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Autore: LyaStark    07/10/2017    3 recensioni
C'è qualcosa di oscuro all'opera nel villaggio di Briar, una bestia che sembra uscito dai peggiori incubi della popolazione. L'unica possibilità di salvezza è chiamare un Cacciatore, un membro di un'antica razza detestata e ormai quasi scomparsa, il cui compito è sempre stato uno solo: uccidere ciò che di mostruoso c'è al mondo.
Ma a volte i veri mostri non sono quelli che ci si aspetta.
Genere: Dark, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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WHAT KIND OF MAN
 
DUE GIORNI AL PLENILUNIO
 
“The air is silk
Shadows form a grin
If I lose control
I feed the beast within”
Human, Of Monsters and Men
 
Mancavano solo più due giorni alla luna piena e Cenere non aveva ancora la minima idea di chi potesse essere il Mannaro, tantomeno il pastore di lupi. Il giorno prima lei e Arn erano andati dai genitori di Lily e Harry, i due ragazzi uccisi durante il secondo plenilunio. Le due coppie si detestavano e se avessero saputo della relazione avrebbero costretto i figli a lasciar perdere. Come se avrebbero potuto riuscirci. Cenere sapeva che non c’è nessuno più testardo di un ragazzo a cui viene impedito di vedere la persona che crede di amare.
Né i genitori di Lily né quelli di Harry li avevano visti uscire, quella notte. Adesso si pentivano di non aver controllato di più i figli, di non essere stati in grado di guadagnarsi le loro confidenze. Forse, se l’avessero fatto, i due ragazzi non sarebbero stati costretti ad uscire di notte e sarebbero stati ancora vivi.
Il ragionamento che Cenere aveva fatto con il figlio del podestà era semplice: se il Lupo Mannaro non sapeva di essere tale, era probabile che le sue vittime iniziale fossero persone che vivevano vicino a lui. La Cacciatrice non aveva idea di chi abitasse vicino a chi a Briar, ma Arn sembrava essere a conoscenza di tutto, anche dei dettagli meno importanti. Quando poi le persone la vedevano in compagnia del figlio del podestà si rilassavano, parlando più liberamente e guardandola con meno sospetto.
Quel mattino si ritrovarono nella piazza dov’era stato trovato il cadavere di Ben, la prima vittima del Lycan. Arn spiegò a Cenere che spesso l’uomo passava gran parte della notte fuori casa, con una bottiglia in mano e una quantità d’alcol in corpo che avrebbe fatto perdere i sensi a chiunque altro.
La fontana al centro della spiazza era spenta, uno strato di ghiaccio luccicava debolmente nel piatto. Cenere camminava piano, guardandosi intorno e facendo attenzione ai dettagli. Arn gli indicò il posto dove avevano trovato il cadavere. Alcuni schizzi di sangue spiccavano ancora sul muro di una casa lì vicino.
La Cacciatrice si abbassò su un ginocchio, osservando la neve come se la risposta alle sue domande potesse esserci scritta sopra.
– Qualcuno avrà ben visto qualcosa – mormorò.
– Era una notte fredda – rispose Arn, guardandola dall’alto. – Non c’era nessuno in giro. –
Cenere alzò e si spazzò via la neve dalle ginocchia, osservando le case che delimitavano la piazza. Solo due di loro avevano delle finestre che davano verso la fontana. Dietro una di esse si intravedeva una sagoma scura, semicoperta da una tenda scostata.
– Non è necessario che fossero fuori – commentò, guardando l’ombra sparire.
Arn seguì il suo sguardo. – La casa della vedova Stone – sorrise. – Sì, lei potrebbe aver visto qualcosa. Vieni con me. –
Cenere lo seguì, arrancando nella neve alta dopo la nevicata di quella notte. Faceva più freddo del giorno prima e la luce del sole era gelida, quasi feroce.
– Cosa sai dirmi di lei? –
Arn si sfregò le mani per scaldarle.  – Era la moglie di Carn Stone, il proprietario dell’emporio, ed è vedova da dodici anni. Ha due figli, entrambi se ne sono andati da Briar da tempo. Non cammina molto ed è da parecchi anni che non riesce più a uscire di casa. Sono in molti a doverle un favore, visto che quando aiutava il marito all’emporio faceva spesso credito. In più, è una terribile impicciona. Non so come, ma sa sempre gli affari di tutti. –
Cenere sorrise. – Anche i tuoi? –
Arn fece una smorfia seccata. – Soprattutto i miei. Quando ero piccolo giocavo spesso con Parr, suo figlio. Sembra che questo la giustifichi a impicciarsi nella mia vita. –
– Non ti piace, eh? –
Arn scosse la testa. – Non troppo. –
Si fermarono davanti alla porta della vedova. Arn si girò verso Cenere, guardandola serio. – Non ti stupire se sembrerà sapere tutto su di te, fa sempre così. Le piace mettere le persone in difficoltà – poi bussò alla porta. Prima che questa si spalancasse aggiunse: – E evita di minacciare di accoltellarla. –
Cenere non poté rispondere perché davanti a lei comparve la vedova Stone. Era piccola e appoggiata ad un lungo bastone di legno scuro, i capelli bianchi legati in una crocchia stretta. Gli occhi chiari la fissavano attenti, senza mostrare segni di vecchiaia e debolezza.
– La Simblantë, quale onore! – proferì guardandola. Aveva una voce acuta e tremolante. – Mi chiedevo quando saresti venuta alla mia porta. Cenere, giusto? –
Prima che la Cacciatrice potesse rispondere si rivolse al figlio del podestà. – E c’è anche il piccolo Arn. Che piacere vederti! Vieni qua, dammi un bacio. –
Arn si avvicinò alla vedova e le diede un timido bacio sulla guancia, mentre la donna si aggrappava al suo braccio. – È un piacere anche per me, Elsa. Come stai? –
– Non bene quanto vorrei. Ma si sa, è l’età – la vedova si addentrò verso l’interno della casa, trascinando con sé Arn. Cenere rimase sulla porta.
