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Autore: Acqua e Alloro    08/10/2017    2 recensioni
Fanfiction interattiva: iscrizioni chiuse
E se George non avesse perso solo un orecchio in battaglia? Se non fosse proprio ritornato a casa?
George è stato catturato e l'unico modo che ha per tornare a casa è quello di intraprendere un lungo viaggio insieme ai suoi compagni, braccato dai mangiamorte e con quasi nessuna possibilità di sopravvivere.
"Tu non sei morto. Non dimenticarlo mai."
Genere: Angst, Avventura, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Bellatrix Lestrange, George Weasley, Maghi fanfiction interattive, Mangiamorte, Voldemort
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
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No Escape in Hell

Quando diverso tempo dopo George riaprì gli occhi la risata di Bellatrix era ancora vivida nella sua memoria, ma della vasta stanza piena di candele non erano rimaste che quattro pareti lerce e polverose, quasi prive di luce.
Faceva talmente freddo là dentro da fargli venire i brividi, si ritrovò a pensare mentre si riempiva i polmoni di aria sporca. Stropicciò istintivamente le labbra in una smorfia di disgusto.
Stanco morto, ecco come si sentiva. La testa gli mandava fitte atroci, così come il braccio, ma a parte questo sembrava star bene.
«Si è svegliato.» Una voce poco distante attirò la sua attenzione in un balzo George scattò dritto con la schiena, gli occhi sgranati e la mano destra che accorreva ad afferrare una bacchetta invisibile. Aprì gli occhi all’istante, ancora vagamente intontito, e guardò dritto davanti a sé; la vista scemò leggermente sia per le tenebre della stanza che per il brusco movimento del corpo mentre il cuore martellava spasmodico da dentro la gabbia toracica.
Si aspettava di vedere il volto di Bellatrix davanti a sé, ma i lineamenti che intravide dopo qualche attimo di smarrimento erano ben diversi da quelli della strega nera. A pochi centimetri di distanza da dove George si trovava, un ragazzo della sua età lo squadrava con vago interesse. Aveva il volto lurido di quelle che parevano botte e terriccio, i capelli castani sparpagliati intorno al viso e due occhi blu oltremare che non facevano che fissarlo, insistenti. George inghiottì a vuoto e aprì la bocca per dire qualcosa, ma lo sconosciuto lo anticipò.
«È tutto apposto, non ti farò niente.» la sua voce era incredibilmente calma per essere quella di un prigioniero di guerra, dovette ammettere il rosso dopo qualche attimo di sconcerto.
«Chi sei?» domandò all’istante, diffidente. Non era mai stato un tipo difficile da avvicinare, ma con tutto quello che era successo …
Il ragazzo mise le mani davanti a sé, come a tentare di placare il rosso, prima di prendere la parola, «Io mi chiamo Eleutherios e non ho intenzione di farti del male, sia chiaro. Siamo tutti sulla stessa barca qui.» concluse, tentando di racimolare un sorriso da regalare all’inglese. Aveva un accento strano, come se quella non fosse la sua lingua madre. Stava per chiedergli da dove provenisse, ma un dettaglio in ciò che aveva detto gli fece arcuare le sopracciglia: siamo? Quindi noi.
Si guardò rapidamente attorno, rendendosi conto solo allora della presenza di altre persone oltre a loro due. Si trovava in una cella squadrata e piuttosto stretta, probabilmente nei sotterranei di qualche castello. Le pareti erano di roccia ben incastonata, ruvide e antiche, difficili da scalfire. L’unica via d’uscita sembrava essere la porta di legno massiccio, sicuramente sbarrata. Era completamente buio, fatta eccezione per il fioco raggio di luna che filtrava da un buco nel soffitto. Sembrava un pozzo al contrario ed era chiuso con una fitta rete di metallo arrugginito.
