Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: DameVonRosen    20/10/2017    1 recensioni
Un Sandor Clegane crudele e spietato, ma anche incoerente, sofferente e combattuto, che mai vorrebbe fare i conti col proprio passato e con le proprie paure, ma che col tempo si renderà conto dell'inevitabilità di questo scontro.
Storia ambientata nel contesto di GOT, con personaggi nuovi e completamente scollegati rispetto ai libri o alla serie TV; solo alcuni sono stati estrapolati, cercando di farlo nel modo più fedele possibile, mantenendo inalterato il loro Background, la loro storia e il loro carattere.
Amo le storie in stile SanSan, ma in giro ce ne sono davvero molte e il rischio di ripetere quanto già prodotto da altri, o anche scadere nel banale e nel "già letto" era alto. Ho quindi optato per qualcosa di differente :) adoro il personaggio del Mastino, adoro quella sua profonda complessità che ogni tanto emerge.
Non temete se all'inizio il nostro amato Sandrone è apparentemente posto in secondo piano rispetto alla storia, non sarà sempre così ;)
Attenzione: possibile (probabile) linguaggio volgare, scene violente o contenuti forti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Bronn, Nuovo personaggio, Sandor Clegane
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
Capitoli:
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Quel giorno fu particolarmente difficile per Nymeria alzarsi dal letto.

<< Mia signora, come state? >> Irina fece capolino accanto alla sua lady con il vassoio della colazione; Nymeria alzò lo sguardo verso l’ancella e si sorrisero.

<< Bene grazie, e grazie anche per ieri sera. Scusa, ma avevo bisogno di stare da sola, sapevo di potermi fidare di te. >>

<< Spero solo che stiate davvero bene. >> detto questo posò i piatti sul tavolo della terrazza e uscì, lasciandola sola a metabolizzare cosa avrebbe fatto quella giornata.   Immediatamente le venne in mente la discussione della sera prima con Sandor.


 
“E’ uscita di senno” fu il primo pensiero del Mastino a quell’assurda richiesta.

<< Mia signora, cosa state dicendo? >> disse guardandola torvo.

<< Sono seria. Ho bisogno di imparare a difendermi. Vorrei imparare a usare la spada e i coltelli soprattutto, poi magari se abbiamo tem… >>

<< Non se ne parla proprio. >> fu la risposta secca di Sandor, che continuò:

<< Ci penserà vostro padre o il vostro ex mercenario a soddisfare i vostri capricci. >> fece per andarsene, ma lei gli prese il braccio e lo fermò.


<< Non sono capricci, ho bisogno di sentirmi al sicuro e lo potrei fare solo portandomi dietro un coltello e saperlo usare >> cercò di non avere un tono supplichevole, cercò di mantenere tutto il decoro e la dignità che possedeva mentre gli faceva quella proposta indecente, ma sentì che ormai il terreno le stava franando da sotto i piedi.

Cominciò a percepire l’angoscia data dal fatto che il mastino probabilmente non avrebbe accettato.


<< Ma che vi salta in testa a voi principessine viziate ogni tanto? >> adesso Sandor era furioso

<< Avete almeno dieci cavalieri e il doppio di guardie che sono pagate per proteggere voi e la vostra famigliola, avete l’ancella personale che vi pulisce il culo e vi da da mangiare… e non vi sentite al sicuro? Andatelo a dire alle figlie dei contadini e dei pescatori fuori da palazzo, ditegli quanto non vi sentite sicura nel vostro bel palazzo! >>

Finì di parlare e la fissò: era impietrita. Probabilmente nessuno le aveva mai parlato così prima d’ora.


“Cazzi suoi, impara a sparare minchiate, con me non funzionano. Deve imparare a stare al mondo visto che poi tanto stupida non è.”

La guardò dritta negli occhi e poté scorgere finalmente paura; ma non era paura di lui, convenne. Era paura di quel rifiuto. Aveva occhi supplichevoli e disperati, come se stesse cercando di non morire.
Quello sguardo toccò Sandor, anche se non disse una parola.


