Film > Re Leone
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Autore: QueenOfEvil    07/10/2017    0 recensioni
(Dal capitolo sette):
"Sì, aveva aspettato quel giorno per anni, nella polvere, nell’ombra di qualcun altro, di Ahadi, di Mufasa e adesso che correva il rischio di venire oscurato anche da Simba, da quello scricciolo che altro non era che un prolungamento del fratello tanto odiato, gli era stata finalmente data l’opportunità di scuotersi di dosso tutti: sarebbe diventato ciò che era stato predestinato ad essere fin dall’infanzia, fin dalla nascita. Il sovrano che nessuno mai aveva visto in lui."
La storia di un re considerato tale solo da se stesso. E, chissà, forse, in fondo, neanche quello.
Genere: Dark, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Scar
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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12. Scar. Thus bad begins, and worse remains behind

Alla fine, quella notte non aveva piovuto. Né successe quella dopo, o quella dopo ancora. L’atmosfera cupa e inquietante che aveva accolto Scar quando era salito al trono, quell’oscurità densa che tanto si addiceva alle tenebre in cui aveva tramato per anni, si era dissolta nel giro di qualche giorno ed aveva lasciato posto ad un caldo torrido, soffocante, con un sole che picchiava talmente forte da costringere tutti gli animali a ricercare l’ombra e il fresco, alla pozza d’acqua più vicina, e ad attendere con fiducia che quell’ondata insolita si placasse. 

L’unico che non sembrava sentire assolutamente il cambiamento climatico improvviso era proprio il nuovo re, che, dal giorno della morte di Mufasa, sembrava camminare tre metri sopra il cielo: certamente, recitava ancora davanti al suo popolo la parte del parente afflitto, ma aveva decisamente allentato la guardia con il passare dei giorni. Aveva conquistato le Pride Lands, ciò che aveva sempre desiderato era suo, e, mentre guardava l’alba sorgere sul regno, il regno che era stato per lungo tempo tutto tratte che in suo potere, ma che ora gli apparteneva, ora possedeva, gli parve tutto dieci, cento, mille volte meglio che quando a governare era il fratello, che presto sarebbe stato eclissato dalla sua gloria, dimenticato da tutti. Avrebbe dovuto lasciare tempo al tempo, quello era ovvio, tutti erano ancora troppo afflitti dai recenti avvenimenti per lanciare uno sguardo d’insieme, come faceva lui, alla situazione, ma avrebbero capito, avrebbero compreso la sua superiorità e si sarebbero resi conto di quanto avessero perso negli anni passati.

Sì, sarebbe iniziata una era d’oro, di questo si sentiva assolutamente certo.

Venne distratto dai suoi pensieri, sempre meno cupi e sempre più grandiosi, dall’arrivo dei suoi seccatori di fiducia: aveva sperato che, con un intero regno a disposizione, l’avrebbero finalmente lasciato considerevolmente in pace e sarebbero andate a caccia, a zonzo da qualche parte, facendo in modo che non dovesse confrontarsi con la loro presenza come in passato. Ma a volte, i sogni sono troppo fantastici per essere realizzati.

“Ehi, compare!” Banzai gli si era avvicinato, affiancandolo sulla cima della Rupe con un atteggiamento che gli diede profondamente fastidio: non era più un leone qualunque, era il sovrano, per l’amor degli Antenati, e come tale avrebbe preteso il rispetto che gli era dovuto. Lanciò dunque un’occhiata talmente torva e piena di biasimo alla iena che ella, pur nella sua stupidità, si sentì intimorita da retrocedere di qualche passo, facendo allargare sul suo muso un sorriso: ecco, così gli piacevano. Ubbidienti, silenti e adoranti.

“Che cosa volete?” alzò gli occhi al cielo, sapendo benissimo che quando veniva chiamato “compare” c’era sempre una richiesta in arrivo.