«Un brutto posto eh?» mormorò Eleutherios sommessamente, prima di intuire i pensieri del ragazzo, « Ci abbiamo già provato; il metallo è ben incassato nella roccia, non riusciremmo mai a spezzarlo, non a mani nude. E poi, dovrebbe esserci un’altra rete di metallo in superficie. Non c’è via di uscita da questo tugurio, credimi.»
«Ne sei sicuro?»
Eleutherios scosse la testa, «Potresti provare a prendere di soppiatto chi entra, metterlo fuori gioco e uscire direttamente dalla porta, ma non ti conviene: quei corridoi sono come un labirinto, ti perderesti e verresti scovato da uno di loro. Non hai nemmeno la bacchetta per combatterli, ti faresti solo uccidere.»
George sentì un peso enorme piombargli sul petto a quelle parole. Era davvero in trappola? Come un topo.
Percepì lo sguardo di Eleutherios farsi più insistente e capì che a breve avrebbe risentito il suono della sua voce.
«Tu sei …»
«George.» rispose il rosso, secco, «Dove siamo?»
«Nessuno lo sa. Le segrete di un maniero, senza dubbio.»
«Un maniero?» alzò un sopracciglio il rosso. Non era mai stato in un maniero prima.
Eleutherios ignorò l’aria sbalordita dell’inglese e continuò a parlare, «Deve appartenere a qualche mangiamorte, è ovvio. Comunque puoi chiamarmi Ele, so che il mio nome potrebbe sembrare un po’ strano.»
E difficile, avrebbe voluto aggiungere George, ma era troppo frastornato per aprire bocca. Il pensiero di trovarsi a casa di un mangiamorte gli rivoltava lo stomaco, poteva sentire le sue budella scompigliarsi fino a formare una gelatina di vomito. Cercò di non farci caso, concentrandosi su qualcosa che non lo spingesse a rimettere la cena sul pavimento di quella putrida cella.
Per quanto volesse darsi una calmata però, i suoi timori non facevano che cozzare nella sua testa, sfinendolo. Alla fine rinunciò a rilassarsi e si lasciò andare, «Che cosa ci faranno?»
Ele non parve sorpreso di quella domanda, «Ci tengono qui come loro sollazzi, come i loro giocattoli.»
George sgranò gli occhi, «Ci tortureranno?»
Eleutherios lo scrutò attentamente prima di rispondere.
«Lo hanno già fatto.»
C’era una nota dolente nella sua voce mentre indicava l’incisione che deturpava il braccio di George. Il rosso abbassò lo sguardo sul suo arto destro: una scritta profonda e gutturale gli imbrattava la pelle disegnando lettere macabre e solchi del colore dell’odio.
TRADITORE.
Una parola rossa come il fuoco, nera come il disprezzo dei seguaci del serpente e indelebile come una condanna a morte.
George sapeva che non sarebbe mai andata via e che quella cicatrice lo avrebbe rincorso per tutta la vita solo per ricordargli di Bellatrix, del suo sguardo folle e delle sue mani sul suo corpo. Gli veniva male solo a pensarci.
Incrociò le gambe, il viso spento e sbarrato. Rimase a fissare quel tatuaggio, quell’insulto, per minuti che parvero ore. Gli anatemi scagliati nei cieli durante la battaglia sembravano ricordi lontani in quel momento.
«Mi dispiace.» la voce di Ele riuscì a riscuoterlo dai suoi pensieri. Era incrinata e fievole, talmente sincera da apparire falsa.
Eleutherios gli mise una mano sulla spalla per fargli sentire il suo supporto, ma George rimase silenzioso. Lanciò un ultimo sguardo al proprio braccio e si costrinse a guardare altrove, facendo vagare gli occhi per la stanza adombrata. Poté scorgere alcune figure raggomitolate negli angoli con la testa china tra le ginocchia e le gambe ormai magre e ossute. Alcuni di loro erano più coraggiosi e si erano fatti avanti per osservare meglio il nuovo arrivato.
