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Autore: hotaru    20/06/2009    3 recensioni
"Era piuttosto presto per gli standard estivi, il sole non era ancora alto, e Hinata non incontrò quasi nessuno durante il suo percorso solitario. Il gelato di Hanabi le aveva in qualche modo dato un’idea: quella mattina si era infilata un paio di pantaloncini marroni e una canottiera verde oliva, che sperava sarebbero riusciti a mimetizzarla meglio di un vistoso prendisole bianco.
Giunta alla base di un ben noto muro, si sfilò i sandali, attenta a non fare il benché minimo rumore. Li appoggiò a terra e poi, a piedi nudi, iniziò la scalata.
Pensava che si sarebbe vergognata come un ladro- effettivamente, si stava comportando come tale- invece era in preda ad una strana euforia. Non aveva mai fatto qualcosa che andasse contro le regole, prima."
Kiba/Hinata sul modello de "La Bella e la Bestia".
Dedicata a kibachan
Prima classificata al "Naruto Fairytale Contest" indetto da Lalani
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Altri, Kiba Inuzuka
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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4- Dimenticare, o forse no Dimenticare, o forse no


La previsione di Kiba si rivelò più che azzeccata. Hinata non tornò più alla dimora Inuzuka, né tanto meno al ramo di quello che era diventato il suo albero.
Non vi tornò fisicamente, ma in realtà non smise mai di pensarci, a volte tanto intensamente che le sembrava di sentire l’odore di Akamaru quando l’aveva preso in braccio l’ultimo giorno, o toccando il materasso le pareva che fosse ruvido al tatto come il ramo di un albero. Ma era la sensazione di un istante, che svaniva l’attimo dopo.
Per quel Natale suo padre portò l’intera famiglia in vacanza in una notissima località montana. Hinata si rese conto di quanto fosse un evento più unico che raro, tuttavia non poté fare a meno di rammaricarsi del mancato ritorno alla cittadina.
L’estate dopo, invece, le sembrò che un masso le fosse precipitato addosso quando suo padre le annunciò che sarebbe dovuta andare in una casa vacanze per ragazze di buona famiglia. In Svizzera. Per l’intera stagione.
Tuttavia un “no” non passò nemmeno per la testa di Hinata, che non mangiò per una settimana, praticamente sconvolta. La sua compagna di stanza si preoccupò moltissimo per lei, tanto che alla fine riuscì a convincere i propri genitori a mandarla nello stesso posto assieme a lei.
Già, perlomeno una grande fortuna c’era stata nella sua vita. All’inizio, all’idea del collegio, si era consolata pensando che perlomeno lei era rimasta nel suo Paese, mentre suo cugino si trovava già da un anno in un istituto privato negli Stati Uniti.
Invece ci si era trovata bene, molto bene. Soprattutto perché aveva trovato delle amiche, una in special modo. Non aveva mai avuto moltissimi contatti con le sue coetanee, prima d’ora, ma adesso in un collegio femminile la cosa era inevitabile. Se ne era preoccupata un po’ all’inizio, ma poi non ne aveva più avuto il tempo, perché la sua compagna di stanza l’aveva investita come un tornado fin dal primo giorno.
-    Fammi indovinare, tu sei di famiglia ricca – le aveva detto tendendole la mano, senza traccia d’astio nella voce – Io invece no. Piacere, Ten Ten.
Ciò che le fu subito chiaro, infatti, fu che quel collegio era in realtà una scuola molto più aperta di quel che sembrava. Prestigiosa al massimo, ma oltre ai rampolli di buona famiglia selezionava talenti particolari cui concedeva una borsa di studio per tutti e cinque gli anni.
Ten Ten, ad esempio, era una grande ginnasta: aveva già vinto parecchie gare importanti con nastro e clavette, tanto da venire ammessa nel collegio. Sakura era riuscita addirittura a superare l’esame d’ingresso, che secondo voci di corridoio era difficile quanto una prova universitaria.
