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Autore: Luxanne A Blackheart    16/10/2017    2 recensioni
"Noi due siamo uguali, anche se diversi, Zafiraa. Siamo uguali perché siamo stati rinnegati. Siamo diversi perché distruttivi in modo differente: tu come la neve, io come il fuoco."
Zafiraa ha diciotto anni e due problemi. È albina e una piratessa, una delle più temute ed odiate dei sette mari. Fattori questi che rendono il sopravvivere,  in una società fortemente maschilista e  superstiziosa, molto difficile.
Zafiraa ha un rivale che cerca di catturarla, direttamente imparentato con il sultano, che la vuole morta dopo il torto subito.
Ma non appena le loro spade affilate si incontreranno, capiranno di essere due animi affini i cui destini e passati sono fortemente collegati fra di loro.
Sono neve e fuoco.
Sono rinnegati dalla stessa terra.
Sono un uomo e una donna che non hanno un posto nel mondo e che cercheranno di crearselo. Insieme, separatamente, chi può dirlo?
L'importante è che due occhi verdi da cerbiatta e capelli rossi come il fuoco non muovano le carte in tavola, girandole a proprio favore. Perché il tempo passa per tutti, ma le abitudini restano.
Segreti mai rivelati, bugie, odi repressi e amori proibiti e immorali... siete pronti a rientrare a Palazzo Topkapi e vivere una nuova avventura?
Genere: Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rinascimento
Capitoli:
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-Devo andare, Zafiraa, ci vediamo dopo, nella speranza che tu non scappi di nuovo. - Mustafà le sorrise, un vero sorriso, accarezzandole la guancia. Si guardarono per un po' negli occhi, imbarazzati e non sapendo bene cosa fare; nessuno dei due era pratico di quel genere di cose. Non sapevano cosa fosse l'amore romantico fino a qualche secondo prima e adesso si trovavano catapultati in quella situazione strana, ma eccitante. - Devo andare da mio padre, sarà talmente arrabbiato con me per averlo ignorato! -
-Va bene, sì, ci vediamo. - Zafiraa abbozzò un sorriso, non alzando un muscolo e restando ferma, schiacciata contro la parete solida, molto più ferma delle sue gambe che avrebbero potuto cedere da un momento all'altro. Si sentiva andare a fuoco, maledizione a lui!
-Aspettami in camera mia, non ti muovere da lì per nessuna ragione al mondo! -
-E tu non fare pazzie con tuo padre, ricorda chi sono io e chi sei tu, o almeno per il momento. -
-Mi conosci, non faccio mai pazzie! - Mustafà le sorrise, stampandole un veloce bacio sulle labbra, prima di fuggire via, veloce come il vento.
-E proprio perché ti conosco che so di cosa sei capace quando sei felice. Sei sempre imprevedibile. - Sussurrò.
Lei, aggrappandosi ai muri, riuscì ad uscire da quell'umidiccio passaggio segreto, riuscendo anche a respirare dell'aria pura. Si fermò su uno dei balconi che davano sull'enorme giardino e guardò in alto, su nel cielo azzurro e privo di qualsiasi nuvola. Il sole le pizzicava la pelle, ma lei non ci badò. Aveva imparato a sopportare il dolore, dopo una vita, e non se ne accorgeva quasi più.
Aveva bisogno di qualcosa o qualcuno che la riportasse alla realtà! Che cosa avevano fatto? Erano forse fuori di testa?
-Non andrà a finire bene. - Zafiraa sussultò, non avendola sentita arrivare. Si inchinò, abbassando lo sguardo e mettendosi in un lato all'ombra con le mani congiunte. La sultana era al suo fianco e la guardava in modo freddo e con un sopracciglio sollevato. Zafiraa deglutì, drizzando le spalle. Che cosa aveva fatto adesso, perché la guardava così?
