Storie originali > Soprannaturale > Vampiri
Segui la storia  |       
Autore: Luxanne A Blackheart    06/10/2017    1 recensioni
Nella Londra vittoriana un affascinante uomo proveniente dall'India, un benestante e facoltoso Lord imparentato con la regina, si trasferisce in uno dei quartieri più ricchi e alla moda dell'epoca.
Lui e la sua famiglia si adatteranno alla vita sociale inglese, partecipando a balli reali e alla vita mondana dell'epoca.
Da lontano sembrano perfetti con i loro vestiti costosi, i bei sorrisi affascinanti e i modi di fare garbati. Ammalianti come un serpente prima di attaccare.
Ma sotto quella apparenza di perfezione c'è di più...
Il loro aspetto cela qualcosa di raccapricciante e orribile.
Grida e strani versi si odono nella buia e fredda notte; sangue, sospiri, affari di malcostume e morte incombono sulla loro bella casa e su chiunque osi avvicinarli.
In una Londra sporca, popolata dalla volgarità, dal malaffare, dal sangue e dalla morte la famiglia Nottern saprà trovarvi la dimora ideale.
E voi, saprete farvi conquistare dalla Famiglia del Diavolo?
Genere: Dark, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo tredici
MARGHERITA APPASSITA.


 

“Vita e morte non sono due estremi lontani l’uno dall’altro. Sono come due gambe che camminano insieme, ed entrambe ti appartengono. In questo stesso istante stai vivendo e morendo allo stesso tempo. Qualcosa in te muore a ogni istante. Nell’arco di settant’anni la morte arriverà a compimento. In ogni istante continui a morire, e alla fine morirai davvero.”
(Osho)



Il prossimo fu James. Era vestito interamente di bianco, i capelli biondissimi gli ricadevano sugli occhi, i quali erano fissi in un punto preciso. Lo guardavano, lo scrutavano, lo fissavano come mai avevano fatto prima di allora. Non c'era traccia di amore, preoccupazione, gioia e anche tristezza nel suo sguardo; non c'era nulla che gli facesse credere di star effettivamente parlando con suo fratello, il suo migliore amico, l'unica ancora di salvezza.
-James... - Sussurrò William con la voce resa roca dal pianto e dalle urla. Aveva passato così tanto tempo ad urlare, a dimenarsi, ad invocare il nome di Lucille, che era diventato una specie di mantra. Il fratello aveva le mani sporche di sangue fresco, poteva riconoscerne l'odore a miglia di distanza. - Che cosa hai fatto? -
-Io? Nulla. Sei stato tu, William. -
-Che cosa avrei fatto? -
-Mi hai reso ciò che sono, un assassino. Un mostro orrendo e immondo. La società non mi accetterà mai per ciò che sono, neanche il mio Dio lo farà. Andrò all'Inferno, brucerò tra mille tormenti e dolori. Ho ucciso per te, innocenti, solo per sfamare la tua voglia irrefrenabile di sangue. Ho ucciso per te, perché ti amavo come un vero fratello, nonostante tutti i tuoi casini. Ho ucciso per te, sono andato contro tutti i miei principi morali e tu hai mai fatto qualcosa per ricompensarmi? No, hai fatto sempre peggio. Ti sei comportato da stupido bambino viziato, combinandone sempre peggio. E chi ha dovuto sempre rimediare ai tuoi dannati casini, chi ha dovuto sempre ripulire le tue tracce? Io! Sei stato il mio tormento e credo che lo sarai per l'eternità. Spero tu muoia presto e mi lasci vivere in pace. -
-Mi dispiace, Jamie, mi dispiace. -
-Cazzate! Spari solo cazzate, William. Solo bugie! - James lo schiaffeggiò, macchiandogli la guancia di sangue fresco, caldo, denso. I denti di William si allungarono, nonostante tutta quella situazione. - Ecco cosa sei, un mostro pazzo. -
-Non ho mai voluto far ricadere la mia pazzia su di te o su di Lucille. -
-Eppure lo hai fatto. Ma adesso ci siamo stancati di te e delle tue bravate. Sei diventato un peso, una palla al piede. -
-Lo so. Mi dispiace. Lo ripeterò all'infinito se dovesse servire a qualcosa. So che cosa avete passato, me ne rendo conto, e cercherò di non ferirvi mai più. Siete le uniche persone che amo alla follia e per le quali morirei. - Will sospirò, versando lacrime silenziose, che si fecero strada sul sangue che il biondo aveva in viso. Piccole striature pallide in un mare rosso.
