E
così, rieccomi qui con la mia seconda e inutile Koji/Jun.
Trattasi
di una storiellina a sfondo estivo di cui potevo anche fare a meno e
di cui è (purtroppo) in lavorazione una sorta di dōjinshi,
che Dio
solo sa se riuscirò mai a completare.
Ho
pensato di inaugurare una raccolta “stagionale” di
one-shot
dedicate a 'sti due, per cui, dopo la primavera, ecco a voi l'estate. Solo che,
siccome sono una persona mediocre, riesco a concepire solo cose
mediocri, quindi non aspettatevi proprio niente di che né
dal
dōjinshi, né dalla pseudo fanfiction qui sotto.
Insomma,
è un raccontino (?) dei miei, stupido, decontestualizzato,
ridondante e piuttosto non-sense.
Perchè io non so scrivere, o almeno non so scrivere come
vorrei. E non lo dico per falsa modestia o che, magari...è un dato di fatto ;__;
Chiedo
venia se vi ammorbo con pairing che non si fila nessuno. Non
fucilatemi, pleaZe xD
‹≈FUURIN≈›
Natsu no Kaze no Heya
Arrivava
ovattato, il fresco tintinnio del fūrin
che a intervalli irregolari ondeggiava lieve al vento, appeso fuori
dalla finestra chiusa della veranda. Tutto ciò che si udiva
all'interno era il soffiare del condizionatore, lo scribacchiare di
Jun e lo sbuffare di Kojirō.
Stava
lì, piantonato alle sue spalle, svaccato sul parquet, un
braccio a
sorreggere la testa e l'altro a grattarsi pigramente gli addominali,
inframmezzando la simil-lettura velleitaria di una rivista sportiva a
poderosi sbadigli sloga-mascella. Nel vano tentativo di contrastare
l'asfissiante canicola estiva, stava usando a mo' di ventaglio
qualche foglio di carta trafugato dalla scrivania di Jun, ricavandone
ben poco refrigerio. A proposito, per quanto ne avrebbe avuto ancora?
Gli buttò un'occhiata esasperata e vide che era sempre chino
sulle
sue scartoffie, tanto per cambiare.
Da
ormai troppo tempo giaceva in stato semi-comatoso, annoiato e
accaldato, ad un passo dal morire d'inedia. Cominciava a non poterne
più, e oltretutto chi era stato il genio che aveva
inutilmente
settato il condizionatore a 25 gradi? Soffocando l'ennesimo
sbadiglio, si allungò verso il telecomando e
abbassò la temperatura
a palla, pigiando tasti alla rinfusa e sibilando anatemi fino a
quando non comparve un bel 18 sul display.
Jun,
invece, era preso dalla sua full-immersion
tra le pagine di un imponente tomo di biochimica che da qualcuno alle
sue spalle sarebbe stato definito
soporifero,
autolesionista e a tratti uccisorio, per non dire da schianto
cerebrale irreversibile. Con spirito zelante mordicchiava assorto
l'estremità della matita con cui, di tanto in tanto,
annotava
qualche appunto, scartabellando freneticamente fra millemila fogli,
come se dalla stesura di quelle postille dipendesse la salvezza del
genere umano. Da quando Kojirō era
arrivato non aveva fatto altro che ignorarlo bellamente, e
neppure in quel frangente si stava smentendo, dimostrandosi
disinvoltamente disinteressato ai suoi traffici e al fatto che,
mentre si occupava di gestire il clima della stanza, stesse dando
fondo al suo vasto inventario di imprecazioni.
Ma
che diavolo era venuto a fare, in definitiva? Mezz'ora prima se l'era
visto piombare senza preavviso ed aveva seriamente valutato
l'eventualità di metterlo alla porta, o meglio, di farlo restare
alla porta, dato che in casa ancora non ci aveva messo piede. Peccato
che, con suo sommo disappunto, Kojirō
l'avesse scansato di malagrazia auto-legittimandosi ad entrare,
grugnendo un – Fai pure quello che devi fare, io non sporco e
non
disturbo.
Sì
come no, gli venisse niente. Lo sapeva benissimo che in quei giorni a
momenti bypassava anche il cesso dal poco tempo che aveva,
già era
tanto se si faceva vivo agli allenamenti, e giusto quella mattina,
oltre ad avergli fatto particolarmente girare i cosiddetti, gli aveva
fatto presente chiaro e tondo che aveva degli impegni inderogabili
per il pomeriggio. Ma tanto non c'è peggior sordo di chi non
vuol
sentire, Jun l'aveva imparato a proprie spese, perché
quello, quando
ci si metteva, riusciva ad essere urtante quanto le unghie sulla
lavagna.
