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Autore: Sospiri_amore    15/10/2017    1 recensioni
TERZO LIBRO DI UNA TRILOGIA
Elena se ne è andata via da New Heaven appena finite le scuole superiori, da ragazza ha lasciato gli USA per l'Europa. Tutte le persone a cui ha voluto bene l'hanno tradita, umiliata e usata.
Dopo quattordici anni, ormai adulta, Elena incontrerà di nuovo le persone che più ha amato e odiato nella sua vita, si confronterà con loro rivivendo ricordi dolorosi.
Torneranno James, Jo, Nik, Adrian, Lucas, Kate, Stephanie, Rebecca più altri personaggi che complicheranno e ingarbuglieranno la vita di Elena.
Come mai Elena è tornata in America?
Chi è il padre di suo figlio?
Elena riuscirà a staccarsi dal passato?
Chi si sposerà?
Riusciranno i vecchi amici a trovare l'armonia di un tempo?
Elena riuscirà ad amare ancora?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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OGGI:
Quando il telefono squilla






Fisso fuori dalla finestra e nonostante ci sia molta gente per strada è come fossi cieca e sorda. I suoni sono attutiti dalle finestre del mio ufficio, doppi vetri che mi isolano da tutto e tutti. Il vapore del mio fiato sui vetri ghiacciati appanna la mia visuale.

Non fa niente, non mi importa di quello che succede fuori visto che ho un terremoto che mi scuote dentro. Ronzano nel mio cervello le parole di Nik e James, è come si confondessero, come se fossero la stessa persona, come se fossero fusi in un unico animo. 

Entrambi hanno giocato con i miei sentimenti, mi hanno usata per dimostrare non so cosa, quasi fossi un oggetto di loro proprietà. 

Nik organizza un picnic nel suo ufficio solo per mettersi in mostra con James. 

James mi fa il terzo grado in ascensore rivangando momenti passati e archiviati.

 

Sono confusa.

Se aggiungiamo a questo la mail di Tess siamo a posto.

Ho una sorellina piccola che non sapevo di avere.

 

E pensare che ero quasi riuscita a smetterla con i drammi, eppure da quando sono andata alla mostra di Kate mi ritrovo talmente invischiata che mi sembra di camminare nel miele. Ogni mio passo è rallentato, tutto è più faticoso e faccio fatica a respirare. Sprofondo.

 

Il computer portatile acceso sulla scrivania emette piccoli trilli, sono le mail di lavoro. Le ignoro. Sono talmente indietro che dovrò portarmi le traduzioni a casa e lavorare la notte. Il problema è che con la testa che mi ritrovo, persa in pensieri contorti, mi riesce difficile concentrarmi su una cosa troppo a lungo. Lavoro male. Non porto a termine una traduzione. Mischio i documenti. Un vero caos.

 

Tra i vetri appannati dal mio respiro noto dei nuvoloni grigi che minacciano neve. Istintivamente chiudo i lembi del maglione che indosso come se volessi proteggermi dal freddo. Non posso sentire quel gelo perché sono al chiuso, ma un brivido mi trapassa da capo a piedi come fossi nuda per strada. 

Un freddo intimo, privato.

Un freddo senza fine.

Confusione, ho solo tanta confusione.

 

Con il palmo della mano pulisco il vapore che mi impedisce di vedere con chiarezza la strada. Mauro entra ed esce dal Petit portando grossi sacchi della spazzatura verso i cassonetti. Instancabile pulisce il marciapiede davanti al ristorante raccogliendo le cartacce di maleducati o erbacce spuntate tra le crepe dell'asfalto. Il suo movimento è l'unica cosa che riesce a distrarmi in questo momento, l'energia di quel vecchietto è terapeutica, mi fa sentire meno sola.

È come se fosse una macchia di colore in un quadro grigio.

La nota viva che riesce, con semplicità, a dare energia a tutto il resto.

 

Mi affaccio. «Mauro. Mauro», lo chiamo agitando una mano in aria forse perché ho voglia di staccarmi dai miei pensieri dato che non devo dirgli qualcosa di preciso.

L'uomo si ferma. Guarda a destra e sinistra, poi si accorge di me. Mi saluta con vigore, come fa sempre:«Non sapevo fossi in ufficio. Come sta il piccolo?».

«Bene. È molto eccitato di passare il suo primo Natale qui a Boston, non vede l'ora».

«Luca passa il Natale lavorando. Il suo professore lo vuole portare come assistente in una serie di conferenze», dice orgoglioso, «Sono cose di computer e diavolerie simili. Le cose moderne che piacciono ai giovani».

Sorrido, mi fa sempre molta tenerezza quando parla del nipote:«Quindi per il 25 Dicembre sei libero?».

Il vecchio allarga le braccia sconsolato, alza leggermente le spalle.

«Vieni da noi. Sebastian ti adora. Un Natale italiano a Boston, non male come idea?», gli dico mentre sento il mio cellulare squillare da dentro l'ufficio.

«Va bene», noto una certa commozione sul volto di Mauro. Passare qualche ora con lui farà bene a me e anche al mio piccolo.