– Entra pure Simblantë. Se no esce tutto il caldo. –
La Cacciatrice fece qualche passo nel corridoio stretto, chiudendosi la porta alle spalle. Nella piccola casa si soffocava per il caldo. Cenere iniziò a sudare mentre sentiva l’aria rovente farsi strada nelle sue narici. L’odore forte dell’incenso stordiva il suo naso sensibile e le faceva venir voglia di starnutire. Seguì la vedova e Arn in una piccola stanza quadrata con un grosso camino all’interno del quale scoppiettava un fuoco allegro. Piccole gocce di sudore iniziarono a colarle nel colletto.
– Accomodatevi, accomodatevi – borbottò Elsa Stone mentre si sedeva con fatica su una poltrona sfondata e consunta. – Non state in piedi. –
Arn seguì il consiglio mentre l’attenzione di Cenere si portò sull’unica finestra della stanza. Spostò la tenda e al di là del vetro spesso vide la piazza dove era stato trovato il primo cadavere. Si appoggiò al davanzale di legno, guardando il profilo di Elsa Stone. Aveva un naso lungo e aquilino. Adeguato per essere ficcato in giro.
– Immagino che vogliate sapere cosa so dell’omicidio di quell’ubriacone di Ben – esordì la vedova.
Cenere annuì compostamente, cercando di apparire il più cortese possibile. A giudicare dal luccichio che vedeva nei suoi occhi grigi, la donna conosceva più cose di quante immaginassero.
Fu Arn a parlare per lei. – È così. Magari sei venuta a conoscenza di qualcosa… –
– Meglio, meglio – ghignò la vedova. – Ho visto qualcosa. –
Arn trattenne il fiato. Cenere andò a sedersi vicino al suo compagno, di fronte alla donna. – Che cosa hai visto? –
Che quella vecchia avesse visto il Lycan? Erano davvero così fortunati?
– Ho visto… – la vedova Stone fece una pausa ad effetto. – Un uomo. –
– Passano molte persone dalla piazza principale di un paese. –
– Subito prima della luna piena? – a giudicare dal sorriso dipinto sulla sua faccia, la vedova si stava divertendo molto.
– Può darsi – Cenere si tenne sul vago. Non le piaceva come si stava comportando quella donna, le dava l’impressione che stesse di proposito aspettando prima di rivelarle le cose importanti. Come se tutta quella faccenda non fosse nient’altro che uno scandalo più succoso del solito.
– No, no Simblantë. Non così tante, ma soprattutto non seguite così presto da quegli ululati. –
– L’hai sentito? – si introdusse Arn, sporgendosi in avanti sulla poltrona. – Hai sentito il Lupo? –
– Oh sì – il sorriso sparì dal volto della vedova. – E posso giurarvi di non aver mai sentito prima un verso del genere. Mi è risuonato in tutto il corpo, nelle ossa. Non ho avuto nemmeno il coraggio di guardare dalla finestra. –
Cenere si asciugò il sudore dalla fronte, il calore e l’odore dell’incenso iniziavano a farle girare la testa. Aveva bisogno d’aria.
– Chi è l’uomo che hai visto? –
– Non così in fretta, non così in fretta – la vedova si sistemò lo scialle sulle spalle. Cenere si chiese come potesse non morire di caldo. – Sono solo un’anziana signora che non esce mai di casa. Non posso lasciare che tutto quello che so mi venga portato via così. –
Cenere corrugò le sopracciglia – Quindi? –
– Voglio qualcosa in cambio. –
 Arn impallidì. – Questo non ha senso! Quando mio padre… –
Cenere gli poggiò una mano sul braccio, bloccandolo. – Mancano due giorni al plenilunio, non abbiamo tempo per questo – poi si rivolse alla vedova. – Cosa vuoi? –
Elsa Stone sorrise come un bambino a cui hanno regalato una caramella. – Un segreto – poi guardò Cenere negli occhi. – Un tuo segreto, Simblantë. –
La Cacciatrice rimase interdetta per un istante. Poi sentì la furia dentro di sé, gelida come la neve che avvolgeva il villaggio.
– Tu… – le parole facevano fatica a uscirle di bocca per la rabbia. – Come osi… – si alzò in piedi, gli occhi stretti come quelli di un serpente.
La vecchia la guardò dal basso con tranquillità. – Non cedo i miei segreti facilmente, Cacciatrice. Se voi non mi darete nulla, io non vi darò nulla. Ogni cosa deve essere guadagnata, è una delle regole del mondo. –
A Cenere tremavano le mani mentre estraeva il pugnale dalla cintura e lo puntava verso la gola della vedova. Il manico le scivolava nel palmo sudato. Arn si alzò di scatto dalla sedia, prendendole il braccio e parlandole veloce all’orecchio.
– Non farlo, Cenere! – il suo fiato scaldava la guancia della Cacciatrice. – Non farlo! Ci servono le sue informazioni! –
La vedova li guardava sorridendo, come se non fosse la sua vita a essere in pericolo. Cenere si costrinse a mettere via l’arma, ma non si sedette. Sentiva le gambe rigide, come se avesse corso per chilometri. Arn la lasciò andare piano, pronto a riafferrarla nel caso in cui avesse fatto qualcosa di pericoloso.
– Allora Simblantë? – Elsa Stone inclinò la testa fissandoli con occhi glaciali. – La mia generosa offerta non resterà tale per molto. –
Cenere guardò Arn e si costrinse a parlare con voce calma, che risuonò quasi tombale nella piccola stanza. – Lasciaci. –
Arn scosse la testa pronto a ribattere, ma quando vide l’espressione della Cacciatrice capì che non avrebbe potuto farle cambiare idea. Prima di andarsene fissò Elsa Stone con serietà. – Quando mio padre lo saprà… –
La vedova portò lo sguardo su di lui e il figlio del podestà fece un passo indietro, spaventato. – Conosco cose su tuo padre che ti farebbero rizzare i capelli sulla testa, ragazzo. Vattene ora. –
Arn si allontanò rapido, in quella che sembrava più una ritirata che un’uscita. L’ultima cosa che vide fu Cenere che fissava la vedova Stone come se avesse voluto ucciderla.
 