-Che cosa, mia signora? Non capisco a cosa voi vi riferiate.-
-Lo sai benissimo, Zafiraa. Tu e il mio figliastro Mustafà. Anche un cieco non vedrebbe quello che provi nei suoi confronti e non cercare di negarlo, perché ci sono passata prima di te. -
-Voi non sapete proprio niente di me e di Mustafà, mia signora. Non sono affari che vi riguardano. - Zafiraa la guardò per la prima volta negli occhi e fu come guardarsi allo specchio. Quella situazione la destabilizzò per qualche secondo, prima di riprendersi.
-Oh, certo che lo so, figliola. -
-Non sono vostra figlia. -
Hurrem sorrise, squadrandola da capo a piedi. - Certo che non lo sei. Come potresti? Ad ogni modo, non sognare a lungo. Sei solo una serva, Mustafà è un principe ed è giusto che lui si sposi e abbia degli eredi da delle principesse o per lo meno da donne di alto lignaggio, non da nullità come te. Metti fine a tutto questo, prima che lo faccia lui e ti spezzi il tuo povero e ingenuo cuore. - Hurrem le si avvicinò, afferrandole il viso con una mano. Zafiraa la spinse via, guardandola male.
-Voi eravate la puttana di vostro marito, eppure siete qui adesso. Cosa mi impedisce di fare lo stesso? - Zafiraa si inchinò, nascondendo un sorriso. - Vostra magnificenza, con permesso, devo andare a sbrigare le mie mansioni da serva inutile quale sono. -
Zafiraa le diede le spalle, andando nell'unico posto nel quale avrebbe voluto essere. Da Mehmed a sentirsi coccolata e capita. Dopotutto, adesso, era suo cognato.




Mustafà, prima di recarsi da suo padre, andò a cambiarsi. Indossando il primo completo che aveva trovato nel suo baule. Il sultano era solo nell'enorme sala del trono, seduto sulla sua sedia regale. Della onnipresente moglie non c'era nessuna traccia.
L'erede al trono si inchinò, sorridendo colpevole, quando il padre gli rifilò una occhiataccia. Era talmente invecchiato, pensò tra sé, che non sembrava neanche lui. Aveva lo sguardo perso tra i ricordi, annacquato in lacrime che versava ormai da tempo per la perdita di una fratello e per il senso di colpa. La vita lo aveva premiato, era stata più che generosa con lui, avendogli dato un titolo, ricchezza, amore, anche se la donna che amava e lo amava era discutibile, e tanti, innumerevoli figli, che avrebbero continuato a portare il suo nome per generazioni intere. Aveva vissuto tanti anni, e adesso che era vicino ai cinquanta, poteva ritenersi soddisfatto della vita che aveva fatto. Ma per tutti c'è dolore, ci sono i sensi di colpa e la sua portava un nome preciso: Ibrahim.
E probabilmente questo senso di colpa, unito allo stress di dirigere un impero vasto come quello ottomano e in continuo ingrandimento, lo aveva fatto invecchiare in dismisura.
-Padre, sono venuto a scusarmi per il mio comportamento inammissibile di poco fa. -
-Ah, bene, vedo che tu non abbia perso del tutto le buone maniere, Mustafà. -
-Lo so, so di aver sbagliato e di essermi comportato in maniera molto scortese con tutti e soprattutto con Fatma, che è così una dolce e semplice creatura, ma avevo delle questioni personali da sbrigare. -
-Quanto personali, Mustafà? Talmente più importanti da farti ignorare la tua futura moglie? - Il sultano alzò il sopracciglio, serio. Mustafà, nell'udire quelle parole, aggrottò le sopracciglia.
-Futura? Ma io non ho ancora deciso. Avevamo un patto, padre. -
-Patto che tu non rispetti affatto. Pensi solamente ad andare dietro a quella servetta malata. Devo intervenire io per farti riprendere, Mustafà, oppure ci riesci benissimo da solo? Oltre ad essere mio figlio, sei prima di tutto un mio suddito e come tale hai il dovere di portare rispetto a me e ai miei ospiti. - Selim assunse una sfumatura di rosso, si stava alterando.