<< Non voglio qualcuno che mi protegga, voglio proteggermi da sola. Vorrei non aver paura di andare in giro sola. >>
era il suo ultimo tentativo, non sapeva più cos’altro dire. Se non avesse accettato ora, avrebbe lasciato perdere.


<< Dimenticatevi le vostre inutili paranoie, qui dentro siete al sicuro. Nessuno vi farà del male. >> ora Sandor, seppur arrabbiato, aveva un tono calmo. Nymeria lo guardò profondamente. Il Mastino sostenne quello sguardo, ma quello di lei cambiò: non era più impaurito o terrorizzato, ma triste e desolato.

Nymeria chiuse gli occhi e abbassò il volto.

<< Buonanotte Sandor, scusate il disturbo. >> si girò e tornò nella sua stanza.


 
Era sola. Non poteva contare su nessuno, nemmeno su Bronn. Si sarebbe preoccupato se gli avesse detto la verità e sarebbe andato subito a dirlo al padre Tailon, e lei non voleva questo. L’ultima sua speranza era andata in fumo solo poche ore prima e adesso non sapeva come proteggersi. Voleva comunque andare in giro con qualcosa che le permettesse di difendersi.

“Andrò a comprare uno di quegli stiletti che legherò alla gamba, così non lo vedrà nessuno ma lo avrò sempre con me. In un modo o nell’altro non sarò sola”

Non mangiò granché della colazione e quando fece per vestirsi si ricordò dell’appuntamento di tiro con l’arco in segreto: ci sarebbe stato anche Qoren, oltre ad Adrian e Finn? Non seppe rispondere ma sperò vivamente di no. Meno tempo passava vicino a lui meglio era.
Nel tardo pomeriggio si preparò e uscì da una delle uscite posteriori del palazzo: portava un vestito leggero e comodo, per non essere impacciata con arco e frecce.

Una volta arrivata a destinazione vide i ragazzi e c’era anche Qoren.

“Fantastico” trasse un profondo respiro e cercò di mantenere la calma.

<< Buongiorno. >> esordì, mostrando un falso sorriso raggiante.

 

 


“Come cavolo sono finita sola con lui?!” Nymeria era quasi arrivata alla sua camera, scortata da Qoren. Si era offerto di accompagnarla dopo la partita e, anche se lei aveva rifiutato categoricamente, lui aveva insistito e gli altri due ragazzi si erano rassegnati. Forse avevano supposto che il loro fratellastro avesse una cotta per lei e quindi volevano lasciarlo fare, Nymeria questo non lo sapeva.

Sapeva solo che stava sudando freddo da quasi dieci minuti, da quando erano rimasti soli e lui le aveva preso forzatamente il braccio, incrociandolo col suo e obbligandola a camminare insieme. In quel momento, quando aveva sentito la morsa della sua mano sulla sua pelle, aveva capito che niente era cambiato e che ora era in pericolo. In un grave pericolo.

Arrivarono alla porta e lei fece per staccare il braccio, ma lui glielo impedì: strinse forte l’arto e le bisbigliò, con un lieve sorriso:

<< Apri la porta, cara. >>

Lottò contro la voglia di mettersi a urlare aiuto e cercò di restare calma “nessuno se arrivasse ora vedrebbe qualcosa di vagamente sospetto, strillerei a vuoto”.

<< Qoren, non posso aprire se non mi lasci il braccio. >>

<< Usa l’altra mano, la destra. >> aveva stampato in faccia quel sorrisetto di cortesia che le urtava i nervi, ma si costrinse ad obbedire, aprì la porta.

<< Ora lasciatemi andare, questa è la mia stanza. >> le sue parole furono dure e secche e sperò di averlo dissuaso.

