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Autore: Luxanne A Blackheart    14/10/2017    2 recensioni
Nella Londra vittoriana un affascinante uomo proveniente dall'India, un benestante e facoltoso Lord imparentato con la regina, si trasferisce in uno dei quartieri più ricchi e alla moda dell'epoca.
Lui e la sua famiglia si adatteranno alla vita sociale inglese, partecipando a balli reali e alla vita mondana dell'epoca.
Da lontano sembrano perfetti con i loro vestiti costosi, i bei sorrisi affascinanti e i modi di fare garbati. Ammalianti come un serpente prima di attaccare.
Ma sotto quella apparenza di perfezione c'è di più...
Il loro aspetto cela qualcosa di raccapricciante e orribile.
Grida e strani versi si odono nella buia e fredda notte; sangue, sospiri, affari di malcostume e morte incombono sulla loro bella casa e su chiunque osi avvicinarli.
In una Londra sporca, popolata dalla volgarità, dal malaffare, dal sangue e dalla morte la famiglia Nottern saprà trovarvi la dimora ideale.
E voi, saprete farvi conquistare dalla Famiglia del Diavolo?
Genere: Dark, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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CAPITOLO QUATTORDICI.
IL GIORNO IN CUI TENNYSON MORI'.


 

“Tutte le tragedie finiscono con la morte, tutte le commedie con un matrimonio.”

-Lord George Byron.




Lucille si svegliò; qualcuno le stava accarezzando la guancia. Dita fredde contro pelle fredda. Aprì gli occhi, provando del leggero fastidio per i forti raggi del sole. Era giorno.
“Buongiorno, principessa. Non vorrei sembrarti deluso, perché non lo sono mai nel svegliarmi e trovarti nel mio letto. Ma che cosa ci fai qui?”, la voce di Will, assonnata e roca, la fece sorridere.
“Will...”, sussurrò, non credendo ai suoi occhi. Se quello era un sogno, era meglio che nessuno la svegliasse per il suo bene. Lo abbracciò, sentendo il suo profumo di pulito e neve, strinse quel corpo magro e freddo, felice e sollevata. “Grazie al cielo stai bene. Stavo morendo di paura, pensavo veramente che ti avrei perso. Un attimo prima eri con me e quello dopo non c'eri più. Oh, Will, il mio William, il mio amore.”
“Dovrei rischiare di morire più spesso allora.”, Will le sorrise, ma le sembrò diverso. Nei suoi occhi non c'era più tristezza, dolore, sofferenza. Solo felicità, pace, quiete. Un Will così non l'aveva mai visto, non pensava neanche che esistesse un William così.
“Non scherzare su queste cose, ti prego.”, Lucille lo strinse maggiormente a sé. Se avesse avuto un cuore funzionante in quel momento, era sicura che sarebbe uscito dal petto per battere con quello di William, del suo poeta maledetto preferito.
“Sto bene, Lucie, sto bene ora, non c'è più niente di cui preoccuparsi. Starò bene, staremo bene. Tutta questa situazione è servita per farmi rendere conto della situazione della quale ero prigioniero, della mia depressione. Mi farò aiutare, diventerò migliore per te e per James e per tutta la nostra famiglia e quando sarò guarito perfettamente potremmo stare insieme, vivremo tutta l'eternità felici.”, Will le sorrise, baciandole il piccolo palmo della mano. Le si riempiva il cuore di gioia nel sentirlo parlare così, nel vederlo muoversi, nel vederlo sorridere.
Non avrebbe mai amato nessuno in quel modo, nemmeno se stessa. La sua parte cattiva, la sua parte preferita.
“Adesso che sei qui, ha tutto più senso.”, Lucille lo baciò, assaporando il sapore delle sue labbra e liberandosi di tutte le preoccupazioni, delle lacrime e del dolore che aveva versato per tutti quei secoli e quella notte.
Era vivo e nient'altro contava.
Il suo William era tornato da lei e sarebbe rimasto.
“Arriverà il nostro momento, Lucille, ricordalo. Vivi la tua vita con Dorian e quando io tornerò da te, guarito e in forma, non ti lascerò andare mai più.”
Non poteva dire cose più giusta di quella.






