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Autore: BabaYagaIsBack    27/10/2017    1 recensioni
Re Salomone: colto, magnanimo, bello, curioso, umano.
Alchimista.
In una fredda notte, in quella che ora chiameremmo Gerusalemme, stringe tra le braccia il corpo di Levi, come se fosse il tesoro più grande che potesse mai avere. Lo stringe e giura che non lascerà alla morte, il privilegio di portarsi via l'unico e vero amico che ha. Chiama a raccolta il coraggio e tutto ciò che ha imparato sulle leggi che governano quel mondo sporcato dal sangue ed una sorta di magia e, per la prima volta, riporta in vita un uomo. Il primo di sette. Il primo tra le chimere.
Muovendosi lungo la linea del tempo, Salomone diventa padrone di quell'arte, abbandona un corpo per infilarsi in un altro e restare vivo, in eterno. E continuare a proteggere le sue fedeli creature; finchè un giorno, una delle sue morti, sembra essere l'ultima. Le chimere restano sole in un mondo di ombre che dà loro la caccia e tutto quello che possono fare, è fingersi umani, ancora. Ma se Salomone non fosse realmente morto?
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo Tredicesimo
Il Corpo Ricorda
parte seconda

 

"Once upon a time I could take anything, anything.
Always stepped in time, regardless of the beat
I moved my feet, I carried weight
what I could not do I faked
I dug seeking treasure
just to wake up in an early grave" 

- This is letting go, Rise Against

 

Ciò che Alexandria aveva scorto in quel triste auditorium universitario non le piaceva per niente. Non importava quanto suo fratello si ostinasse a credere diversamente, lei non riusciva a riporre alcuna fiducia né speranza nel ragazzo che si erano trovati davanti. Eppure, al cospetto delle domande e delle obbiezioni di Levi si era trovata priva di difese, persa. Si era sentita mettere spalle al muro, aveva percepito la sua autorità, la sua fede nei confronti del proprio migliore amico schiacciarla contro una parete di gelide sensazioni e, pur di non crollare, aveva lasciato che la frustrazione la sormontasse fino a farla fuggire. Non era da lei scappare in simili circostanze, o almeno così aveva creduto - peccato che per la seconda volta si fosse allontanata da Akràv e Nakhaš privandoli della possibilità di difendere le proprie idee. 
E non solo: era scappata anche dalla persona che avevano rincorso per un'intera settimana. 
Il cuore a quel pensiero le si strinse in una morsa tanto vigorosa da farle male e, persino nolente, il viso confuso di Noah tornò a riempirle la mente. Erano stati quegli occhi grigi a dirle che non si trattava del suo Re, il modo in cui non lo aveva visto reagire di fronte a Levi - non lei, ma al Generale, alla prima Chimera, colui per cui Salomone aveva ripudiato il Dio tanto amato e aveva osato oltrepassare il limite tra vita e morte. 

Di un legame del genere non ci si sarebbe mai potuti dimenticare.

E quindi, quel ragazzo, per quanto le membra le dicessero altrimenti, non poteva essere lui.

Costringendosi in una via appartata, una diramazione della vena principale in cui si trovava, Z'év sentì l'urgenza di nascondersi da chiunque: i cittadini intorno a lei, i fratelli che avrebbero potuto correrle dietro e i sensi di colpa che avevano preso a morderle le caviglie. Si ritrovò ad arrancare per qualche metro, poi le fu impossibile proseguire. La vista divenne d'improvviso meno nitida, gli occhi presero a bruciarle e portandosi una mano alla bocca tentò di soffocare un singhiozzo. Le lacrime presero a scenderle calde lungo il viso, le colarono lente sino al mento obbligandola ad appoggiarsi a uno degli edifici lì presenti; ma perché stava piangendo? Per quale stupida ragione si sentiva così turbata, fragile, in balìa di... non avrebbe saputo dire con chiarezza di cosa si trattasse, eppure era una sensazione di vuoto che pareva espandersi dalla bocca del suo stomaco - così con le unghie andò astringere la carne sotto al maglione, lì dove i polpastrelli incontrarono le linee della cicatrice. Bruciavano ancora, terribilmente. La pelle raggrinzita del sigillo sembrava essere fatta di tizzoni ardenti, ma non riusciva a comprendere se fosse un'illusione e realtà - in quel momento, a dire il vero, fatica a capire molte cose.

Pigramente si raggomitolò su se stessa sino a toccare terra.

Non avrebbe voluto ridursi in quello stato pietoso. Non avrebbe nemmeno voluto ritrovarsi tutte quelle domande a gonfiare la testa e quel vuoto a divorarla dalla pancia, eppure non riusciva a placare né l'una né l'altra sensazione. Più si ripeteva di dover ritrovare un po' di contegno, più i singulti si facevano serrati, mozzandole il fiato.

Quel Noah non sapeva chi fossero e, d'improvviso, si rese conto che a ferirla a quel modo era stata proprio la sua domanda: aber würdest du..? - e voi chi sareste?
Ci aveva sperato, era questa la verità. Per nove giorni non aveva fatto altro che alimentare un'aspettativa lasciata a digiuno. L'aveva osservata riempirsi la bocca fino a scoppiare e non soddisfatta le aveva servito altri sogni di cui cibarsi; e quando Levi, a casa sua, le aveva giurato che si trattava del loro Re, in un angolo profondo di sé aveva davvero creduto alle sue parole, a quel trasporto così coinvolgente che lo aveva spinto sino a lei. Si era convinta di aver quasi saziato la propria speranza e che presto si sarebbe trasformata in realtà. Aveva quindi iniziato a immaginarsi il loro primo incontro con Salomone, gli abbracci, le lacrime di gioia, il perdono - e invece si era ritrovata di fronte a un viso confuso, una voce tremante e uno sguardo vacuo.