Con una spallata lui si spinse dentro, spingendo anche lei e chiuse immediatamente la porta. Nymeria riuscì a liberarsi dal braccio mentre lui era intento a chiudere a chiave. Voleva un coltello “dannazione, dove sono i coltelli?” si affrettò a raggiungere la terrazza, ma Qoren la bloccò stringendole il polso, tanto da farmi male.

<< Lasciami andare, lurido essere. >> il viso di Nymeria era una maschera di paura e rabbia allo stesso tempo: abbandonò tutta la galanteria e l’eleganza che le avevano insegnato in ventidue anni e riempì di calci e pugni Qoren, sperando di ferirlo o quantomeno indurlo ad abbandonare i suoi propositi. Ma invano. Lui le bloccò le mani e con un sorriso terrificante la spinse sul letto, poi estrasse dal proprio stivale un lungo coltello, piantandoglielo alla gola.

<< Tu prova anche solo a urlare e io ti sgozzo come una pecora. >>

Gli occhi di Nymeria di riempirono di lacrime. Non poteva fare niente. Stava per accadere davvero. Di nuovo. Raccolse tutto il coraggio che aveva e lo guardò dritto negli occhi:

<< Anche se adesso mi stupri >> disse a bassa voce << domani lo dirò a tutti.
Ti faranno tagliare la testa.
Stavolta non starò zitta, subendo la violenza di un inutile bastardo. >>

Pronunciò quell’ultima parola con estremo disprezzo. Non aveva nulla contro i bastardi o contro chi non avesse nobili origini, tutt’altro. Sperò tuttavia che far leva su quell’aspetto l’avrebbe dissuaso. Qoren fu effettivamente colpito da quanto gli fu detto, glielo si poteva leggere in volto: sembrava stupito, ferito e sofferente. Probabilmente era convinto che nessuno oltre a suo padre sapesse del suo essere figlio illegittimo, ma poi mutò espressione.
Fece un largo sorriso e la guardò in un modo che la fece tremare di paura.

<< Non se ti uccido prima io, appena finisco. >> e con questo le tappò la bocca con un pezzo di stoffa.



 

 
Prima ancora di aprire gli occhi sentì delle fitte acute alla testa, che si irradiarono per tutto il corpo. Si svegliò e realizzò di essere in camera sua, sotto le coperte. Non c’era nessun altro nella stanza, era sola. Fuori era notte fonda: era lì da almeno dieci ore.
“Possibile che nessuno si sia accordo della mia mancanza?” pensò di essere morta, pensò che Qoren l’avesse davvero uccisa, ma guardandosi intorno capì che non era così.
Nymeria era ancora viva, ma non ne fu felice, lo sgomento e la vergogna si impossessarono di lei. Ricordò tutto quello che accadde, di come le tappò la bocca e le strappò i vestiti, di come lei si sentì impotente e spaventata, di come lui la morse, la picchiò, la schiaffeggiò, la penetrò. Non ricordava un dolore simile da tantissimo tempo.
 calci e i pugni sistematicamente ricevuti ogni volta che cercava di urlare avevano contribuito a stordirla sempre di più, ma mai perse la lucidità. Questo fino ad un certo punto, finché non le diede un pugno così forte da farle probabilmente perdere i sensi, e non sentì più nulla. Non seppe dire il perché non l’avesse uccisa, ma ci era andato comunque molto vicino, magari era pure convinto di averlo fatto.

Nymeria tentò di alzarsi, scostando la coperta; probabilmente era stato lui stesso a metterla lì dentro, rifletté, per nascondere i segni della sua violenza a chiunque fosse entrato. Appena vide il suo corpo alla luce delle candele dovette trattenersi dal lanciare un urlo, portandosi la mano alla bocca.

Non poteva essere il suo corpo quello che vedeva, non era lei.