▪▪▪
 
Quando Cenere uscì dalla casa si sentiva come se avesse combattuto contro un drago a tre teste. Dopo di questo, il Lycan sarà una passeggiata.
Si chiuse la porta alle spalle e si appoggiò allo stipite, emettendo un lungo sospiro. L’aria fredda la colpì come un maglio dopo il caldo soffocante che c’era all’interno, scacciando il mal di testa e gelandole il sudore sulla fronte. Voleva solo andare a dormire e dimenticare tutto quello che era successo in quella casa. Vecchi ricordi, da tempo addormentati e nascosti, le si affastellavano davanti agli occhi. Le tremavano le gambe e si sentiva come se il suo intero corpo fosse fatto di gelatina. Dietro a tutto quello però c’era una rabbia bruciante, che premeva ai limiti della sua vista. Se le avesse dato ascolto, sarebbe rientrata e avrebbe sgozzato la vedova Stone a sangue freddo.
Arn camminava avanti e indietro nella strada davanti alla casa, aveva ormai scavato un sentiero nella neve alta. Il cielo era grigio piombo e si preannunciava una tormenta. Guardò il pugnale appeso alla cintura di Cenere.
– È ancora viva, se è questo che ti stai chiedendo – disse amara la Cacciatrice. – Anche se non posso garantire che lo sarà ancora a lungo, soprattutto se ci fermiamo qui. –
Arn le si avvicinò, cercando le parole. Cenere lo fermò prima che potesse parlare. – Non dire niente. – 
– Mi dispiace – Arn decise di ignorare l’espressione omicida di Cenere. – Sei venuta qui per aiutarci e per ora tutto questo sta causando più guai a te che a tutti noi. Mi dispiace. –
La Cacciatrice fece una smorfia. – È il mio lavoro. –
Arn sorrise. – No. No, non lo è. E non potrò mai ringraziarti abbastanza per tutto quello che stai facendo. –
Cenere non seppe cosa rispondere. Le volte in cui era stata ringraziata si potevano contare sulle dita di una mano, ma mai nessuno le aveva parlato con tanta gratitudine. Per l’ennesima volta da quando era entrata a Briar rimase senza parole. Era abituata alla crudeltà e alla cattiveria, non sapeva come comportarsi davanti alla gentilezza.
Ci deve essere qualcosa nell’aria di questo paese, pensò mentre fissava gli occhi color nocciola di Arn.
– Da chi dobbiamo andare? –
Cenere fu grata al suo compagno per aver dissolto quell’attimo di imbarazzo.
– Quella vecchia maledetta ha visto un uomo alto e bruno cercare di allontanare Ben poco prima del sorgere della luna. Se è lui il Lycan, potrebbe essersi trasformato prima di arrivare a casa ed essere tornato indietro seguendo l’odore dell’uomo. –
I due iniziarono a incamminarsi verso la piazza.
– Non ti ha dato un nome? –
– Non proprio, sembrava più che si volesse godere la mia lenta agonia – Cenere sentì di nuovo la rabbia farsi incandescente. – Mi ha descritto un uomo grosso, muscoloso. Portava una giacca marrone scuro o nera, non è riuscita a vederlo bene nella luce morente. Però era sicura che alla vita portasse una spada. E un corto bastone di legno. –
Arn si bloccò sul posto, sgranando gli occhi. – Il conestabile. –
Cenere annuì. – Sì, è quello a cui ho pensato anche io – si voltò verso il figlio del podestà. – Andiamo a trovare Mo. –
 