Ino, invece, era più o meno come lei, in quanto figlia di un grande magnate olandese dell’industria dei tulipani. Di solito Hinata tentennava parecchio nel paragonarsi a lei, perché a ben guardare erano l’esatto opposto, sia fisicamente che caratterialmente, e non avevano mai legato molto.
Con Ten Ten, invece, era nata una grande amicizia. La prima amicizia femminile della sua vita.


Tuttavia non riuscì più a tornare dove voleva lei, per un motivo o per un altro. Il padre la spuntò ogni volta, mandandola dove riteneva più opportuno. Quando Hinata ebbe diciotto anni ritenne una grande concessione quella di lasciarla andare in America a trovare il cugino. Ovviamente per tutta l’estate, così avrebbe potuto frequentare ulteriori corsi negli Stati Uniti.
In fondo a Hinata non dispiacque, ovviamente, di rivedere Neji dopo tanto tempo. Tanto più che il rammarico di non riuscire mai ad ottenere ciò che veramente avrebbe voluto si era ormai trasformato in rassegnazione passiva. Ogni volta che pensava a quella casa, all’albero, ai quadri e ad Akamaru e… beh sì, anche a qualcun altro, sentiva una stretta al cuore, simile alla nostalgia più profonda. Tuttavia la realtà della vita che la circondava cominciava a farle credere di aver vissuto solo un sogno, bellissimo e lontano, senza più possibilità alcuna di recuperarlo.
“In fondo sono cresciuta” si diceva “Anche se tornassi, sarebbe cambiato tutto. Forse è meglio così”.
Fedele alla propria filosofia di vita, ad ogni nuova delusione cercava di convincersi che “le cose andavano meglio così”.


Forse tutto ciò non sarebbe mai cambiato se quell’inverno, l’ultimo nella sua carriera scolastica al collegio, non fosse accaduto qualcosa. In seguito Hinata si era chiesta come il Caso avesse potuto essere così tempestivo e perfetto. I mesi passati con suo cugino l’avevano convinta che forse il destino esisteva veramente, e quella ne era stata la prova.
In quanto giovani promesse della società, le studentesse del collegio erano tenute ad una certa “solidarietà sociale”, che si esprimeva perlopiù tramite feste e balli di beneficenza, quelli che Sakura soleva definire borbottando un “vergognoso insulto all’intelligenza femminile del ventunesimo secolo”. Oltre a ciò, avevano anche il dovere di tenersi aggiornate sulle evoluzioni culturali del mondo esterno- “Che ci lascino uscire un po’, ce ne accorgeremmo da sole!” era solita lamentarsi Ino.
Una di tali attività si era rivelata essere la visita ad una mostra artistica di giovani talenti, le cui opere erano state selezionate dalla più competente giuria del Paese.
-    E noi che ruolo avremmo in tutto questo? – commentò Sakura – Sembriamo le matrone di un ente di beneficenza, mi faccio schifo da sola.
-    Inutile lamentarsi – rispose Ino – Ma pensa che saltiamo un giorno di scuola! Certo, sarebbe meglio se fossero presenti anche gli autori di queste “opere d’arte”: chissà, magari ce n’è qualcuno niente male…
-    Sentite, ragazze – intervenne Ten Ten – Non so voi, ma io la maggior parte di questi quadri non li capisco. Sarà anche arte moderna, ma mi piace di più quella tradizionale.
Un mormorio di assenso accolse il suo commento, tranne Hinata che rimase in silenzio.
-    Ehi – aggiunse Ten Ten – Perché non andiamo a mangiare qualcosa? Ho visto un bar da qualche parte nella sala…
-    Sì, buona idea – risposero le altre.
-    Hinata, tu vieni?
-    Mmm… no, preferisco continuare il giro della mostra. Ci sono altre opere da vedere…
-    Ma di’ un po’, ti piace questa roba? – le chiese la sua compagna di stanza, che non aveva tanti peli sulla lingua.