“Ed si stava domandando… beh…” Sì, certo: Scar aveva seri dubbi sul fatto che il fratello del suo interlocutore potesse domandarsi qualsiasi cosa, anzi, aveva anche il sospetto che non pensasse proprio. Usarlo come scusa era alquanto stupido, oltre che inutile “… È mattina, ormai, ed il nostro branco è affamato: quando arriverà il cibo?”

Sospirò, infastidito: da quando quegli animali avevano saputo che erano le leonesse a cacciare e che dunque essi non avrebbero più dovuto lavorare per il resto della loro esistenza, avevano preso l’irritante abitudine di richiedere che vi fosse un rifornimento praticamente ad ogni ora del giorno, senza pause né freni. Per lui non ci sarebbero stati problemi, sennonché era letteralmente impensabile per il branco rincorrere animali a tutte le ore del giorno e della notte per soddisfare la fame a quanto pare perenne dei nuovi arrivati: ammetteva lui stesso, con profondo nervosismo, che erano ritmi impensabili da chiedere, ma era confidente nel fatto che presto o tardi l’equilibrio si sarebbe stabilizzato, in un modo o nell’altro. Doveva solo trovare una soluzione che non esasperasse nessuno: era indispensabile avere l’appoggio delle iene, indispensabile per mantenere il controllo e al tempo stesso per dimostrare quanto lui fosse capace di migliorare le condizioni di entrambe le specie. Molto meglio di Mufasa.

“Allora Scar? Che intendi di fare? Ci dai il permesso di svegliare quelle perditempo?” Banzai stava diventando seccante e, soprattutto, insopportabile: avrebbe dato qualsiasi cosa per toglierselo di torno il più in fretta possibile, soprattutto perché aveva ben altri progetti per la giornata. Aveva deciso anzitempo, infatti, con ben più di una punta di sadismo, che avrebbe messo alla prova Zazu e le sue autoproclamate eccellenti capacità di maggiordomo. Certo però non poteva fare ciò che desiderava con quella sottospecie di ameba attaccata alla pelliccia tutto il tempo. Pensò in fretta e giunse ad un’idea che gli parve, se non brillante, quantomeno accettabile: avrebbe pensato più avanti a come sistemarla in modo permanente.

“Sbrigatevela da soli” disse quindi, mantenendo immutato il suo atteggiamento austero “Avete per caso dimenticato come si caccia? Siete predatori e avete un’intera landa a vostra disposizione: vedete di approfittarne”

Le sue parole sembrarono confondere il suo interlocutore: “Ma io pensavo che il compito di procurare cibo a sufficienza per tutti dovesse spettare a…”

“So benissimo come devo amministrare il regno!” ringhiò Scar, stufo di essere messo in discussione: le sue erano parole da re, quindi legge. Le Pride Lands erano sue, poteva disporre di esse da signore e padrone e così avrebbe fatto: nessuno era nelle condizioni impedirglielo. Non più. “Ma se per voi quello che loro riescono portano qui non è abbastanza non dovete fare altro che andarvene dalla Rupe e prendere quello che volete. Le terre sono floride, ricche di tutto quello che desiderate e, sapete?, la legge che imponeva solo alle leonesse di cacciare era una legge assolutamente inutile” si stava arrabbiando, ma si ricompose in tempo, aggiungendo fra sé e sé “Inutile esattamente come tutto ciò che mio fratello ha fatto in tutti questi anni” 

“Perciò… ci dai il permesso di andare?” L’altro fremeva, già con la bava alla bocca: era un’immagine disgustosa, talmente disgustosa che non riuscì neanche a rispondere, ma, alzando la zampa in un segno sdegnoso, fece in modo di far capire a Banzai di essere stato congedato e, una volta rimasto nuovamente solo, si permise di sorridere. Non di amarezza o malcelata invidia, però, come spesso aveva dovuto fare negli anni passati, ma con la totale consapevolezza di quello che oramai poteva definire il suo completo trionfo.

