Fuoco
“Cerca meglio”
Era la quinta volta che Sayu rovesciava i cassetti e il
loro contenuto, eppure niente: tra le penne e i fogli e quanto mia sorella
aveva conservato in quella stanza non c’era il quaderno. Eppure l’avevo visto
con i miei occhi, mentre Sayu lo nascondeva nel secondo cassetto insieme alle
cornici con le foto di famiglia.
Rubato.
Volevo nasconderlo a me stesso, però era così.
“Continua a cercare!” il tono diventa più duro e non è,
forse, paura, quella che si può leggere?
Il quaderno non era più in casa, era stato preso da
qualcuno. Un complice di quei due bastardi.
Ma certo avevo ragione: quella del marito poliziotto era
una stupida scusa. Chi stava indagando era lei, Lene. E qualcuno aveva
approfittato di questo. Era stato qui. Aveva preso…
“Light, non c’è!” esclamò mia sorella lasciando cadere a
terra i fogli ormai accartocciati nelle sue mani.
“Ok” dissi.
“Ok , non cercare più”
Lei si fermò.
“E non alzare la voce: Matsuda sentirà tutto. Abbiamo
bisogno che ci creda in possesso del quaderno”
Che faccio? Che faccio, maledizione!
“È chiaro che la visita di oggi è stata una distrazione grazie alla quale la tua cara
psicologa è riuscita a prendere il Death Note…”
Inspirai cercando di mantenere il controllo.
“Mandando qualcuno qui, naturalmente”
Sayu si alzò, mi venne incontro e mi abbracciò.
“Light!” disse stringendo le braccia attorno alla mia
vita.
“Adesso cosa facciamo?”
Guardai la stanza oltre la sua testa.
“Non ci resta che andare via. Per il momento ci toccherà
scappare: se Lene ha il quaderno, quella è una prova schiacciante contro di
noi”
Sayu alzò la faccia per guardarmi.
“Prepara le tue cose: dobbiamo muoverci immediatamente”
dissi.
Lei si staccò.
“E Matsuda?” chiese.
Io le voltai le spalle e tamburellai con le dita sulla
scrivania.
“L’ideale sarebbe ucciderlo. Con uno dei coltelli grandi
della mamma. Non ci sarebbe alternativa, dato che non abbiamo il quaderno e il
mio è praticamente inutile. Però so che non lo farai” dissi rassegnato.
Sayu rimase in silenzio per un momento.
“Non… non ce la farei”
“Lo so”
Girai la testa e la spiai con la coda sell’occhio.
“Prendi l’essenziale, riempi al massimo uno zaino, più
che altro portati da mangiare così faremo meno soste. Fa in fretta” uscii dalla
sua stanza.
Avremmo lasciato Matsuda qui. Avrei preferito non
lasciare tutte quelle prove, ma tanto ormai avrebbero capito tutto comunque.
Matsuda l’avrebbe pagata, a suo tempo.
Io dovevo solo pensare a vincere la mia battaglia
personale con gli altri Shinigami. Che qualcuno sospettasse di Sayu era
irrilevante ormai.
E di lei che ne sarà quando io avrò ottenuto ciò che voglio?
Scacciai quelle preoccupazioni, con nervosismo.
Una volta persa la memoria comprenderanno che è stata
praticamente costretta. La lasceranno vivere in pace. La sua vita è dimezzata,
certo, probabilmente sarebbe morta al massimo a cinquant’anni, ma dopotutto
quel sacrificio l’aveva semplicemente salvata.
Grazie a me Sayu poteva vivere.
La porta si aprì, lei scese. Probabilmente stava andando
in cucina.
Entrai in camera mia, dove era legato Matsuda.
“Noi andiamo via. Probabilmente morirai di fame in questo
posto”
Ma sì. Spaventiamolo.
Matsuda sgranò gli occhi, terrorizzato.
“Ti prego Light! No! Sayu non lo permetterebbe mai” quasi
gridò lui.
“Infatti a lei ho detto che ti avrei liberato, ma non
sono sicuro di volerlo fare” mentii.