Le urla di Lucille si sentirono per tutta la tenuta. Roman, che era rimasto per tutta la notte ad aspettare, corse ad aprire la porta della stanza, con James e Jean dietro di lui. I tre fratelli rimasero impietriti sull'uscio, guardando la sorella in lacrime e gridante, accasciata sul corpo immobile e già in putrefazione di William.
“No, non può essere.”, fu tutto quello che disse James, talmente piano che a Roman sembrò esserselo sognato. Lucille era come impazzita. Si dimenava, colpiva il corpo dell'amante, cercava di farlo rinvenire, urlava, gridava il suo nome, piangeva. Jean corse da lei, la abbracciò da dietro, cercando di staccarla dal corpo morto di Will, mentre Lucille si dimenava invano e allungava le braccia verso il cadavere.
“Il mio Will! Il mio Will! Me l'hanno portato via, no vi prego, no!”, urlava, cercando di liberarsi in tutti i modi. Colpiva Jean, dandogli del bastardo, di lasciarla andare, che la sua vita era finita, che avrebbe anche potuto bruciare la Londra intera, il dannato mondo, ma senza di lui, la vita, l'esistenza non aveva senso.
“Ti prego, Lucille, ti prego.”, Jean, dal canto suo, piangeva. Aveva la faccia bagnata da lacrime che non avrebbero mai finito di scorrere e che rendevano il suo incarnato ancora più pallido. Morti che camminavano, lo erano tutti.
“James...”, Roman, la voce roca per il pianto trattenuto, fermo tutto in gola, si girò per accertarsi della incolumità mentale del fratello. Ma lui era sparito, svanito completamente nel nulla. “Cazzo.”
L'enorme ragazzone avanzò nella stanza, ignorando le urla di Lucille e Jean, che apparivano ovattate nelle sue orecchie e si avvicinò, sentendo solo il rumore dei suoi passi che calpestavano il pavimento impolverato.
William Nottern, amato fratello, giaceva immobile, pallido e in decomposizione sul letto pregiato dalle lenzuola rosse. Le mani ferme ai lati del corpo e un mezzo sorriso sulle labbra, il solito sorriso malizioso e da furbastro, gli occhi chiusi e le ciglia che gli sfioravano le guance. Poteva essere uno dei suoi soliti scherzi, probabilmente stava dormendo, probabilmente ci voleva ancora un altro po'.
Ma in cuor suo, sapeva qual era la verità, per quanto difficile e bastarda fosse da accettare. William, amato fratello, era morto. Tutti quel giorno avevano perso qualcuno. I Nottern un figlio, Lucille un pezzo di anima, di cuore e il senno, James il suo migliore amico e la sua metà, Roman e Jean un fratello, il mondo uno scrittore dall'animo tormentato e Londra, Londra stava per perdere tutti i suoi abitanti.
Roman avrebbe fatto di tutto, pur di vendicarsi, così come il resto della sua famiglia. Tutti, avrebbero visto di che cosa era capace la progenie del diavolo, tutti avrebbero visto la loro furia.
Non si tocca la famiglia del diavolo senza essere responsabili delle conseguenze.
“Ti vendicherò, fratello, puoi stare tranquillo su questo.”