Il pensiero del fratello, e dell’erede di questi, l’aveva sfiorato in quei tre mesi in modo fugace, appena un accenno quando sentiva il loro nome pronunciato dal branco, ancora distrutto per l’improvvisa perdita, oppure la mattina presto, mentre contemplava il panorama dalla Rupe, come in quel momento, riflettendo come tutto ormai fosse in suo potere: i sensi di colpa non l’avevano mai sfiorato, anzi, gli sembrava quasi ridicolo potersi pentire di qualcosa a cui aveva mirato per tutta la vita, senza considerare che l’immagine di Mufasa che cadeva da quella roccia era l’unico suo ricordo che avesse intenzione di conservare. Dopo aver dunque osservato, con altera indifferenza, lo sciame di iene che si disperdevano per la savana e aver pensato che, dopotutto, era stato quasi banale da risolvere come problema, sempre che si potesse chiamare tale, volse la schiena allo spettacolo, con la risoluzione di andare una buona volta alla ricerca di quell’insopportabile presenza piumata dal nome di Zazu.

Da quando era salito al potere, sembrava che il bucero avesse improvvisamente deciso di trascurare i suoi compiti da lacchè, pardon, maggiordomo reale e trovasse ogni scusa abbastanza convincente per assentarsi: Scar era stato disposto a sopportare un mancato arrivo al suo richiamo in una, due occasioni, e solo per il suo autoproclamato buon cuore, ma non aveva intenzione di farsi prendere in giro da un sottoposto di Mufasa. Ex sottoposto, per essere precisi, pensò con soddisfazione.

La sua ricerca procedette per una buona mezz’ora mentre, percorrendo più volte i sentieri vicino alla Rupe, pensava a come avrebbe potuto fare in modo di guadagnarsi la timorosa obbedienza, ed era sicuro che il rispetto sarebbe venuto di conseguenza, dell’uccello. Le leonesse lo seguivano, dopotutto, e nessuna aveva ancora mostrato rimostranze per le sue azioni, il che era comprensibile, essendo lui il sovrano ed avendo potere di vita e di morte su tutte loro, mentre Rafiki, con suo grandissimo piacere non si era più fatto vedere dal giorno della morte del primogenito: aveva già le iene a distrarlo con la loro strana follia, non avrebbe sopportato un altro pazzo intorno al suo dominio. No, l’unico che mancava all’appello degli esseri che si erano piegati, tra i seguaci di Mufasa, era proprio Zazu ed era assolutamente determinato a fare sì che imparasse il suo posto, in un modo o nell’altro.

Esultò, dunque, quando lo vide posato su una roccia, vicino ad un albero le cui foglie sembravano alquanto ingrigite e scolorite: doveva essere uno degli effetti del caldo improvviso, ma non c’era alcun motivo di preoccuparsi, periodi torridi e più temperati si erano susseguiti negli anni e mai qualcosa aveva influito sulla regolare vita della savana. Quell’arbusto sarebbe tornato verdeggiante nel giro di una luna e certamente non era il suo problema più grande in quel momento. Si avvicinò alla sua vittima in silenzio, non emettendo un suono fino a che il suo fiato quasi non sfiorò le sue penne ed infine parlando, in un tono scherzoso solo all’apparenza.

“Credevo che un maggiordomo tanto valente quanto dici di essere, Zazu, non dovesse mai lasciare il fianco di un sovrano” Vide con piacere l’altro trasalire alle sue parole e voltarsi con un’espressione insicura e anche vagamente impaurita: sapeva benissimo quanti rischi avesse corso negli anni passati, prendendosi gioco di lui e venendo protetto solamente dalla benevolenza che il precedente re aveva manifestato nei suoi confronti. Ora che il vento aveva cambiato direzione e si stava ritrovando a servire proprio il leone che aveva da sempre sbeffeggiato, era plausibile comprendere come mai si sentisse quantomai a disagio in sua presenza, soprattutto perché, anche se non aveva mai commentato troppo malvagiamente il comportamento di questi in sua presenza, era convinto che Scar sapesse. E Scar effettivamente sapeva.

“Oh, v-v-vostra maestà, non vi avevo visto arrivare” iniziò, balbettando e subito dopo inchinandosi, facendo distendere il muso del suo interlocutore in un ghigno impercettibile.