Avevo bisogno della sua paura; prima di allora quando
l’avevamo slegato – solo due volte, il giorno prima – per permettergli di
mangiare e di andare in bagno lo avevamo avvertito: il suo nome era quasi
completamente scritto sul quaderno, bastava un segno con la penna e lui era
morto, perciò niente passi falsi. Adesso, anche se lui non sapeva dello
smarrimento del quaderno, volevo assicurarmi di tenerlo a bada tramite la
paura.
“Light! Light! Maledizione, ma cosa sei diventato?” gridò
lui, in preda al panico.
Ghignai, quando il terrore lo colmò fino alle lacrime.
Chiusi la porta ignorandolo, mia sorella salì con lo
zaino in spalla.
“Perché grida?” chiese.
Matsuda in effetti stava gridando il suo nome.
“L’ho spaventato. Per tenerlo sotto controllo”
“Non mi sembra sotto controllo, mi sembra in preda al
panico!” ribatté lei, mi spinse con braccio e aprì la porta.
“Che volete fare? Che ne sarà di me adesso?” gemette lui,
lei si sedette sul materasso.
“Andrà tutto bene” disse a bassa voce.
“Presto qualcuno verrà qui e ti libererà, non chiuderemo
neanche a chiave. Andrà bene. Promesso” spiegò.
Lui aveva ancora gli occhi spalancati per il terrore, ma
non gridava più.
“Magari un giorno mi perdonerai, vero?” poi abbassò la
testa e lo baciò velocemente.
“Sayu: puoi scegliere. Non andare! Non devi lasciarti
convincere” tentò lui.
Lei si era già alzata e mi guardava con occhi lucidi, ma
ero sicuro che non avrebbe pianto.
“Adesso è troppo tardi” disse, uscì dalla stanza e chiuse
la porta.
“Brava” sussurrai, per incoraggiarla. Non volevo che
all’ultimo si tirasse indietro.
“Sì, sono brava” ghignò lei sarcastica.
Scese le scale, io la seguii.
“Chiamo un amico, qualcuno mi darà un passaggio alla
stazione” disse. Dopo circa venti minuti eravamo nella macchina di una sua
compagna di scuola e dieci minuti più tardi in stazione. Avremmo dovuto
aspettare un’ora e mezza per il treno.
La sua amica Hatsue aveva chiesto controvoglia se Sayu
desiderava che restasse, ma lei la ringraziò e rispose che poteva andare, se
credeva.
Hatsue parve sollevata, improvvisamente divenne meno
fredda, la salutò come se stesse dicendo addio a una sorella, con centinaia di
raccomandazioni e abbracci, poi finalmente si levò dai piedi.
Era buio e l’aria fredda e secca, da qualche parte, non
lontano da lì, probabilmente, proveniva odore di frittura e di gamberi. Non mi
ero accorto che c’era un chioschetto vicino alla stazione? No, probabilmente
era quel ristorante vicino con la porta aperta, con il personale e il
proprietario che si preparavano a finire le ultime faccende e chiudere tutto.
Che pensieri inutili: era perché dopo anni di nulla stavo
ancora una volta annusando, come in quell’occasione. Nel parco. Fumo e pioggia.
Questa volta erano gamberi fritti col loro odore forte
che si addolciva nei polmoni e mi faceva pensare a code rosa e arancio sul
bordo di un piatto bianco e alle luci del ristorante che presto si sarebbero
spente. Se avessi voluto far caso al tatto, forse avrei notato l’aria leggera
ma fredda che appiattiva gli abiti contro il corpo, che sfiorava la pelle, ma
mi costrinsi a non farvi caso. Ricordai: non volevo lasciarmi andare a quel
bisogno di umanità, di vita. Sarebbe venuto il momento anche per quello, ma non
ora, non adesso che avrei dovuto concentrarmi sui miei veri problemi, piuttosto
che sul profumo di un ristorante o quello di shampoo e sudore di mia sorella,
davanti a me.
