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Autore: kitsune999    21/06/2009    4 recensioni
Una guida maldestra figlia di un jet-lag devastante e di un senso di marcia inverso. Un kotatsu caldo e accogliente da condividere mentre fuori il paesaggio si veste di bianco. E un'autrice o pseudo tale che fa una fatica boia a trovare delle frasi introduttive decenti da scrivere qui.
[Step 3 • Inverno]
_______________________________
[Kojirō ✘ Jun]
Raccolta "stagionale" di one-shot dementi dedicate al mio secondo OTP per eccellenza.
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jun Misugi/Julian Ross, Kojiro Hyuga/Mark
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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E così, rieccomi qui con la mia seconda e inutile Koji/Jun. Trattasi di una storiellina a sfondo estivo di cui potevo anche fare a meno e di cui è (purtroppo) in lavorazione una sorta di dōjinshi, che Dio solo sa se riuscirò mai a completare.
Ho pensato di inaugurare una raccolta “stagionale” di one-shot dedicate a 'sti due, per cui, dopo la primavera, ecco a voi l'estate. Solo che, siccome sono una persona mediocre, riesco a concepire solo cose mediocri, quindi non aspettatevi proprio niente di che né dal dōjinshi, né dalla pseudo fanfiction qui sotto.
Insomma, è un raccontino (?) dei miei, stupido, decontestualizzato, ridondante e piuttosto
non-sense. Perchè io non so scrivere, o almeno non so scrivere come vorrei. E non lo dico per falsa modestia o che, magari...è un dato di fatto ;__;
Chiedo venia se vi ammorbo con pairing che non si fila nessuno. Non fucilatemi, pleaZe xD


FUURIN
Natsu no Kaze no Heya


Arrivava ovattato, il fresco tintinnio del fūrin che a intervalli irregolari ondeggiava lieve al vento, appeso fuori dalla finestra chiusa della veranda. Tutto ciò che si udiva all'interno era il soffiare del condizionatore, lo scribacchiare di Jun e lo sbuffare di Kojirō.
Stava lì, piantonato alle sue spalle, svaccato sul parquet, un braccio a sorreggere la testa e l'altro a grattarsi pigramente gli addominali, inframmezzando la simil-lettura velleitaria di una rivista sportiva a poderosi sbadigli sloga-mascella. Nel vano tentativo di contrastare l'asfissiante canicola estiva, stava usando a mo' di ventaglio qualche foglio di carta trafugato dalla scrivania di Jun, ricavandone ben poco refrigerio. A proposito, per quanto ne avrebbe avuto ancora? Gli buttò un'occhiata esasperata e vide che era sempre chino sulle sue scartoffie, tanto per cambiare.
Da ormai troppo tempo giaceva in stato semi-comatoso, annoiato e accaldato, ad un passo dal morire d'inedia. Cominciava a non poterne più, e oltretutto chi era stato il genio che aveva inutilmente settato il condizionatore a 25 gradi? Soffocando l'ennesimo sbadiglio, si allungò verso il telecomando e abbassò la temperatura a palla, pigiando tasti alla rinfusa e sibilando anatemi fino a quando non comparve un bel 18 sul display.
Jun, invece, era preso dalla sua
full-immersion tra le pagine di un imponente tomo di biochimica che da qualcuno alle sue spalle sarebbe stato definito soporifero, autolesionista e a tratti uccisorio, per non dire da schianto cerebrale irreversibile. Con spirito zelante mordicchiava assorto l'estremità della matita con cui, di tanto in tanto, annotava qualche appunto, scartabellando freneticamente fra millemila fogli, come se dalla stesura di quelle postille dipendesse la salvezza del genere umano. Da quando Kojirō era arrivato non aveva fatto altro che ignorarlo bellamente, e neppure in quel frangente si stava smentendo, dimostrandosi disinvoltamente disinteressato ai suoi traffici e al fatto che, mentre si occupava di gestire il clima della stanza, stesse dando fondo al suo vasto inventario di imprecazioni.
Ma che diavolo era venuto a fare, in definitiva? Mezz'ora prima se l'era visto piombare senza preavviso ed aveva seriamente valutato l'eventualità di metterlo alla porta, o meglio, di farlo
restare alla porta, dato che in casa ancora non ci aveva messo piede. Peccato che, con suo sommo disappunto, Kojirō l'avesse scansato di malagrazia auto-legittimandosi ad entrare, grugnendo un – Fai pure quello che devi fare, io non sporco e non disturbo.