▪▪▪
 
Sto male. Non sono riuscito ad alzarmi dal letto oggi. Mi sento debole e quando faccio dei movimenti più complessi che girarmi nel letto, tremo. Mi sembra che qualcuno stia battendo dei piatti nella mia testa, tirando dei fili e, anche se non vorrei nemmeno pensarci, ho paura. Paura che tutto questo sia sintomo non di una febbre, ma di qualcosa di più grande. Mi è già capitato, prima. Non ho mai davvero voluto farci caso, ma mi è capitato sempre prima del plenilunio.
May è venuta a trovarmi, oggi. Quando mi ha visto è impallidita, spaventata. Non devo avere un bell’aspetto. È uscita subito, dicendomi che sarebbe tornata presto. Quando è rientrata aveva in mano delle erbe. Mi ha preparato un qualche infuso strano e non so come ma, quando l’ho bevuto, mi sono sentito meglio. Non in forze, ma meglio. Il mal di testa e i tremori erano scomparsi, ho ripreso un po’ di colore.
May è una benedizione, per me. Mi ha guardato, mi ha visitato. Le ho chiesto se per lei era il caso che vedessi un makeim, un guaritore, ma mi ha risposto di no. Secondo lei a rendermi così è solo un miscuglio di ansia, stress, tristezza e alcol. Deve aver ragione. Mi sono sentito talmente sollevato dalle sue parole da tirare un respiro di sollievo.
Poi i mesi scorsi sono stato male, sì, ma sono sempre riuscito ad alzarmi e a lavorare, a fare ciò che ci si aspettava da me. Mentre loro erano vivi non mi sono mai ridotto in questo stato. Lo scorso plenilunio ero ubriaco, è vero, ma non mi ricordo di essere stato così male. Deve essere un caso, tutto qui.
Solo un caso.
 