-Mi dispiace, padre, non accadrà mai più. Voi avete ragione e sarò pronto a scusarmi con Fatma tutte le volte necessarie per ricevere il suo perdono. Non intendevo ferire la sua persona in nessun modo. -
-Eppure lo hai fatto. Devi cominciare a comportarti bene, caro figliolo, mettendo da parte la tua immaturità e pensando bene alle scelte che fai. Altrimenti sarò costretto a prendere dei provvedimenti seri. -
-Ovvero? -
-Escluderti dalla successione al trono. Se mi deluderai, cosa che i tuoi fratelli non fanno, sarò costretto, alla mia morte, a dare il mio posto a tuo fratello Selim. -
-Che cosa? Padre non starete dicendo sul serio! E' mio di diritto come tuo primo figlio. Mi sono allenato per tutta la vita. Ho rinunciato a tutto per diventare un degno erede! - Mustafà non sapeva descrivere tutte le emozioni che provava in quel momento. Deluso, arrabbiato, messo da parte dal suo stesso padre. C'era qualcosa di peggio?
-Allora fa' in modo che tutto questo finisca e cerca di non deludermi. Tu e Fatma siete giovani e avrete modo di innamorarvi col tempo. L'amore è sopravvalutato molto spesso. Quella serva non è alla tua altezza e sarà solo una piccola infatuazione. -
-Sì, padre, avete ragione. Oggi stesso andrò a scusarmi con Fatma e le chiederò se vuole farmi il piacere e l'onore di diventare mia moglie. - Sapeva fosse inutile discutere con suo padre, doveva avere ragione, era il sultano e aveva il potere di fare tutto ciò che aveva detto.
-Benissimo. A quel punto potremmo organizzare tutto il matrimonio. -
-Posso andare? -
-Sì, certo. E Musafà, hai fatto la scelta migliore, non te ne pentirai. -
Il principe ereditario si inchinò e senza degnare di un altro sguardo il padre, andò a cercare la sua futura moglie.






Ibrahim aveva guardato Fatma così a lungo che temeva che da un momento all'altro la bella ragazza si consumasse all'improvviso e svanisse nel nulla. La nobildonna aveva fatto finta di niente, probabilmente abituata nel sentirsi osservata a causa della sua bellezza, e gli sorrideva di tanto in tanto.
Si trovavano a pochi metri di distanza nel grande giardino di palazzo Topkapi, ricco di qualsiasi tipo di fiore. Era affascinata dalle rose bianche, le più belle di tutte l'impero e le accarezzava, sentendone il profumo di tanto in tanto.
Alla fine, neanche si ricordava il come e il perché, la ragazza gli si era avvicinata e avevano iniziato a parlare, prima con dell'imbarazzo e poi con più confidenza del più e del meno. Avevano scoperto che ad entrambi piaceva il giardinaggio, veder crescere e prendersi cura delle piante li faceva sentire in pace col mondo, li rilassava e semplicemente era qualcosa che avrebbero potuto fare per l'eternità. Non avevano paura di sporcarsi le mani di terra, cosa che a quelli del loro lignaggio, faceva svenire solo il pensiero.
Erano dei tipi molto solitari e timidi e per questo non apparivano particolarmente affascinanti, aldilà della loro bellezza, agli occhi della gente.
Avevano parlato e riso talmente a lungo che ad Ibrahim sembrò di conoscerla da una vita ormai. Al suo fianco non si sentiva stupido, impacciato o una nullità come accadeva con il resto delle ragazze, persino con Zafiraa, che era molto disponibile. No, con lei si sentiva se stesso, un semplice ragazzo, che stava per diventare uomo, al quale piaceva il giardinaggio invece delle spade o delle armi in generale.
-Mi ha fatto veramente piacere conoscervi, Ibrahim Sultan. E' così difficile farsi degli amici per me, che averne trovato uno è un sollievo! Posso chiedervi una cosa? - Fatma si era fatta molto seria, le guance le si erano imporporate di rosso, imbarazzata; gli toccò il braccio con la piccola mano delicata, mentre i suoi grandi occhi lo guardavano con una sincerità e intensità tale da farlo arrossire e farli battere il cuore in maniera orgogliosa. Era così patetico, pensò, essere già pazzo di lei dopo poche ore di conversazione. Gli sembrava di essere un disperato che alla minima attenzione femminile perdeva la testa. Che uomo era! Fantasticava sulla futura moglie di suo cugino.