-C'è qualcosa che tu potresti fare, caro fratello. - James fece una pausa, nella quale si strofinava le mani, un sorriso diabolico gli incorniciava i bei lineamenti soprannaturali. - Morire. -
Tutto quell'odio, quel disprezzo e quel dolore bastarono a sfinirlo, bastarono ad ucciderlo. In quel momento moriva l'anima di William Nottern, tanto amato, ma soprattutto odiato.
Il veleno sembrò agire molto più velocemente e il biondo si sentì in trappola, incatenato contro un destino al quale non avrebbe potuto rinunciare. La morte, la sua amata, la sua tanto desiderata, stava venendo finalmente a prenderlo, ad abbracciarlo, a baciarlo sulle labbra sporche di sangue e lui, che tanto l'aveva aspettata, le avrebbe detto di no. Non poteva andarsene così, non poteva abbandonare il mondo, Lucille e James, e tutta la sua famiglia, lasciandoli nelle mani di quei maledetti figli di puttana.
“Will...”, udì una voce, nel retro della sua mente pazza e annebbiata dal veleno. La vista era sfocata, non riusciva a guardare, non riusciva a scorgere la figura tutta tessuto e dolcezza che le stava davanti, che gli accarezzava gli zigomi e gli baciava la fronte. Altre mani, invece, gli toccavano le braccia, dita di ghiaccio che slegavano le corde intrise di acqua santa.
Cosa era reale, cosa era finzione? A chi credere, chi uccidere? Sarebbe morto in ogni caso, che cambiava?
“Will...”, tante voci gli sfondarono i timpani, tutti di egual intensità, tutti lo chiamavo, gli urlavano di svegliarsi. Le conosceva, quelle voci, sapeva a chi appartenessero. Voleva bene, a quelle voci, perché erano dei suoi fratelli. Lucille, James, Jean e Roman. Tutti loro, nella sua fantasia, nella realtà alternativa che la morte gli aveva concesso, erano venuti a salvarlo, a portarlo in salvo, perché, in qualche modo, tenevano a lui.
Era solo un romantico, un folle, al quale piaceva illudersi! Chiuse gli occhi, versando lacrime e lasciandosi invadere da quelle sensazioni, da quell'amore che aveva sempre rifiutato perché non all'altezza di loro, del mondo, di tutto.
William il pazzo, che moriva per delle allucinazioni. Potevano farci un'opera scadente a teatro!
Che esistenza misera e senza gioia era stata la sua? Che uomo piccolo e senza coraggio era stato? E adesso moriva, tra mille tormenti e dolori, fra le braccia dei suoi cari. Affogava nel suo stesso sangue, nelle sue stesse illusioni maledette, nella sua stessa pazzia. La dolce morte lo stava abbracciando, lo stava cullando e lui si lasciò persuadere, si lasciò amare, come mai aveva fatto. Era lei, l'unica alla quale avrebbe fatto vedere il suo Io interiore, il fragile e stupido Will.
“Sapevo sareste stati la mia morte, cari fratelli. Vi ho amati, è giusto che voi lo sappiate, nonostante siate solo visioni mandate dalla dolce morte. Vi ho amati infinitamente, come nessuno, vi considero la mia vera famiglia. Ma siete stati la mia rovina. E' per voi che oggi io muoio, è per voi che io oggi affondo.”, Will sorrise, immaginandosi i volti dei suoi fratelli. “Lucille, ti ho sempre amata. Spero tu abbia una vita felice, adesso che non ci sarò più. Il tuo più grande dolore ti abbandona.”




Roman la raggiunse all'enorme serra, provvista di qualsiasi tipo di fiore esistente in natura, dal più esotico. Lucille guardava le margherite, accarezzandone i petali con l'indice. La fede e l'anello di fidanzamento brillavano minacciosi sull'anulare sinistro.
Il gigante le cinse le spalle con le braccia, stringendola forte a sé. Le baciò la guancia e stette con lei in silenzio per qualche secondo, prima di parlare. C'era così tanto di cui discutere, così tanto da piangere, che non sarebbe bastata una vita.
Sua sorella era distrutta dal dolore; non l'aveva mai vista così.