▪▪▪
 
L’ufficio del conestabile dava sulla via principale di Briar. Era una piccola stanza quadrata con annesse tre celle, vuote per la quasi totale parte del tempo. Erano pochi quelli che avevano bisogno di finire a rischiararsi le idee in prigione e più che altro si trattava di ubriaconi molesti impegnati a farsi passare la sbornia.
Cenere li capiva. Si immaginò di vivere in un paese come Briar, soprattutto d’inverno. Non c’era molto da fare se non bere fino all’incoscienza, sia per scaldarsi che per passare il tempo. Guardò Arn che camminava di fianco a lei, quasi confuso nella neve che aveva iniziato a cadere dal cielo. Avrebbe passato il resto della sua vita in quel villaggio, senza vedere nient’altro di tutta Egea?
Il figlio del podestà si girò a guardarla e, prima che potesse chiederle qualcosa, Cenere parlò. – C’è qualcosa che devo sapere? –
– Poco di più di quello che conosci già. Mo vive qui da sempre, non si è mai allontanato per più di dieci giorni. È scettico, rancoroso e cocciuto come un mulo. Se riesci, non farlo arrabbiare – fissò Cenere come se sapesse già che erano parole sprecate.
La Cacciatrice sorrise. – Farò del mio meglio. C’è qualcuno che potrebbe voler fargli del male? –
– Non che io sappia. Non ha mai avuto a che fare con criminali, almeno non nel vero senso della parola. Nessuno di loro dovrebbe voler vendicarsi – Arn fece una pausa. – Anche se… –
– Anche se? –
– Si dice che abbia litigato con il fratello, Car, per l’eredità della madre. Lei è morta anni fa, quando Car era lontano dal villaggio. A differenza di Mo ha viaggiato molto, è stato lontano per anni interi senza dare notizie, molti pensavano fosse morto sulla Strada. Figurati che raccontava… –
– Torna al punto, Arn. –
Arn annuì con aria impacciata. – Comunque, quando la madre di Mo è morta ha lasciato tutti i soldi a lui, senza citare il fratello nel testamento. Così, quando Car è tornato a Briar, ha scoperto di essere orfano e povero, tutto insieme. Ha provato a parlare con il fratello, ma non ne è uscito nulla di buono. I due non si parlano più. Però mi sembra impossibile pensare che avrebbe potuto fare un incantesimo del genere su Mo. Sono fratelli. –
Cenere fece spallucce, seria. – Da quanto ho visto finora del mondo posso assicurarti che i soldi, insieme all’amore non ricambiato e alla vendetta, sono il motivo che spinge la maggior parte delle persone a fare le cose più terribili. E poi ti ricordo che, anche se vi conoscete tutti e vi volete tutti bene, avete un Licantropo qui a Briar. Qualcuno dovrà aver pur fatto questo incantesimo. –
– Stavo giusto pensando a questo, prima – Arn si strinse nelle pellicce invernali. – Non è possibile che l’abbia fatto qualcuno di un altro villaggio? Qualcuno incontrato durante un viaggio? –
Cenere scosse la testa. – No, lo escluderei. C’è un legame tra il pastore di lupi e il Lycan che crea. È come un filo, che si tende e brucia con la distanza. In più ci vorrebbe molto potere per fare una cosa del genere senza avere la vittima vicino. I maghi elfici sono sicuramente in grado di farlo, ma non credo che nessuno di loro sia mai venuto in visita a Briar. –
– In effetti no. –
Nel frattempo erano arrivati alla porta del conestabile. Bussarono e dopo qualche istante Mo comparve sull’uscio, appoggiandosi con indifferenza allo stipite e incrociando le braccia. Non fece nemmeno finta di essere stupito da quella visita.
– Arn, Simblantë. Qual buon vento vi porta? –
– Dobbiamo parlarti. –
Mo si scostò e gli fece cenno di entrare, senza spostarsi quando gli passarono vicino. Il suo tentativo di intimidazione finì nel nulla quando la Cacciatrice, affiancandolo sulla porta stretta, gli sorrise. Poté sentire il suo odore soffocarla mentre entrava nella casa.
– Cosa volete? –
Arn rimase immobile nel centro della piccola stanza mentre Cenere si appoggiò a un muro, tenendo d’occhio l’uscita. Una sua mano si appoggiò quasi casualmente sull’elsa della spada.
Decise che non era il momento d’indugiare. – Volevamo sapere dov’eri quando sono morti i Lancer. –
Mo fece spallucce. – A casa. Era sera tardi. –
Cenere annuì. – E le notti in cui sono stati uccisi gli altri? –
– Mi state chiedendo dov’ero quando il Licantropo ha colpito? –
– Esattamente. –
– Non troppo facile da ricordare – il conestabile andò a sedersi dietro alla scrivania, poggiando i piedi sul ripiano.
– Credo che tu possa fare uno sforzo. –
– Fammi pensare… – Mo incrociò le braccia dietro alla testa, guardando il soffitto con un’aria platealmente pensierosa. – Sono stato a casa. Sempre. –
– Anche la notte in cui è morto Ben? –