Ovunque cadesse il suo sguardo vi erano enormi e possenti lividi violacei e neri, chiazze di sangue incrostato laddove l’aveva graffiata, segni di morsi dai quali si era anche lì seccato del sangue. Le lenzuola sembravano un campo di battaglia: sporche, con macchie marroni, nere e rosse. Restò impietrita e muta di fronte a quella vista orripilante per molti minuti, le lacrime che le rigavano il viso senza che nemmeno se ne accorgesse.
Tese una gamba per scendere dal letto e una scarica elettrica partì dal suo basso ventre, da dove l’aveva violata, salendo fino alla testa. Lanciò un gridolino e si fermò.

“Che cosa mi ha fatto?” benché sapesse benissimo la risposta a quella domanda, allungò una mano e tastò nella sua intimità, dove le faceva più male.
Non riusciva a capire granché: vi erano punti in cui le faceva un male atroce, altri in cui c’era talmente tanto sangue incrostato da coprire le sue forme. Dovette farsi un bagno, che chiaramente si preparò da sola.
La fatica a camminare, a piegarsi, a respirare era insopportabile: per un momento avrebbe voluto essere davvero morta, avrebbe voluto che quell’incubo fosse finito quella notte. E invece lo stava ancora guardando, quell’incubo.

Il contatto con l’acqua calda fu doloroso, le sembrò di avere il corpo in fiamme. Ignorando il dolore continuò a immergersi fino al collo, bagnando i capelli, dai quali colò altro sangue secco; era come un’espiazione, un male necessario per ripulirsi il più possibile da quel corpo che non le apparteneva.
Una volta terminato si asciugò e si guardò allo specchio: il sangue secco era sparito, ma i lividi, i graffi e i morsi si vedevano con impressionante chiarezza. Restò molto tempo a osservarsi, poi abbassò lo sguardo e pensò. Non sarebbe riuscita a dormire, appena chiudeva gli occhi riviveva quegli attimi con Qoren; con calma ripulì la vasca, tolse le lenzuola dal letto e le ammucchiò in un angolo insieme al vestito strappato, riflettendo su cosa farne. Avrebbe dovuto dare delle spiegazioni, a Irina così come a suo padre, che l’avrebbe sicuramente saputo.

Doveva liberarsene per i fatti propri, ma come? Non aveva le forze per parlarne con nessuno, nessuno avrebbe capito. Tutti si sarebbero spaventati, l’avrebbero trattata come una bambola di porcellana infranta, come un vaso rotto. Si rese conto che non era questo che voleva. Non le interessava la compassione e la pietà degli altri, in quel momento l’avrebbe disprezzata. Voleva uccidere quell’essere, voleva imparare a uccidere e a combattere. Appena quel pensiero le balenò in testa, rivide il volto dell’unico uomo capace di aiutarla in questo proposito. Un uomo che non aveva paura di uccidere, che non si sarebbe fatto impressionare più di tanto e che non l’avrebbe raccontato a nessuno, che avrebbe tenuto la bocca chiusa.

Indossò la sottana, coprendola poi con la vestaglia più lunga e coprente che aveva, le scarpe più comode possibili e uscì dalla sua stanza, chiudendola a chiave e dirigendosi verso gli appartamenti dei Cassel. Lì avrebbe trovato Sandor Clegane.



 


 
Sandor era proprio dove se lo aspettava: camminava avanti e indietro vicino alla camera di lord Stark. Questi, come se la percepisse da lontano, si voltò di scatto e quando la vide, restò di sasso. La prima cosa che notò fu il suo abbigliamento sicuramente poco decoroso, seguito da uno sguardo che non seppe decifrare. Man mano che Nymeria si avvicinava, guardandola meglio notò un velo di apatia e tristezza nei suoi occhi, ma non si scompose.

<< Non dovreste andare in giro a quest’ora, non ve l’anno insegn… >> non terminò la frase.

<< Seguitemi, Sandor >> il suo tono, seppur calmo e tranquillo, faceva trasparire una certa inquietudine. Si voltò e si incamminò, sperando che lui la seguisse.

<< Non mi muovo da qui. Sono profumatamente pagato per proteggere lord Cassel e la sua famiglia. >> rispose secco il Mastino, la voce leggermente incerta.