“Questo l’avevo intuito dal mancato saluto che mi hai rivolto…” distolse per un momento lo sguardo, come per ricercare la stessa visuale di cui stava godendo il lacchè reale fino a qualche secondo prima e, con falsa noncuranza, aggiunse, aggrottando un sopracciglio “Ma mi aspettavo che, come ti ho detto, un tassello tanto importante nell’amministrazione quale tu ti sei sempre vantato di essere volesse essere sempre presente ed accompagnare il suo sovrano. D’altronde” gli rivolse un sorriso sottile, accompagnato però da occhi mortalmente seri “se non desideri più svolgere questo compito mi chiedo proprio come potrei sistemarti…”

Il doppio senso della frase venne immediatamente colto dal pennuto, che si affrettò a deglutire e ad alzarsi il volo, andandosi a posare su una roccia lì di fianco, ma abbastanza in alto da essere fuori dall’immediata portata del leone, sforzandosi di trovare una scusa quantomeno poco ridicola: “No, mio signore! Io stavo solo… solo… controllando un’ultima volta di avere tutte le informazioni necessarie prima di recarmi da voi per il rapporto mattutino”

Giusto. Il rapporto mattutino. Un’altra tradizione inventata dal fratello che non aveva mai potuto sopportare, specialmente se protratta dalla voce petulante e saccente del bucero e se, come sovente succedeva, cantata in rima. Non sapeva se quest’ultima scelta artistica fosse dettata da un patetico tentativo di esaltare la propria bravura o semplicemente dall’idiozia intrinseca che sospettava quell’uccello covasse dentro di sé, ma era certo che avrebbe dovuto fare immediatamente qualcosa se avesse voluto salvare le proprie orecchie da quella tortura.

Avrebbe trovato senza dubbio un altro metodo di informazione che non richiedesse un intervento forzatamente musicato.

“Non è necessario, Zazu” affermò dunque, alzando gli occhi al cielo e suscitando, per la seconda volta in poco tempo, la perplessità del suo interlocutore.

“Ma… ma voi in quanto sovrano dovete essere informato degli avvenimenti principali della savana” si arrischiò a rispondere “Altrimenti come farete a mantenere l’ordine…”

“Osi mettere in dubbio le mie decisioni, forse?” ringhiò Scar, provocando un salto di considerevoli dimensioni da parte del pennuto.

“Oh, no Sire, questo mai, stavo solo pensando…”

“Il tuo compito non è di pensare” lo interruppe irritato, trattenendosi dall’aggiungere che i suoi compiti si dovevano esaurire al prendere ordini ed eseguirli: calmo, doveva stare calmo. Avrebbe imparato, anche lui avrebbe imparato a non contraddirlo e a piegarsi senza fare troppe storie. Tutti l’avrebbero fatto. Anche se forse ci sarebbe voluta una punizione esemplare per farlo ragionare e… dunque, qual era la compagnia che l’uccello odiava più di qualsiasi altra? La risposta era molto facile e anche alquanto soddisfacente, specialmente se poteva trasformarsi in qualcosa di effettivamente produttivo. Riguadagnata quindi la sua postura composta ed il suo atteggiamento altero, mosse una zampa per indicargli di andarsene:

“Allora, Zazu, da bravo potresti andare dalle iene e richiedere la loro attenzione? Ho bisogno di sapere se per caso stiano riscontrando dei problemi nell’organizzazione e non vorrei che fossero proprio i nuovi arrivati a sentirsi emarginati o a disagio” Il disagio sarebbe stato tutto del bucero, ne era sicuro e l’espressione che aveva in quel momento glielo stava confermando, tanto che per qualche secondo ebbe anche l’impressione che questi potesse trovare qualcosa da ridire su ciò che gli era appena stato chiesto e, per gli Antenati, la discussione che sarebbe giunta in quel caso sarebbe stata esilarante.