Lo
udì sbuffare per l'ottocento ventiquattresima volta e,
sospirando,
si voltò a guardarlo di sottecchi, con la faccia di chi si
dirige al
patibolo.
-Finalmente
ti sei accorto della mia presenza. Sono lusingato.
Al
suo barbugliare Jun roteò gli occhi al cielo e, riportando
la
propria attenzione al libro, replicò:
-Non
hai niente da fare oggi, Hyūga?
Io avrei un po' da studiare, sai. E non sgualcirmi quei fogli, sono
materiale per la mia tesi.
Per
tutta risposta Kojirō
attaccò a sventolarli con ancor più veemenza,
avendo cura di
stropicciarli per bene, e poi allungò le gambe,
puntellandogli i
piedi sulla schiena.
-Si
può sapere che cavolo stai facendo?
-Ammazzo
il tempo dandoti fastidio.
Con
un gesto stizzito, Jun allontanò quelle estremità
nauseantemente
irritanti e si passò una mano fra i capelli scarmigliati,
bofonchiando -Questo l'avevo notato.
-E
allora perché chiedi?
-Perché
vorrei essere lasciato in pace, almeno per un'altra ora.
Asserire
una cosa del genere con Kojirō
in un palese stato di concupiscenza fremente equivaleva ad ottenere
l'effetto contrario, difatti la sua prevedibile reazione non si fece
attendere. Dopo essersi gettato con noncuranza i preziosi fogli alle
spalle, gli strisciò vicino e in un impeto di lussuria gli
infilò
senza tanti preamboli le mani sotto la maglietta, mentre gli
bisbigliava roco all'orecchio:
-Mi
sono stufato di aspettare, puoi farlo benissimo dopo.
-Pure
tu, se è per questo. Ho una tabella di marcia da rispettare,
io.
Aveva
un che di diverso nella voce, non sembrava il Jun di sempre. Oddio,
rompiballe era rompiballe, niente di nuovo su questo fronte, si
disse. Però c'era qualcosa che non lo convinceva, e non si
trattava
soltanto del suo livello di coinvolgimento emotivo, chiaramente - e
inusualmente- pari a quello castrante di chi aspetta in coda al
supermercato. La libido gli colò a picco di botto e a
malincuore
cessò le molestie, ringhiando spazientito:
-Cos'è,
ti dovrò mica pagare? Sei particolarmente cagacazzo oggi,
che hai?
Con
l'innato tatto che lo contraddistingueva, gli aveva appena comunicato
di aver intuito la nota di risentimento insita nella sua voce.
Jun,
mantenendo la calma e montando una discreta faccia da pokerista, gli
rispose:
-Tu
quando vedi la porta non ragioni più. Dovresti dedicarti ad
affinare
il tuo stile, invece di andare in giro a seminare il terrore per il
campo falciando chiunque intralci la tua avanzata.
-Balle!
È proprio quello il mio stile, e non lo cambierò
di una virgola. E
comunque, che c'entra adesso questo discorso?
-Niente.
Fa' come ti pare.
-Ovviamente.
-Bene.
Seguì
una pausa di silenzio teso, durante la quale Jun continuò a
tenere
gli occhi incollati al libro, ostentando una neutralità
degna di una
colonna di basalto, e Kojirō
si lambiccò il cervello, chiedendosi di quale tremenda colpa
potesse mai essersi macchiato. Scrollò le spalle, non
riuscendo a
darsi una risposta, e sbottò:
-Senti
un po', ma ce l'hai con me? Che ti ho fatto?
-...Già,
dimenticavo che per te gambizzare la gente è all'ordine del
giorno.
Ah,
dunque era per quello che se lo ritrovava incazzoso come una biscia.
Per quell'innocente,
piccolo,
insignificante fallo
che gli aveva fatto agli allenamenti della mattina, e a cui,
sinceramente, non aveva badato più di tanto.
In
effetti, ricordò, Jun si era rotolato in terra per un po'
contorcendosi dal dolore, ma lui, dopo aver segnato, era andato
subito a vedere come stava. Mica se ne era fregato, nossignore!