Nymeria si voltò e lo guardò: si avvicinò a lui al punto che solo pochi centimetri dividevano la sua vestaglia dall’armatura di lui. Lo osservò: era davvero imponente e alto, con i capelli scuri che gli toccavano le spalle e coprivano parte della cicatrice.
Si rese conto in quel momento che lui non era a suo servizio, che non poteva pretendere da uno sconosciuto, uno come lui oltretutto, che la seguisse come un animale da compagnia. Continuava a non sapere perché stesse facendo questo, perché stesse coinvolgendo lui, tra tutti, in quella situazione.
Non aveva senso, era disdicevole e anche abbastanza stupido, ma dentro di sé Nymeria sapeva perfettamente che non sarebbe stata in grado di coinvolgere nessun altro. Forse perché era uno sconosciuto, del cui giudizio a lei non sarebbe importato. Forse per il suo essere freddo e distaccato: non voleva qualcuno che la compatisse o la facesse sentire peggio.
Forse perché tuttavia, dentro di sé, sentiva una certa affinità con quell’uomo che conosceva così poco, il pensiero che anch’egli dovesse aver sofferto molto in tempi passati; questo la faceva sentire vicina a lui, inconsapevolmente. Non ne era sicura, non sapeva se era vero e magari non lo avrebbe mai saputo, ma ebbe quella sensazione la prima volta che incrociò il suo sguardo.

Sandor mantenne il contatto visivo con lei, ma la sua durezza si sgretolò quando la sentì parlare.

<< Vi prego, Sandor. Venite con me. Ho bisogno di voi. >>

La voce di Nymeria era spezzata, rotta. Gli ricordò la voce dei moribondi che gli chiedevano pietà mentre li stava per uccidere brutalmente. Si sentì in qualche modo colpevole per quella voce, per quello sguardo implorante. Annuì impercettibilmente e la seguì. Arrivarono alla sua stanza e, una volta aperta, Nymeria fece entrare il mastino, per poi chiuderla a chiave.

“E adesso? Che cazzo ci faccio qui?” pensò Sandor, più perplesso che mai; guardò torvo la lady e le disse brusco << Ebbene? >>

Si fissarono per un attimo, poi lei, camminando lentamente, andò verso una grossa massa di tessuto a terra. In quell’attimo il mastino notò la sua difficoltà a camminare, che il giorno prima non aveva, capì che non stava bene. Nymeria sollevò un lembo di tessuto e scoprì un lenzuolo, macchiato in più punti da sangue, parecchio sangue. Glielo portò ai piedi, in modo che potesse vederlo più da vicino; quello straccio sembrava avesse visto un parto.

Poi portò lì un vestito color crema completamente squarciato sulla schiena e lui si rese conto che era il medesimo vestito che aveva indossato quel pomeriggio. La sicurezza del Mastino cominciò a vacillare: si rese conto che era successo qualcosa e lei era lì per farglielo vedere, per fargli capire. Ma perché?

Poi unì i pezzi: vestito squarciato, lenzuola macchiate di sangue…

“No…” fu il suo primo pensiero.

Alzò lo sguardo e incontrò gli occhi di quella ragazza. Quella lady che aveva pochi anni in meno di lui e che ora lo guardava con uno strano sguardo di intesa, come se gli stesse confermando ciò che stava pensando. Si sentiva quasi indifeso, spogliato di fronte a uno sguardo così sincero, così disarmato. Capì che lei non lo temeva, non aveva paura di lui, ed era davvero troppo.

Ciononostante decise di non scomporsi e di non lasciar trapelare una qualsiasi emotività, come faceva sempre. Era ancora completamente disorientato e confuso.
Perché gli stava facendo vedere quelle cose? Cosa c’entrava lui? Cosa voleva da lui?

