicuro che fosse collegato, alla notte eterna?
Uscii dalla casa sconsolato. Non riuscivo a darmi una risposta, eppure in me c'era anche una nuova speranza.
Forse questa cosa dei sogni condivisi era la chiave per uscire dall'incubo in cui ero sprofondato. Mi dissi che avrei dovuto indagare in ogni modo possibile, mentre tornavo verso la piazza.

Fu allora che rividi il furgone. Italport. Lo stesso che mi aveva quasi investito fuori da casa mia.
Solo che ora era fermo in mezzo alla piazza, con la portiera del guidatore aperta.
Forse girare alla larga sarebbe stata una scelta sensata, ma la curiosità ebbe il sopravvento. E poi, volevo parlare con qualcuno. Ne avevo bisogno. Mi feci coraggio e mi avvicinai.

 

   
 
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