-Potete chiedermi qualsiasi cosa voi vogliate, mia signora. - sussurrò, sporgendosi maggiormente verso la ragazza.
-Come vi sembro? Sono solo come appaio oppure c'è qualcosa di più sotto? -
-Oh, Fatma, voi siete la creature più incantevole, modesta, di buon animo e che maggiormente ne capisce di giardinaggio che io conosca! Se non foste la promessa sposa di mio cugino Mustafà, vi sposerei all'istante. - Rendendosi conto di ciò che aveva appena finito di dire, sgranò gli occhi, facendo un passo indietro, ma sfortuna volle che inciampò sui suoi stessi piedi e cadde tra le stesse rose che fino ad un momento prima i due stavano ammirando. Divenne rosso all'istante e si maledì per essere talmente maldestro e goffo. Cos'aveva che non aveva?
Fatma rise, portandosi una mano al viso, vedendolo in quella scena comica. -Allah, non dovrei ridere, mi dispiace, ma siete così buffo e adorabile. Aspettate, vi aiuto. -
-No, non ce n'è bisogno, non scomodatevi, mia signora, sono un uomo e sono in grado di occuparmi da solo di me stesso. - Ibrahim sbuffò, cercando di rialzarsi, ma non sapeva dove mettere le mani, poiché le spine appuntite delle rose gli si infilavano nei palmi delle mani. Aveva spine dappertutto, persino in posti nei quali è meglio che le spine non finiscano. Provò a rialzarsi per due volte di fila, ma i suoi tentativi erano vani e inutili. Guardò Fatma che continuava a ridacchiare e disse: -L'offerta è ancora valida? -
-Certo, che lo è, mio signore. - Fatma gli offrì la mano e Ibrahim riuscì finalmente a rialzarsi senza sforzi. Aveva rose infilate ovunque nella giacca, tant'è che ne prese due e le porse alla ragazza, sorridendole in modo adorabile. - Queste sono per il vostro aiuto. Capirò se non vorrete parlarmi mai più. -
Fatma arrossì, ma sorrise, mandando via l'imbarazzo. Lei prese le rose e sfiorò le dita ferite di Ibrahim; si guardarono per qualche secondo, trovandosi da tutt'altra parte. In un mondo più giusto magari, nel quale le persone si sposavano per amore e non per convenienza. Ibrahim la guardò negli occhi e capì, capì che per Mustafà non avrebbe mai provato nulla, nemmeno col tempo e capì che in lei c'era una sorta di grido d'aiuto. Non voleva quella vita e nemmeno lui al suo posto l'avrebbe voluta. -Sono i fiori più belli che qualcuno mi abbia regalato, grazie. -
-Non saranno mai quanto lo siete voi. - Si lasciò sfuggire, ma questa volta non arrossì. Era ciò che pensava realmente.
-Ibrahim, io non vo... -
-Mia signora, mi dispiace disturbarvi ma sono venuto qui per chiederle una cosa. - I due ragazzi si girarono e videro Mustafà, tutto riccioli scuri e arrabbiatura, dietro di loro. Da quanto era lì? Perché non l'avevo sentito arrivare? -Posso disturbarvi? -
-Sì, certo, Mustafà Sultan. Ditemi. - Fatma e Ibrahim si inchinarono, ma Mustafà sembrò nemmeno far caso a loro. Era come apatico, quel giorno, privo di emozioni. Non era il solito Mustafà. Era sicuramente successo qualcosa con suo zio.