***
Quando era tornata a casa, Lene aveva trovato un
fazzoletto di carta con un messaggio: “Comincio a non sentirmi più sicuro. Ho
troppa paura, continuate pure da soli, io torno a casa. Kuraji Maro”
“C’era da aspettarselo” commentò Lene appallottolando il
fazzoletto.
Si sentiva in colpa. In colpa per quel ragazzo
spaventato, per Sayu che era rimasta, naturalmente, indignata per l’accusa
rivolta a suo padre e infine per suo figlio, perché non era stata utile a
nessuno.
“Non so cosa fare” si arrese infine.
Jim dietro di lei
sospirò.
“Dammi il tuo computer, voglio vedere una cosa” sbuffò,
rassegnato.
Lene prese il portatile, lo mise sulle ginocchia e
l’accese.
“Che hai in mente?” chiese mentre inseriva la password: ottofebbraio, il giorno del suo
compleanno.
“Voglio vedere cosa trovo se scrivo il cognome di Kuraji
e quello della ragazza. Anche perché quel Maro non mi convince neanche un po’”
Lene passa il computer a Jim. La connessione almeno è
veloce.
“Ok” dice.
Apre il motore di ricerca e comincia.
“Kuraji Maro” scrive.
Sotto appaiono diversi siti di anime, perlopiù con in
evidenza il nome “Maro”, alcuni blog e forum, un fan club di un personaggio dal
nome vagamente somigliante, poi Jim si accorge che il motore di ricerca non è
giapponese.
Lene, tu di computer non capisci niente.
Trova un sito giapponese e scrive nuovamente il nome.
Compaiono pagine di alcune scuole.
Hanno partecipato al progetto “Scuola e ambiente” sovvenzionato dalla
regione gli studenti: Maro Arata, Atsutane Hachiro, Hayato Kuraji,…
Be’ magari quel Kuraji aveva dato loro un cognome falso,
come aveva fatto Lene. Meglio tenere l’ipotesi in considerazione. Continua a
leggere.
Vendo: collezione completa dei dvd della prima serie di Nana, ottime
condizioni, privi di graffi, di seguito le foto… per informazioni contattatemi:
KurajiMaro88@...
Ottantotto, no, non ci siamo con l’età.
Jim continuò, Lene si avvicinò con una lattina di tè
freddo e gliela offrì.
Giusto, pensò lui,
ridendo tra se e se, lei lo beve in lattina.
Jim bevve un sorso, poi ignorò altri tre siti identici al
precedente.
Cercò sulla seconda pagina, aspettò che si caricasse.
Famiglia muore in un incidente stradale. Trovati i corpi
dei due coniugi.
Nanto, prefettura di Toyama, 15 maggio… trovati i corpi di Munoto Maro e della consorte Yuriko Maro, nessun terzo rimasto coinvolto…
figlio Kuraji Maro, il quale…
Jim deglutisce.
“Cazzo, Lene, vieni a vedere” la chiamò.
Aprì il sito per leggere l’articolo.
Su uno sfondo celeste appare una scritta gialla.
La redazione di Hanamomo, il giornale online, porge i suoi ringraziamenti per la visualizzazione.
“Ma muoviti, porca miseria” impreca Jim. Lene è seduta
vicino a lui e rimane zitta e attenta, mentre una barra di caricamento mostra
le percentuali: ottantotto, novanta, novantadue, novantasei…
Finalmente l’articolo si apre.
Jim legge.
Morti marito e moglie, il figlio non si trova, cinque
maggio e Kuraji appare il giorno seguente.
“Lene questo significa che Kuraji ha usato il quaderno”
Lene si alzò di scatto dalla sedia, aprì il cassetto di
un vecchio mobile chiuso a chiave e prese il quaderno.
Jim intanto cancellò il nome di Kuraji e scrisse “Sayu
Yagami”.
Il nome di Sayu comparve in due siti: uno che attestava
la sua partecipazione ad un progetto, il secondo era un articolo del giornalino
scolastico a cui aveva collaborato, che parlava di un concorso di haiku indetto
nella sua scuola.
