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Autore: lady lina 77    15/10/2017    0 recensioni
E se nella scorsa fanfiction mi riagganciavo al finale della S2, ora mi aggancio a quello della S3. Tutto comincia in quella spiaggia dove Demelza, col cuore a pezzi, si concede a Hugh Armitage. E dopo? Se non fosse tornata a casa, cosa sarebbe successo?
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demelza Carne, Elizabeth Chynoweth, Ross Poldark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Papà?".

Ross aprì gli occhi di scatto. Si era appisolato qualche minuto, dopo una notte completamente insonne, e ora avrebbe continuato volentieri a rimanere immerso nell'incoscienza, se non fosse stato per la voce del figlio che lo chiamava. Con la mano tastò il letto alla ricerca di Demelza, sperando ingenuamente che fosse tornata, ma lo trovò desolatamente vuoto. Quindi si voltò verso il bambino.

Jeremy stava accanto al letto, con indosso ancora la camicina da notte bianca che gli doveva aver messo Prudie. "Papà?" - ripeté – "dov'è la mamma?".

Già... E ora che gli poteva dire? Era arrivato il momento che più temeva... Jeremy era molto legato a Demelza, la adorava e lei lo portava sempre con se, ovunque andasse. Come poteva spiegargli che la mamma se n'era andata e lo aveva abbandonato? Con Clowance, ancora troppo piccola per capire, sarebbe forse stato più semplice, ma Jeremy... "Mamma è dovuta andar via per delle faccende importanti, tornerà fra qualche giorno" – gli disse, sperando che il tempo potesse risolvere la faccenda senza grossi scossoni. Questo gli avrebbe permesso di riordinare le idee, di cercarla, di spiegarle e di riconciliarsi con lei...

Quel pensiero ottimista però durò pochi istanti. Lei non era tornata e aveva passato probabilmente la notte con Hugh Armitage. Non sapeva in che termini, ma qualunque cosa fosse successa fra loro, avrebbe avuto gravi ripercussioni sulla sua vita matrimoniale.

"Ma è andata via senza salutarmi?" - chiese il bimbo, per niente convinto da quella spiegazione.

"Aveva fretta" – disse, chiudendo il discorso. Si alzò dal letto, lo prese in braccio e lo portò nella sua camera per aiutarlo a lavarsi e a vestirsi.

E una volta finito con lui, fece altrettanto con la piccola Clowance. Non ci era abituato, lavare e vestire i bambini era un qualcosa che di solito facevano o Demelza o Prudie. Ma quella mattina sentiva il bisogno di averli vicini, di stringerli a se e vedere che erano reali. Tutta la sua vita stava andando a rotoli e quei due bambini erano tutto quello che gli restava.

La bimba sembrava pensierosa, a disagio. "Mamma?" - disse, con la sua vocina ancora stentata.

Ross le diede un bacio sulla fronte. Era così bella Clowance, una bambina dalle sembianze di una bambola coi capelli biondi pieni di boccoli come la sua mamma, gli occhi azzurri e il visino perennemente imbronciato. "Oggi dovrai accontentarti di papà".

"Si, ma quando torna?" - chiese ancora Jeremy.

"Non lo so, presto" – rispose, evasivo. Prese in braccio Clowance, per mano Jeremy e poi scese da Prudie per far fare loro colazione. Guardò la serva in cerca di informazioni ma la donna scosse il capo.

Lo sguardo di Ross divenne ancora più cupo, di Demelza non c'era traccia.

Fece mangiare i bambini e poi li lasciò liberi di andare con Garrick in cortile, a giocare. Aveva bisogno di parlare con Prudie, ora che era sobria. "Sei sicura che non ti abbia detto nulla?".

Prudie abbassò lo sguardo, concentrandosi sulle stoviglie che stava lavando. "Niente signore, mi ha solo detto di badare ai bambini. Poi se n'è andata a cavallo".

