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Autore: Valery_Ivanov    21/06/2009    1 recensioni
Una storiella breve, semplice e senza pretese, che ho scritto per ricordare a me stessa, e a chiunque la leggerà, di valutare bene prima di compiere qualche gesto avventato se ne vale davvero la pena. E di non arrendersi mai.
Genere: Triste, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non c’è un motivo speciale per cui ho scritto questa storia, mi è venuta in mente e basta

Non c’è un motivo speciale per cui ho scritto questa storia, mi è venuta in mente e basta. Senza pretese, visto che non ci ho sprecato nemmeno troppo tempo. Spero gradiate comunque^^ Buona lettura!

 

 

STORIA DI UN SUICIDIO

 

Sabato 24 settembre 2008,

ore 23:37.

Sono morta.

L’unico problema è che il mio cuore batte ancora.

 

Stupida.

E’ la prima parola che mi viene in mente. Stupida. Sì, lo sono proprio stata. Tutte quelle parole, tutte quelle carezze… tutti quei baci…

Stupida. Ecco cosa sono. Un’illusa. Una ragazza che ha ancora fiducia nell’amore. Stupida.

Me l’hanno sempre detto che l’amore non esiste. E io ho continuato a crederci. Idiota. Sì, effettivamente sono più un’idiota che una stupida. Sì. Idiota. Idiota, idiota.

E tu? Oh, ci sono una marea di aggettivi per definirti. Bastardo. Stronzo. Figlio di puttana. Ma non bastano. No, nessuno di questi rende bene l’idea.

Purtroppo al momento non me ne vengono in mente altri. Pazienza. Mi accontenterò.

Sto solo aspettando che tu ti accorga di me. Sono proprio curiosa di vedere la tua reazione. E voglio proprio sentire con che scusa giustificherai quello che stai facendo. Sempre ammesso che ti giustificherai. Magari sei anche convinto di avere ragione. Chi lo sa?

Sono curiosa. Davvero.

 

Idiota. Idiota, idiota, idiota. L’amore esiste solo nei film. Nei libri. Il vero amore, poi… figuriamoci. Quello si trova solo nei cartoni della Disney. E di certo io non sono un cartone della Disney. Ma, nonostante tutto ciò, ci ho creduto. Al vero amore. Alla fiducia reciproca totale.

Errore.

La mia migliore amica dice sempre: «Mai fidarsi completamente di un uomo. Se noi il più delle volte ragioniamo con il cuore, gli uomini ascoltano un altro “muscolo”».

Dio, come ha ragione. Dovrei ascoltarla più spesso.

I secondi sembrano durare un’eternità. Ti accorgerai di me, amore? Ti accorgerai di me, bastardo? O stai aspettando che io metta radici qui, sulla soglia di questa porta?

Staccati dalle labbra di quella puttana e guardami. Guardami. Io…

Già…

Io… che farò?

Che farò una volta che ti sarai voltato? Che farò quando i tuoi occhi incroceranno i miei?

Non lo so.

Non lo so.

Sono paralizzata.

Ma tu ti volti. I tuoi occhi si spalancano. E io devo fare qualcosa. O almeno dire qualcosa.

«Tu…»

La mia voce è un flebile singhiozzo. Accidenti, sono piena di rabbia e tristezza, perché riesco ad esternare solo la seconda?

«Ascoltami, io…»

Qualcosa scatta in me. Non lo voglio ascoltare. Non lo voglio più vedere.

«Stai zitto!!!»

Urlo. Almeno questo lo riesco a fare. Anche se allo stesso tempo le lacrime cominciano a scivolare sulle mie guance.

Vorrei prendere quel bicchiere di birra, lì, sul tavolo, e rovesciarglielo addosso. Vorrei dargli uno schiaffo, forte, di quelli che lasciano il segno almeno per un minuto.

Ma non ce la faccio.

L’unica cosa che riesco a fare è voltarmi e correre via, il più lontano possibile da lui.

 

* * *

 

Mi appoggio alla ringhiera. Le stelle brillano sopra di me. Piccoli puntini luminosi in quel mare nero. Inspiro profondamente l’aria della notte. La sento scorrermi nei polmoni, fresca, veloce, quasi a ricordarmi con insistenza che sono ancora viva. Purtroppo.

Sposto lo sguardo in basso, sotto di me. Saranno almeno cinque piani. Alto.

Bene.

Sollevo gli occhi, riportandoli sui palazzi attorno a me. In questi ultimi mesi non avrei mai pensato di poter commettere un atto del genere. Invece, adesso, mi sembra la mia unica possibilità.

Buffo, no?

 

Il vento mi accarezza dolcemente i capelli. Fa piuttosto freddino. Ma non ho intenzione di morire congelata, no… che ci starei a fare su un balcone al quinto piano, sennò?

Sospiro.

Rapido ed indolore. Ho sofferto abbastanza per oggi. Per sempre.