Sì come no, gli venisse niente. Lo sapeva benissimo che in quei giorni a momenti bypassava anche il cesso dal poco tempo che aveva, già era tanto se si faceva vivo agli allenamenti, e giusto quella mattina, oltre ad avergli fatto particolarmente girare i cosiddetti, gli aveva fatto presente chiaro e tondo che aveva degli impegni inderogabili per il pomeriggio. Ma tanto non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire, Jun l'aveva imparato a proprie spese, perché quello, quando ci si metteva, riusciva ad essere urtante quanto le unghie sulla lavagna.

Lo udì sbuffare per l'ottocento ventiquattresima volta e, sospirando, si voltò a guardarlo di sottecchi, con la faccia di chi si dirige al patibolo.
-Finalmente ti sei accorto della mia presenza. Sono lusingato.
Al suo barbugliare Jun roteò gli occhi al cielo e, riportando la propria attenzione al libro, replicò:
-Non hai niente da fare oggi, Hyūga? Io avrei un po' da studiare, sai. E non sgualcirmi quei fogli, sono materiale per la mia tesi.
Per tutta risposta Kojirō attaccò a sventolarli con ancor più veemenza, avendo cura di stropicciarli per bene, e poi allungò le gambe, puntellandogli i piedi sulla schiena.
-Si può sapere che cavolo stai facendo?
-Ammazzo il tempo dandoti fastidio.
Con un gesto stizzito, Jun allontanò quelle estremità nauseantemente irritanti e si passò una mano fra i capelli scarmigliati, bofonchiando -Questo l'avevo notato.
-E allora perché chiedi?
-Perché vorrei essere lasciato in pace, almeno per un'altra ora.
Asserire una cosa del genere con Kojirō in un palese stato di concupiscenza fremente equivaleva ad ottenere l'effetto contrario, difatti la sua prevedibile reazione non si fece attendere. Dopo essersi gettato con noncuranza i preziosi fogli alle spalle, gli strisciò vicino e in un impeto di lussuria gli infilò senza tanti preamboli le mani sotto la maglietta, mentre gli bisbigliava roco all'orecchio:
-Mi sono stufato di aspettare, puoi farlo benissimo dopo.
-Pure tu, se è per questo. Ho una tabella di marcia da rispettare, io.
Aveva un che di diverso nella voce, non sembrava il Jun di sempre. Oddio, rompiballe era rompiballe, niente di nuovo su questo fronte, si disse. Però c'era qualcosa che non lo convinceva, e non si trattava soltanto del suo livello di coinvolgimento emotivo, chiaramente - e inusualmente- pari a quello castrante di chi aspetta in coda al supermercato. La libido gli colò a picco di botto e a malincuore cessò le molestie, ringhiando spazientito:
-Cos'è, ti dovrò mica pagare? Sei particolarmente cagacazzo oggi, che hai?
Con l'innato tatto che lo contraddistingueva, gli aveva appena comunicato di aver intuito la nota di risentimento insita nella sua voce.
Jun, mantenendo la calma e montando una discreta faccia da pokerista, gli rispose:
-Tu quando vedi la porta non ragioni più. Dovresti dedicarti ad affinare il tuo stile, invece di andare in giro a seminare il terrore per il campo falciando chiunque intralci la tua avanzata.
-Balle! È proprio quello il mio stile, e non lo cambierò di una virgola. E comunque, che c'entra adesso questo discorso?
-Niente. Fa' come ti pare.
-Ovviamente.
-Bene.
Seguì una pausa di silenzio teso, durante la quale Jun continuò a tenere gli occhi incollati al libro, ostentando una neutralità degna di una colonna di basalto, e Kojirō si lambiccò il cervello, chiedendosi di quale tremenda colpa potesse mai essersi macchiato. Scrollò le spalle, non riuscendo a darsi una risposta, e sbottò:
-Senti un po', ma ce l'hai con me? Che ti ho fatto?
-...Già, dimenticavo che per te gambizzare la gente è all'ordine del giorno.