Jean, aiutato da Roman, ripose il corpo di Will, vestito di nero e con una margherita bianca nella tasca del panciotto, nella bara, situata nell'enorme mausoleo della tenuta. Roman vi aveva inciso una frase di Shakespeare, il principe delle tenebre è un gentiluomo. Accanto a lui riposava Francisco, l'altro caduto per colpa di quei bastardi.
Avevano in mente di agire, non appena avessero trovato James e Lucille si fosse ripresa un po' dalle sue crisi isteriche di pianto e ira fuori controllo.
Jean era convinto che non le sarebbe mai passato, non passa mai, ma non potevano portarsela con loro in quelle condizioni; avevano avuto abbastanza morti.
“Spero proprio che quello zuccone di nostro fratello James, non abbia fatto qualcosa di avventato.”, borbottò Roman, afferrando la piccola mano di Theresa, che si accarezzava il ventre guardando la lapide di William. “Theresa, va' a mangiare qualcosa, io ti raggiungo subito. Voglio restare da solo con Jean, non ti avvicinare a Lucille.”
La mora annuì, forzando un sorriso. Guardò Jean e poi abbassò la testa, correndo via. Roman la seguì con lo sguardo, finché non varcò la porta di casa.
“Mia moglie è incinta, Jean, ecco di che cosa volevo parlarti, prima di tutto questo caos.”
“Lo so, Rom, lo so. Anche un cieco lo saprebbe.”, Jean forzò un sorriso, quando voleva solamente piangere. Prima Charles e poi William, era troppo anche per un essere secolare come lui da digerire. Era felice per suo fratello, ma lo sarebbe stato di più se tutta quella situazione non fosse accaduta. “Che cosa vuoi fare? Se non vuoi prendere parte a questo suicidio per pensare a Theresa e al piccolo, non ti preoccupare. Sia io, James e Lucille capiremmo. Devi pensare a loro.”
“No, non era quello che intendevo.”, Roman scosse il capo, grattandosi il lato della bocca. “Verrò con voi. E Theresa andrà con Esmeralda e Camille in un posto sicuro. Esmeralda mi ha mandato una lettera, dicendomi che aveva scelto James, che sarebbe rimasta con lui e che avrebbe protetto la nostra famiglia come meglio poteva.”
“Non puoi dire sul serio! Loro hanno bisogno di te. Non puoi mandarle via così! Camille non sa neanche combattere e solo la magia di Esmeralda non basterà a contrastare possibili attacchi da lupi mannari o streghe. La magia ha un limite di tempo, prima poi si esaurisce!”
“E' la mia decisione. Theresa non sa il mio piano, pensa che la raggiungerò dopo in Scozia, al rifugio, ma non sarà così. Rimarrò qui con voi, ad aiutarvi. Lo faccio per loro, per mio figlio. Credi che quelli della Confraternita la lasceranno in pace, quando verranno a sapere che aspetta un figlio da un upir? Mio figlio è qualcosa di mai visto in natura e non sappiamo come questi maledetti figli di puttana possano reagire alla notizia. Hanno ucciso per molto meno.”
Jean sospirò, sapendo quanto fosse cocciuto il fratello e che qualsiasi motivazione lui gli desse, non avrebbe funzionano dal principio. “Ad ogni modo, Camille e Vladimir dove sono? Non li vediamo da giorni. Non è normale neanche per loro tutto questo distacco.”
“Non ne ho idea e questo mi preoccupa, perché se non avremo nostro padre al nostro fianco, il più potente tra tutti noi, siamo fottuti.”
“Bene.”, Jean annuì, passandosi le mani sulla faccia. Era distrutto. E l'unico pensiero che aveva in quel momento nella mente, era la faccia di Charles e la sua incolumità e l'unica cosa che aveva nel cuore, era la morte di William.
Si sarebbero battuti, perché un Nottern non si tira mai indietro, ma le possibilità di perdere erano alle stelle.