«Adesso vado, il lavoro mi chiama», gli dico mimando con il pollice e l'indice una cornetta telefonica invisibile. «Dopo scendo, devo pagare l'affitto al tuo capo».

Mauro annuisce.

 

Chiudo la finestra bloccando l'aria ghiacciata fuori.

 

Prendo il cellulare, è l'ufficio di Nik.

Rispondo, è da un paio di giorni che non ci sentiamo.

 

«Pronto».

«Pronto Elena. Sono Caroline». Una voce femminile diversa da quella che mi aspetto è dall'altra parte dell'apparecchio.

«C-Caroline?», sono colta alla sprovvista.

«Scusa se ti chiamo, ma... ma...». La donna tentenna e parla a bassa voce.

«È successo qualcosa a Nik? Sta male?», gli chiedo preoccupata.

«Sì... cioè... No. Lui è molto cambiato dopo quello successo qui nello studio legale. Lavoriamo insieme da anni e raramente l'ho visto così. In ufficio c'è un'aria tremenda, molto tesa. Tra cause difficili e problemi personali tra gli avvocati».

 

Caroline si riferisce a Nik e James come è ovvio.

 

«Mi dispiace». Sono sincera, ma non so cosa altro dire.

«Il regalo di Nik, le rose e tutto il resto, era dettato dal cuore. Ci abbiamo messo ore per organizzarlo. Mentre lui sistemava i fiori io preparavo il cesto del picnic. Era molto emozionato, mi ha detto che voleva che tutto fosse perfetto. Credimi quando ti dico che lui ti ama, dice cose talmente belle su di te». Caroline parla con molto impeto.

«Grazie. Il fatto è che ci sono altre cose in ballo, non è tutto così semplice».

«Lascia perdere il passato. Guarda avanti. Se avessi la fortuna di essere amata come lo sei tu non mi farei scappare un uomo d'oro come Nik». Caroline è sincera, diretta. Siamo entrate subito in sintonia, è come se la conoscessi da sempre. Capisco il suo intento, ma non so se le cose con Nik torneranno più come prima. Lo vedo con occhi diversi.

«Grazie, lo terrò presente», le rispondo.

«Ti ricordi cosa mi hai detto in ufficio l'altro giorno? Mi hai detto che Nik perdona sempre. Non riesci proprio a perdonarlo tu per una volta? Non so cosa sia successo l'altro giorno, all'improvviso ho sentito urlare e tu sei scappata». Le parole di Caroline risuonano nell'aria come se ci fosse un'eco che fa rimbalzare i suoni sulle pareti del mio cervello.

 

Perdonare.

Scappare.

 

Come faccio a spiegarle che tutte e due le cose che mi chiede sono tra le più difficili per me. Scappare è legato al mio essere, è un istinto di sopravvivenza che mi ha permesso più volte di sopravvivere. 

Perdonare è come voler dire dimenticare. Impossibile.

 

«Ci penserò. Grazie per avermi chiamata. Ciao». Riaggancio.

 

Mi odio.

Possibile che non riesca a farmi scivolare addosso le cose?

Possibile che tutto mi colpisca e mi ferisca in questo modo?

 

Provo a mettermi a tradurre l'ultimo acquario della nuova serie. Ho davanti a me il testo, ma continuo a rileggerlo senza arrivare al dunque. Lo schermo illumina il mio volto stanco e pensoso, incapace di liberarsi dai suoi fantasmi.

Controllo rapidamente le mail sperando di trovare l'ispirazione. Scorro in cerca di un perché, di qualcosa che mi faccia smuovere e mi dia la carica giusta, ma trovo solo le mail della mia titolare e dei clienti che seguo in Connecticut.

 

Poi leggo.

 

Invito al compleanno di Maggie Voli.

 

... Ciao Elena, come stai?...

 

... Kate ci ha detto che sei a Boston e che sei andata alla sua mostra...

 

... Mi renderebbe davvero felice poterti invitare alla festa di compleanno di Maggie...

 

... La nostra vita è vuota senza di te...

 

Mi sento uno schifo. Con le mani mi copro il volto. Come ho potuto abbandonare mio padre per quattordici anni? Come ho potuto tenere lontano suo nipote? Come ho potuto dimenticare quello che mi ha insegnato mia madre? 

 

L'amore vince tutto.

L'amore è il motore della vita.

 

Piango. I singhiozzi fanno sussultare il mio petto come mai prima. Mi sento piccola come avessi l'età di Sebastian. Come quando a cinque anni si è ancora capaci di esprimere con sincerità e senza malizie i propri sentimenti.

Se voglio rendere la mia vita migliore devo darmi una mossa, smetterla di piangermi addosso e affrontare il mio passato. 

Un passo alla volta.

Non posso più scappare da chi sono stata e da cosa sono adesso.

Devo fare i conti, soffrire davvero e non aver paura delle conseguenze.

La vita è troppo breve per essere sprecata in questo modo, da vigliacchi.

 

Papà. 