Ah, dunque era per quello che se lo ritrovava incazzoso come una biscia. Per quell'
innocente, piccolo, insignificante fallo che gli aveva fatto agli allenamenti della mattina, e a cui, sinceramente, non aveva badato più di tanto.
In effetti, ricordò, Jun si era rotolato in terra per un po' contorcendosi dal dolore, ma lui, dopo aver segnato, era andato subito a vedere come stava. Mica se ne era fregato, nossignore!
-Ecchecavolo Misugi, te la sei presa per questo? Non l'ho fatto apposta!
Jun lo guardò insofferente, le fattezze distorte nell'espressione più scettica che mai volto umano avesse conosciuto.
Comprensibile. La sua fama di caterpillar arrivava prima di lui, figurarsi se poteva spacciarlo per un atto non premeditato. Dubbi comunque non ce n'erano, aveva centrato il punto, per lui cose simili costituivano la normalità e assai di rado provava rimorso per il suo modo di porsi in campo.
In fin dei conti gli bastava che andassero giù, poco gli importava del
come e del chi.
Consapevole di averla sparata grossa, sbuffò e si grattò la fronte, bofonchiando:
-Sei proprio un rompipalle. Sempre detto, io.
-Ora che ti sei espresso, posso continuare a studiare? Mi stai distraendo.
Calò nuovamente la cortina di gelo, rotta qualche secondo dopo dall'esclamazione grondante stizza del numero nove, ben lungi dall'arrendersi. Anche a costo di fare promesse che non avrebbe potuto mantenere.
-E va bene Principe degli Stracciacazzi, tirami pure un pugno in faccia se ti può far sentire meglio.
Jun non si voltò nemmeno a guardarlo e continuò a fare il sostenuto monosillabico, limitandosi a soffiare fra i denti un sarcastico -Non ne vedo la ragione.
-Non prendermi per il culo. Ti autorizzo a sfogarti su di me, basta che la pianti di tenermi su quel muso. Fossi in te non perderei questa occasione.
L'altro si girò di tre quarti e gli lanciò un'occhiata di sufficienza misurata, replicando:
-Sacrificio ammirevole, ma io a differenza tua non sono pro-violenza. Quindi sfolla, grazie.
Neanche il tempo di finire la frase che il montante di Kojirō gli si parcheggiò sullo zigomo, senza tante cerimonie.
Jun lo guardò allibito e, massaggiandosi la parte colpita, sibilò:
-Cerchi rogne, Hyūga?
Kojirō gli piantò addosso uno sguardo beffardo e sghignazzò con la sua collaudata faccia da schiaffi, modello “alto-potere-caustico-perfettamente-detestabile”.
-Avanti Misugi, fammi vedere se sai usare anche le mani, oltre ai piedi.
Jun abbozzò un sorriso angelico e si appropriò del colletto della sua maglia, traendolo a sé.
Si aspettava che pure lui approntasse le sue nocche, perché con “
usare le mani” non intendeva propriamente quello, ma...oh, beh. Benvenisse. No, aspe'...altro che angelico, a ben guardare era uno dei suoi sorrisi tagliola, e di solito non promettevano niente di buono.
Ma tanto lui se ne accorgeva sempre troppo tardi, cazzo: ebbe appena il tempo di formulare vagamente quel pensiero che il compagno dischiuse le sue labbra carezzandole con la lingua e, lentamente, si insinuò al loro interno, mentre le mani gli si posavano sui fianchi e lo agganciavano per la cintura dei pantaloni.
Che l'aver rimediato uno sganassone in faccia avesse fatto accendere in Jun la scintilla della passione suonava piuttosto paradossale, almeno secondo quanto gli stava lagnosamente sussurrando la fastidiosa vocina – che per altro smise di ascoltare quasi subito - sepolta in un angolo remoto del suo cervello. Per lunghi, interminabili secondi si beò di quel contatto e dell'idea che quell'assurda cazziata potesse essere finalmente giunta al termine, anche perché
l'amico ai piani bassi stava iniziando a pulsargli quasi dolorosamente, azzerando ogni qualsivoglia connessione neurale. Ingenuamente fuorviato dal suo viso serafico e da quelle movenze tutt'altro che ostili, non si accorse del potente calcio che stava caricando fintanto che non si ritrovò un gentil piede posteggiato in un punto imprecisato fra sterno e stomaco; temporaneamente afono e senza fiato, sudò freddo al pensiero che, se avesse mirato appena un po' più in basso, probabilmente gli avrebbe cambiato il registro vocale.