Sfortunatamente, il suo interlocutore sembrò trovare un briciolo di coraggio e di amor proprio e, dopo aver chiuso gli occhi per racimolare tutta la forza d’animo in suo possesso, senza più controbattere e accennando solo un ultimo inchino, si levò in cielo alla ricerca del branco. E uno era sistemato. Non gli importava più di tanto quello che quel conglomerato di imbecilli avesse da riferirgli, in realtà, ma era sempre meglio dare loro l’impressione di essere ascoltati: fintanto che avessero avuto un osso fra i denti, comunque, non ci sarebbero stati problemi.

Quello che credeva si potesse trasformare in un momento di relativa pace venne improvvisamente interrotto da una voce fredda e calma dietro di lui: “Scar!” Si sentì chiamare e, con un moto di fastidio, si voltò verso Sarabi la quale stava venendo verso di lui, con un incedere regale che a quanto pare la privazione del titolo di regina non le aveva tolto: con suo grande dispiacere, si era ripresa relativamente in fretta dallo shock emotivo causatole dalla perdita in simultanea di compagno e figlio, o perlomeno fingeva molto bene di averlo fatto, e la sua maschera austera che aveva sempre mostrato in sua presenza e si era appena incrinata quel giorno di qualche mese prima era tornata più intatta che mai.

Se contava di piegare tutti gli altri, con lei aveva intenzione di procedere ancora più violentemente. L’avrebbe spezzata e anche l’ultimo ricordo di Mufasa sarebbe stato sepolto.

“Sì, Sarabi?” le chiese dunque, con un sorriso mellifluo che nulla si addiceva al suo portamento e mascherando la difficoltà con cui il suo nome potesse essere pronunciato da lui senza storcere il muso.

“Ho saputo che hai dato alle iene il permesso di cacciare in modo indipendente da noi.” La lentezza con cui scandiva le frasi l’aveva sempre fatto innervosire.

“Dunque?” replicò, sprezzante e poco propenso ad ascoltare la lamentela, perché sarebbe stata una lamentela, ne era certo, quando essa fosse uscita dalla bocca della leonessa.

“Avrei gradito che le altre ed io fossimo informate prima di prendere una decisione simile: quegli animali non sono abituati ad avere simili risorse a disposizione e potrebbero approfittarne in maniera eccessiva…” Aveva forse dimenticato quale fosse diventato il suo posto? Non era nessuno per prendere decisioni, non dopo che il primogenito era morto, e in ogni caso non gli era mai sembrato che ella, come regina, avesse mai partecipato attivamente alla burocrazia regale… quindi perché iniziare in quel momento? Per puro spirito di contraddizione nei suoi confronti, ovviamente.

“Non mi sembra di dover rendere conto a nessuno di quello che faccio” ribatté, ostinato e con un tono saccente che sembrò forse anche a lui un poco infantile, ma, in fondo, era il sovrano: poteva e doveva parlare nel modo che più gli aggradava.

“Non si tratta di questo” ripose lei, ancora con più flemma, come se stesse parlando con un cucciolo appena nato a cui dovesse spiegare i ragionamenti più semplici senza perdere la calma “ma è un grosso cambiamento e ci sarebbe stato utile saperlo per tempo in modo da organizzarci al meglio e magari discuterne con calma…” Scar stava per interromperla con un qualche pretesto quando lei disse una frase che lo fece quasi scattare. “… Mufasa non avrebbe mai dato un ordine simile senza prima essere sicuro di quello che avrebbe comportato”

“Mufasa è morto!” stava per ruggirle, aggiungendo anche che presto tutto quello in cui egli credeva e per cui aveva lavorato sarebbe perito con lui: stava nascendo una nuova era, nessuno avrebbe più dovuto rimpiangere i tempi antichi ed era meglio che lei stessa si adattasse in fretta. Si riprese appena prima di aggredirla: doveva dimostrarsi superiore, il resto sarebbe venuto spontaneamente e risultati avrebbero parlato, facendola ricredere.