Ross chiuse gli occhi, la testa gli doleva terribilmente. "Con il tenente Armitage?" - chiese, sapendo già qual'era la risposta.

Prudie si morse il labbro. "Sì... Lui è venuto in visita e sono andati via insieme. Dopo un paio d'ore son tornati, han preso il cavallo e sono ripartiti".

Ross era incredulo che fosse successo davvero. Demelza... Sapeva quanto fosse arrabbiata, furiosa e delusa da lui, sapeva di averla ferita di nuovo ma MAI avrebbe pensato ad un epilogo simile. Certo, lui aveva sbagliato a non darle spiegazioni sul suo incontro con Elizabeth e venirlo a sapere da altri doveva averla sconvolta. Se gliene avesse parlato, il tutto avrebbe avuto un epilogo diverso ma ora... ora si sentiva smarrito e perso e non sapeva cosa fare. Era disperato e avrebbe volentieri preso il cavallo per andare da Armitage a riprenderla se non fosse stato che si sentiva schiacciato da mille sentimenti diversi – fra i quali spiccava il suo orgoglio ferito – ed era incapace di fare qualsiasi cosa.

Doveva fermarsi, riflettere e poi combattere quella dannata vocina della sua coscienza che continuava a suggerirgli che era stato lui stesso a regalare, su un piatto d'argento, Demelza a Hugh.

Si chiese se quella fantasia di Demelza, di cui gli aveva parlato mesi prima, si fosse avverata e se lei, spinta dai sentimenti per il giovane e dalla rabbia verso di lui, fosse diventata quell'altra Demelza, quella senza marito, figli e una famiglia... Si chiese se si fossero amati, se l'avesse tradito, se avesse deciso di porre fine al loro matrimonio.

Era da tanto che erano in crisi, lui e sua moglie. Dalla morte di Francis lui si era allontanato molto da lei, aveva quasi rinnegato il suo matrimonio, l'aveva tradita e poi era riuscito in qualche modo a riparare lo strappo. Ma la strana ed apparente pace raggiunta era sempre stata fragile, poggiata su una lastra di vetro trasparente e scricchiolante e lui non aveva mai fatto nulla per rendere il loro rapporto di nuovo davvero stabile. Schiacciato dai sensi di colpa per quanto successo con Elizabeth e sulle probabili ripercussioni della sua follia di quella notte di tre anni prima, aveva sempre nascosto la testa sotto la sabbia piuttosto che affrontare le conseguenze dei suoi errori, si era trovato mille cose da fare pur di non guardare Demelza negli occhi, per non discutere con lei di quello che era stato. Sapeva che Demelza sospettava che Valentine fosse suo, sapeva che Elizabeth era stata importante e lo aveva accettato e tante volte lo aveva spronato a parlarne e a superarla insieme ma lui aveva sempre rifiutato il confronto. Troppo doloroso, troppi sensi di colpa, troppe cose difficili da affrontare guardandola negli occhi...

E ora quelle crepe si erano aperte, aveva lasciato sua moglie da sola troppo spesso, troppo a lungo era stato distante da lei pur abitando sotto lo stesso tetto. Era diventato quasi un estraneo, attento a tutto, eccetto che a lei...

E da quando Agatha era morta, la rabbia per quanto successo a sua zia l'aveva incattivito talmente tanto da non accorgersi che il suo comportamento con Demelza stava prendendo una pericolosa deriva che li stava pian piano allontanando.

Da quanto non la stringeva fra le braccia? Da quanto non la baciava? Da quanto non scherzavano assieme? Da quanto non la vedeva ridere?

Oh, una volta l'aveva vista ridere ma non era suo il merito... Era Hugh che le aveva strappato quelle risate, Hugh giunto a casa loro a portarle un dono.

Ora che ci pensava, lui invece non aveva mai pensato a nulla di carino ultimamente, per farla contenta. Nemmeno alla nascita di Clowance era stato capace di regalarle qualcosa. A Demelza sarebbe bastato un fiore, li amava, non voleva gioielli o cose altezzose e costose...