-No, mi spiace. Sono i piedi la mia specialità.
-In questo allora sono migliore di te, io so usare benissimo entrambi- Rantolò lui non appena ebbe recuperato l'uso della parola, scagliandoglisi addosso un millisecondo dopo per contraccambiargli la cortesia, e affanculo il fatto che gli avesse concesso di accanirsi su di lui. Mica era abituato a prenderle senza reagire, non poteva farci niente se l'istinto aveva prevalso.
Fu così che si innescò una serrata baruffa con crismi e sacrismi, che vide volare gragnuole di ganci e ginocchiate a tutto spiano: si menarono come mai avevano fatto prima di allora.
Esaurite le energie e i colpi più o meno segreti, i due si gettarono esausti e doloranti sul pavimento, lasciandosi andare a qualche caratteristico commento virile post-scazzottata.
-Non ci vai tanto per il sottile, eh...
-Nemmeno tu, Misugi. Hai la pellaccia dura, altro che malato di cuore...fortuna che non eri pro-violenza.
Dopo aver lanciato un fragoroso starnuto, Jun - che fino a quel momento aveva usufruito di una sua spalla come cuscino improvvisato - si tirò faticosamente a sedere, agguantò il telecomando del condizionatore, abbandonato lì poco distante, e spense l'apparecchio, dato che ormai nella stanza - grazie all'operato di qualcuno - si sfioravano temperature da inverno siberiano inoltrato. Fuori era in corso un pacato acquazzone estivo, di quelli in cui la pioggia, dalla calura, rischiava di vaporizzarsi ancor prima di toccare terra; l'umidità aveva raggiunto livelli inumani ma, in compenso, soffiava una delicata brezza rinfrescante che Jun lasciò entrare spalancando la finestra, dopo aver fatto l'ulteriore sforzo di alzarsi in piedi. Posò lo sguardo su Kojirō semi-assopito, buttato in terra a gambe e braccia larghe, e sghignazzò associando la sua posizione scomposta al cadavere di qualcuno che si era appena spalmato al suolo dopo la caduta da un palazzo. Gli mancava soltanto la sagoma tracciata con il gesso.

Nella stanza non si udiva nient'altro che il delizioso tintinnare del fūrin appeso alla veranda, finchè il padrone di casa sospirò melodrammatico:
-E pensare che ero convinto che non avresti mai alzato un dito su di me.
Si sfilò la maglietta per prendere aria dopo la sudata della colluttazione, rimanendo gloriosamente mezzo nudo – tanto quell'altro poteva essere ancora allupato quanto voleva, ma era sfatto al punto giusto per desistere dal tentare un'incursione, almeno per il momento. Poi, con cautela, tornò a sdraiarsi a pancia in su sul parquet, lasciandosi sfuggire un impercettibile lamento quando la scapola presa a morsi da Kojir
ō entrò in contatto con la superficie. Sfiorò le proprie nocche violacee, accompagnando il gesto a una smorfia di dolore, e si massaggiò la guancia dove troneggiava un signor livido canvas size.
-E cosa te lo faceva credere? Io non guardo in faccia a nessuno, quando mi girano. Dovresti conoscermi, ormai.
Mentiva, e lo sapevano tutti e due.
-Naturalmente...e comunque, sotto sotto lo apprezzo.
-Cosa?
-Che tu abbia fatto a pugni con me.
Le dita di Kojirō, sovrappensiero, avevano preso a sfiorargli il petto percorrendo la lunga cicatrice biancastra e leggermente rialzata, dove ancora erano ben visibili i punti nei quali ago e filo erano entrati e usciti e di nuovo entrati e usciti. Nelle zone direttamente circostanti la pelle aveva assunto una tonalità vagamente più scura, quasi che lo sfregio cercasse ancora di mangiarsi altro spazio per crescere e crescere.
Perso nelle sue congetture, ci mise un po' a rispondere, senza per altro essere sicuro che fosse una risposta intelligente.
-Bè, certo, è un grande onore, ma...
-Non mi hai trattato con i guanti, come fai sempre. E mi ha fatto piacere.
-Non mi ero mai accorto che fossi masochista. Ne terrò conto per le prossime scopate.