George non sapeva che pensare, molti di loro sembravano lì da tempo, eppure non riusciva nemmeno a immaginare di passare anche solo poco più di una settimana in quel posto. Non avrebbe retto.
Si spazzolò i capelli con le dita e sentì il sangue rappreso sporcargli i polpastrelli e le unghie. Doveva esserci una ferita là a sinistra, proprio all’altezza dello zigomo. Era stato così preso dalla situazione da ignorare le fitte che il suo corpo continuava a inviargli, ma ora era tempo di controllare i danni.
«Fermo.» lo avvertì Ele bloccandogli la mano, «Hai una brutta ferita, è meglio se non la tocchi con le mani.»
«Che cos’ho?» sentiva la gola occlusa mentre un improvviso timore si faceva strada dentro di lui. I suoni che udiva sembravano appartenere al solo lato destro del mondo, si rese conto, come se quello sinistro si fosse assopito. Si liberò dalla presa del ragazzo e avvicinò di nuovo la mano al capo, le dita che cercavano con folle bisogno i lembi di un orecchio che non c’era più.
«Mi dispiace.» ripeté Eleutherios, come se fosse stato lui a fargli questo.
Una parte di George stava ridendo, trovava quasi buffo che fino a poco tempo prima fosse stato tutto intero, sorridente e quasi allegro di prender parte a una missione dell’Ordine. E ora? Ora George si malediva per essersi messo in mezzo, per non aver lasciato che fossero i grandi a fare le cose e non essere rimasto a casa con Molly e Ginny. Non aveva più un orecchio, la magia nera glielo aveva tranciato via insieme all’udito, il suo braccio giaceva in un tatuaggio obbrobrioso e la sua mente avrebbe rievocato la risata di Bellatrix ogni volta che avrebbe mai provato a chiudere gli occhi per tentare di dormire.
D’un tratto provò una rabbia incontrollata riversarsi dentro di lui. Non era giusto. Non aveva mai fatto niente di male per finire laggiù. Era un bravo ragazzo, un po’ sopra le righe ma in gamba. Non meritava niente di tutto questo.
Eleutherios parve intuire ancora una volta i pensieri del ragazzo perché la sua espressione si raddolcì, «Puoi piangere se vuoi, nessuno ti giudicherà per questo.»
George sbuffò, amareggiato, «Non sono una ragazzina.»
Non voleva essere così brusco, dopotutto Ele stava cercando di essere gentile, ma quelle parole erano uscite di loro spontanea volontà, automatiche. Cercò di reprimere la stizza che provava in quel momento e si concentrò sugli altri prigionieri.
Aveva fatto bene a non aprire i rubinetti, pensò tra sé e sé mentre i suoi occhi si posavano sui volti emaciati dei suoi compagni. Quei ragazzi dovevano aver visto fin troppi pianti e il fatto che permettessero a George di sfogarsi non voleva dire che desiderassero vedere altre lacrime.
«Fai bene.» esclamò un uomo appoggiato al muro opposto, «Sprecar lacrime è da sciocchi. Dammi retta: non disidratarti, l’acqua che hai ora in corpo ti servirà tutta.»
George assottigliò gli occhi per avere una migliore visuale dello sconosciuto, ma l’unica cosa che riusciva a vedere era un uomo corpulento dagli abiti luridi e una marea di graffi sul viso.
«Buile MacSween.» si presentò l’energumeno accennando un saluto col mento. Aveva una voce rauca e baritonale, con un accento particolarmente spiccato che, insieme ai rossi capelli pel di carota, non lasciava scampo alle sue origini.
«Irlanda?» intuì il ragazzo, quando uno sbuffo ironico lo costrinse a voltare il capo verso un’altra figura, alla sua destra. Una giovane ragazza se ne stava raggomitolata in silenzio, esausta, con i capelli più lunghi e scompigliati del normale. Stavolta George non dovette strabuzzare gli occhi per vederla perché la luce della luna stava illuminando proprio quel lato della cella, trasformando la figura sottile e sciupata della ragazza in un giogo di luci e ombre particolarmente impressionante.