“Come ti senti, Lucille?”
La ragazza scosse il capo. Portava i capelli slegati, erano talmente lunghi che le superavano le natiche. Poteva nascondersi con essi, poteva scomparire per quanto era piccola. Aveva pianto, tutti avevano pianto, come si poteva non piangere?
“Una parte di me, Roman. Sto perdendo una parte di me. Tu non hai idea di cosa si provi, nel perdere un pezzo del tuo cuore e della tua anima. E' talmente doloroso che preferirei morire, piuttosto che andare avanti così.”, Lucille scoppiò in lacrime, facendosi ancora più piccola. Non le nascondeva più, non davanti a lui. Piangeva e accarezzava il fiore stretto tra le dita sottili e pallide. “E' stata la margherita, con questa cercò di corteggiarmi la prima volta. Poteva scegliere le rose, molto più belle, ma no, ha scelto loro.”
“Quel bastardo sa cavarsela, devo ammetterlo. Con voi donne, queste cose funzionano.”, Roman sorrise tristemente, lasciando che la donna gli si appoggiasse sulla spalla.
“Non voglio che mi lasci, Rom. Non voglio che se ne vada via, non voglio che mi abbandoni. Sarebbe da egoista!”, Lucille si pulì il viso dalle lacrime, tirando su con il naso. “Io lo amo.”
“Lo so, Lucie, lo so. Nessuno vuole che se ne vada. Ma dipende tutto da lui, adesso. Deve avere la forza di lottare, di tornare da noi. Charles ha avuto la gentilezza di darci il suo sangue per l'antidoto, ma è passato troppo tempo. E' un miracolo che sia ancora vivo.”
“Quanti segreti questa famiglia! Prima non eravamo così, Roman, che ci è successo? Perché ci mentiamo a vicenda? Jean e James stanno con due membri della Confraternita e la Confraternita ha reso il mio Will una margherita sul punto di morire. L'hanno fatto appassire, quando si reggeva a malapena in piedi.”
“Non sono come i loro simili.”
“Le persone mentono.”
“Le persone mentono, ma non i loro occhi. Charles ama Jean e anche Esmeralda ama James. Altrimenti non ci avrebbero aiutati, altrimenti William, il più importante pezzo di te, sarebbe morto.”, Roman fece una pausa, accarezzando i capelli della sorella. Aveva sempre cercato di proteggerla, ma invano. Tutti siamo soggetti al dolore, tutti soffriamo, chi più chi meno. E' questa la più grande verità della vita, il dolore. “Perché non vai da lui? Lo aiuterebbe sentire il tuo tocco e la tua voce.”
“Devo tornare da mio marito.”
“Basta bugie, Lucille. Basta opportunità sprecate, dobbiamo tutti darci una mossa. Siamo immortali, ma possiamo morire tra un giorno e l'altro. Vai da William, salvalo e così potremmo riprendere la nostra vendetta. Quei maledetti figli di puttana verranno decimati uno per uno.”






Lucille corse nelle stanze di William e lo trovò steso, da solo, al buio, con le candele che andavano morendo lentamente. Lui aveva le mani poggiate sul ventre, era terribilmente pallido, insanguinato, puzzava di vomito, sporco, ma ai suoi occhi era bellissimo. Il più bel cadavere, la più bella margherita appassita, la sua metà cattiva, ma senza la quale sarebbe morta.
Si fermò, poggiandosi alla porta. Guardò la mano sinistra, vedendo brillare gli anelli , il ricordo del tradimento, il ricordo del loro bacio mancato, l'ultimo ricordo di un Will distrutto, ma vivo.
Se li sfilò, lasciandoli cadere al suolo; essi rotolarono, andando a sbattere contro il muro e cadendo senza produrre alcun suono.
Lucille a quel punto, si sentì pronta e poté andare da lui, stendersi al suo fianco e poggiare il capo sul suo petto. Non batteva nessun cuore, non sentiva il fiato di lui sulla sua pelle. Era morto, ma lo era già da un pezzo. Come facevano a dire che fosse ancora vivo? E se ne fosse già andato? No, impossibile, lei l'avrebbe sentito.
“Non lasciarmi, Will.”, Lucille gli prese la mano, intrecciando le loro dita. La sua mano, ancora sporca di inchiostro nero, era terribilmente pallida, così come quella di lei. Erano uguali solamente in una cosa.