-    Beh, il fatto che mi piacciano o no ha poca importanza – rispose – Ciò che dovrei fare è riuscire a capire cosa voleva trasmettere chi li ha fatti. Quello che… quello che c’è dentro.
-    Dentro? – le domandò Ino.
-    Beh… sì – fece Hinata confusa, chiedendosi da dove venisse quella spiegazione che le era uscita di bocca in modo così naturale, come se l’avesse già sentita da un’altra parte.
-    D’accordo, fai come vuoi - le disse Ten Ten – Ma se ti viene voglia, raggiungici pure!
-    Sì, va bene – rispose la ragazza, tirandosi indietro i capelli scuri che in quegli anni le erano cresciuti parecchio – Ci vediamo dopo.


Invece si rividero prima del previsto, perché Ten Ten arrivò di corsa, tutta trafelata, prendendola per un braccio.
-    Presto, Hinata, vieni a vedere! – esclamò.
-    Ma cosa…
-    Forza, non farti pregare!
Poco dopo l’amica riuscì a trascinarla in un altro angolo della sala, sulla strada per arrivare al bar, in un punto dove si trovavano già Ino e Sakura.
-    Guarda! – esclamò l’amica trionfante – Non ti somiglia?
Hinata fissò il punto che le veniva indicato, che coincideva con uno dei tanti quadri in mostra, e per un istante si dimenticò di respirare.
Si dimenticò di respirare davanti a un dipinto che rappresentava un giardino innevato di fronte a una casa scura, dove sul ramo stranamente fiorito di un albero sedeva una ragazzina pallida dai capelli corti e neri.
-    Devo ammettere che questo è piuttosto bello – stava dicendo Sakura, da qualche parte di fianco a lei – È molto diverso dagli altri… ha qualcosa di onirico, come un sogno.
-    Guarda il titolo – intervenne Ino – “Sogno di una notte di mezz’inverno”… bah, scontato!
-    Molto adatto, invece – ribatté Sakura – E tu che ne dici, Hinata? Ci vedi qualcosa, “dentro”?
Visto che Hinata non rispondeva, anzi non sembrava nemmeno aver sentito la domanda, Ten Ten insistette con la sua teoria:
-    Ma insomma, ci vedete o no? Questa ragazzina… ti somiglia moltissimo! Mi ricordo che in prima avevi i capelli corti corti, proprio come in questo quadro. E poi gli occhi… è pazzesco, sembra che il pittore volesse ritrarre proprio te!
Hinata non rispose. Non ce la faceva.
Perché Ten Ten aveva ragione: quella era lei, senza ombra di dubbio. E la casa imponente e cupa del quadro somigliava in modo inconfondibile alla dimora Inuzuka. Perfino l’albero era lo stesso, e il ramo aveva l’esatta curvatura di quello dove sedeva lei.
-    Dici? – fece Ino, critica – A me sembra solo una ragazzina pallida in un giardino pieno di neve… chissà poi chi dovrebbe rappresentare…
-    È lo spirito dell’inverno… – si sentì rispondere Hinata, in un mormorio lieve quanto sicuro di sé.
-    Spirito dell’inverno? – chiese l’amica, scuotendo i capelli biondi – Ma se l’albero su cui è seduta sta fiorendo…
-    È un sogno - spiegò Hinata con semplicità, come fosse la cosa più naturale del mondo - In un sogno può avvenire qualunque cosa.
Le altre non risposero, poi Sakura si avvicinò al dipinto con aria critica.
-    I fiori sembrano dipinti in modo molto dettagliato - mormorò tra sé - Chissà se c’è un motivo…
-    Beh, magari gli piacevano semplicemente i fiori di mandorlo – ribatté Ino.
-    Mandorlo?
-    Sì, sono fiori di mandorlo. Ne sono sicura.