Il conestabile fissò Cenere con occhi scuri, insondabili. – Sì, ne sono sicuro. –
– Beh, questo è un problema – la Cacciatrice incrociò le braccia, facendo sparire il sorriso che si era stampata sul viso. – Qualcuno ci ha detto che eri nella piazza dove è stato trovato Ben, poco prima che sorgesse la luna. –
– Non è vero! Mentono! – la voce di Mo rimbombò nella piccola stanza mentre il conestabile sbatteva la mano sul tavolo. Tutta la baldanza di prima era sparita.
Cenere scosse la testa. – No, non mentono. Perché eri lì? –
– Voglio sapere chi è stato. –
– Volevi parlare con Ben? –
– Dimmi chi è stato. –
– Portarlo qui a smaltire la sbornia? –
– VOGLIO SAPERE CHI È STATO! –
Arn trasalì a quell’urlo, ma Cenere rimase calma, scrutando il volto del conestabile. Poteva intravedere il Lupo dietro alla sua espressione?
– No, non te lo dirò. Voglio sapere perché eri in quella piazza. –
– Io… –
Cenere si avvicinò alla scrivania. – Sappiamo che eri lì. Dicci se hai visto qualcosa, sentito qualcosa. –
Mo era congelato sul posto, lo sguardo atterrito. Sembrava che qualcosa fosse scattato nel suo cervello.
– Se sei tu il Lupo, ti posso salvare. Però devi dirmi cosa hai visto. –
Il conestabile sembrò sgonfiarsi, afflosciandosi sulla sedia. Si portò le mani nei capelli, scuotendo la testa.
– Non è possibile – disse, le parole smorzate dal tremolio. – È stato un lupo normale, magari uscito dalla foresta… –
Cenere si accucciò, guardandolo negli occhi. – Sai anche tu che non è così. È stato un Licantropo. Dimmi cosa hai visto. –
Mo fece un respiro profondo, raddrizzandosi. Il suo torace era grosso quanto due volte quello di Cenere. Se era lui il Mannaro doveva trasformarsi in un Lupo veramente enorme.
– Ero ubriaco quanto Ben quella sera. Non so perché, non avevo un motivo per farlo – fece uno sbuffo. – Non che ormai mi serva un motivo per ubriacarmi. Quella sera ho bevuto con Ben, mi capitava abbastanza spesso da quando una volta l’avevo portato qui per non farlo morire congelato per strada. Ci coprivamo le spalle, se capite che intendo. –
Cenere annuì. Arn, dietro di lei, tratteneva il fiato.
– Non ho ben presente cosa sia successo, mi sembra di ricordare che Ben fosse così ubriaco da volersi fermare vicino alla fontana. Io avevo freddo, volevo andare a dormire. Abbiamo litigato, così come solo gli ubriachi possono fare, poi me ne sono andato. Non mi ricordo di essere arrivato a casa, ma è lì che ero al mattino. –
Cenere rimase immobile, calma, cercando di trattenere la frenesia che aveva dentro. – Ti sei sentito strano ultimamente? Vuoti di memoria, insonnia, mal di testa lancinanti? –
Il conestabile sgranò gli occhi. – No, sono sempre stato bene. Non sono il Lupo, devi credermi! –
Cenere non rispose. – Le altre notti di luna piena sei stato davvero a casa? –
– Sì, non mi sono mai mosso. Non posso essermene andato in giro per il paese. –
– Eri da solo? – continuò Cenere, imperterrita.
Il conestabile annuì, in silenzio.
– Hai l’abitudine di chiudere la porta, la sera? –
Mo sgranò gli occhi. – No, nessuno di noi ce l’ha. Non succede mai niente, qui. –
Cenere si tirò su, sospirando. – C’è qualcuno che potrebbe avercela con te? –
– Io… no, non mi sembra. –
– Ho sentito che hai litigato con tuo fratello. Ti fidi di lui? –
Il conestabile sollevò le sopracciglia. – È mio fratello, non mi farebbe mai una cosa del genere. –
Cenere annuì di nuovo, pensierosa. Quella di Mo era una buona pista. Poteva essere lui il Mannaro, così catturato dalla maledizione da non rendersi nemmeno lontanamente conto di quello che gli stava succedendo. Poteva aver impedito che chiamassero prima un Haris perché il suo inconscio sapeva che sarebbe stato riconosciuto. Però… C’era un però. Più ci ripensava, meno Cenere era convinta. Il conestabile avrebbe dovuto rendersi conto che gli stava capitando qualcosa di strano, quantomeno al risveglio dopo la trasformazione. Poteva essere completamente all’oscuro di tutto? Poteva davvero aver passato quattro pleniluni trasformandosi senza averne avuto nemmeno un sentore?
Cenere fece segno ad Arn ed entrambi si diressero verso la porta. Il figlio del podestà sembrava sconvolto.
– Credete… credete che sia io? – la voce del conestabile era bassa e roca, i suoi occhi bassi. La Cacciatrice si fermò con la mano sul pomello.
– Non lo so, ma potrebbe essere. Se così è, non devi aver paura: quello che è successo non è colpa tua. È colpa di chi ti ha reso così e io lo troverò. Te lo prometto. –
Nessuna risposta giunse alle loro orecchie mentre varcavano la porta e tornavano sulla strada.
 