-Allora io vado. -
-No, resta, cugino, resta. - Mustafà si schiarì la voce, grattandosi la guancia sinistra. Notò che avesse del sangue sulle nocche della mano destra. Aveva fatto a pugni con qualcuno? - Vorrei chiedervi immensamente scusa per il mio comportamento di questa mattina, mi rendo conto di essere stato maleducato e di avervi mancato di rispetto. Spero voi possiate perdonarmi, ma non l'ho fatto con cattive intenzioni. Ero solo occupato a cercare una... persona. - In quel momento Ibrahim lo vide, il dolore. Si trattava per caso di Zafiraa? Aveva sentito delle voci di loro due dai servi, ma anche da Alexandros e Mehmed, secondo cui Mustafà fosse come preso da una condizione di pazzia e si fosse messo a cercare Zafiraa per tutto il palazzo come un forsennato. Allora i loro sospetti erano reali, tra quei due c'era qualcosa.
-No, non preoccupatevi, mio principe. Non me la sono per niente presa, non sono quel tipo di persona. - Fatma sorrise, gentile. Ibrahim la guardò e sospirò, era così bella! Mustafà lo guardò, aggrottando le sopracciglia. - C'è altro che dovete chiedermi? Devo andare con vostro cugino dal guaritore, si è fatto male solo per soddisfare la mia strana voglia di avere la rosa più bella e adesso gli sanguinano le dita. -
Ibrahim la guardò, non capendo. Le sue dita godevano di ottima salute.
-Volete sposarmi? - Mustafà la buttò lì, velocemente e sbrigativo. Molto romantico.
-Oh... - Fatma fu presa contro piede ed ebbe un attimo di tentennamento, nel quale guardò Ibrahim, che scosse la testa. -Sì, Mustafà. -
-Bene, vi ringrazio. - Mustafà le baciò il dorso della mano e le sorrise in maniera molto forzata, prima di borbottare qualcosa su cene, matrimoni e padri e andarsene via. Lasciò due sbigottiti Fatma e Ibrahim a guardarsi in un mix di tristezza e disperazione.








A fine giornata Zafiraa più stanca che mai, si recò in camera di Mustafà. Non l'aveva visto per tutto il giorno e lui non aveva visto lei, quindi trovarlo in camera sua, intento a mangiucchiare dell'uvetta nera, mentre leggeva su un libro rilegato di nero, fu una gioia per gli occhi. Fino a quel momento non avevano mai passato così tanto tempo lontani l'una dall'altra, mai, e lei non si era mai accorta, come vederlo ogni giorno, fosse diventata una certezza. Trovarlo seduto da qualche parte nella sua enorme camera a fare qualsiasi cosa, mentre la aspettava per andare a letto, era anche strano, soprattutto in quella situazione particolare nella quale si trovavano. Non riusciva neanche a metabolizzarlo del tutto. Era successo fin troppo velocemente; il giorno prima erano acerrimi nemici e quello dopo erano una coppia. Ma avevano futuro?
Mustafà, nell'accorgersi della sua presenza, le sorrise. Zafiraa fece per fare lo stesso, ma si bloccò. Senso di colpa, urlava senso di colpa da tutti i pori. Lo conosceva, sapeva distinguere tutti i tipi di sorrisi che la sua faccia da schiaffi riusciva a fare.
-Che cosa hai fatto? - Mustafà si alzò, venendole incontro, ma lei mise le mani avanti, facendolo fermare. - Tu non poserai un dito su di me, finché non mi dirai che cosa succede qui. -
-Forse è meglio se ci sediamo, Zafiraa. -
Zafiraa annuì, torturandosi le pellicine della dita e lo seguì, andandosi a sedere al suo fianco. Si tolse le scarpe e incrociò le gambe, girandosi per guardare l'uomo che aveva sicuramente combinato qualche danno.
