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Autore: Vago    06/10/2017    3 recensioni
Libro Terzo.
Il Demone è stato sconfitto, gli dei non possono più scegliere Templi o Araldi tra i mortali.
Le ultime memorie della Prima Era, giunta al suo tramonto con la Guerra degli Elementi, sono scomparse, soffocate da un secolo di eventi. I Templi divennero Eroi per gli anni a venire.
La Seconda Era è crollata con la caduta del Demone e la divisione delle Terre. Gli Araldi agirono nell'ombra per il bene dei popoli.
La Terza Era si è quindi innalzata, un'era senza l'intervento divino, dove della magia rimangono solo racconti e sporadiche apparizioni spontanee e i mortali divengono nemici per sè stessi.
Le ombre delle Ere passate incombono ancora sul mondo, strascichi degli eventi che furono, nati dall'intreccio degli eventi e dei destini dei mortali che incontrarono chi al fato non era legato.
I figli, nati là dove gli immortali lasciarono buchi nella Trama del Reale, combatteranno per cercare un destino che sembra non vederli.
Una maschera che cerca vendetta.
Un potere che cerca assoluzione.
Un essere che cerca di tornare sè stesso.
Tutti e tre si muoveranno assieme come un immenso orditoio per sanare la tela bucata da coloro che non avevano il diritto di toccarla.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
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Noir si cinse le gambe rannicchiate con le braccia, cercando di scaldarsi.
Fuori, all’esterno, sentiva il nuovo temporale che era nato abbattersi con forza sulla nave che lo stava ospitando.
Dei passi rapidi giunsero sul ponte a lui immediatamente superiore.
Si fermarono.
Forse il trentenne udì una voce, ma il vento che fuori ululava non gli permise di riconoscere quel suono fino in fondo.
La barca strattonò violentemente, segno che le vele non erano state ancora completamente ammainate.
Ancora passi, questa volta erano di più, si stavano allontanando, fino a sparire al suo udito.
Per diverse ore l’unico suono percettibile fu l’ululare del vento contro le pareti esterne della stiva, inframezzato dallo sciabordare delle onde.
La pioggia diveniva più e meno intensa ciclicamente, come se stesse eseguendo una danza che ne definiva la violenza.
L’aria si fece sempre più umida, generando un brivido che percorse tutta la schiena di Noir. I capelli neri gli si incollarono alla fronte, madidi, e, in tutta risposta, il suo viso scomparve tra le ginocchia che stavano strette al suo petto, nel tentativo di non sprecare nemmeno il calore che il fiato gli portava via.

