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Autore: Sospiri_amore    19/10/2017    1 recensioni
TERZO LIBRO DI UNA TRILOGIA
Elena se ne è andata via da New Heaven appena finite le scuole superiori, da ragazza ha lasciato gli USA per l'Europa. Tutte le persone a cui ha voluto bene l'hanno tradita, umiliata e usata.
Dopo quattordici anni, ormai adulta, Elena incontrerà di nuovo le persone che più ha amato e odiato nella sua vita, si confronterà con loro rivivendo ricordi dolorosi.
Torneranno James, Jo, Nik, Adrian, Lucas, Kate, Stephanie, Rebecca più altri personaggi che complicheranno e ingarbuglieranno la vita di Elena.
Come mai Elena è tornata in America?
Chi è il padre di suo figlio?
Elena riuscirà a staccarsi dal passato?
Chi si sposerà?
Riusciranno i vecchi amici a trovare l'armonia di un tempo?
Elena riuscirà ad amare ancora?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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OGGI:
Una candelina in più




Geltrude nonostante abbia quasi ottant'anni si muove come fosse una ragazzina. Non si fa problemi a essere inseguita da Sebastian con in mano una astronave di mattoncini piena di alieni. Hanno corso, urlato, la vecchia l'ha preso addirittura in braccio e tenuto sulle gambe per raccontagli una storia dopo l'altra. Certo, principi e principesse non interessano al mio piccolo, Geltrude ha dovuto modernizzare un po' le favole classiche, ma alla fine l'ha conquistato. 

 

Kate ha scattato diverse fotografie a quella assurda, improbabile coppia di giocherelloni. 

Questa giornata resterà nella mia memoria per sempre. Era da tempo che non mi sentivo così rilassata.

 

Perfino il pranzo nella grande sala da pranzo con arazzi, mobili in ebano, tappeti persiani, cristallerie e posate d'argento non ha scoraggiato Sebastian. Ha mangiato la sua zuppa e poi l'arrosto con patate come se quella fosse casa di suoi perenti. 

Geltrude la nonna. 

Kate la zia.

 

«Credi che il nonno sarà felice di incontrarmi?», chiede Sebastian prima di addentare una patata perfettamente arrostita.

«Ovviamente. Che domande? Chi non sarebbe felice di incontrarti? Sei simpatico, gentile e molto carino. Sembri un angioletto con tutti quei ricci», dice la Signora McArthur mentre sorseggia un po' di vino rosso.

«Il nonno Bruno sarà felice di vederti come noi saremo felici di incontrare lui, Tess e Maggie». Accarezzo Sebastian sulla testa infilando le dita tra i suoi riccioli.

«Ma poi ci pensi? Hai una zia che è poco più grande di te», dice Kate ridacchiando.

«Credi che dovrò fare quello che mi dice? Se è mia zia dovrò ubbidirle?». Sebastian, con la patata infilata sulla forchetta, osserva pensieroso il soffitto.

«No. Non importa in questo caso. Siete piccoli entrambi, tu devi ascoltare quello che ti dice mamma e basta», gli spiego ridacchiando.

 

Sebastian pare convinto. Finisce il suo pranzo senza aggiungere altro, è troppo concentrato a fissare lo schieramento di personaggi spaziali posizionati in fila davanti al suo piatto.

 

Geltrude è tutta pimpante, si informa su tutto ciò che riguarda il piccolo, pare un fiume in piena.

 

Ha amici?

Come si trova nella sua nuova scuola?

Parla anche l'italiano?

Che sport fa?

Gli piace Boston?

Qual è il suo colore preferito?

 

Durante tutto il pranzo non la smette di fare una domanda dopo l'altra. Nel momento in cui mi chiede che numero di scarpe porti Sebastian la guardo malissimo: «Geltrude, adesso basta».

«Cara ragazza, volevo conoscere meglio questo splendido giovanotto. Ho perso cinque anni della sua vita. Voglio recuperare», dice come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

 

Kate per poco non soffoca per le risate. Delle gocce di vino le escono dalle labbra a getto. 

 

«C'è tutto il tempo. Oggi credo sia meglio concentrarsi su nonno Bruno. Non trova?», le dico.