Pianse, ma non urlò, nonostante il dolore la stesse mangiando dall'interno. Piccole larve che si nutrivano di metà del suo cuore, strappandolo e inghiottendone sempre più. “Sai, qualche tempo fa, quando ci eravamo appena messi insieme, per l'ennesima volta, e tu dormivi al mio fianco, bello, pallido e perfetto, mi sono alzata dal nostro letto, messa sul tuo scrittoio e ho iniziato a scrivere. Mi sentivo talmente amata da te, Will, che non riuscivo più a fermarmi e non avrei potuto immaginare un mondo senza di te e continuo a non farlo. Tutto quello che voglio dirti, è semplicemente di non morire. Sei tu quello bravo con le parole, non io. Io sono brava ad ascoltarle. Non morire, ritorna da me, così potrò ascoltarti per altri infiniti secoli.”
Chiuse gli occhi, tornando indietro nel tempo, molto tempo prima, molti secoli addietro, alla prima volta nella quale si erano incontrati. L'aveva capito subito chi aveva davanti; aveva sentito quella loro meravigliosa connessione che la spingeva da lui, le urlava di sprofondare fra le sue braccia e di farsi amare dalla sua pazzia.
L'aveva guardata nell'intensità di quell'alba d'estate. L'aveva guardata per la prima volta e nei suoi occhi aveva visto i fiochi raggi del sole, che si nascondevano timidi dietro le nubi minacciose.
L'aveva guardata per la prima volta e avevano smesso di essere estranei. L'aveva guardata altre volte, di nascosto, mentre pensava che lei fosse distratta con quell'aria triste e da bravo ragazzo.
L'aveva guardata, quando voleva essere ammirata, mentre parlava animatamente con Camille, perché lui sapeva lei fosse stata un pochino egocentrica.
Le aveva parlato, sotto gli alberi d'ulivo, facendola ridere per la prima volta, mentre azzurro, caramello e verde diventavano un unico colore.
L'aveva sfiorata, facendola rabbrividire.
L'aveva fatta sorridere, arrabbiare, l'aveva fatta andare a fuoco, l'aveva fatta sua.
E adesso?
Adesso non c'era più. Era sparito nel nulla e le mancava come una dolorosa boccata d'aria fresca. L'aveva distrutta con la sua tenebrosa tristezza, quando bastava poco per farlo. L'aveva amata e disprezzata con le sue parole.
L'aveva uccisa, seppellendola nell'alba dei suoi occhi.
L'aveva cambiata, quando aveva sostenuto davanti a tutti che non sarebbe accaduto.
L'aveva lasciata sola.
Ma l'importante era che lui l'avesse guardata dal primo istante di quell'alba fredda, perché l'aveva guardato anche lei, e sin da quel momento aveva capito di essere stata solo sua.
Apparteneva a lui.
E lui poteva fare di lei tutto quello che voleva.
Tranne lasciarsi morire.




Tutti i fratelli erano riuniti in un cerchio silenzioso intorno alla porta di Will, tutti tranne Lucille, che si era chiusa con lui nella sua camera e non ne voleva sapere di uscire. Grazie al loro udito riuscivano ad udire la sorella piangere, probabilmente cercava di soffocare le lacrime conto la maglietta sporca dell'amato, ma senza molti successi.
Erano tutti a pezzi, e si affidavano a loro stessi e alle persone da loro amate. Jean aveva Charles, James aveva Esmeralda e Roman, per quanto tutti si fossero stupiti, aveva la ragazzina, che di nome faceva Theresa. Ma Lucille, lei aveva solo Will... Era giusto che lasciassero più spazio a lei.
James terribilmente pallido, sfinito, ridotto a nulla, si era accasciato per terra e aveva stretto l'amata strega, che li aveva aiutati a trovarlo, fra le braccia. Era stata una sorpresa per tutti, vederli insieme e talmente uniti. Jean, dopo tutto quel tempo, immaginava James come una parte di Lucille e una parte di William, per quel motivo non si sarebbe mai immaginato che lui avesse intrapreso una relazione con una donna, specialmente se questa era una strega, una della Confraternita.