Lentamente, la tempesta parve affievolirsi, riducendosi a un lento e costante battito di gocce sulle assi che proteggevano il carico dell’Ala di Albatros.
Il trentenne si cercò di sistemare meglio nel piccolo spazio che si era ricavato dietro la muraglia di sacchi e casse, continuando a tenere le orecchie all’erta nel caso qualcuno fosse di nuovo sceso.
Dei passi decisi, misurati, cominciarono a far vibrare le assi sopra la testa di Noir, spostandosi verso il centro del ponte superiore e, da lì, lentamente, verso la scaletta che avrebbe permesso al loro proprietario di scendere ancor più in basso nel ventre della nave.
Il trentenne dai capelli neri si cercò di fare piccolo, scivolando ben sotto alla protezione delle merci che gli stavano davanti.
I passi, dopo un tempo infinitamente lungo, si lasciarono alle spalle l’ultimo scalino, toccando il pavimento di quell’ultimo ponte, per poi fermarsi.
Una vibrazione dovuta all’impatto di una suola rigida sul legno, poi un’altra, un’altra e un’altra ancora.
Ci fu un secondo di silenzio di troppo a precedere il suono del quinto passo, che non arrivò.
Al suo posto ci fu un tonfo, accompagnato da un verso di dolore.
Gli scricchiolii che seguirono quel momento potevano essere dovuti al nuovo arrivato che si rialzava, se era caduto, oppure al suo appoggiarsi contro una parete.
Noir, in quel momento, decise che era meglio non indagare su cosa fosse successo.
Di nuovo la stiva silenziosa fu percorsa da vibrazioni dovute ai passi, questa volta direzionati nuovamente verso la scaletta che li avrebbe condotti via di lì.
Un altro tonfo, questa volta più forte fece vibrare tutto il pavimento violentemente, facendo scivolare un poco più verso il basso i sacchi di farina che erano stati ammucchiati là dove ora si trovava la sorgente di quel rumore.
Lo struscio dei tessuti  contro il legno si fece sentire, lento, continuo, a volte coperto dal mugugno dell’uomo che si stava trascinando via.
Passò mezz’ora, prima che Noir si osasse alzare dal suo nascondiglio.
Non c’era più traccia dell’essere che aveva prodotto quei suoni, al suo posto, invece campeggiava una pozza di liquido scuro, sbavato come da un grosso pennello verso la scaletta, sui gradini e, appena visibile, sul ponte mediano.
Il sangue del trentenne cominciò a fremere, scaldarsi, spingere contro le pareti delle vene e delle arterie, costringendo quel cuore ad aumentare il ritmo dei suoi battiti.
Noir cominciò a sentire le tempie pulsare, mentre la sua vista si fece offuscata.
Non gli era mai capitata una cosa del genere, non si era mai sentito così, non sapeva cosa gli stava succedendo.
Sapeva solamente che doveva andare verso quella possa di sangue. Voleva andare verso quel sangue.
Riluttante, il piede destro si fece avanti, trascinandosi sul pavimento.
Il sinistro lo seguì, più veloce.
I passi si fecero via via più decisi, crescendo inversamente alla lucidità che il trentenne poteva vantare.
Noir si ritrovò con le punte delle scarpe a pochi millimetri dalla pozza di liquido.
Il petto pareva volergli esplodere, sentiva ogni millimetro della sua pelle in tensione, pronto a strapparsi sotto la pressione che si stava generando tra i muscoli.
La camicia che copriva il petto dell’uomo parve esplodere, strappandosi là dove un’enorme dito nero proruppe per andare a piantarsi all’interno della pozza, che cominciò a ribollire, diventando sempre più liquida e meno viscosa.
L’artiglio si ritrasse dalla pozza solo dopo diversi secondi, permettendo alle gocce di liquido scuro di cadere sul suolo.
Il trentenne riprese lentamente coscienza di sé, guardando sconvolto la creatura nera che gli era nata dallo sterno.
Con un colpo di frusta secco l’artiglio si ritirò, tornando a celarsi nel corpo dell’uomo dalla camicia strappata.
Noir si chinò sulla pozza, immergendoci due dita all’interno, nel tentativo di capire cosa avesse scatenato in lui quella reazione.
Non era sangue, era un liquido nero, leggero.
Poteva essere una trappola per portarlo a scoprirsi?
A quel pensiero fece un balzo indietro, puntando il suo sguardo verso la scaletta, aspettandosi di trovare l’intera ciurma della nave pronta ad attaccarlo.
Non c’era nessuno.
Il trentenne tornò rapidamente al suo nascondiglio, sperando unicamente che nessuno volesse scendere nella stiva.
Sapeva che la durata del viaggio verso il continente poteva variare tra il giorno e mezzo e la settimana, dipendentemente dalla velocità massima con cui la nave poteva viaggiare e dalle condizioni che questa incontrava sul suo percorso.
L’Ala  di Albatros sembrava un buon veliero, ma le due tempeste in cui si era imbattuta le aveva fatto perdere sicuramente molto tempo.
Non aveva idea di quanto tempo ci sarebbe ancora voluto per raggiungere il porto di Largan, ma doveva essere pronto a sgusciare fuori dalla nave prima che i marinai cominciassero a scaricarla delle merci che trasportava.

Si sentirono ancora dei passi sul ponte mediano, ma nessuno di essi si avvicinò mai alla via che li avrebbe condotti alla stiva.
Il cielo, fuori, si era fatto scuro e la poca luce rossastra che riusciva a filtrare nel ventre della nave era sufficiente appena per abbozzare i contorni di ciò che vi era custodito all’interno.
La temperatura scese velocemente, facendo accapponare la pelle dell’uomo nascosto.
Una campana suonò più volte, fragorosa, spandendo la sua voce in tutta la nave.
Terra.
Dovevano essere arrivati.
Noir si alzò incerto sulle gambe intorpidite, spostandosi verso la scaletta facendo ben attenzione ad evitare di mettere il piede nella pozza di liquido scuro.
L’ultimo marinaio che aveva camminato sul ponte mediano se ne doveva essere andato una ventina di minuti prima, o almeno questo era quello che le orecchie del trentenne avevano percepito.
Salì rapidamente gli scalini scricchiolanti, per poi sgusciare dietro uno dei pali che supportava il ponte principale.
Lì attese, nascondendosi nelle ombre, cercando di capire se fosse davvero solo in quell’ambiente.
Tutto continuò ad essere immobile e silenzioso.
Superò il cannone che gli ostacolava la via verso la parete, andando poi a scostare l’asse che copriva il buco destinato alla bocca dell’arma che lì era stata assicurata.
In direzione della prua della nave si potevano riconoscere decine di luci rossastre, luci di civiltà.
Non ci sarebbe voluto più di un quarto d’ora per raggiungere terra, stimò Noir, se avessero continuato a viaggiare a quella velocità.
La campana, intanto, tornò a farsi sentire con una decina di rintocchi.