-Ecchecavolo
Misugi, te la sei presa per questo? Non l'ho fatto apposta!
Jun
lo guardò insofferente, le fattezze distorte
nell'espressione più
scettica che mai volto umano avesse conosciuto.
Comprensibile.
La sua fama di caterpillar arrivava prima di lui, figurarsi se poteva
spacciarlo per un atto non premeditato. Dubbi comunque non ce
n'erano, aveva centrato il punto, per lui cose simili costituivano la
normalità e assai di rado provava rimorso per il suo modo di
porsi
in campo.
In
fin dei conti gli bastava che andassero giù, poco gli
importava del
come
e del chi.
Consapevole
di averla sparata grossa, sbuffò e si grattò la
fronte,
bofonchiando:
-Sei
proprio un rompipalle. Sempre detto, io.
-Ora
che ti sei espresso, posso continuare a studiare? Mi stai distraendo.
Calò
nuovamente la cortina di gelo, rotta qualche secondo dopo
dall'esclamazione grondante stizza del numero nove, ben lungi
dall'arrendersi. Anche a costo di fare promesse che non avrebbe
potuto mantenere.
-E
va bene Principe degli Stracciacazzi, tirami pure un pugno in faccia
se ti può far sentire meglio.
Jun
non si voltò nemmeno a guardarlo e continuò a
fare il sostenuto
monosillabico, limitandosi a soffiare fra i denti un sarcastico -Non
ne vedo la ragione.
-Non
prendermi per il culo. Ti autorizzo a sfogarti su di me, basta che la
pianti di tenermi su quel muso. Fossi in te non perderei questa
occasione.
L'altro
si girò di tre quarti e gli lanciò un'occhiata di
sufficienza
misurata, replicando:
-Sacrificio
ammirevole, ma io a differenza tua non sono pro-violenza. Quindi
sfolla, grazie.
Neanche
il tempo di finire la frase che il montante di Kojirō gli si
parcheggiò sullo zigomo, senza tante cerimonie.
Jun
lo guardò allibito e, massaggiandosi la parte colpita,
sibilò:
-Cerchi
rogne, Hyūga?
Kojirō gli
piantò addosso uno sguardo beffardo e sghignazzò
con la sua
collaudata faccia da schiaffi, modello
“alto-potere-caustico-perfettamente-detestabile”.
-Avanti
Misugi, fammi vedere se sai usare anche le mani, oltre ai piedi.
Jun
abbozzò un sorriso angelico e si appropriò del
colletto della sua
maglia, traendolo a sé.
Si
aspettava che pure lui approntasse le sue nocche, perché con
“usare
le mani”
non intendeva propriamente quello, ma...oh, beh. Benvenisse. No,
aspe'...altro che angelico, a ben guardare era uno dei suoi sorrisi
tagliola, e di solito non promettevano niente di buono.
Ma
tanto lui se ne accorgeva sempre troppo tardi, cazzo: ebbe appena il
tempo di formulare vagamente quel pensiero che il compagno dischiuse
le sue labbra carezzandole con la lingua e, lentamente, si
insinuò
al loro interno, mentre le mani gli si posavano sui fianchi e lo
agganciavano per la cintura dei pantaloni.
Che l'aver rimediato uno sganassone in faccia avesse fatto accendere in
Jun la scintilla della passione suonava piuttosto paradossale,
almeno secondo quanto gli stava lagnosamente sussurrando la
fastidiosa vocina – che per altro smise di ascoltare quasi
subito -
sepolta in un angolo remoto del suo cervello. Per lunghi,
interminabili secondi si beò di quel contatto e dell'idea
che
quell'assurda cazziata potesse essere finalmente giunta al termine,
anche perché l'amico
ai piani bassi stava iniziando a pulsargli quasi dolorosamente,
azzerando ogni qualsivoglia connessione neurale. Ingenuamente
fuorviato dal suo viso serafico e da quelle movenze tutt'altro che
ostili, non si accorse del potente calcio che stava caricando
fintanto che non si ritrovò un gentil piede posteggiato in
un punto
imprecisato fra sterno e stomaco; temporaneamente afono e senza
fiato, sudò freddo al pensiero che, se avesse mirato appena
un po'
più in basso, probabilmente gli avrebbe cambiato il registro
vocale.
-No,
mi spiace. Sono i piedi la mia specialità.