-Coglione. Sai benissimo a cosa mi riferisco. E comunque sì, se sto con te non mi devo volere un gran bene, alla fine.
-Ma taci. E la risposta è no, che ne so. Mica leggo nel pensiero, io.
Invece aveva capito perfettamente, era proprio a quello che mirava.
Aveva capito che Misugi era stufo di essere sempre trattato con mille riguardi da tutti, anche adesso che poteva dire di essersi ristabilito quasi completamente. Tendeva a farlo anche lui il più delle volte, ma da quando si era accorto del suo disagio aveva deciso di trattarlo con più spontaneità, di modo che la smettesse di sentirsi semi-imprigionato sotto a una campana di vetro. Ed era risaputo che per lui essere spontaneo implicasse anche dare libero sfogo ad un'indole non esattamente apostolica.
-Comunque, grazie.
-Lieto di averti deturpato quel bel faccino, il piacere è stato tutto mio. Ah, per la cronaca, sei il primo che mi ringrazia dopo un pestaggio.
Si scrutarono guardinghi per un po' e Kojirō, carezzandosi la mascella dove poco prima gli era planata un'adorabile gomitata, esclamò:
-C'è qualcosa che non mi torna...
Jun lo guardò interrogativo.
-Se sentivi tanto il desiderio di essere trattato come una persona normale e di provare l'ebbrezza mistica della scazzottata, come mai te la sei presa così per un semplice fallo? Mi sono comportato con te esattamente come mi comporterei con chiunque altro.
-Mh, non è per il fallo in sé – riflettè, percependo quell'innata competitività riaffacciarsi all'istante - Mi secca essere interrotto, e tu hai stroncato la mia elegante progressione con un intervento alquanto rozzo. Odio quando mi faccio fregare la palla così, specialmente da
te.
Pose particolare enfasi sull'ultima sillaba, e Kojirō gnignò nel vedere quanto sincera e lievemente biliosa fosse la sua dichiarazione. Probabilmente, ce l'aveva più con sé stesso che con lui.
-Oh, caro. Scusami tanto se non sono rimasto incantato come un beota a contemplare la tua avanzata eterea ma sai, io sono un attaccante, e in quanto tale, attacco.
E così dicendo avvicinò il viso al suo e fece per baciarlo, ma Jun fu lesto a contrapporre fra loro il libro dalla pesantezza inaudita che stava studiando, raccattandolo fulmineamente da non si sa dove.
-Attaccati un po' a questo, bello. Io devo finire il capitolo.
Con un gesto secco Kojirō lo afferrò e lo buttò all'aria, minacciando di fare un falò con tutti i suoi dannati testi, prima o poi.
Jun ridacchiò, con quel sorriso micidialmente sexy che era come una sciabolata per il suo raziocinio.
Che, a proposito, forse aveva deciso di entrare definitivamente in sciopero, dato l'inquietante pensiero che aveva sorpreso ad attraversargli lo scampolo di cervello residuo e che si era affrettato a rimuovere dall'hard disk, onde evitare di sputarsi in faccia da solo.
Qualcosa che alludeva al fatto che non gli sarebbe dispiaciuto restarsene lì ancora un bel po', più precisamente per un lasso di tempo compreso fra l'eternità e il per sempre, se non era chiedere troppo.





NOTE CONCLUSIVE

Oh, My. Rileggendola, ho appena preso coscienza di non essere nient'altro che una patetica fangirl con la sindrome dei finali smielosi. Qualcuno mi tiri un cartone di succo di frutta – o di Tavernello, a seconda delle disponibilità – in formato famiglia sulla fronte, se questo non è un fottuto e melenso happy-ending. Prendete bene la mira e tirate, non siate timidi...sia mai che rinsavisca xD
Ho i conati che si irradiano fino alle rotule, ma tant'è.
Lasciatemi vivere il mio piccolo dramma interiore, e perdonatemi U_U

P.S. Il titolo, come sempre disastroso e banale, significa “la stanza del vento estivo”.
Mentre, per avere delucidazioni sui fūrin - di cui sono per altro orgogliosa proprietaria - cliccate QUI, e ditemi se non sono splendidi.
Infine, un bacio a schiocco in fronte a Nene e Rel, che si sono prese stoicamente la briga di leggerla in anteprima. Grassie, ragazze ;__;


  
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