L'enorme palazzo in stile vittoriano era situato nel centro londinese; un perfetto luogo nel quale ci si poteva camuffare per non attirare l'attenzione, soprattutto dei Nottern. Era in corso una riunione. I membri della Confraternita erano riuniti attorno ad un enorme tavolo ovale, vestiti di nero e incappucciati e con enormi anelli d'oro alle dita, i quali riportavano la faccia di un lupo per i licantropi e delle scintille per le streghe della grande Congrega. A capo tavola c'era colui che dirigeva, colui che aveva inventato la Confraternita tempo addietro, il più spietato e malvagio di tutti, Vladimir Nottern.
Lui, con la sua perfezione e freddezza unica, guardava i suoi sottomessi parlare e quando proferiva parola, nessuno si azzardava ad aprir bocca, c'era un silenzio tombale. Tutti lo guardavano con ammirazione e timore, poiché i suoi grandi occhi verdi e i suoi capelli rossi come il fuoco dell'Inferno, mettevano soggezione. Era un essere secolare, il primo di tutti, il più malvagio, il Diavolo era il suo soprannome. Lo chiamavano così perché grazie alle sue capacità oratorie, sapeva convincere anche il più testardo e la sua cattiveria, la sua malvagità, il suo essere spietato e manipolatore non potevano essere eguagliate da nessuno. Alcuni dicevano che fosse Lucifero stesso in persona, altri che fosse il suo degno erede.
Vladimir aveva fatto e aveva fatto fare cose orribili, impensabili. In Romania, secoli addietro, aveva ucciso un intero esercito di ottomani, strappando loro la testa dal collo e poi impalandoli uno ad uno sul terreno; aveva sterminato famiglie, villaggi, bruciato città intere, ma l'aveva fatto sempre per la famiglia, per amor loro, per proteggerli, perché anche se non erano figli suoi, li amava esattamente come amava Roman. Ma poi si era stancato. Erano uno più ingestibile dell'altra. Roman, James e Camille non sapevano controllarsi, avrebbero potuto mangiarsi l'intera popolazione umana in un mese. William era un pazzo, un fuori di testa, un depresso senza via di fuga e sfogava quel suo malessere nelle droghe e poi nel sangue. Jean era un invertito, un sodomita, che cercava di nascondere il suo vero essere, ma l'avevano capito tutti. E Lucille, probabilmente, era l'unica che aveva meno colpe di tutti, dopo Francisco. Probabilmente la sua unica pecca era stata il suo debole per sangue di bambini appena nati, che di notte rubava dalle culle.
Vladimir non poteva continuare a rimediare ai loro casini, nascondere le loro tracce per sempre. Era un segreto che dovevano mantenere, per non finire ammazzati, per l'eternità. Aveva sempre ucciso per loro e poco dopo l'amore si era trasformato in odio. Era quello il motivo per il quale aveva ucciso il capo della Confraternita, un licantropo, e se ne era messo a capo. Doveva uccidere ogni singolo componente della sua famiglia, estirpare l'erba cattiva.
Subito dopo essersi fatto accettare, aveva preso e cominciato a cercare Camille. Si era recato con la prima nave a Parigi e lì aveva cercato sua moglie, che avrebbe dovuto dare inizio al suo piano. Ci avevano messo un secolo, ma erano riusciti a riunirsi a Londra, sede della sua Confraternita. E il suo piano stava finalmente per compiersi.
Era stato lui a mandare Katherine da William, Charles da Jean e Dorian da Lucille. Sapeva che avrebbero attirato la loro attenzione, conoscendoli, e sapeva che il suo piano sarebbe andato a gonfie vele. Di James, Roman e Camille se ne sarebbe occupato personalmente.
Credevano tutti di avergliela fatta sotto il naso, pensavano di avere i loro oscuri segreti, ma lui sapeva, sapeva tutto e aveva sempre saputo.
Vladimir si accarezzò la mascella, guardando il corpo senza vita sull'enorme tavolo. L'anello dorato sui quali aveva fatto incidere dei canini appuntiti, brillava sotto la luce debole. Osservò tutti i membri dell'alta società alzarsi dal tavolo, togliendosi i cappucci, tra di loro c'erano visi importanti, tra cui la regina Victoria, vedova da tempo, che impassibile e dal volto serio, ascoltava Katherine parlare della missione. Vladimir accennò un sorriso, guardandoli. Aveva cinquant'anni e lui ricordava quando appena diciottenne aveva preso il potere. Aveva visto morire il suo più grande amore, il principe Albert e il suo amico più fidato, Lord Melbourne. Adesso era sola e con nove figli che presto se ne sarebbero andati per la loro strada, si sarebbero sposati e avrebbero avuto una famiglia tutta loro.
Come si sarebbe sentito lui, quando tutto quello sarebbe finito?
William era morto e Vladimir, per il collegamento che aveva con tutti i suoi figli, poteva confermarlo. Non lo sentiva più. Era una parte di lui che moriva, ma non la più importante. Quando se ne sarebbero andati anche Roman e Lucille, che avrebbe provato?
Quando la ragazza ebbe finito, sparì nell'ombra e Vladimir annuì, in segno di complimento. “Per quanto riguarda Jean, Charles dovrebbe finirlo a momenti. Con la perdita di mio figlio, gli altri sono tutti deboli e distrutti dal dolore. Dovremmo colpire al più presto, Dorian siete d'accordo?”
“Sì, signore. Per me non ci sono problemi. Sono pronto a qualsiasi ordine voi mi darete.”
“Bene, potete ritornare alle vostre faccende, signori e signore.”
Tutti se ne andarono, ma rimase solamente la regina d'Inghilterra. Si alzò, raggiungendolo con eleganza e classe. L'aveva sempre ammirata per quello; era la regina migliore che l'Inghilterra avesse avuto.
“Non so come voi ci riusciate Vladimir.”
Il capo famiglia osservò il cadavere sul tavolo. Vestiti pregiati, pelle pallida e bianchissima, capelli di un biondo innaturale, belle labbra e occhi grandi. La sua Camille.
“Lei doveva essere la prima, Victoria. Avreste ucciso per vostro marito e io è esattamente ciò che ho fatto per lei, per secoli, non mi sono piegato al mio dovere da marito e al mio 'per sempre'. L'amavo e l'amo ancora, nonostante tutto, ma ci sono amori e relazioni che si dovrebbero sacrificare per il bene comune. La mia famiglia è un agglomerato di mostri senza controllo. L'umanità ha dovuto sopportare troppo a lungo omicidi da questi mostri.”
“E voi riuscirete a vivere con il senso di colpa e il dolore?”
“Non è forse ciò che accomuna uomini e mostri, il dolore e il senso di colpa?”
“Vi auguro buona fortuna, Vladimir.”
La regina sparì nell'ombra, così come tutti gli altri e Vlad si alzò, sollevandolo il corpo morto e privo di vita della moglie. La strinse tra le braccia, baciandola un'ultima volta.
“Mi dispiace, Mina, mio amore. Spero mi perdonerai. Ma è una cosa che ho dovuto fare. Ci vederemo presto e allora potremmo vivere per l'eternità, qualsiasi posto ci spetti.”

 
   
 
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