-Mio padre mi ha dato un ultimatum quando sono andato a parlare con lui questa mattina, dopo averti lasciata. Mi ha fatto un sacco di paranoie sul mio dovere da erede al trono, sul fatto che dovessi sposare una donna degna del mio lignaggio eccetera, eccetera, eccetera. E mi ha costretto, in un certo senso, a sposare Fatma. Le ho fatto la proposta qualche ora fa in giardino. Domani a cena verrà annunciato davanti a tutti. -
Zafiraa annuì, schiarendosi la voce. Fu come ricevere una pugnalata al cuore, fu come morire, si sentì a disagio, rifiutata, stupida. E non voleva mai sentirsi in quel modo. - Bene, quindi mi hai praticamente presa per il culo con tutte quelle belle parole?! -
-No, certo che no! - Musafà la prese per le spalle, avvicinando la sua fronte a quella della ragazza. Le bastò sentire il suo profumo per calmarsi in parte. -Ho dovuto farlo, mi capisci? Ma dopo questa, sono pronto ad agire e voglio te al mio fianco. -
-Che cosa stai farneticando, Mustafà? - Zafiraa lo guardò, non comprendendo il suo discorso. - Secondo me tutta questa storia, noi due... Non ha senso. Non siamo fatti per queste cose. -
-Io invece non credo. Siamo stati per troppo tempo da soli, abbiamo visto fare agli altri tutto ciò che volevamo fare noi che per la paura non abbiamo fatto. Ci siamo nascosti nella vita vera, perché ci sembrava abbastanza non farlo nella battaglia. E' tempo di rischiare, è tempo di uscire dai nostri stupidi gusci e darci una mossa. - Mustafà le sorrise, baciandole la punta del naso. Zafiraa sorrise, non riuscendo a dire niente. Era sempre perfetto nei discorsi, doveva concederglielo.
-Eppure ti sei sposato. -
-Dovere. -
-Lo sono stati anche i figli? Non mi odi per quello che ho fatto loro? -
-E tu non mi odi per quello che ho fatto ai tuoi genitori? - Zafiraa non rispose, chiudendo gli occhi e abbracciandolo forte. L'uomo ricambiò, stringendola con tutto il calore che riusciva a trasmetterle. Dovevano rischiare, aveva detto, e se avesse fatto male? Non voleva soffrire, non di nuovo, non ancora.
Zafiraa era stata innamorata solo una volta, tanto tempo prima, quando la sua testa era piena delle favole che sua madre le raccontava prima di addormentarsi, quando sospirava vedendo i suoi genitori amarsi in un modo tutto loro, guardarsi con quell'amore per il quale si ucciderebbe, l'unica cosa che ci separa dai mostri senza anima. Si era innamorata qualche tempo prima e si era sentita benissimo, poteva toccare il cielo con un dito, poteva portargli la luna, il sole e tutte le dannate stelle... Ma poi aveva fatto male, terribilmente male, si era sentita rifiutata, un mostro che non merita amore, una che non avrebbe mai baciato la prima volta, una che non avrebbe mai avuto nessuno che la guardasse nel modo in cui suo padre guardava sua madre. E poi si era fatta una ragione. Ogni tanto sentiva del vuoto dentro di sé, ma passava quasi subito, quando ricordava il male che faceva, male che superava il bene. L'amare era l'unica cosa davanti alla quale sarebbe fuggita, a meno che non ci fosse stato qualcuno che le avesse fatto cambiare idea.
E quel qualcuno era lui, l'uomo che la abbracciava e che le diceva cose che nessuno le aveva mai detto. L'uomo che l'amava nonostante il suo caratteraccio e la sua malattia. L'uomo che era andato oltre i suoi pregiudizi per lei.
-Devi darmi del tempo Zafiraa, devo cercare di risolvere questa cosa con mio padre. Devo far in modo di prendere il suo posto subito, prima che Hurrem gli riempia la testa di scemenze. E quando ce l'avrò fatta, quando sarò un dannato sultano, ti ridarò la tua libertà. Tu sarai la mia regina, la mia unica moglie, la mia sultana. Ma devo sapere che tu sarai al mio fianco, per tutto il tempo e che mi sosterrai. Sei l'unica che ho a questo mondo. Non ho nessuno. - Zafiraa sorrise, accarezzandogli i ricci scuri.