“Questa attesa mi distrugge. Dovremmo andare a vendicarci. Devo, devo fare qualcosa per Will...”, fu James a parlare dopo tutto quel tempo. Gli altri lo guardarono, annuendo. Tutti volevano vendetta. Avevano perso Francisco per opera di quei maledetti, non potevano perderne anche un altro. Erano una famiglia, anche se non andavano quasi mai d'amore e d'accordo, e dovevano difendersi, restare uniti nel bene e nel male. “Dove sono Vladimir e Camille? Uno dei loro figli sta rischiando di morire, dove cazzo sono?”
“Jamie, calmati, amore mio. William si riprenderà. Alle volte ci vuole tempo per far funzionare un antidoto.”
“Ce la siamo cavati sempre da soli, James, ce la faremo anche questa volta. Non abbiamo bisogno di nessuno.”, Roman si sedette, poggiando la schiena al muro e chiuse gli occhi. Aveva i capelli arruffati per essersi messo in continuazione le dita fra di essi dal nervoso. Theresa gli si sedette accanto, intrecciando le dita nelle sue e baciandogli il palmo della mano. Roman la guardò e le sorrise, Jean sorrise a sua volta, cercando di gioire per la felicità del fratello maggiore.
Non lo vedeva così innamorato da tempo, era felice, tutti lo erano chi per un motivo e chi per un altro e adesso c'era tutto quel dolore e disperazione. La morte aleggiava nell'aria, Jean la sentiva, era un suo vecchio amico, dopo secoli di assassini alle spalle. Doveva mandarla via.
Non osava guardare Charles, che si era messo in un angolo, lontano da Roman e James. Non poteva guardarlo e pensare che la colpa era tutta sua, che se non si fosse messo con Charles, se non lo avesse mai incontrato, probabilmente Will non si sarebbe trovato in quelle condizioni.
L'unica cosa da fare era mandarlo via, restare con suo fratello e vendicarsi. Erano nemici, la loro storia non poteva funzionare. Grazie a lui stava cominciando ad accettare il suo essere, ciò che era davvero e stava cominciando a rispettarsi, ma non potevano andare avanti. Doveva lasciarlo andare, per quanto facesse male.
La situazione di James era diversa, considerato che la sorella di Esmeralda non aveva quasi ucciso uno dei suoi fratelli. Una strega non può vivere senza la sua Congrega di streghe e un lupo non può vivere senza il suo branco. Non avrebbe mai chiesto a Charles di lasciare la Confraternita, quella che era la sua famiglia, diventare un omega e vivere sempre con la paura di essere attaccato, vivere debole. Un lupo senza il suo branco è più vulnerabile, è nulla.
“Charles, dobbiamo parlare.”, il ragazzo, che aveva pianto, lo seguì senza una parola. Jean osservò il modo nel quale James lo guardò e sospirò. Era tutta colpa sua.
Si allontanarono qualche metro, tanto sapevano che li avrebbero uditi comunque.
“Devi andartene.”
“Che cosa? Voglio stare al tuo fianco.”, Charles scosse animatamente il capo, cercando di abbracciare il ragazzo, che lo spinse via.
“Non puoi. E' la mia famiglia e tu devi pensare alla tua. Tua sorella verrà perseguitata da tutti i miei fratelli. James e Lucille non si daranno pace prima di vedere ridotti in brandelli ogni singolo lupo mannaro di Londra e fidati di me, se ti dico che è meglio che tu scappi via. Ritorna in America, sposati e vivi lontano da questa vita. La Confraternita è perduta, ma voglio che tu stia al sicuro.”
“Ma io voglio stare con te, Jean. Non puoi chiedermi di andare, di dimenticarti, di lasciarti... Non adesso che stava andando tutto bene.”
“E' mio fratello, Charles. Cosa vuoi che faccia? Non riesco a guardarti negli occhi senza darmi la colpa. Sono stato io ad avvicinarla a mio fratello. Io! E per cosa? Per questo desiderio egoistico di essere amato.”, Jean stava piangendo, singhiozzando come un bambino, davanti ad un Charles distrutto dal dolore.
“Io ti amo! Non te lo lascerò fare, Jean.”
“Se mi ami veramente, dovrai farlo. Ti prego, non rendere tutto più difficile, ti scongiuro, Charles!”, Jean lo abbracciò, poggiando le mani sul suo viso e unendo le loro fronti. Le lacrime bagnavano i volti di entrambi i ragazzi. Dolore, solo dolore e sofferenza nelle loro vite. Non poteva guardarlo negli occhi senza vedere William quasi morto e non poteva neanche vivere senza di lui. Doveva scegliere e avrebbe scelto la famiglia, ma faceva ugualmente male e faceva soprattutto schifo.