Pensò alla loro complicità, da molto sopita e inerte, così come la passione. Demelza si era allontanata da lui pian piano e non se ne era quasi mai accorto. Eppure quella mattina, senza di lei, si rese conto che erano mesi che non facevano l'amore, da prima della morte di zia Agatha...

E non ci aveva mai fatto caso... Ma Demelza, probabilmente sì!

"Cosa dovrei fare, Prudie?".

La donna sospirò. "Cosa dovrete fare non lo so. Ma una cosa avreste dovuto evitare: parlar bene di miss perfezione da Trenwith davanti alla signora, Elizabeth Warleggan non è decisamente la sua migliore amica. E magari evitare di baciarla... Una donna perdona il tradimento una volta, FORSE, ma la seconda no".

Ross guardò Prudie e si accigliò. Come faceva a sapere del bacio? "Tu...?".

Lo sguardo di Prudie divenne deciso e per nulla spaventato davanti alle occhiatacce del suo padrone. "Sì, se vi state chiedendo chi ha informato la signora del bacio, sono stata io! Vi ho visti per caso, voi e la signora Warleggan, alla Chiesetta di Sawle. Non volevo finisse così, volevo solo si sentisse meno in colpa per le attenzioni dolci e sincere che riceveva da un uomo che finalmente si era accorto di quanto lei fosse speciale. Il tenente Armitage forse sta perdendo la vista, ma ha l'occhio molto più lungo e attento del vostro, per le cose belle. Volevo che la signora avesse il suo attimo di felicità".

Ross spalancò gli occhi, si sentì furioso, l'avrebbe volentieri presa a calci nel sedere e sbattuta in mezzo a una strada se non fosse stato sommerso di problemi come in quel momento. "Come hai potuto?".

"E voi, come avete potuto ferirla ancora?" - ribatté Prudie, con sguardo di rimprovero.

Ross impallidì. Come poteva ribatterle? Prudie aveva sbagliato a dire a Demelza la verità, non erano affari suoi. Ma la verità era che il primo e vero errore era stato il suo, che non aveva voluto aprirsi con sua moglie. "Dai un occhio ai bambini, devo andare" – le disse, rabbioso e desideroso di prendere una boccata d'aria per calmarsi.

"Dal tenente Armitage?".

Ross scosse la testa. "No, vado alla miniera a prendere a picconate le rocce. Per oggi non farò nulla, magari la cosa si risolverà da sola entro stasera. Se per domani non sarà tornata, allora andrò a casa di Hugh a riprendermi mia moglie. O ad avere sue notizie. Lei tornerà, se non per me, per i bambini e per Garrick". Lo affermò con sicurezza, anche se in realtà non aveva più certezze. L'ultima, Demelza, si era frantumata in mille pezzi e ora era un uomo solo, in balìa degli eventi.


...


La luce del sole le ferì gli occhi. Aveva dormito profondamente per tutta la notte e ne era stupita. Dopo tutto quello che era successo, con tutte le preoccupazioni che le sue scelte le avevano comportato, credeva che non avrebbe chiuso occhio.

Invece, forse, la stanchezza infinita che provava nel fisico e nell'animo avevano vinto e dopo aver pianto fra le braccia di Hugh tutto il suo dolore, si era addormentata con lui accanto.

Aprì gli occhi e si guardò attorno, riconoscendo odori, colori e rumori di quel luogo che la riportava alla sua infanzia. Era sporco e coperto di polvere ma in quel momento considerava quel mulino la sua unica casa.

Hugh era già sveglio, seduto accanto a lei. Era spettinato e con la camicia stropicciata e non ricordava di averlo mai visto in quello stato. "Buongiorno" – le disse, esibendosi in un sorriso.

Demelza deglutì. Era suo amico, ma come doveva considerarlo? Anche un amante? O semplicemente una scintilla abbagliante che aveva illuminato il periodo più cupo della sua vita? "Buongiorno" – rispose, decidendo che non importavano i titoli, amico o amante o qualsiasi altra cosa, importava solo l'affetto che provava per lui e il modo dolce in cui si era preso cura di lei.