“Mufasa non è qui per giudicare” disse dunque, tentando di non far trasparire il disgusto che nominare il fratello provocava nel suo animo, sicuro di essersi ormai liberato di lui e irritato dal dover costantemente reggere il confronto. Non ricordava che questo passaggio fosse avvenuto per il primogenito, quando era succeduto al padre dopo la sua morte, ma d’altronde sarebbe stato sconveniente che il principe perfetto avesse qualche tipo di pressione addosso: se era il preferito del precedente sovrano allora non c’era nessun motivo di mettere in dubbio le sue decisioni, questo quello che certamente gli animali della savana avevano pensato quando egli era salito al trono e con il cui atteggiamento totalmente opposto Scar si stava invece confrontando. “E, se non ci sono problemi immediati di cui intendi discutere e che non implichino un sottile rimprovero, non permesso, gradirei essere lasciato solo. Ho faccende di maggior importanza che devo prendere in considerazione” Lo disse con tono sdegnoso ed arrogante, gustando il piacere di trattarla con la stessa sufficienza che ella gli aveva riservato per anni ed esultando soddisfatto, seppur non esteriormente, quando anch’ella, come Zazu, dovette piegarsi alla sua volontà.

“Come desideri” Non era quello che avrebbe voluto dire, lo sentiva e lo capiva, ed era proprio per quello che trovava tutta la scena estremamente divertente: per anni non era riuscito ad attaccarla o a farle compiere azioni non di suo gradimento e in quel momento invece si trovava a doversi rimettere a lui, lui che aveva potere di manovrarli e disporre di loro come più gli aggradava.

Quanto adorava essere re.

Non le rivolse più uno sguardo, fino a che non se ne fu andata, in modo da essere certo che avesse recepito il messaggio: Sarabi non era più una regina, non era più nulla, esattamente come più nulla tranne polvere era Mufasa.

“Vostra Maestà” una voce, sconosciuta e piuttosto tagliente, lo fece nuovamente voltare infastidito proprio quando pensava di essersi liberato di tutti gli scocciatori possibili per quella mattina: davanti a lui si trovava una leonessa magra, con il muso piuttosto appuntito e la carnagione chiara, interrotta solo al centro della fronte da una striscia di pelo più scura. Doveva essere molto giovane, sicuramente più di lui, diventata adulta solo da pochi mesi: il suo pelo aveva ancora la classica sfumatura tipica della prima fase della vita. Notò, con annoiato interesse, che un lembo del suo orecchio destro era stato strappato via da un morso; non era qualcosa che avveniva lì, nelle Pride Lands: doveva essere un’esterna, o almeno qualcuno che era arrivato lì da molto poco tempo. Rammentava vagamente di un gruppo di leonesse accolte da poco nelle terre, qualche mese prima della morte del fratello, ma non se n’era interessato troppo, tutto preso com’era a risolvere il problema della sua successione al trono. A quanto pare, avrebbe dovuto affrontarlo infine.

“Sì?” si pose davanti a lei, con atteggiamento altero e l’aspettativa di trovarsi nuovamente davanti ad una fervente ammiratrice del primogenito che gli avrebbe ancora una volta esposto le sue inutili lamentele.

“Volevo solo presentarmi a voi ufficialmente” rispose l’altra, sorprendendolo positivamente per l’assenza di quella sfida malcelata che tutti i sudditi gli avevano fino ad allora dimostrato “Alcune mie compagne ed io siamo arrivate da poco nel vostro regno e, dopo la morte del precedente sovrano, mi sembrava opportuno che anche voi ci conosceste”

La stava ascoltando, con interesse: forse loro erano davvero il primo segno di come le cose stessero finalmente volgendo in suo favore. Finalmente, gli animali si stavano rendendo conto di chi fosse il legittimo sovrano! Rimase dunque in silenzio, permettendo alla sua interlocutrice di procedere, cosa che ella fece, incoraggiata dalla apparente benevolenza che egli le stava riservando.

“È un onore fare parte del vostro branco.” disse, con uno scintillio negli occhi che l’altro reputò quantomeno singolare “Il mio nome è Zira”.

   
 
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