Se c’era un argomento in cui Ino era decisamente più ferrata di Sakura questo era, oltre alla moda, il mondo vegetale. Era in grado di riconoscere fragranze, petali e foglie con precisione assoluta. “Deformazione di famiglia”, era solita dire.
Anche quella volta nessuno mise in dubbio le sue parole, malgrado il fatto che una di loro avrebbe potuto confermarle senza alcuna esitazione, ma per motivi che preferiva mantenere segreti.
Hinata non aveva mai dimenticato. E ora aveva la certezza che nemmeno qualcun altro l’aveva fatto.


Era lì che lo ammirava, per l’ennesima volta in quella giornata. Se l’era sistemato sul letto, appoggiato alla parete, e continuava a rimirarlo senza sosta, cogliendone sempre nuovi particolari.
Il bianco usato per i suoi occhi non era immacolato quanto quello utilizzato per la neve: doveva esservi stato mescolato un po’ di grigio, perché aveva una sfumatura vagamente perlacea.
La linea dell’albero era delicata, sinuosa, mentre i tratti che rappresentavano la casa avevano un che di pesante, angoscioso. Come un gioco di contrasti tra il bianco della neve e il nero delle pareti, l’inverno del giardino e la primavera del ramo.
Più lo guardava, e più a Hinata sembrava di entrarci dentro. Sakura aveva ragione, c’era qualcosa di incredibilmente onirico… e se tale atmosfera da sogno aveva colpito lei, personificazione della Ragione, significava che l’autore era riuscito nel proprio intento.
Anche lei era riuscita nel suo, quando aveva chiesto agli addetti alla mostra chi fosse l’autore del dipinto. Le avevano detto quel nome e quel cognome che già intimamente conosceva, rendendola felice come non mai.
E quando suo padre le aveva chiesto se desiderava qualcosa come regalo di fine scuola… beh, per una volta non aveva avuto né dubbi né tentennamenti. Gli aveva esposto la sua richiesta con voce limpida e cristallina, chiedendogli anche se fosse possibile fare l’acquisto senza che si venisse a sapere il vero nome dell’acquirente. Sebbene un po’ sorpreso, Hiashi Hyuuga l’aveva accontentata, procedendo all’acquisto tramite il direttore di una sua società, intestando quindi l’assegno a nome suo.
La settimana dopo, alla fine degli esami, il dipinto si trovava già nella stanza di Hinata.


Era tornata, finalmente. Dopo un’assenza di cinque anni, sua madre aveva finalmente sentito nostalgia della tranquillità di quella cittadina, e ci erano tornate lei e le due figlie. Il marito si trovava da qualche parte in viaggio d’affari, come sempre.
Hinata sentì a un tratto di capire ciò che doveva aver provato Heidi tornando sulle Alpi. Una felicità così intensa da farti soffocare, tanto che si era ritrovata a fare un salto a casa Aburame, a trovare il suo vecchio amico Shino.
Non era cambiato: si trovava sempre chino sui suoi libri di insetti, anche se si era fatto più alto e più simile al padre, e l’aveva salutata come se si fossero lasciati il giorno prima. Forse parlava un po’ di più ora, cosa che a Hinata non dispiaceva affatto.
Ma il giorno dopo si era svegliata di buon mattino, aveva indossato un vestito leggero di cotone blu ed era uscita. Il fatto che la canicola estiva fosse scomparsa per un po’ e che un venticello fresco accarezzasse erba e fiori non fece che aumentare il suo coraggio.
Di buon passo attraversò la cittadina, stavolta passando per le strade frequentate, salutando chi la riconosceva ancora dopo cinque anni.
Una ventina di minuti dopo, era arrivata.
D’istinto andò verso il punto che meglio conosceva, e sospirò di sollievo nel vedere che nulla era cambiato.