Demelza si mise seduta, sistemandosi i capelli spettinati. Doveva avere un aspetto orribile! "Che ore sono? C'è molta luce".

"E' tardi, hai dormito molto e come un ghiro". Hugh le sfiorò la spalla, costringendola a guardarlo in viso. "Come stai?".

Già, come stava? Demelza osservò la finestrella che dava sul torrente, attratta dal rumore dei flutti e dal canto felice degli uccelli. "Mi sento uno schifo! I miei bambini mi staranno cercando e avranno pianto... La sera io e Ross li mettiamo a dormire assieme, ma al mattino sono io che vado a svegliarli, che li sistemo e li faccio mangiare. Saranno spaventati... E io non posso farci niente!". Sentì le lacrime far di nuovo capolino, assieme ai sensi di colpa. "Sono una persona orribile Hugh, li ho abbandonati e sono ancora così piccoli".

Hugh la abbracciò. "Non li hai abbandonati e credo che ti spalancheranno la porta a Nampara, se torni. Non puoi stare qui".

Demelza scosse la testa. "Ma non posso nemmeno stare a Nampara, non più... Fra me e Ross stavolta è finita, non voglio più continuare questa vita, non voglio più vederlo correre da lei, passare le giornate chiedendomi se è alla miniera a lavorare oppure se mi ha mentito ed è con Elizabeth da qualche parte. Se in un matrimonio non c'è fiducia... se non c'è amore... né rispetto... che senso ha continuare?".

Hugh abbassò lo sguardo. "Io non sono sposato e ho una visione diversa, romantica dell'amore. Non so nulla delle dinamiche di una coppia sposata, inseguo l'amore nel termine più autentico del termine, quell'amore che vive alimentandosi della presenza dell'altro, mai intaccato dal mondo".

Demelza provò tenerezza per lui e per quelle parole dette da una persona sicuramente spinta da un temperamento romantico ma in fondo molto ingenuo. "Gli amori così non esistono, gli amori veri sono quelli dove si soffre e si combatte e si rimane uniti. Quello mio per Ross, evidentemente, non era così forte da superare gli ostacoli".

"Eppure noi" – insistette Hugh – "Ieri siamo stati 'AMORE', quello nel vero senso del termine".

Demelza sorrise, non voleva ferirlo ma non voleva nemmeno illuderlo. "E' stata la scintilla di un momento. Questo non esclude i sentimenti ma ciò che è successo fra noi non è un punto d'arrivo. E nemmeno di partenza... E' successo e basta e ne serberò sempre il ricordo e sarà un ricordo bello in mezzo ai mille ricordi orribili di questi giorni. Ma il vero amore, quello costruito mattone su mattone, è altro, forse meno romantico e poetico ma più profondo di quello cantato nei poemi. E ti auguro un giorno di conoscerlo".

Hugh sospirò, non convinto da quella spiegazione. "Per me resterai sempre bella come Monna Lisa e l'amore della mia vita. Anche se non lo sono per te".

"Lo so Hugh, so cosa provi..." - rispose tirandosi su e arrendendosi al suo atteggiamento tenero e gentile. "Ma oggi il mio animo non è votato al romanticismo". Si guardò attorno, decisa a cambiare argomento. Se quella doveva essere la sua casa, doveva renderla tale e c'era molto da fare! "Devo pulire questo posto, renderlo accogliente, sistemare il camino, tagliare la legna, fare mille cose e...".

Hugh le prese il polso, costringendola a risedersi. "Demelza, no! Questo è un posto incantevole ma non puoi vivere qui. Devi tornare a Nampara, quanto meno devi parlare con Ross e i bambini. Non puoi andartene lasciando tutto così in sospeso, li farai impazzire dalla preoccupazione. Se non vuoi farlo per tuo marito, fallo almeno per i tuoi figli, loro ti amano e tu ami loro".