-Puoi contarci. - Zafiraa si staccò dall'uomo, estraendo il piccolo diario che Mehmed e Alexandros le avevano appena dato. Mehmed le aveva detto che apparteneva ad Ibrahim, suo zio, e trattava i suoi ultimi anni di vita, ovvero da quando aveva incontrato Hurrem in quel piccolo paesino russo, fino a qualche ora prima della sua morte.
Mehmed e Alexandros avevano iniziato a leggerlo assieme, quando suo fratello lo aveva trovato in un passaggio segreto, abbandonato a se stesso. Molto probabilmente a qualcuno era caduto e non era riuscito a ritrovarlo, oppure semplicemente volevano che non venisse trovato da nessuno, poiché quei passaggi segreti venivano usati solo in caso di attacco.
-Che cosa è? -
-E' il diario di Ibrahim, di mio zio Ibrahim, il Gran Visir. Mehmed e Alexandros lo hanno trovato per caso. Mi hanno detto di leggerlo, che mi avrebbe fatto piacere conoscere il fratello di mio padre, considerato che entrambi i miei genitori lo conoscevano. - Zafiraa scrollò le spalle, toccando la superficie liscia del diario. Non era molto grande, poteva benissimo stare in una mano.
-Io l'ho conosciuto. Mi ha fatto praticamente da padre, prima che Hurrem mi facesse andare via assieme a mia madre. Erano molto legati, lui e mamma. Probabilmente perché hanno passato lo stesso inferno. -
Zafiraa annuì, mangiucchiandosi la pellicina dell'interno guancia. - Dovremmo leggerlo, secondo te? -
-Perché no? Magari troveremo qualcosa di utile da poter usare contro Hurrem. E poi se realmente lo hanno trovato per caso, è perché qualcuno voleva che lo trovassimo e lo leggessimo. - I due si sistemarono meglio sul letto e Mustafà fece in modo che Zafiraa si accoccolasse tra le sue braccia. La ragazza aprì il diario, accarezzando le pagine. Aveva una bella scrittura, molto ordinata e precisa.
Lesse le prime dieci pagine nelle quali parlava di come stesse cercando invano una concubina per il sultano, suo grande amico e fratello; di quando trovò Roxelana, primo nome di Hurrem, per via dei suoi capelli rossi e di come ne era rimasto colpito. Lesse di quando i suoi genitori lo portarono, assieme alla rossa, a Costantinopoli e pianse, leggendo i loro nomi e della visione che aveva avuto sua madre. Ci aveva visto sempre giusto, sempre, lei non si sbagliava mai. Poi c'erano diverse pagine riguardo ai problemi di corte, di Selim che era sempre più pazzo della rossa, aggettivo preferito dall'ex Gran Visir per appellare la donna, e di quanto Roxelana fosse asfissiante e insopportabile.
Poi ci fu la svolta.


20 dicembre 1550.
Credo di amarla. Non so come sia avvenuto, né per quale motivo. E' troppo piccola per i miei gusti, è maledettamente odiosa e quando litighiamo vorrei solamente assestarle un colpo con un bastone in testa e sotterrarla da qualche parte.
Non sono completamente sicuro dei miei sentimenti, anche perché credevo di aver realmente amato in tutta la mia vita solo la dolce Hatice. Ma da quando Selim mi ha vietato di parlarle o anche solo di guardarla e da quando si è sposata, i nostri rapporti sono pari a zero.
So solamente che quando lei non c'è, i miei occhi la cercano dappertutto. Quando lei non mi parla o quando mi ignora di sua spontanea volontà, vado a stuzzicarla su un argomento che so benissimo non le stia a cuore. Quando mi guarda, anche solo per sbaglio, a cena, mi sento felice, perché so che i suoi occhi si sono posati su di me. Potrei essere pazzo, me ne rendo conto, e so che non dovrei desiderare la donna di un fratello. Ammetterlo mi costa davvero tanto, il mio onore viene automaticamente messo in discussione così. Ma la amo e mi piace farlo.
Anche il freddo Gran Visir ha dei sentimenti.”

 
   
 
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