Guardò il muro da sotto in su. L’edera vi si arrampicava ancora e le fronde del mandorlo, fitte di foglie, erano quelle di sempre. Tuttavia Hinata sapeva che non avrebbe mai più potuto passare di nuovo per di lì: non solo perché il suo corpo si era fatto più alto, più femminile, i suoi fianchi più larghi. Ma soprattutto perché era giusto che quell’incursione avventurosa e forse poco ortodossa appartenesse al passato, ad un’infanzia ormai conclusa. E si diresse decisa verso il cancello.
Fece appena in tempo a suonare il campanello che un enorme molosso arrivò di corsa, quasi latrando. Una minacciosa montagna di pelo color panna che aveva tutta l’intenzione di tenere lontana dalla proprietà quella sconosciuta dai capelli lunghi. Hinata fece un passo indietro, spaventata, ma non ebbe il tempo di pensare di correre via che la situazione inaspettatamente si ribaltò: giunto in prossimità del cancello il cane si era seduto, scodinzolando felice con quella coda che avrebbe potuto spolverare un comò, nella gola un uggiolio sommesso e quasi implorante.
Hinata spalancò gli occhi, sbigottita. Dopo qualche istante mormorò:
–    Akamaru…
A quel nome il cane si alzò, spingendo speranzoso il muso contro il cancello.
La ragazza, cercando di non pensare che avrebbe tranquillamente potuto staccarle un dito con un morso, allungò la mano oltre le sbarre scure, fino ad incontrare il pelo morbido e caldo del cagnone, iniziando a grattargli il mento.
–    Mi hai riconosciuta… - sussurrò felice.
Poi sembrò riprendere confidenza, perché mormorò:
–    Non credo passeresti ancora attraverso il vecchio buco… chissà se te ne ricordi...
Mentre Hinata era impegnata a prodigarsi in coccole verso il suo vecchio amico, qualcun altro era uscito a vedere cosa diavolo stesse succedendo. Aveva sentito il campanello suonare e udito Akamaru abbaiare, ma ad un certo punto i latrati del cane si erano misteriosamente zittiti. Era una cosa che non accadeva mai, perlomeno finché l'estraneo era fuori dal cancello. Oltretutto non gli sembrava di aver chiamato il ragazzo delle consegne, e non capiva perché mai qualcuno dovesse venire fin lì.
La scena che gli si presentò davanti gli fece decisamente strabuzzare gli occhi: una sconosciuta dai capelli neri stava accarezzando Akamaru da dietro il cancello, china su di lui. Kiba non l'aveva mai visto dare tanta confidenza a qualcuno che non fosse lui.
Tuttavia, quando la “sconosciuta” alzò gli occhi, rimase basito nel riconoscerla. Per un attimo si bloccò, immobile, e ad essere sinceri nemmeno Hinata aprì bocca. Quando finalmente il padrone di casa si decise a parlare non la salutò, ma disse soltanto:
–    Ora ti apro – per poi sparire di nuovo in casa.
Hinata entrò, seguita fedelmente da un Akamaru in brodo di giuggiole, e nel tragitto fino alla porta d'ingresso diede un veloce sguardo al giardino. È vero che i ricordi sono sempre migliori della realtà in sé, ma era sicura che cinque anni prima piante e fiori non fossero tanto trascurati. Da dove si trovava lei non riusciva a vedere il mandorlo, ma sperava ardentemente che stesse bene.
Giunta di fronte alla porta si ritrovò davanti Kiba, e rimase per un istante interdetta. Lei ricordava un giovane che era poco più di un ragazzo, ma quello... era un uomo fatto. Per un attimo si chiese se avesse fatto bene a tornare lì.
–    Beh, non restare lì... entra – disse Kiba scompigliandosi nervoso i capelli, decisamente a disagio quanto lei.
Quando Hinata mise piede in casa, pensò che era proprio come se l'era sempre immaginata: grande, solenne, scura e dai mobili incombenti. Lei stava decisamente molto meglio in giardino.