"Non me la sento, non ancora" – rispose, sentendosi impotente e spaventata all'idea di rimettere piede a Nampara perché sapeva che se fosse tornata, non sarebbe più riuscita ad andarsene. Era una dannata codarda, ma aveva bisogno di riordinare le idee. Anche se questo avrebbe distrutto la serenità dei suoi figli...

Hugh sospirò, sconfitto. "Ti aiuterò io a sistemare questo posto, tornerò a casa e ti manderò degli operai che faranno il lavoro come tu vorrai. Renderanno questo posto accogliente, in modo che tu possa rasserenarti e ospitare i tuoi figli. E pian piano, quando sarai più serena, ti riconcilierai con Ross".

Demelza sbuffò, Hugh era così insistente. Ma forse questo dipendeva dalla sua educazione nobile che, nonostante quanto successo fra loro il giorno prima, si rifiutava di accettare l'idea di una moglie che lasciava il marito e i figli. "Suppongo che sarò costretta ad accettare e che non mi farai ribattere".

Hugh si alzò, sistemandosi la camicia. "Beh, vedo che hai imparato a conoscere la mia determinazione nell'ottenere quel che voglio".

Demelza mascherò un sorriso. Beh, per quel lato del suo carattere, c'erano stati mesi di incessante corteggiamento a testimoniare quanto lui fosse testardo. "E' meglio che torni a casa, saranno preoccupatissimi".

Hugh annuì. "Manderò qui quanto prima una cameriera con del cibo e gli operai che ti ho promesso. Voglio che tu stia bene e che non ti manchi nulla".

Le venne da sorridere, davanti a quelle premure. In realtà non aveva per niente fame ma sapeva di non poter obiettare. "Grazie".

"Di nulla. Oggi dovrò predisporre tutto, domattina però verrò a trovarti. Tu cerca di star bene".

Demelza annuì, gli si avvicinò e lo aiutò a sistemarsi il colletto della camicia e il gilet. Poi lo baciò sulla guancia, con affetto. "Grazie Hugh".

"Grazie a te". Forse avrebbe voluto un bacio diverso, ma nonostante questo gli sorrise con dolcezza. "Cerca di star bene".

"Lo farò".


...


I bambini avevano fatto dannare per tutta la durata della cena, troppo irrequieti e nervosi per mangiare e stare composti a tavola.

Clowance aveva lanciato il cibo per terra – e Garrick ne aveva approfittato – mentre Jeremy aveva piagnucolato tutto il tempo e Prudie era stata costretta ad imboccarlo.

Ross si sentiva impotente. Sapeva che erano capricci quelli, ma sapeva anche che avevano tutto il diritto di farli e di sfogarsi nel modo consueto che usavano i bambini.

Il dolore alla testa non era scomparso, anzi era aumentato. E, anche se le speranze erano poche, aveva voluto credere che Demelza sarebbe tornata a casa.

E invece era sera e di lei non c'era traccia... Il giorno dopo, volente o nolente, avrebbe dovuto cercarla e mettere da parte il suo orgoglio. Sembrava svanita nel nulla, inghiottita dalla brughiera, nessuno l'aveva vista dal giorno prima al porto.

Prudie prese in braccio i bambini, dicendo che li portava a fare il bagno e Ross, rimasto solo, gettò con stizza il tovagliolo sul tavolo.

Cosa avrebbe fatto? Come avrebbe vissuto se lei non fosse tornata? Come avrebbe spiegato ai suoi figli l'assenza della madre?

Improvvisamente, i suoi pensieri furono interrotti da un violento bussare alla porta. Stranito dall'orario - era ormai buio - si avviò alla porta per vedere chi fosse. Non poteva essere Demelza, lei non avrebbe mai bussato...

Eppure non aspettava nessuno, se non lei...

E la sua sorpresa fu enorme quando, aperta la porta, si trovò davanti Hugh Armitage.

  
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