«Sì. Sì. Però voglio vedere tuo figlio più spesso. Non vorrai privare una povera vecchietta della piacevole compagnia di un giovane e fresco virgulto?». Gli occhi di Geltrude sembrano quelli del diavolo. Quando fa quella faccia non promette nulla di buono.

Scuoto la testa rassegnata, quando la vecchia si mette in testa una cosa non posso far altro che cercare di contenerla, per quanto possibile.

 

La cameriera arriva in tavola con le coppe di gelato, delle stupende decorazioni floreali decorano le coppe in argento.

 

«Gelato di soia?», Geltrude contorce la bocca, «Ci ha messo lo zampino Micheal, non è vero?».

Kate ed io alziamo le spalle divertite mentre la osserviamo mangiare il gelato controvoglia mentre borbotta infastidita.

 

Il pranzo finisce così. Come finirebbe una qualsiasi domenica dai nonni, dagli zii. 

Buon cibo.

Tante chiacchiere.

Armonia.

 

Tutti e quattro ci spostiamo nel piccolo studio al piano superiore, vicino alla sala dove Demetra provava le arie della Boheme. Lo stesso in cui James mi ha accusata di avergli nascosto la malattia della madre, lo stesso in cui mi ha mollata spezzandomi il cuore in miliardi di pezzi.

 

Mi fa strano essere lì, in quella stanza, con altri sentimenti, con positività ed energia costruttiva.

Da ragazza avrei avuto una crisi, probabilmente avrei fatto una scenata, eppure adesso i ricordi paiono sfumati, confusi. La rabbia per tutto quello che mi hanno fatto è una cosa lontana. 

 

Il confronto alla mostra di Kate.

Le domande di Rebecca.

Lo stupore di Jo.

La discussione con Nik.

L'impertinenza di James.

Sono tutte cose che hanno sbloccato qualcosa in me. È come se mi avessero mostrato cosa non voglio più essere, cosa non voglio per me e mio figlio.

 

Sebastian stanco e assonnato per il viaggio, per le sorprese e per il troppo mangiare, si accomoda su una poltrona a sfogliare dei fumetti e libri. Lo conosco come le mie tasche, tra meno di un quarto d'ora cascherà addormentato tra i cuscini.

 

Geltrude ci mostra un paio di vasi in porcellana acquistati durante un'asta: «Sono di epoca vittoriana, vengono direttamente da Londra». 

Kate li osserva ammirata: «Mi piacerebbe cimentarmi nella fotografia di oggetti d'arte. Creare set fotografici che possano valorizzarli. Il colore blu intenso, le decorazioni e la grana della porcellana sono favolosi. Con la luce adeguata splenderebbero come diamanti».

Geltrude pare soddisfatta, ci mostra altri pezzi delle sue innumerevoli collezioni che spaziano da antichi dipinti a oggetti vintage in argento.

«Che cosa c'è il quella teca?», chiede Kate attratta da una vetrinetta posta sopra una console in legno color oro dall'aria antica e preziosa.

«Ci sono le cose di Demetra». Geltrude si avvicina alla teca di vetro che racchiude forse il suo tesoro più grande.

 

Sullo sfondo c'è un pannello ricoperto di velluto rosso. Ordinate una di fianco all'altra ci sono appese le chiavi che Demetra ha preso dai vari viaggi con il marito George. 

La sua piccola mania.

La sua ribellione.

Sembrano un quadro moderno, una scultura contemporanea. Una collezione senza valore per qualcuno, ma tremendamente importante per Geltrude.

In una scatola di cartone sono impilare le lettere d'amore che la Demetra ha scritto al marito, quelle che io e James abbiamo trovato nello sgabuzzino quando abbiamo provato a mettere in ordine tutte le sue cose. 

Lì di fianco è adagiato il primo libretto dell'opera in cui ha cantato Demetra e anche l'ultimo, quello in cui avrebbe dovuto recitare a New Heaven. Un paio di orecchini con rubini, i preferiti della donna, una prima edizione di Piccole Donne, una scatola di legno laccata verde, dei disegni di un bambino. Sono i disegni di James.