Il porto era sempre più vicino, solo una ventina di metri separavano la nave dai lumi che si stavano avvicinando.
I marinai, sul ponte superiore, cominciarono a muoversi rapidi, predisponendo tutto per lo sbarco.
Noir guardò verso il basso, oltre l’apertura che gli stava davanti.
L’acqua sembrava una distesa di nera ossidiana, su cui la luna si rifletteva quasi perfettamente.
Una volta che l’ancora fosse stata calata e le cime legate al molo, per lui sarebbe stato molto più complicato scendere senza farsi notare.
Controllò che lo zaino in cui aveva riposto le poche cose che possedeva fosse ben saldo sulle sue spalle e contro la sua schiena.
Avrebbe dovuto anticiparli.
Portò le gambe oltre la cornice dell’apertura, con solo la forza delle sue braccia che gli evitavano la caduta.
Guardò un’ultima volta il molo, sempre più vicino, poi lasciò la presa, lasciandosi cadere verso la superficie nera del mare.
Cerchi concentrici si generarono nel punto dove era caduto, ma il suo corpo parve non aver intenzione di risalire in quel punto. Bucò, invece, la superficie d’acqua diversi metri più avanti, muovendo affannosamente braccia e gambe in direzione della terra ferma.

Si issò su un pontile isolato, a cui erano state ormeggiate solo piccole barche, inadatte sia a lunghi viaggi che alla pesca.
Non sembrava che nessuno fosse lì nei dintorni.
Noir fece alcuni passi sul pontile, aspettando che il grosso dell’acqua che gli inzuppava i vestiti si riversasse sulle assi di legno che stava calpestando.
Non poteva permettersi di perdere tempo in quella città, sarebbe stato molto più al sicuro cercando di ricostruirsi una vita in un piccolo villaggio, magari uno di quelli abitato da boscaioli e allevatori di cinghiali che erano sorti all’interno della foresta che infestava la porzione orientale del Continente.
Il trentenne guardò il cielo.
La luce di quella luna calante bastava appena per illuminare  contorni dei ponteggi e delle prime, piccole case costruite a ridosso del mare.
Per quanto la sua maledizione lo potesse proteggere, sarebbe stato estremamente stupido da parte sua avventurarsi su strade che non conosceva con l’oscurità.
I suoi piedi si mossero quasi da soli, puntando verso ovest, verso l’entroterra.
Quantomeno, voleva essere pronto a partire il mattino seguente, sfruttando la notte per attraversare indisturbato la città.
Imboccò quindi la via che gli si presentò davanti, fiancheggiata e stretta tra le case in rossi mattoni che la delimitavano.


Angolo dell'Autore:

Ciao a tutti e grazie, a voi che siete giunti fin qui.
Ovviamente un grazie "più grazie" a Oldkey, la ragazza imperfetta e whitesky, per le loro fantastiche recensioni.
...

Attenzione: AVVISO ALLA FINE, se volete saltare la parte discorsiva, l'AVVISO è nel paragrafo successivo a quello che segue.

Gli angoli dell'autore, ultimamente, sono diventati un po' come quel lungo tavolo in cui si può parlare del più e del meno con i commensali, e non mi dispiace sia così. Per lo meno in questa serie, che è la mia principale, almeno per il momento.
Il loro formato è estremamente discorsivo, dovuto al fatto che li scrivo nel momento stesso in cui pubblico il capitolo, avendo alle spalle solo un'idea generale dei temi di cui vorrei parlarvi.
Questo angolo, inizialmente, doveva essere riservato al condividere con voi alcune chicche sul Viandante che ho riscoperto quando ho riaperto vecchi file e appunti cartacei, roba che è ferma a prendere polvere da anni.
Arrivato a questo punto, però, mi sono reso conto che non è la cosa principale che avrei voluto comunicarvi, oggi.
Mi spiace, le cose imbarazzanti sulla nascita e sull'adolescenza del buon Commedia (con tanto di piccola informazione sull'altra musa) vengono rimandate, per far posto a un argomento un po' più serio.
L'avviso sopra citato.

Ho ricominciato questa settimana le lezioni universitarie, che mi stanno portando via decisamente molto più tempo di quello preventivato.
Per ora riesco ancora a scrivere, revisionare velocemente e pubblicare i capitoli con cadenza settimanale (capitoli in quanto conto quello al venerdì di questa storia e quello al sabato della fan-fiction in cui mi sono cimentato). Detto questo, è possibile che, per impegni di vario genere, non riuscirò ad essere sempre impeccabile. Potreste trovare, quindi, da ora in poi, un grosso avviso prima dell'Angolo dell'Autore in cui vi dirò che la settimana dopo non riuscirò a pubblicare.
So che è una cosa da poco, ma ci tengo a fare un lavoro pulito e avvisarvi in tempo delle mie possibilità.

Detto questo, alla prossima!
Vago
   
 
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