“Jim guarda” disse Lene, allarmata, gli avvicinò il
quaderno mostrandogli piccolissimi pezzetti di carta.
“Ha strappato le pagine” disse chiudendolo di scatto.
Jim guardò lo schermo del computer. In molti più siti
trovò il nome di Yagami Light.
“Come si chiamava il padre di Sayu?” chiese.
“Soichiro”
Chi cavolo era questo Light?
Non c’erano altri nomi nei siti in evidenza che potessero
far pensare a una varietà credibile di omonimi, c’erano solo Sayu e Light.
“Sai di un certo Light?”
“No”
Ecco, il ragazzo è morto. Uno dei suoi ex compagni di
università era l’amministratore di un sito su Kira, che non veniva aggiornato
da circa due anni.
L’ultimo post diceva: “Io credevo nel Dio Kira, ma allora
perché ha ucciso persone buone come Chinatsu Hanako (scrittrice e giornalista),
Yagami Light (polizia giapponese) e Midori Eriko (disoccupata)?
Io non credo che sia giusto sopprimere coloro che non
sono socialmente attivi, come Eriko, o coloro la cui intelligenza può essere
considerata un pericolo, come gli onorati
Hanako e Light che ho conosciuto personalmente…”
Jim esce, scende un po’.
Clicca sulla scheda del sito dell’università di Tokyo con
la presentazione dello studente.
La foto ancora non compare, il sito la sta caricando.
Il mostro, Ryuk, dietro di loro, sghignazza.
Light Yagami, eccellente media scolastica. Genitori:
Soichiro e Sachiko Yagami.
“Lene, Sayu aveva un fratello che lavorava nella polizia
giapponese” disse.
“Cosa?!”
Lene tornò a sedersi vicino a Jim.
“Perché non ce l’ha detto?”
“Be’ tanto per cominciare avevamo accusato suo padre.
Comunque anche suo fratello è morto”
Lene annuì.
“Capisco”
“Sta caricando la foto”
E la foto apparve.
“MERDA!” Jim scattò in piedi, Lene era rimasta ferma,
pallida con gli occhi sgranati.
“Non può essere” la voce le tremava.
“Questo è uno… uno scherzo? Come cazzo è possibile?”
Ryuk rise ancora.
“È possibile…”
Jim si voltò a guardarlo.
“ Perché quell’uomo è uno Shinigami” disse il mostro.
“Shinigami?” Lene si era voltata con gli occhi sgranati.
“Ora capisco tutto: quella ragazza, suo fratello… ma
Kuraji, Kuraji cosa ha a che fare con tutto questo? Non importa, ho capito.
Devo tornare in quella casa” Lene si era girata e aveva raggiunto con passo
veloce l’ingresso, aprì la porta.
“Ferma!”
La mano di Jim le afferra il polso.
“Non farlo! Porta le tue informazioni alla polizia ma
smettila di affrontare la cosa in prima persona, ora basta Lene! Ti prego.
Potresti morire”
Lene si girò furiosa, fulminandolo con lo sguardo, poi si
bloccò come se avesse pensato a qualcosa, portò la mano sinistra sulla nuca di Jim, chinò la testa e si
avvicinò piano, aprì un po’ la bocca e poi toccò la sua.
Jim era rigido ma non si spostava, rispose al bacio
chiudendo le labbra su quelle di Lene, riaprendole; lei si scostò di scatto.
“Allora avevo ragione” disse gelida.
“Era come immaginavo. Non ho bisogno di questo Jim”
Lui parve non capire, sbatté le palpebre un paio di
volte.
“Cosa?”
“Il tuo interesse per me è decisamente eccessivo. E io non
voglio. In questo caso non mi servi a niente e continuerò da sola” rispose lei
gelida, si voltò di nuovo.
Lo sentì sghignazzare dietro di lei, lo guardò girando la
testa.
Anche se rideva la sua espressione era delusa e
mortificata.