Sembrava una bambola di pezza, ragionò George senza proferire parola, osservando con occhio impressionato il profilo sporgente delle ossa e gli zigomi affilati che le deturpavano il volto. Le labbra erano pallide e screpolate, la pelle rivestita di una patina di fuliggine e gli occhi, un tempo di un vivido grigio perla, sembravano laceri e slavati. Due biglie spente che galleggiavano in due orbite oscure.
George inghiottì a vuoto, «Che ho detto di così divertente?»
«Oh niente.» sollevò le spalle la giovane stropicciando le labbra all’insù, «Solo che è piuttosto evidente che il nostro beneamato Sweeney provenga dall’Irlanda.»
George avrebbe probabilmente riso del sarcasmo di quella ragazza in una situazione normale, ma era ancora troppo frastornato e sfinito per riuscire a seguire i discorsi di chi lo circondava.
«Eddài, Mel, lascialo in pace.» proruppe Ele con scarsa convinzione, «È appena arrivato, dagli tempo.»
Melody Hill sbuffò un’altra volta e alzò le mani in aria in segno di resa, poi tornò a giocherellare con le maniche logore della felpa e riappoggiò la nuca alla parete di pietra alle sue spalle, lasciandosi andare a un sospiro di pura noia.
George continuò a guardarla per un po’, senza dire nulla. Mel aveva perso tutte le sue forme con l’avanzare della magrezza e i capelli mori invece di apparire morbidi e setosi, sembravano crespi e sudici. Aveva un’aria selvatica, si ritrovò a pensare il rosso. Un selvatico sbagliato però.
Si passò una mano sulla faccia tentando di inspirare quanta più aria riuscisse a contenere e rendendosi conto solo in quell’istante di quanto fosse difficile respirare là dentro.
«Cerca di non farti venire un attacco di panico.» lo avvertì Ele spulciando il suo volto alla ricerca di un segno d’allarme. George annuì lentamente, ma dovette comunque tornare a distendersi sul pavimento e chiudere gli occhi.
«Respira piano.»
La voce di Eleutherios continuò a riempire la stanza finché non cominciò a scemare insieme alle fitte di dolore che ancora dilaniavano il corpo del mago.
George si sentiva spezzato in due tra il desiderio di abbandonare quell’orribile realtà e la paura di addormentarsi e non svegliarsi più. Provò a dibattersi tra questi due fronti, ma era troppo stanco e prima che se ne rendesse conto, stava già dormendo.

 
 




#Angolo Pandacornoso
Ehilà, ci siete ancora?
Stavolta siamo presenti tutti e due per chiedervi perdono per il clamoroso ritardo. In realtà il capitolo era pronto già da tempo, ma non ci convinceva del tutto così l’abbiamo modificato in due o tre parti.
Parliamo chiaramente, la scuola è iniziata e difficilmente riusciremo ad aggiornare in tempi brevi.

Speriamo ugualmente che il capitolo sia stato di vostro gradimento ^-^ come avete visto non compaiono tutti i personaggi, ma solo alcuni. Questo perché non volevamo farvi troppa confusione, così abbiamo deciso di introdurre solo Eleutherios, Buile e Melody e in modo molto superficiale. Con l’avanzare dei capitoli avrete l’occasione di scoprire la personalità e la storia di ognuno di loro, ma per il momento volevamo lasciarli nel mistero. Dopotutto questo capitolo è ancora dal punto di vista di George e visto che per il nostro Weasley quei tre non sono altro che sconosciuti, è giusto che lo siano anche per voi ;)

Ok, non vogliamo rendere quest’angolo più lungo del capitolo, perciò chiudiamo qui ù.ù
Alla prossima,

Acqua e Alloro

 
   
 
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