Devo vedere il mio testardo, cocciuto, pasticcione papà.

Voglio abbracciarlo, chiedergli scusa. 

Voglio che conosca Sebastian e se ne innamori.

Voglio conoscere mia sorella e cercare di farmi perdonare da Tess.

Sono stata così cieca e stupida, così terrorizzata. Credevo che quello che ero stata fino ad allora potesse cambiare con l'arrivo di Tess e quindi distruggere la mia identità. Avevo paura che l'arrivo di una nuova donna per mio padre avrebbe eliminato il ricordo di mia madre. La mia reazione è la cosa peggiore che potessi fare. Ho infangato ciò che mamma mi ha insegnato.

 

Affrontare.

Lottare.

Amare.

Accettare.

Sorridere.

 

Sempre.

 

Con le mani umide e il trucco sciolto mi infilo il cappotto, sciarpa e guanti.

Adesso so quello che devo fare. Ho trascinato questa storia troppo a lungo, devo fare in modo che tutto vada nella direzione che avrebbe dovuto prendere quattordici anni fa. 

 

Esco dal mio ufficio sbattendo la porta.

Per strada trovo Mauro che fischiettando pulisce la grande vetrata del ristorante. 

Lo travolgo come una furia, gli saetto così vicino che quasi gli faccio perdere l'equilibrio.

Entro nel locale dove un paio di ragazze stanno girando le sedie sui tavoli per pulire il pavimento. Un ragazzo sta sistemando calici e bicchieri di cristallo sul bancone. 

Li saluto al volo, mi precipito verso una piccola porta sul retro dove trovo il direttore del ristorante.

 

«Buongiorno. Sono venuta a pagare l'affitto», dico ad alta voce tutta pimpante.

L'uomo mi accoglie con una faccia tra lo stranito e il divertito, di certo non si aspettava un ingresso del genere: «Certo. Certo, Signora Voli. Lasci che prenda il registro, il proprietario ci tiene che le cose siano fatte in regola».

Saltello sul posto come se stessi allenandomi per la maratona.

L'uomo si mette gli occhiali e apre un registro dove annota, mese dopo mese, le entrate del mio affitto. Con dovizia segna il giorno e il mese:«Sono 200$?», mi chiede mentre conta le banconote che gli ho allungato.

«Sì», dico con la voce un po' più alta del normale.

«Posso permettermi di dirle una cosa? Oggi mi sembra più radiosa. Nelle ultime settimane l'ho vista più pensosa. Sono felice che le cose vadano meglio», mi dice mentre mi stringe la mano.

«Grazie. Diciamo che ho urgenza di fare una cosa e sono elettrizzata. Spaventata, ma elettrizzata», dico senza filtri.

«Bene. Ci vediamo il mese prossimo», dice il Direttore sorridendo del mio entusiasmo.

Senza aggiungere altro mi accompagna alla porta del suo ufficio salutandomi con una lieve pacca sulla spalla. Le cameriere in sala ridono appena mi vedono correre per il ristorante, il ragazzo al bancone per poco non rovescia un vassoio colmo di cristallerie che tiene in mano.

Mentre varco la porta del locale cerco il mio cellulare dalla borsa. 

Cerco nella rubrica telefonica un numero. 

Lo osservo bene. 

Lo conosco a memoria.

Prendo un grosso respiro.

Stringo i denti.

Schiaccio.

La telefonata è partita.

 

Aspetto.

 

Aspetto.

 

Una voce risponde dall'altra parte.

Una voce che non sento da quattordici anni: «Pronto? Chi parla», mi chiede.

«Buongiorno Geltrude, sono Elena. Elena Voli», dico sperando che la donna abbia una reazione positiva alla mia telefonata.

«Cara ragazza, ti sembra questo il modo di contattarmi? È da undici mesi che non ricevo una tua lettera. Dove sei sparita? Questo lo considero un vero e proprio affronto», mi dice con un modo unico che la caratterizza e la rende speciale per quello che è.

«Sono a Boston, vivo qui. Ho bisogno di lei. Va bene se passo tra un paio di giorni con una mia amica? L'ho chiamata perché deve aiutarmi con mio padre», le dico tutto in un fiato.

La vecchia borbotta. C'è qualche secondo di silenzio: «Ti sembra il modo di darmi notizie simili. Perché non mi hai avvisata prima?».

«La prego. Ho bisogno di lei».

«Solo se mi porti una vaschetta di gelato e il piccolo Sebastian. Voglio vedere dal vivo il piccolo, chissà quanto è cresciuto dall'ultima foto che mi hai mandato», mi dice sbuffando.

«Sarà fatto», le dico mentre gli occhi mi si riempiono di lacrime.

 

È ora di mettere in ordine i guai che ho combinato.

È ora di sistemare tutto quello che ho lasciato in sospeso.

Un passo l'ho fatto, Geltrude sarà al mio fianco quando incontrerò mio padre.

Devo contattare solo un'altra persona, un'amica che mi potrà sostenere come nessuno mai.

È ora di chiedere scusa anche a Kate.

 
   
 
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