–    Vieni – continuò lui, guidandola in una stanza piuttosto grande con divani rossi, tappeti e un tavolo rotondo accanto ad un'ampia finestra – Siediti pure.
Quando Hinata si fu accomodata senza aver detto ancora una parola, lui si fermò un attimo con una mano fra i capelli e l'altra sistemata su un fianco, come indeciso sul da farsi.
–    Devo offrirti qualcosa? - chiese, a lei o a se stesso – Sì, sì, ti offro qualcosa.
Si diresse verso quella che doveva probabilmente essere la cucina, sparendo qualche istante, per poi ricomparire e chiedere:
–    Che cosa vuoi?
–    Io... s-sto bene così, grazie – rispose lei impacciata.
–    Non avrai mica ripreso a balbettare, vero? – fece lui, mentre l'ombra del solito, vecchio, rassicurante ghigno si ripresentava per un attimo sulle sue labbra – Avanti, bevi qualcosa.
Quel sorriso bieco sembrò metterla a proprio agio, come se per un istante un'eco di cinque anni prima avesse fatto la sua comparsa.
–    Beh... una tazza di tè andrebbe bene, allora – disse.
–    Uhm... tè, dici? Sì, dovrei averne – e sparì nell'altra stanza.
Dopo una manciata di minuti Kiba ricomparve, portandosi di fronte a lei, dall'altra parte del tavolo, e appoggiando le mani su una sedia.
–    Ho messo a bollire l'acqua – la informò – Non dovrebbe metterci molto.
Hinata annuì, e calò il silenzio.
–    Però – provò a dire – Ci vorrà qualche minuto, magari non c'è bisogno di stare in piedi ad...
–    Sì, hai ragione – la interruppe lui, inforcando la sedia e accomodandosi.
–    Allora... - tentò poi – Da dove salti fuori?
–    Siamo tornati nella casa che abbiamo qui – rispose lei – Per quest'estate.
–    Ah, capisco... - fece Kiba, lanciando uno sguardo distratto fuori dalla finestra, e ghignando come se un pensiero improvviso l'avesse colpito – ...e com'è che sei entrata dal cancello?
Hinata arrossì, tuttavia compiaciuta dal fatto che lui ricordasse così bene quello che faceva, e sollevata che il vecchio ghigno si ripresentasse regolarmente sul suo volto.
–    Forse... forse sono un po' troppo cresciuta per arrampicarmi ancora – spiegò – magari il ramo non sostiene più nemmeno il mio peso...
–    Mmm... può darsi – commentò lui, dandole un'occhiata dal collo in giù senza farsene accorgere – Ma non si sa mai.
–    Come... come sta? - ritentò lei, schiarendosi la voce.
Stavolta il viso di Kiba si illuminò completamente, dagli occhi agli angoli della bocca, e alzando un sopracciglio ribatté sbalordito:
–    Ehi, ragazzina! Mi stai dando del lei?
Hinata arrossì di botto, non sapendo come comportarsi:
–    Beh, ecco... i-io pensavo...
–    Mi credi già così vecchio? Guarda che non sono ancora decrepito! E tecnicamente, visto che sei maggiorenne anche tu, dovrei darti del lei anch'io.
–    Ma no, no... non c'è alcun bisogno! - si affrettò ad assicurare Hinata.
–    Bene, quindi non vedo che motivo ci sia perché lo faccia tu con me.
–    D'acc...
Furono interrotti dal fischio della teiera, che aveva probabilmente compiuto il proprio dovere.
–    Scusami un attimo – fece Kiba, alzandosi e andando nell'altra stanza.
Mentre lui era di là, Hinata ebbe il tempo di respirare a fondo e cercare di calmarsi un po'. Si sentiva leggermente a disagio a parlare con un uomo, erano secoli che a parte i professori e i propri parenti non vedeva nessuno. Però si stava rendendo conto che in fondo il suo carattere non era cambiato, quindi non c'era nulla di cui preoccuparsi, no?