“Da quando sei diventata una stronza tale da baciare il
primo povero idiota per capire se ti è utile o meno?”
Lei riprese a guardare davanti a se. La strada era buia e
silenziosa.
“Forse hai ragione sul mio conto. Però adesso le mie
priorità sono altre” e Lene esce chiudendo la porta dietro di se. Mentre
cammina è consapevole che né il rimorso, né il dolore la turbano, sente che il
suo spirito è pulito e libero da qualsivoglia debolezza e che questo la rende
forte.
***
Il treno sembra ronzare, mentre prosegue. La luce è
spenta nel vagone. Io ero sdraiato sui sedili allineati che fungevano da letto,
con mia sorella con la testa appoggiata sulla mia pancia. Avevo deciso di farla
dormire vicino a me, di darle attenzioni. Non potevo permettere che la sua
obbedienza e la sua fedeltà vacillassero neanche per un momento, ora che la
situazione era così critica.
E poi dovevo assicurarmi che non perdesse la testa, che
si rilassasse, suo malgrado.
Eravamo in viaggio da tre ore, ma io sapevo che non stava
dormendo.
“Dormi” sussurrai.
Lei non rispose.
“Dico sul serio: non devi lasciarti andare, devi cercare
di non buttarti giù. Nessuno giudicherà quello che hai fatto e nessuno ti farà
del male, questo posso assicurartelo”
Lei aspettò qualche secondo.
“È con la mia coscienza che dovrò fare i conti” disse.
Io sospirai, la costrinsi con delicatezza ad alzare la
testa.
Cercai di guardarla in faccia, malgrado il buio: all’inizio
vedevo solo il bianco degli occhi, poi i contorni del naso e delle labbra.
“Non devi. Tutto quello che ho fatto è stato per
salvaguardare la gente come te. Sayu tu sei buona… tu sei…”
Improvvisamente mi sentii intontito, come se mi trovassi
in una bolla di sapone, i colori si appannarono, i suoni scomparvero, come se
stessi sognando. Mi sentii scivolare, come se una forza mi guidasse nella
cecità e io la seguii indulgente.
La mia consapevolezza tornò lentamente.
Prima i suoni: un mugolio di protesta. La vista: il buio
e qualche forma di cui ancora non comprendevo l’entità.
E infine il tatto: la mia bocca, con la cui pressione
costringevo un’altra a dischiudersi a sua volta.
Mi staccai inorridito. Sayu ansava terrorizzata e sconvolta.
“Merda!” imprecai immediatamente. Incredulo. Io… questo
era un inganno! Quello non ero stato io, perché mi ero sentito, e ne ero
sicuro, come in preda a uno svenimento, a un’incoscienza intollerabile.
“Ti giuro. Non ero cosciente” cercai di giustificarmi.
Sayu aveva le mani sulla bocca e gli occhi spalancati.
“Maledizione devi credermi!”
E poi una risata roca non lontano da me. Mi voltai e vidi
il demone dai capelli castani e gli occhi scuri. Il re degli Shinigami.
“Sayu” dissi, guardandolo con odio.
“Come ti ho detto ciò che è accaduto non è dipeso da me.
Qui c’è lo Shinigami di cui ti ho parlato e questa ne è la prova, se mi senti
parlare con lui non preoccuparti”
Scesi dai sedili e mi alzai in piedi davanti a lui.
“Spiegati” soffiai.
“Cosa c’è da spiegare? Le tue perversioni non mi
riguardano” rise lui.
“Smettila di dire sciocchezze, voglio la verità. Spiegati”
ripetei trascinando le sillabe, con tono minaccioso.
“Ma in un certo senso quello che ti ho detto è vero: ciò
che è accaduto viene da te e non dipende da me” disse lui, senza abbandonare il
suo ghigno divertito.