-In
questo allora sono migliore di te, io so usare benissimo entrambi-
Rantolò lui non appena ebbe recuperato l'uso della parola,
scagliandoglisi addosso un millisecondo dopo per contraccambiargli la
cortesia, e affanculo il fatto che gli avesse concesso di accanirsi
su di lui. Mica era abituato a prenderle senza reagire, non poteva
farci niente se l'istinto aveva prevalso.
Fu
così che si innescò una serrata baruffa con
crismi e sacrismi, che
vide volare gragnuole di ganci e ginocchiate a tutto spiano: si
menarono come mai avevano fatto prima di allora.
Esaurite
le energie e i colpi più o meno segreti, i due si gettarono
esausti
e doloranti sul pavimento, lasciandosi andare a qualche
caratteristico commento virile post-scazzottata.
-Non
ci vai tanto per il sottile, eh...
-Nemmeno
tu, Misugi. Hai la pellaccia dura, altro che malato di
cuore...fortuna che non eri pro-violenza.
Dopo
aver lanciato un fragoroso starnuto, Jun - che fino a quel momento
aveva usufruito di una sua spalla come cuscino improvvisato - si
tirò
faticosamente a sedere, agguantò il telecomando del
condizionatore,
abbandonato lì poco distante, e spense l'apparecchio, dato
che ormai
nella stanza - grazie all'operato di qualcuno - si sfioravano
temperature da inverno siberiano inoltrato. Fuori era in corso un
pacato acquazzone estivo, di quelli in cui la pioggia, dalla calura, rischiava di vaporizzarsi ancor prima di toccare terra; l'umidità
aveva
raggiunto livelli inumani ma, in compenso, soffiava una delicata
brezza rinfrescante che Jun lasciò entrare spalancando la
finestra,
dopo aver fatto l'ulteriore sforzo di alzarsi in piedi. Posò
lo
sguardo su Kojirō
semi-assopito, buttato in terra a gambe e braccia larghe, e
sghignazzò associando la sua posizione scomposta al cadavere
di
qualcuno che si era appena spalmato al suolo dopo la caduta da un
palazzo. Gli mancava soltanto la sagoma tracciata con il gesso.
Nella
stanza non si udiva nient'altro che il delizioso tintinnare del fūrin
appeso alla veranda, finchè il padrone di casa
sospirò
melodrammatico:
-E
pensare che ero convinto che non avresti mai alzato un dito su di me.
Si
sfilò la maglietta per prendere aria dopo la sudata della
colluttazione, rimanendo gloriosamente mezzo nudo – tanto
quell'altro poteva essere ancora allupato quanto voleva, ma era
sfatto al punto giusto per desistere dal tentare un'incursione,
almeno per il momento. Poi, con cautela, tornò a sdraiarsi a
pancia
in su sul parquet, lasciandosi sfuggire un impercettibile lamento
quando la scapola presa a morsi da Kojirō
entrò in contatto con la superficie. Sfiorò le
proprie nocche
violacee, accompagnando il gesto a una smorfia di dolore, e si
massaggiò la guancia dove troneggiava un signor livido canvas
size.
-E
cosa te lo faceva credere? Io non guardo in faccia a nessuno, quando
mi girano. Dovresti conoscermi, ormai.
Mentiva,
e lo sapevano tutti e due.
-Naturalmente...e
comunque, sotto sotto lo apprezzo.
-Cosa?
-Che
tu abbia fatto a pugni con me.
Le
dita di Kojirō,
sovrappensiero, avevano preso a sfiorargli il petto percorrendo la
lunga cicatrice biancastra e leggermente rialzata, dove ancora erano
ben visibili i punti nei quali ago e filo erano entrati e usciti e di
nuovo entrati e usciti. Nelle zone direttamente circostanti la pelle
aveva assunto una tonalità vagamente più scura,
quasi che lo
sfregio cercasse ancora di mangiarsi altro spazio per crescere e
crescere.
Perso
nelle sue congetture, ci mise un po' a rispondere, senza per altro
essere sicuro che fosse una risposta intelligente.
-Bè,
certo, è un grande onore, ma...
-Non
mi hai trattato con i guanti, come fai sempre. E mi ha fatto piacere.
-Non
mi ero mai accorto che fossi masochista. Ne terrò conto per
le
prossime scopate.
-Coglione.
Sai benissimo a cosa mi riferisco. E comunque sì, se sto con
te non
mi devo volere un gran bene, alla fine.