“Non doveva andare così, Jean.”
“Lo so, avremmo dovuto vivere tanti anni felici; ce ne saremmo andati di qui, avremmo vissuto lontano dalla civiltà, dalla società che non ci accetta per ciò che siamo.”, Jean sorrise, chiudendo gli occhi. Rimasero per tutto il tempo in quella posizione, l'uno appoggiato sull'altro, scambiandosi qualche bacio di tanto in tanto. Non c'era vergogna, solo dolore, solo addii. Amava il suo nemico, che cliché!
“E se dovessero farti del male, amore mio? Io non posso... Non posso permettere loro che questo accada. Avevano mandato me, avevano mandato me per fare il lavoro che Katherine avrebbe dovuto fare e io ho trovato l'amore della mia vita. Mi sono innamorato di te, ho imparato ad amarti e sopportare tutte le tue insicurezze e i tuoi dubbi, quando io, dal primo momento che ti ho visto, con i tuoi occhi leggermente a mandorla e i capelli d'ebano, sapevo che ci saremmo appartenuti.”, Charles singhiozzava e tremava. Jean lo strinse a sé e poi decise di lasciarlo andare via. “Se tu dovessi morire, io morirei. Siamo collegati da un filo invisibile, ma che mi punge dolorosamente il cuore ogni volta che tu sei lontano.”
“Non è il nostro secolo, semplicemente, Charlie. Arriverà il momento e io sarò qui ad aspettarti.”, Jean sbuffò, cercando di smettere di piangere. Si stavano comportando da stupide femminucce! E stavano rendendo tutto più difficile.
“Non farti uccidere, d'accordo?”
Jean annuì, prendendogli la mano. “ E tu scappa, mettiti al sicuro.”
“Dovrò portare Katherine con me. E' mia sorella...”
“Cosa non si farebbe per la famiglia?”, Jean e Charles si guardarono un'ultima volta, studiandosi, imprimendo un'ultima volta il viso dell'altro nella memoria. Amanti sfortunati dal primo momenti nel quale si erano incontrati. La felicità li aveva accompagnati per un piccolo periodo, ma adesso li aveva abbandonati.
Avrebbe vissuto, si ripeteva Jean, guardandolo andare via e poi scomparire mentre scendeva le scale. Avrebbe vissuto e lui l'avrebbe aspettato, perché prima o poi il filo li avrebbe fatti tornare insieme. Ma, in quel momento, il suo cuore sanguinava.








Jean scomparve per le prossime due ore e si udì solamente il suono triste e armonioso del violino, suonare per tutta la tenuta dei Nottern. Gli altri erano in continua attesa. Lucille e James si scambiavano il turno ogni mezz'ora, non lasciando entrare nessun altro. Tutto taceva, nessuno parlava, c'era solo l'attesa che incombeva su di loro.
Theresa guardava quegli esseri, quei succhia sangue che l'avevano accolta in casa loro, che la trattavano come se non esistesse, quando una di loro, tanto tempo prima, aveva cercato di ucciderla, solo perché aveva osato nascondersi nella sua camera e invadere la sua privacy.
L'avevano dimenticata nell'esatto istante nel quale William aveva spezzato il collo alla sua amante/sorella. Doveva ammettere che ancora non capiva cosa ci fosse tra quei due, era tutto molto confuso.
Roman era stato l'unico, probabilmente il meno incasinato di tutti, ad accoglierla e trattarla da essere umano. Era il più grande, il più forte, il più saggio, quello che aveva vissuto di più, quello che ne sapeva di più di tutti loro. Era stato trasformato direttamente quando era nell'utero, era qualcosa di mai visto prima. Potente, solo come Vladimir e Camille.