“Dato che sei uno Shinigami che deve la sua esistenza
unicamente all’umanità hai per essa un interesse che in effetti dubito che tu
abbia avuto in vita. Un’attrazione completamente inconscia e rifiutata,
ovviamente, ma non dirmi che non hai avuto avvisaglie prima d’ora, ciononostante
non hai lasciato che ti allarmassero…”
Rimasi in silenzio e ricordai: i due adolescenti nel
parco, il tocco di Sayu al nostro primo incontro, gli abbracci, i momenti in
cui eravamo vicini, l’incontro con Lene, persino i miei scatti di rabbia con
Matsuda. In tutti quei momenti avevo sentito scattare qualcosa nel mio corpo,
come una scossa e scie di brividi, che mi costringevano a cessare il contatto,
prima che il mio cervello rischiasse di perdere il controllo.
“Vedo che hai capito” disse lo Shinigami, soddisfatto.
“La tua passione per l’umanità è terribile e può
esprimersi con la violenza o con l’attrazione, penso che tu abbia molti
riscontri, se ci pensi, con quello che ti sto dicendo. In fondo Light, che ti
aspettavi? Sei solo un essere umano” aggiunse sorridendo.
Io alzai uno sguardo carico d’odio fino al suo viso.
“Io non sono un qualunque essere umano” ringhiai, feci
per scattare contro di lui, ma prima ancora di muovermi mi trovai scaraventato
indietro contro i sedili, attraversai le pareti sottili che dividevano i vagoni
e rotolai in uno dove riposavano due signori anziani che russavano piano, uno
mosse di scatto il piede col calzino verde scuro.
Lo Shinigami fu immediatamente davanti a me.
“Ti rifiuti di crederlo, Light? Credevi di essere un Dio?
Tu sei un figlio delle coincidenze, come tutti gli umani, e pertanto, come
essi, privo di senso. Ma la morte è regolare, programmata, sensata e ciclica.
Ha uno scopo e ha un senso. Questo è essere Dei”
Io cercai di alzarmi. Possibile che il mio corpo già morto
potesse provare… dolore?
“Il motivo per cui l’uomo è suddito e la morte è Dea è
che il Dio ritorna, il Dio ha uno scopo ulteriore, il Dio si ripete, il Dio è
essenziale. Mentre l’uomo è utile e tuttavia finito”
Odio. Odio e rabbia che bruciava dal profondo.
“Torna ad arrancare, come per tua natura. E chissà che
non diventerai anche tu, un giorno, un Dio”
Lo Shinigami sparì. Io mi alzai, uscii dallo
scompartimento e camminai lungo il corridoio appoggiandomi con le mani sui
vetri dei finestrini, cercando il vagone dove avevo lasciato Sayu. Lei era già
fuori, con un’espressione ansiosa.
L’attesa nei suoi occhi fece nascere una consapevolezza
che avvampò come fuoco: io non ero un essere finito. Io tornavo, qualora fosse
rimasto qualcuno ad aspettarmi.
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Se tutto va come previsto questo, signori, è il penultimo
capitolo. I baci possono essere rognosi da trattare: diciamo che ho corso il
rischio di cadere nel romantico (con Jim) e nel perverso inopportuno (con
Light), tuttavia ho cercato di dare un senso a quello che è accaduto e spero di
esserci riuscito.
I ringraziamenti, ora.
Reus: ma io non mi sto allarmando! XD O meglio diciamo che è
una cosa un po’ ad alti e bassi e anche i capitoli fanno i capricci. Comunque
il Matsuda che ho immaginato sul momento vedeva ancora le stelline quindi non
era tanto in vena di protestare… tieni conto che nel manga anche alla fine dopo
la morte di Light considera la grande utilità che aveva avuto Kira, quindi la
sua posizione non è esattamente netta… Jim, invece, è molto sfortunato ecco
tutto :) e Lene è una persona difficile e complessa. (comunque quella della
Rice era una battuta XDDD maledettissima fan sfegatata!) Che dirti? Spero che
questo capitolo, coi suoi eccessi, col suo gran disordine ti piaccia. Ciao!
Infine ringrazio coloro che leggono pur senza recensire e
quelli che hanno inserito la ff tra i preferiti e le seguite. Sono
soddisfazioni. Vi ringrazio.