Quando Kiba tornò e, un po' impacciato, le mise davanti una tazza piena fino all'orlo, Hinata alzò la testa per ringraziarlo, come dettavano le buone maniere.
–    Grazie – disse in fretta, guardandolo educatamente in viso, e si costrinse a continuare a farlo anche quando la labbra di lui si distesero in un breve sorriso.
Mentre tornava al proprio posto e si versava un po' di birra presa da una bottiglia appena aperta, Hinata ebbe il tempo di osservarlo senza farsene accorgere. La luce che filtrava tra gli alberi ed entrava dalla finestra rendeva i suoi lineamenti ancora più aspri di come si erano fatti negli ultimi cinque anni. Marcati, ben definiti, con gli occhi allungati e le labbra sottili. Nel complesso somigliavano quasi al muso selvatico di un lupo, ma non le dispiacevano. Anzi.
–    Di', la verità, stai cercando qualche ruga – commentò lui alzando la testa dal proprio bicchiere, apparentemente intento a contemplare la birra, mentre l'aveva tenuta d'occhio tutto il tempo – Guarda che sei cresciuta anche tu, la differenza d'età che abbiamo è sempre la stessa.
–    Sì, lo so, però è strano – ammise sinceramente Hinata.
–    Strano cosa? Essere di nuovo qui?
Lei annuì, cercando di spiegarsi meglio:
–    Sì, ed entrare in casa, rivedere Akamaru, sedersi qui...
–    A proposito di Akamaru! - fece lui, come se gli fosse appena venuta in mente una cosa – Hai visto com'è cresciuto? Che ti avevo detto?
–    Già, l'ho notato – rispose lei sorridendo – E si è ricordato di me.
–    Lui non ti ha mai dimenticata. Pensa che quando sei partita è rimasto per due settimane sotto il mandorlo, guaiva dalla mattina alla sera. Non riusciva a capire perché non tornassi più.
Quella rivelazione fu per Hinata come una stilettata al cuore.
–    Mi dispiace, io...
–    E all'inizio di ogni estate ci tornava, guardando il ramo come se si aspettasse di vederti da un momento all'altro. Scodinzolava, perfino!
–    Io... non lo avrei mai immaginato. Volevo tornare, ma... ci sono state altre cose...
Kiba fece un gesto con la mano, come a voler cancellare le sue scuse.
–    Non diciamo sciocchezze, per favore – intimò secco, forse a entrambi – Tu avevi la tua vita da vivere.
–    Sì, ma... - Hinata non poteva fare a meno di sentirsi profondamente in colpa. Oltretutto pensando a tutte le volte in cui aveva desiderato di tornare lì: se avesse saputo che qualcuno la stava aspettando con altrettanta ansia, avrebbe cercato di tornare a qualunque costo – Mi dispiace...
Sentì una mano posarsi inaspettatamente sulla sua testa e arruffarle i capelli.
–    Ehi, piccola, su con la vita – si era sporto un po', arrivando col braccio dal suo lato – Non è mica morto nessuno. Quello sì sarebbe grave.
Hinata alzò la testa, sorpresa e un po' arrossita. Quando lui si rese conto di ciò che aveva fatto, ritirò in fretta la mano.
–    Oh, scusa – borbottò – Mi sono dimenticato che non sei più una bambina...
–    Non fa niente – rispose lei, sorridendo.
Poi, dando un'occhiata fuori dalla finestra, si rese conto di quanto tempo era passato. Finì di malavoglia il suo tè e disse:
–    Devo andare, ho promesso a mia madre che le avrei dato una mano a scegliere l'arredamento nuovo – si zittì subito, ma le era scappato.
Kiba si mise a ridere.
–    Ah, io non ho di questi problemi! - proruppe, alzandosi - Questa roba è qui da non so quanto tempo, nessuno si è mai preso la briga di cambiarla! Men che meno io!
Hinata sorrise a sua volta, seguendolo fino all'ingresso.