<< Voi mi avete portato qui per vedere delle lenzuola e vestiti sporchi?! Cosa volete, che ve li lavi? Vi ricordo che non sono al vostro servizio, non starò qui a soddisfare i vostri comodi di nessun genere. >>

Nymeria comprese quando la cosa fosse ormai sull’orlo del ridicolo per lui, la situazione fuori da qualsiasi logica. Decise quindi di mostrargli anche ciò che era stato fatto al suo corpo. Non poteva chiedere a lui di sbarazzarsi di lenzuola e indumenti senza dargli una valida motivazione per farlo; anche perché, conoscendo l’uomo che aveva davanti, non avrebbe mai accettato una cosa del genere. Conscia dell’unica arma a disposizione che aveva, si fece coraggio e si portò la mano alla vestaglia, con una calma disarmante sciolse il nodo.

Sandor intuì quello che lei stava per fare, comprese le sue intenzioni.

Aveva già capito tutto, non aveva bisogno di vedere altre prove.

<< Non farlo. >> quello del Mastino era un rantolo sottovoce, che lei udì ma che non ascoltò.

“Deve vedere. Devo avere il coraggio” e si tolse la vestaglia, che cadde ai suoi piedi. Improvvisamente il suo viso avvampò per la vergogna e lo abbassò, guardando in basso, mentre si toglieva anche la sottana e restava completamente nuda. Sandor si sentì ghiacciare il sangue nelle vene: quello che aveva davanti era un bellissimo corpo femminile, forse il più bello che avesse mai visto, ma era completamente martoriato da lividi, graffi ed escoriazioni varie. Intravide anche dei segni di morsi sulle gambe e sul collo. Segni che ovviamente il giorno prima non possedeva e si sentì inerme davanti a tutta quella violenza. Lui, che non aveva mai remore o timori nell’uccidere a sangue freddo uomini, donne o bambini; lui che in guerra aveva visto e fatto le cose più mostruose.
Non riusciva a credere che qualcuno potesse davvero fare così del male a una ragazza indifesa, a violarla e a rubarle ogni innocenza. Era impietrito, non sapeva cosa dire.

<< Mia signora... >>

<< Questo mi è stato fatto questa notte da una persona che prima di farlo mi disse che mi avrebbe uccisa se l’avessi detto a qualcuno. Questa persona mi ha già fatto questo in passato e io non ebbi il coraggio di parlarne con nessuno perché temevo mi potesse uccidere. >>
Aveva difficoltà a parlare di queste cose, me decise che doveva andare fino in fondo. A lui avrebbe detto tutto: da un lato perché ormai non aveva più niente da perder, dall’altro perché lo stava coinvolgendo in una situazione non certamente desiderata. Come minimo avrebbe dovuto essere sincera e onesta, glielo doveva.

<< Non so ancora se e a chi lo dirò… non so ancora niente. >> il Mastino percepì la disperazione della sua voce, sentì quanto si sentisse sola e incompresa nel suo dolore.
Quelle sensazioni così simili alle sue gli fecero tremare le ginocchia, avrebbe voluto dirle che lui capiva e che sarebbe andato tutto bene, le avrebbe detto che sapeva come si stesse sentendo.

Ma rimase zitto.

<< Ma so per certo >> proseguì lei, raccogliendo la vestaglia e rivestendosi << Che voglio liberarmi di queste lenzuola e di questo vestito: non voglio più vederli in vita mia e non so come fare. Allora ho pensato che voi forse potreste aiutarmi. >> alzò lo sguardo verso Sandor.

<< Lo so che non siete al mio servizio e che non siete tenuto a fare questo, non posso nemmeno pagarvi perché a mio padre non voglio dire niente. Io… >> non sapeva cosa dire, le sembrava di vivere un sogno surreale da cui non riusciva a uscirne. E come se non bastasse aveva stupidamente coinvolto una persona che in quella cosa non c’entrava nulla e che probabilmente ne sarebbe rimasto vincolato.