Theresa, standogli vicino, non udiva tutto quello. Certo, nel primo istante c'era stata della soggezione, ma era sparita nel momento esatto nel quale lui le aveva sorriso. Era bello, anzi molto bello, con quei capelli dorati e gli occhi azzurri, mentre lei era troppo sciatta, con i suoi lunghi e nerissimi capelli che la facevano somigliare ad un morto, causa anche la pelle pallidissima. Aveva visto in lui, inizialmente, una sorta di figura paterna, un fratello maggiore che l'avrebbe protetta dai brutti mostri dentro l'armadio, mostri ai quali aveva smesso di credere all'età di dieci anni, ma che effettivamente erano veri. Roman l'aveva accolta sotto la sua ala protettiva, perché le faceva pena e le dispiaceva per lei. Era un mostro, ma uno di quelli gentili. L'aveva aiutato nei suoi esperimenti e lui le aveva comprato del cibo di nascosto e dei vestiti. Non le aveva mai fatto mancare nulla.
E ben presto, si era innamorata di lui e lui di lei. Nessuno si era accorto di loro, poiché sapevano nascondere la cosa; Roman diceva sempre che suo padre non avrebbe approvato e non voleva essere motivo di delusione per lui.
Ma proprio quando avevano deciso di venire allo scoperto, fregandosene del parere degli altri, William rischiava la vita. Theresa si portò le mani sul ventre, accarezzandolo. Si erano sposati, in gran segreto, due settimane prima. L'anello scintillava sul dito, mentre il figlio che portava in grembo necessitava di venire protetto da tutta quella situazione.
Erano rimasti soltanto loro, lei e Roman, davanti a quella porta scura. Seduti per terra, l'uno nelle braccia dell'altra.
“Comincerà una guerra, Roman. E tu avrai un figlio. Devi scegliere cosa vuoi. So che non è il momento di parlarne, so che tuo fratello sta lottando contro la morte, ma tu devi decidere adesso, perché che lui viva o muoia, voi andrete a scontrarvi in modo soprannaturale contro questa Confraternita e io non posso restare a casa ad aspettarti, pregando che tu non muoia. Dio non mi ascolterebbe, poiché porto in grembo la creatura del diavolo, nonostante io ti ami con tutta me stessa.”, Theresa lo guardò, occhi blu contro occhi di ghiaccio. Roman le accarezzò la guancia, baciandole la fronte dolcemente, mentre con l'altra mano le accarezzava il ventre leggermente gonfio.
“Sono la mia famiglia, non posso comportarmi da codardo. Jean ha addirittura detto addio a Charles e James farà lo stesso.”
“Esmeralda e Charles non aspettano un figlio, Rom! Credi forse che sapendo come stavano le cose, Jean avrebbe lasciato andare Charles, se fosse stato una donna?”, Theresa si agitò, le guance arrossate per la rabbia. “No! Perché quando aspetti un figlio e hai una moglie, quella è la tua nuova famiglia, per quella devi lottare e quella devi proteggere. Tutto il resto non conta. Non posso crescere un figlio da sola, Roman, soprattutto se avrà preso questa cosa da te. Sono ancora umana! E se dovessi morire di parto? Partorire è una cosa pericolosa. Per quanto io possa sembrare più piccola, ho diciotto anni, ma comunque non bastano per crescere un figlio. Avrà bisogno di te, Rom, di suo padre.”
“Ho una grande fortuna da parte, conservata proprio per queste evenienze, mia stella. Tu e il piccolo vivrete una vita più che agiata. Camille non vi lascerà da soli.”
“Io non voglio Camille, voglio te!”, Theresa si alzò. Aveva le lacrime agli occhi. “Parlane con i tuoi fratelli, Roman, ti chiedo solo questo. Discutine con loro e quando avrai scelto, se me o loro, potrai ritornare nel letto con me. Altrimenti, puoi anche andare a farti fottere!”
“Theresa!”, Roman la chiamò, ma non ci fu niente da fare, cocciuta com'era, non si sarebbe girata indietro. “Maledette donne!”






AN//
Salve a tutti!
Rieccomi con questo capitolo molto più lungo del solito e ricco di avvenimenti.
Come vi sembra? Ci ho messo particolarmente il cuore per questo capitolo, anche perché ci stiamo avvicinando alla fine di tutto.
Will riuscirà a vivere? Vladimir e Camille che fine hanno fatto? E' vero che non sono genitori responsabili, ma non si sarebbero mai comportati in questo modo. E Charles e Katherine? La confraternita? Nel prossimo capitolo avremo alcune delle risposte, non tutte!
Commentate, facendomi sapere cosa ne pensate e come andrà a finire secondo voi!
Al prossimo capitolo! xx
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Vampiri / Vai alla pagina dell'autore: Luxanne A Blackheart