-Ma
taci. E la risposta è no, che ne so. Mica leggo nel
pensiero, io.
Invece
aveva capito perfettamente, era proprio a quello che mirava.
Aveva
capito che Misugi era stufo di essere sempre trattato con mille
riguardi da tutti, anche adesso che poteva dire di essersi
ristabilito quasi completamente. Tendeva a farlo anche lui il
più
delle volte, ma da quando si era accorto del suo disagio aveva deciso
di trattarlo con più spontaneità, di modo che la
smettesse di
sentirsi semi-imprigionato sotto a una campana di vetro. Ed era
risaputo che per lui essere spontaneo implicasse anche dare libero
sfogo ad un'indole non esattamente apostolica.
-Comunque,
grazie.
-Lieto
di averti deturpato quel bel faccino, il piacere è stato
tutto mio.
Ah, per la cronaca, sei il primo che mi ringrazia dopo un pestaggio.
Si
scrutarono guardinghi per un po' e Kojirō,
carezzandosi la mascella dove poco prima gli era planata un'adorabile
gomitata, esclamò:
-C'è
qualcosa che non mi torna...
Jun
lo guardò interrogativo.
-Se
sentivi tanto il desiderio di essere trattato come una persona
normale e di provare l'ebbrezza mistica della scazzottata, come mai
te la sei presa così per un semplice fallo? Mi sono
comportato con te esattamente come mi comporterei con chiunque altro.
-Mh,
non è per il fallo in sé –
riflettè, percependo quell'innata
competitività riaffacciarsi all'istante - Mi secca essere
interrotto, e tu hai stroncato la mia elegante progressione con un
intervento alquanto rozzo. Odio quando mi faccio fregare la palla
così, specialmente da te.
Pose
particolare enfasi sull'ultima sillaba, e Kojirō
gnignò nel vedere quanto sincera e lievemente biliosa fosse
la sua
dichiarazione. Probabilmente, ce l'aveva più con
sé stesso che con
lui.
-Oh,
caro. Scusami tanto se non sono rimasto incantato come un beota a
contemplare la tua avanzata eterea ma sai, io sono un attaccante, e
in quanto tale, attacco.
E
così dicendo avvicinò il viso al suo e fece per
baciarlo, ma Jun fu
lesto a contrapporre fra loro il libro dalla pesantezza inaudita che
stava studiando, raccattandolo fulmineamente da non si sa dove.
-Attaccati
un po' a questo, bello. Io devo finire il capitolo.
Con
un gesto secco Kojirō
lo
afferrò e lo buttò all'aria, minacciando di fare
un falò con tutti
i suoi dannati testi, prima o poi.
Jun
ridacchiò, con quel sorriso micidialmente sexy che era
come una
sciabolata per il suo raziocinio.
Che,
a proposito, forse aveva deciso di entrare definitivamente in
sciopero, dato l'inquietante pensiero che aveva sorpreso ad
attraversargli lo scampolo di cervello residuo e che si era
affrettato a rimuovere dall'hard disk, onde evitare di sputarsi in
faccia da solo.
Qualcosa
che alludeva al fatto che non gli sarebbe dispiaciuto restarsene lì
ancora
un bel po', più precisamente per un lasso di tempo compreso
fra
l'eternità e il per sempre, se non era chiedere troppo.
NOTE CONCLUSIVE
Oh,
My. Rileggendola, ho appena preso coscienza di non essere nient'altro
che una patetica fangirl con la sindrome dei finali smielosi.
Qualcuno mi tiri un cartone di succo di frutta – o di
Tavernello, a
seconda delle disponibilità – in formato famiglia
sulla fronte, se
questo non è un fottuto e melenso happy-ending. Prendete
bene la
mira e tirate, non siate timidi...sia mai che rinsavisca xD
Ho
i conati che si irradiano fino alle rotule, ma tant'è.
Lasciatemi
vivere il mio piccolo dramma interiore, e perdonatemi U_U
P.S.
Il titolo, come sempre disastroso e banale, significa “la
stanza
del vento estivo”.
Mentre,
per avere delucidazioni sui fūrin
- di cui sono per altro orgogliosa proprietaria - cliccate QUI,
e ditemi se non sono splendidi.
Infine, un bacio a schiocco in fronte a Nene e Rel, che si sono prese stoicamente la briga di leggerla in anteprima. Grassie, ragazze ;__;