▪▪▪
 
Il fratello di Mo viveva poco distante dalla casa del conestabile. Cenere e Arn camminarono lenti nella neve, stringendosi nelle pellicce e nei vestiti invernali. Nonostante nevicasse faceva più caldo di molte altre sere, quando il cielo era terso e il sole lontano così splendente da sembrare una pietra incandescente buttata nell’acqua. Arn non aveva detto niente da quando erano usciti, la sua faccia era così corrucciata che sembrava che non si sarebbe più potuta distendere di nuovo.
– Pensi che sia lui? –
Cenere scosse la testa. – Non lo so, potrebbe essere. –
– Non sei convinta? –
– No, non del tutto – sospirò la Cacciatrice. – Sta troppo bene, è troppo cosciente di sé per essere il Mannaro. Forse l’incantesimo è solo molto forte, ma è comunque strano. –
– Se è davvero lui e non ha detto niente dalla morte di Ben… –
Cenere guardò Arn negli occhi e sorrise. – Non è così facile. Se è lui, potrebbe non essersi nemmeno reso conto di come vi stava ostacolando. A livello cosciente può aver pensato che fosse la cosa giusta da fare mentre invece il suo inconscio, il Lupo dentro di lui, lo stava manipolando per non essere scoperto. Non dargli più colpe di quelle che già ha. –
La casa del fratello di Mo, Car, era a essere lusinghieri una catapecchia. Le assi di legno erano in gran parte semi distrutte, rovinate da anni di sole e pioggia e vento. Non c’erano pietre nelle fondamenta a proteggere dal freddo invernale. Un flebile filo di fumo usciva dal camino, facendo sospettare a Cenere che la canna fumaria fosse in parte intasata.
– Non bellissima – commentò Arn, guardandola da vicino. – È un miracolo che stia in piedi. –
Cenere fece uno sbuffo per contenere una risata.
– Che c’è di così divertente? –
– Mi è venuta in mente una storia che mi raccontavano quando ero piccola – il sorriso sul viso di Cenere si allargò. – Quella in cui il lupo soffia sulla casa di legno per tirarla giù e mangiare i bambini nascosti dentro. –
– Ma che favole ti raccontavano? – Arn era allibito.
– Favole da Cacciatori – commentò Cenere ammiccando. – E questa casa me l’ha fatta subito tornare in mente. Quasi profetico, non trovi? –
Prima che Arn potesse commentare la deriva fatalista del discorso Cenere si allontanò, andando a bussare con vigore alla porta. Smise di colpire il legno solo quando sentì un “arrivo, arrivo” borbottato. L’uscio si spalancò cigolando.
– Si può sapere cosa volete? –
La parentela tra Car e Mo si intuiva solamente dalla stessa sfumatura cioccolato dei capelli e dal taglio degli occhi neri. Il viso del fratello del conestabile era però solcato da un reticolo di rughe che gli davano un aspetto più vecchio di quanto in realtà non fosse. Era grande e imponente ma il fisico sembrava patito, come quello di un lottatore che si è lasciato andare a ozi e bagordi.
– Vogliamo parlarti. –
– Non ho niente da dire – l’uomo fece per chiudere la porta ma Cenere fu svelta ad afferrare l’anta con una mano, tenendola aperta.
– Questo lascialo giudicare a noi. –
– Siamo qui su ordine del podestà – si intromise Arn, scrutando l’uomo negli occhi.
Lo sguardo di Car corse al viso della Cacciatrice. Cenere sapeva che stava squadrando i suoi occhi di colore diverso, valutando con chi aveva a che fare.
– Se è così… datemi un attimo, mi metto qualcosa di più pesante e arrivo. –
L’uomo sbattè loro la porta in faccia, lasciandoli al freddo e alla neve. Quando tornò dopo pochi minuti, era imbacuccato in una pelliccia pesante che sembrava aver visto tempi migliori.
– Cosa volete? –
– Vorrei sapere cosa è successo tra te e tuo fratello –
L’uomo sollevò le sopracciglia. – Non hai peli sulla lingua, eh? Mi piace – sputò per terra. – È successo che mio fratello è un bastardo e un ladro, ecco cosa. Ha rubato la mia eredità, così ora lui fa la bella vita e io sono costretto a vivere in questa topaia, senza un soldo. –
– Non hai provato a parlare con il podestà? Certe cose di solito sono stabilite per legge. –
Car sputò di nuovo. – Quella strega di mia madre mi ha messo fuori dal testamento, per legge Mo non mi deve nemmeno un pezzo di rame. Se fosse un uomo corretto però non lascerebbe suo fratello nella miseria, mi darebbe quello che mi spetta. Ah, ma prima o poi verrà punito – l’uomo fece un sogghigno e sia Cenere che Arn poterono intravedere i denti marci. – Magari alla prossima luna il Lupo se lo prenderà. –
La Cacciatrice sentì lo spezzarsi del respiro di Arn al suo fianco.
– Può essere – commentò conciliante. – Hai viaggiato di recente? –
– Sono stato a Lud, la città degli elfi giù a sud. Perché? –
– Curiosità – Cenere sorrise. – Grazie per la tua gentilezza, ora dobbiamo andare. Che il sole brilli su di te. –
– E sulla tua strada – borbottò Car tornando verso casa.
La Cacciatrice e Arn gli voltarono le spalle, incamminandosi verso il centro del paese. Stava già calando la notte, da quando era iniziato l’inverno le giornate si erano fatte sempre più corte. Il sole non era che una macchia opalescente dietro alle nuvole lattiginose.
– Perché gli hai chiesto se è stato fuori da Briar? Potevi chiederlo a me, sappiamo tutti che è andato a Lud sei mesi fa – le chiese il figlio del podestà.
– Volevo vedere se mi avrebbe detto la verità. –
– Perché avrebbe dovuto mentirti? –
La Cacciatrice sospirò. – Le conoscenze e il potere che servono per fare l’incantesimo di trasformazione non sono né semplici né banali. C’è bisogno di studio e di tempo. E soprattutto di una magia che voi umani non possedete. Quindi, le opzioni sono due: o qualcuno a Briar ha sangue di elfo nelle vene e ha studiato da mago, ma tuo padre mi ha già fatto capire di no, oppure ha comprato un simpatico strumento in grado di intrappolare la magia. Qualcosa come questo. – Cenere si fermò un attimo, iniziando a frugare nella borsa che teneva a tracolla. Prese cautamente una sfera di vetro che brillava di un colore rossastro, ipnotico. Sembrava pulsare come seguendo il battito di un cuore.
Arn la guardò schifato. – Cos’è quell’orrore? –
Cenere la riavvolse nel panno da cui l’aveva estratta e la mise via. – Si chiama Sfera. Mi ha salvato la vita più volte di quante mi piacerebbe ammettere. Se potessi la userei ad ogni minima difficoltà, ma mi capita raramente di avere abbastanza denaro per pagare qualcuna che possa ricaricarmela. –
Arn continuava a guardare la borsa di Cenere come se potesse saltargli addosso e ucciderlo. – Pensavo che gli elfi non vendessero la loro magia. –
– Infatti è così. Se mi trovassero con questa addosso mi ucciderebbero senza nemmeno degnarsi di farmi un processo. Tuttavia, se si sa dove cercare e a chi chiedere, è possibile comprarla. Ha un prezzo esorbitante ma vale tutto il denaro speso. –
– Quindi tu dici che Car l’ha comprata a Lud? –
Cenere fece un respiro profondo. – No, non credo. Vedendo dove e come vive, non penso che ne avrebbe avuti i mezzi. Poi non credo che se fosse davvero il pastore e avesse maledetto il fratello manifesterebbe l’odio che prova per lui in maniera così plateale. Ma mai dire mai, giusto? –
I due camminarono in silenzio per qualche secondo, l’unico rumore presente quello soffice della neve pestata.
– Arn? – mormorò Cenere, improvvisamente impacciata. – Riguardo a questa Sfera… apprezzerei se non ne parlassi in giro. –
Il figlio del podestà sorrise. – Non una parola. –
– Grazie – la Cacciatrice sorrise e respirò a fondo la fredda aria invernale. – Direi che è ora di andare a trovare i vicini di Jean. Se siamo fortunati hanno visto qualcosa la notte in cui Kit e Mark sono morti. –
 