Inesorabili cominciano ad arrivare tutti i ricordi di lui. Ovvio. Sapevo che sarebbe successo. Ma li devo scacciare… in qualche modo. Preferisco dedicare i miei ultimi pensieri a qualcuno che li merita.

Mi viene in mente la mia migliore amica. Lei, con quelle sue frasi da film – che però si rivelano sempre vere, e riescono ogni volta a colpirmi e farmi riflettere. Cosa mi direbbe, lei, se fosse qui?

«Non arrenderti!»

Banale. Sai che ci vuole ben altro per convincermi.

«Finché c’è vita c’è speranza!»

La frase più inutile da dire ad una persona sull’orlo della disperazione…

«Pensa ai tuoi amici, ai tuoi parenti! Ci sono tante altre persone che ti vogliono bene!»

Sai che me ne frega. Mi dispiace, cara, ma io sono una schifosa egoista…

«Ne troverai un altro migliore! Evidentemente lui non era quello adatto a te!»

Sai che scoperta… e “un altro migliore” che significa? Altre illusioni, altre sofferenze? No, grazie.

«Il mondo non gira intorno a lui! Vedrai che presto riuscirai a dimenticarlo!»

Qui ti sbagli. Il mio mondo girava intorno a lui, gira intorno a lui. Questo è l’amore. Ed è per questo motivo che lo odio… e in quanto al dimenticarlo… beh, in questo momento mi sembra davvero impossibile.

«…»

Che c’è? Hai finito i proverbi, stupida coscienza del cazzo?

Beh, meglio così. Come vedi, neanche tu riesci a trovare un buon motivo per cui non dovrei buttarmi…

«Ha avuto il tuo amore, e l’ha tradito. Merita davvero anche la tua vita?»

Io…

«Merita davvero anche la tua vita?»

No…

No, cazzo, non la merita!!

Inspiro profondamente l’aria della notte. La sento scorrermi nei polmoni, fresca, veloce, quasi a ricordarmi con insistenza che sono ancora viva.

Viva.

Già.

Ma che stavo per fare??!

Rientro di scatto nella stanza illuminata, lasciando la finestra aperta dietro di me. Mi sento strana. Diversa. Più determinata.

Apro con forza la porta che pochi minuti fa mi ha mostrato la scena più dolorosa della mia vita. Che non è cambiata. Lui è sempre lì, seduto su quel divano, con quella troia bionda sulle ginocchia. Stavolta, però, mi vede appena entro. Ho voglia di prendere quel bicchiere di birra, lì, sul tavolo, e rovesciarglielo addosso. Ho voglia di dargli uno schiaffo, forte, di quelli che lasciano il segno almeno per un minuto. Non si è preoccupato per me neanche un istante. Si è rimesso, come nulla fosse, a baciare la sua puttanella. No, davvero, la mia vita vale molto di più di questo bastardo che ho davanti.

Si alza ed apre la bocca per parlare, ma la mia mano è più veloce. Afferro il bicchiere, e lui si ritrova coperto di schiuma ancor prima di poter pronunciare una parola. Lo afferro per la giacca e avvicino il suo volto alle mie labbra.

«Mi fai schifo… verme»

Sì, è l’aggettivo che gli si addice di più. L’essere più infimo sulla faccia della Terra. Con tante scuse ai vermi.

Lo lascio con una spinta ed esco, veloce. Mi sento soddisfatta.

Ma non del tutto.

Non percorro neanche dieci metri che il mio corpo si volta da solo e torna indietro. Ho dimenticato una cosa. Una cosa importante.

Rientro.

La troietta gli sta asciugando il viso con un fazzoletto. Lui mi vede. Tenta di parlare.

«Ascoltami, io…»

Uno schiocco sonoro.

Poi silenzio.

Sulla sua guancia sinistra sono tatuate cinque belle dita rosse. Davvero un bel colpo. Resterà per almeno un minuto.

«Non voglio ascoltarti mai più» ringhio. Sì, la mia voce sembra proprio il ringhio di un cane. «Non farti rivedere, o avrai gli interessi»

E questa volta esco definitivamente, lasciandomi alle spalle quella stanza, quella casa, quell’essere schifoso che mi ha tradita in modo così meschino. Scopro con sorpresa che non mi interessa più di tanto. Sono soddisfatta. Immensamente. So che domani piangerò, ma non importa. Per ora la vendetta regna sovrana nei miei sentimenti, e non lascia spazio al dolore.

Mi va bene così.

Chiudo alle mie spalle il portone e mi incammino sull’asfalto grigio scuro, rischiarato a tratti da pallidi lampioni. Mi sento strana. Diversa.

Più leggera.

E, inspiegabilmente, mi viene da sorridere.

 

Sabato 25 settembre 2008,

ore 00.04.

Sono viva.

Già…

E questo basta.

  
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