 

«Riconosco diverse cose. Li ho trovati con James», indico alla donna la scatola, i disegni e le lettere, «Le altre cose dove le ha prese?».

«Visto che tu e mio nipote non avete finito il lavoro, ci hanno pensato i miei domestici», risponde stizzita.

«Mi dispiace, le avevo dato la parola», le dico sinceramente pentita.

«Su cara ragazza, non ti crucciare per il passato. Adesso hai il futuro da crescere e far diventare un uomo. Il lavoro importante ti tocca adesso». Geltrude indica il piccolo Sebastian che con le braccia aperte e una gamba a penzoloni dorme beatamente.

«Mi è venuta un'idea. Un'associazione culturale di Boston promuove i miei viaggi e ha finanziato parte dei miei reportage in tutto il mondo. Il loro scopo è far conoscere la bellezza della diversità e la complessità delle emozioni. È grazie a loro che ho potuto realizzare tra i miei migliori servizi fotografici. Potrei creare un progetto legato a questo: la memoria dell'arte. Raccontare la storia di Demetra e di altre donne che hanno vissuto la loro arte con passione autentica. Uscirebbe una mostra favolosa». Kate saltella sul posto come avesse appena vinto alla lotteria.

«Interessante. Sarebbe un modo grandioso per onorare Demetra. Non credo che George abbia problemi, però voglio sentire prima James, non vorrei mai offenderlo», dice la vecchia.

«Se dovesse servire a tranquillizzarlo dica pure che non centro nulla, che non avrò niente a che fare con il progetto. Non voglio che pensi che mi impicci», dico decisa.

«Intanto io preparo il progetto per la Wons Association, quando poi lei mi darà il via libera manderò tutto il materiale cartaceo. Se dovessero stanziare i fondi potremmo portare queste cose nel mio studio e fotografarle». Kate batte le mani alla velocità della luce.

«Faccia piano con quelle mani. Rischia di svegliare il piccolo». Geltrude sgrida Kate cercando di mascherare la soddisfazione per la splendida idea avuta dalla mia amica.

 

 

Sono arrivate le quattro del pomeriggio. Sebastian è sveglio da mezz'ora buona. 

Il tempo di rilassarci è finito.

Geltrude, Kate, Seb ed io saliamo sulla capiente Rolls Royce guidata da Michael.

Destinazione: il compleanno di Maggie Voli.

 

Nella mia testa mi sono immaginata molte volte come sarebbe andata la riconciliazione tra me e papà. Non che avessi le idee chiare su come o su quando, ma adesso mi sembra tutto surreale. 

La luce sta calando, anche se è pomeriggio le corte giornate invernali lasciano poco spazio al sole. Kate sta sistemando le impostazioni sulla sua fotocamera digitale mentre Geltrude e il mio piccolo discutono sulla quantità di dolci che ci saranno alla festa.

 

A quanto pare quei due hanno trovato un altro argomento che li accomuna.

 

«Vedrai che l'adorerai. Maggie è fantastica», mi dice Kate in un orecchio. 

Mi dispiace un po' che lei la conosca meglio di me, che sappia come è fatta, che conosca il suono della sua voce e che le voglia già bene. Mi dispiace non perché io sia gelosa, mi dispiace perché sono stata una stupida a perdere così tanto tempo dietro alle mie fissazioni, paure e dolori.

 

Ho perso nove anni della vita con mia sorella.

 

Papà e Tess hanno preso una casa vicino a quella di Roger e Hanna, riconosco il quartiere. Le case ordinate e curate fanno sempre il loro effetto, danno l'idea di pace e serenità. Di calma.

Un grappolo di palloncini colorati svolazza in aria ancorato a una cassetta postale. Posso leggere chiaramente il cartello: Compleanno di Maggie.

 

«Papà sa che esiste Sebastian?». Ho le lacrime agli occhi, le mani non hanno sensibilità. Ho paura.

Kate fa cenno di no con la testa: «Non gli ho detto nulla. Non credo spettasse a me dirglielo».

«Perfetto. Perfetto. Perfetto», dico istericamente.