▪▪▪
 
Grazie a May sto un po’ meglio. Non si è mai allontanata da me, nonostante il mio mal di testa mi impedisca di parlare o interagire con chiunque. Mi prepara decotti e mi dà erbe per farmi stare un po’ meglio, ma a differenza di stamattina riescono solo ad arginare parzialmente il dolore.
Ho di nuovo avuto degli episodi di insonnia, sento odori più forti del normale. Ho delle reazioni che una persona non dovrebbe avere, come scoprire i denti quando provo dolore. I colori sono più vividi, i miei movimenti mi sembrano accelerati.
Mi sembra di stare impazzire, ma ho paura che possa essere qualcosa di molto peggiore. E se fossi io quel mostro? Dei, non riesco nemmeno a dire il suo nome. Se fossi io vuol dire che li avrei uccisi. Vuol dire che sarebbero morti per colpa mia. Non posso nemmeno pensarci, l’orrore è tale che mi sembra di svenire quando questo pensiero si affaccia alla mia testa.
Non mi ricordo niente degli scorsi pleniluni. Semplicemente, mi ricordo di essere andato a dormire e di essermi svegliato la mattina dopo, senza problemi. A questo punto ho paura che sia solo una difesa della mia testa, per negare l’orrore della mia vita. Ho paura.
Come posso essermi ridotto così?
Che tipo di uomo sono diventato?

 

ANGOLO DELL'AUTRICE!
Ciao a tutti! Ci metterò poco perchè ci tenevo solo a ringraziare tutti quelli che leggono/commentono/seguono la storia, mi fate un grande piacere ^^
Lunghi giorni e piacevoli notti,

Lya
 
   
 
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