<< …Sentite, mi dispiace di avervi messo in questa situazione, d’accordo? Solo che non potevo chiedere a nessun altro. Non posso fidarmi di nessuno. >>

Il Mastino la guardò a lungo. La ragazza stava chiedendo aiuto all’unica persona che di fatto glielo aveva negato. Quando lei gli chiese di aiutarla a difendersi lui rifiutò categoricamente, provando addirittura rabbia verso quella che definì una principessina viziata e ingrata; non colse la sua richiesta di aiuto. Probabilmente lei sapeva già di essere in pericolo, tanto da spingerla a chiede aiuto a lui, ma lui le chiuse la porta in faccia. E ora aveva davanti il frutto di quel gesto, di quella violenza inaudita.
La rabbia verso sé stesso crebbe, si sentì una persona ancor più orribile di quanto non si sentisse di solito.

Si chinò e raccolse quell’ammasso di stracci, l’odore del sangue secco lo fece stranamente vacillare. Se c’era una cosa che proprio non sopportava erano gli stupri.

“Piuttosto vai a puttane, perché far del male solo per svuotarti le palle?” si era ritrovato a pensare molte volte. Guardò Nymeria negli occhi e si accorse che gli stava sorridendo: un pallido sorriso di gratitudine per quello che stava facendo.

<< Vi ringrazio Sandor. Dove possiamo portarli? >>

<< Li porterò io, voi restate qui. Siete già abbastanza sconvolta. >> quell’attenzione verso di lei avrebbe dovuto farle piacere, ma l’idea di esser lasciata lì la angosciò.

<< Ehm, potrei venire con voi? Non vorrei restare qui da sola… io, ecco… ho paura a restare sola qui… >> si sentiva terribilmente stupida a dire quelle frasi da bambina e infatti arrossì violentemente, chinando il viso immediatamente.

<< Venite, ma fate piano. >> fu la risposta del Mastino. Gli occhi di lei scintillarono e gli sorrisero, poi si mise addosso uno scialle lungo e lo seguì fuori, chiudendo a chiave la stanza.

Bruciarono le lenzuola e il vestito in un focolare fuori dalle mura, dove qualche contadino stava bruciando altri stracci. Sandor mise una moneta d’argento in mano al vecchio e questi bruciò tutto senza fare domande. Nymeria si guardò bene dal farsi vedere in volto e quando terminarono si avviarono nuovamente a palazzo, in silenzio. Era una situazione imbarazzante e non c’era molto da dirsi.

<< Io vi… vi ringrazio Sandor, per quello che avete fatto. >> tremava e balbettava, se ne rese conto appena udì il suono della sua voce, e lo udì anche Sandor, che si voltò a guardarla: tremava come una foglia da capo a piedi e seppe per certo che non era per il freddo. Non sapeva che fare, non aveva parole di conforto da darle, non era il tipo nemmeno per consolare chi piange o soffre. Si limitò a poggiarle una mano sulla spalla in segno di vicinanza; a quel tocco lei sussultò, terrorizzata.

l Mastino si sentì un idiota per non averci pensato.

<< Scusate, non volevo. >> disse, il tono vagamente impacciato.

<< No voi… voi non avete fatto nulla di male, sono io che devo scusarmi con voi, per quello che vi sto facendo fare… io… mmi mi dispiace. >> lo guardò negli occhi, mentre i suoi si riempivano di lacrime. A Sandor quello sguardo fece mancare l’aria.

<< Cosa devo fare ora? >> gli chiese, più sincera che mai.

<< Dovete dirlo a vostro padre, lui metterà in prigione chiunque vi abbia fatto questo. >> il Mastino era deciso mentre le parlava.

<< Non potrei mai provare che sia stata proprio quella persona a farmi questo, nemmeno quelli sarebbero serviti. >> disse Nymeria, indicando il falò ormai lontano << e non sarebbe certo facile convincerli a parole, dato che lo conoscono bene >> le parole le uscirono prima ancora che potesse frenarle e si pentì immediatamente di quanto detto.