«Ah, dimenticavo. Tanto per tranquillizzarti ho detto ai miei genitori che sarei venuta da sola, Jane aveva un catering importante. Non sanno che ci sei anche tu con il piccolo».

 

Spalanco gli occhi terrorizzata.

 

«So che non hai avuto il coraggio di rispondere alla mail di Tess, quindi ho pensato sarebbe stata fantastica questa sorpresa», dice Kate tutta pimpante.

 

Sbianco.

Il mio cuore ha smesso di battere.

Salivazione azzerata.

Mi sembra di dover sostenere un esame di chimica senza aver studiato.

 

La macchina si ferma.

 

Kate e Geltrude escono per prime, Sebastian mi guarda mentre aspetta una mia reazione: «Mamma ricordati il regalo per Maggie».

«Certo tesoro», gli dico prendendolo per mano.

 

La strada che porta all'ingresso di casa è poca. Ogni mio passo, ogni mio gesto è come avvenisse a rallentatore. Tutto pare amplificato, mi sento fuori dal tempo e dallo spazio comuni. Ho così paura che qualcosa possa andare storto che tremo.

 

Non posso più scappare.

C'è in gioco la felicità di mio figlio.

 

Tess ha accesso molte luci colorate adornando con palloncini e ghirlande di carta pure l'esterno. Sento urla di bambini e risate che provengono dall'interno.

 

Kate suona il campanello.

 

Geltrude si sistema il bavero del capotto.

 

Sebastian sbircia curioso.

 

Io sono impietrita.

 

La porta si apre.

 

Una bambina molto esile con una cascata di capelli gonfi, un sorriso smagliante sporco di cioccolata e due occhi grigi ci accoglie.

 

Maggie.

Maggie è davanti a me.

Guardo i suoi occhi grigi e vedo i miei.

 

«Ciao zia Kate e...». 

 

La bimba si blocca di colpo appena mi vede.

Urla.

Urla e salta.

Urla e salta dalla felicità.

Mi corre incontro abbracciandomi stretta.

 

«Elena. Mia sorella Elena», grida a squarciagola.

Geltrude arretra qualche passo. I decibel raggiunti potrebbero incrinare un vetro antiproiettile. 

Sebastian si tappa le orecchie: «Mamma, ma perché urla?».

«Mamma?». Una voce bassa, profonda che conosco alla perfezione irrompe e squarcia il silenzio che ho costruito per quattordici anni.

 

Papà è lì.

Lì di fronte a me.

Immobile.

Con la mano stretta intorno alla maniglia della porta mi guarda come se si trovasse di fronte a un fantasma. 

Osserva me, le mie lentiggini e i miei occhi.

Poi guarda Sebastian, il piccolo bimbo riccio dagli occhi grigi.

 

Piange.

 

Piango.

 

«Non sapevo che...», dice lui indicando il piccolo.

«Non sapevo che...», dico io mentre accarezzo la testa di Maggie.

 

Papà si mette in ginocchio per osservare da vicino Sebastian, lo accarezza come se si trovasse di fronte un miraggio, una cosa inaspettata.

«Ciao nonno Bruno, io sono Sebastian», dice il piccolo, «Aveva ragione la mamma, hai tanta barba».

«Purtroppo sta diventando sempre più grigia», dice papà muovendo le guance e scuotendo la testa mentre le lacrime gli riempiono il viso.

«Non importa. Se vuoi te la coloro, sono bravo con i pennarelli».

«Mi piacerebbe blu o forse starebbe meglio verde?», gli chiede mentre lo bacia.

«Cosa ti starebbe bene verde? Chi è arriv...». Tess non finisce la frase. Appena mi vede mi abbraccia stretta ripetendomi nelle orecchie un milione di volte grazie.

 

In un secondo abbiamo annullato il dolore della lontananza.

In un secondo abbiamo creato amore.

 

«Basta con tutte queste smancerie. Questa è una festa, no? Datemi subito una fetta di torta le chiacchiere si fanno meglio a pancia piena», dice Geltrude infilandosi in casa.

 

Il finale perfetto per una giornata perfetta con la mia famiglia deliziosamente imperfetta. Come me.

 

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