Guardò la sua mano aprire la porta, poggiando le dita sulla maniglia, e lo osservò mentre si spostava per farla passare. All'ultimo momento fece appello a tutto il suo coraggio, quello che le aveva permesso di arrampicarsi la prima volta sul muro, e disse d'un fiato:
–    Posso tornare?
Kiba rimase decisamente sorpreso da quella richiesta. Non fece in tempo a rispondere che un latrante Akamaru entrò praticamente in casa per buttarsi su di lei.
–    Ehi, orso, fa' piano! Guarda che non sei più un'innocua palla di pelo! - esclamò, cercando di spingerlo indietro perché Hinata non cadesse sotto il suo peso.
Sperava che non l'avesse spaventata, invece la trovò che rideva di gusto, incapace di trattenersi. Al che lui, senza pensare, disse di getto:
–    Puoi venire quando vuoi. Anche perché rischio che questo bestione scavalchi il muro o butti giù il cancello, pur di riuscire a trovarti.
Hinata, cercando di riprendere a respirare, rispose raggiante:
–    Allora verrò. Sono in debito di cinque anni con lui!




Mi sono emozionata tantissimo nello scrivere questa parte della storia, come se al posto di Hinata ci fossi io!  ; v ;
Sono rimasta davvero sorpresa dal calore con cui è stato accolto l’ultimo capitolo. Davvero, non me l’aspettavo: grazie di cuore!

kibachan: sono davvero contenta che per il momento ti piaccia! Sul serio, se non avessi letto “verità velate” non mi sarebbe mai venuto in mente di scrivere una kibahina!
Anch’io all’inizio non leggevo molto le AU- figurarsi scriverle- poi ne ho scritta una per un contest e non mi sono più fermata! Ho cominciato ad apprezzare il fatto che, essendo “Naruto” ambientato in una specie di mondo a sé, trasferire i personaggi nel mondo reale permette di analizzarne la psicologia in moltissimi modi, rendendoli quasi “veri”. E così nacque il mio amore per le AU…
Ho voluto rendere Kiba più grande per aumentare ancor più la distanza che li separa- a livello di carattere, di mondo, di vita- ma anche per dare forse un input in più. Se Hinata non fosse stata solo una ragazzina, probabilmente non sarebbe mai riuscita ad avvicinarsi a lui, perché una bambina non viene percepita come una minaccia… ma come hai visto da questo capitolo, le cose iniziano a cambiare!
Mi ha quasi commossa il paragone con i vecchi film con le dissolvenze...  ; v ;
Aurychan: certo che la storia continua! Tranquilla, ci sono ancora un po’ di capitoli prima di arrivare alla fine…
Clahp: eh, sì. Una storia d’amore, soprattutto all’inizio, non può che essere lenta, tanto lenta che nessuno si accorge che cosa sta succedendo. E poi... pam!
Va bene, al di là del “pam”, adesso le cose iniziano a muoversi, perché i tempi sono cambiati. Un certo periodo è passato, e ne è iniziato un altro.
Hai ragione, forse quel passaggio su Hinata e Hanabi si sarebbe potuto ampliare, ma ho preferito lasciarlo quasi “accennato”, quasi sfumato… non so perché, ma mi piaceva di più così (che spiegazione, eh?).
E certo che continuerò a leggere la tua fic, il parallelo Simba-Shikamaru mi intriga moltissimo! E poi metti i cervi!  *w*
Niggle: penso anch’io che l’estate e la lentezza vadano d’accordo… perché d’estate ci sono meno impegni, e il tempo di fare tutto con la dovuta calma... (sono una grande estimatrice dell’estate, lo ammetto).
Dryas: se ti piace “La Bella e la Bestia” aspetta un paio di capitoli. Vedrai che salterà fuori più di un riferimento! ^^
Talpina Pensierosa: sono contenta che la storia ti piaccia!
   
 
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