Sandor, che aveva ripreso a camminare, si voltò di scatto a guardarla, confuso e con un’aria interrogativa.

“A lui devo dirlo, di lui mi posso fidare. Mi devo fidare, altrimenti sono morta” prese un lungo respiro prima di parlare:

<< E’ Qoren Cassel, il figlio di Lord Gerard. >>

Sandor era impietrito, sul volto vi era un’espressione stupita che mutò poi in una maschera d’ira e rabbia. Nymeria non lo aveva visto così arrabbiato e per un momento temette che volesse farle del male, tanto che indietreggiò, ma la sua espressione non mutò.

<< Se non sarete voi a dirlo, lo farò io. >> fu tutto quello che disse, in un sussurro rabbioso.

<< No Sandor, vi prego… >> tentò di dire Nymeria, avvicinandosi a lui e allungando una mano sul suo braccio, come per calmarlo, ma lui si scansò in fretta.

<< Non permetterò che quel ragazzino di merda faccia altre stronzate come questa, a voi come ad altre. >>

<< Ascoltate, come potrei mai provare che è stato lui? Cosa direi a mio padre? Che il figliastro del suo più caro amico mi ha ridotta così? E lui mi crederebbe? >>

<< Se un padre non crede ai suoi figli è un inutile coglione. >> ribatté brusco lui. Lei ignorò il linguaggio scurrile e cercò di parlare in modo calmo.

<< Anche ammesso che mi credesse, cosa potrebbe fare? Mandarlo a morte? Se va bene se ne andranno via, ma quello che ha fatto a me potrebbe davvero farlo a chiunque altro… e so che lo farebbe. >> Nymeria tentò di rimanere inespressiva mentre parlava di Qoren, ma più passava il tempo più le risultava difficile. Era stanca, avrebbe voluto riposare ma non riusciva a chiudere gli occhi, era terrorizzata all’idea di restare sola.

<< Sapevo già che quel coglione fosse un sadico, ma non pensavo potesse arrivare a tanto >> continuò il Mastino << …e comunque non ho intenzione di fargliela passare liscia. Deve pagare per quel che ha fatto. >>

<> disse Nymeria, voltandosi verso di lui, con un viso triste e serio

<< ma finché non ho la possibilità di fargliela pagare davvero non ho intenzione di alzare un polverone inutilmente.
La gente mi guarderebbe con altri occhi se lo sapesse, mi compatirebbe, mi guarderebbe come si guarda un animale vecchio e ferito, come una fanciulla non più casta e pura. Ora come ora non mi serve la pena della gente di corte, o le parole consolatorie di qualcuno che non sa di cosa sta parlando.
Quello che mi serve ora è…riposare >> disse sospirando, dopo una leggera pausa, per poi continuare, la voce che si velava di ansia.

<< Ma io non riesco a riposare >> Buttò fuori d’un fiato tutto ciò che le passava per la mente.
< Sapete che non riesco a chiudere gli occhi perché ogni volta che li chiudo vedo il viso di Qoren sopra di me che mi prende a calci? >> ora era furiosa e tutta la rabbia, la desolazione, la tristezza, l’incomprensione e l’ira che aveva dentro stavano uscendo prepotentemente, mentre parlava al Mastino, a uno sconosciuto.

<< Non sono in grado neanche di difendermi da uno che mi ha già stuprato una volta. Sono talmente stupida da farmi stuprare due volte dalla stessa persona. Forse me la sono anche meritata questa cosa, magari la prossima volta imparerò a difendermi! >> ora stava urlando e gli occhi le si gonfiavano di lacrime mentre parlava.

Sandor era immobile, impotente.

<< E voi perché state zitto?
Vi ho scandalizzato forse?
Vi scandalizza una lady che parla in questo modo così poco dignitoso? >>

Le cedettero le gambe e cadde a terra, coprendosi il volto con le mani e singhiozzando in silenzio.
   
 
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