La sua illusione era morta insieme al battito di ciglia di Noah Dietrich.


«Che è successo?» Zenas aprì bocca solo dopo che Alexandria fu uscita dal loro campo visivo, lasciando andare la presa su Levi. Appena il fratello aveva capito che se ne sarebbe andata, abbandonandoli lì, si era mosso per inseguirla e trattenerla ancora, così Akràv era dovuto intervenire. 
Nonostante Nakhaš non fosse il solo a temere di poterla perdere, visti i precedenti, lui sapeva che in un modo o nell'altro sarebbe tornata: perché per quanto i lupi potessero apparire solitari, il branco veniva prima di qualsiasi altra cosa - e loro, fino a prova contraria, erano ancora la sua famiglia.

Z'év in quel momento era furiosa, sicuramente qualcosa doveva averla scossa nel profondo e insistere non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione. Le serviva tempo, solo quello; inoltre, loro avevano ben altro a cui pensare.

Seppur visibilmente restio all'idea di lasciar perdere l'inseguimento, Levi si volse nella sua direzione. Aveva le labbra tese in una linea dura e passandosi una mano tra i capelli disse: «Lo abbiamo trovato, stava suonando la şǐyr ʻereş̂» ma dell'entusiasmo che Zenas si sarebbe aspettato d'udire non vi era traccia. 
«E allora...?» La confusione che investì l'uomo fu totale. Non riusciva a spiegarsi né la ragione per cui Alexandria avesse reagito a quella maniera né il motivo per il quale il Re non era uscito insieme a loro. Se era lui, perché non era lì?

Il Generale scosse il capo: «Fammi finire.» La frustrazione stava pian piano iniziando ad avere la meglio su di lui, gli si leggeva in faccia, ma fu difficile capirne l'origine.  Poteva trattarsi sia della fuga della sorella, di quello che si erano detti lì fuori o addirittura dentro l'edificio, sia di Salomone e del perché non li avesse seguiti - così Akràv attese il resto del racconto, scongiurando il peggio.
«Sì, noi... noi lo abbiamo trovato, akh. Sono certo sia lui. Era nell'auditorium, stava suonando la ninnananna scritta per Nikolaij e il sigillo quando ci siamo guardati ha bruciato, ma...» si interruppe. Le due estremità della lingua passarono svelte sulle labbra violacee, tradirono in modo impercettibile la sua sicurezza, poi riprese: «non ci ha riconosciuti.» 

Zenas sussultò. Di fronte a quella rivelazione le parole di Alexandria assunsero tutt'altra connotazione, divennero ben più taglienti di quanto gli era parso all'inizio - e dovette confessare a se stesso di non essere più così certo del suo ritorno. Ora comprendeva la sua rabbia, la tensione che le aveva visto contrarre i muscoli, le sue affermazioni.
Come poteva non riconoscere Levi? Tra tutte le Chimere o le persone esistenti al mondo, lui era quello con cui Salomone aveva passato più tempo. Aveva avuto lo stesso aspetto per secoli, millenni... non capiva.
«Come è possibile?»
«Pensi lo sappia? Ci potrebbero essere decine o centinaia di spiegazioni, lo sai quanto me che quando si parla di lui tutto è possibile.»
«Sì, sì, certo, ma quel Noah che vi ha detto? Come fa a ricordarsi la şǐyr ʻereş̂ e non noi?»
Inaspettatamente le labbra dell'altro si tesero in un sorriso, un ghigno ad essere più precisi: «Vorrei saperlo, davvero. Peccato che nostra sorella abbia un problema nel gestire l'agitazione!» Con un calcio Levi colpì qualcosa. Zenas sentì il tintinnio metallico allontanarsi sempre più, lo udì per qualche istante, poi il silenzio tornò a frapporsi tra loro. Sarebbe voluto scoppiare a ridere, tirargli una pacca sulla spalla e dirgli che persino dopo tanti anni di vita ancora non aveva capito nulla delle donne, in particolare di lei, ma qualcosa, d'improvviso, catturò la sua attenzione.


Dapprima avvertì un brivido scuotergli il corpo, poi un dolore che dal pettorale destro, lieve, prese a diramarsi lungo tutto il torace, il busto e persino la punta delle dita. Gli parve che tanti, piccoli spilli gli si stessero infilando nella pelle, ma non l'avrebbe potuta definire come una sensazione fastidiosa, quanto più come qualcosa di dolce, appagante, totale.
Le membra di Levi vennero percorse dal piacere di quella contrizione e involontariamente, capendo, tornò a fissare Akràv.
Con una mano il fratello stava provando a sfiorarsi la scapola. Le sue dita arrancavano sul cappotto nel tentativo di raggiungere il punto preciso in cui era stato trafitto secoli prima, lì dove Salomone aveva posto il suo sigillo per sfidare nuovamente Dio - ed esattamente come lui, anche l'uomo che aveva accanto stava sperimentando quella strana sensazione, quel delizioso bruciore; era certo che se glielo avesse chiesto, Zenas avrebbe confermato di sentire il sangue ribollirgli nelle vene, il cuore palpitare scoordinatamente e il respiro rarefarsi ad ogni secondo di più. Così, compiendo un gesto innaturale, Levi torse il collo. Le sue ossa scricchiolarono appena, eppure riuscì a portare il mento al di là della spalla, in modo da osservare in tutta la sua figura colui che aveva deciso di seguirli, di non lasciarli andare via. 

La consapevolezza di non essersi sbagliato, di aver davvero trovato l'hagufah, gli fece dimenticare ogni cosa, anche di essere in mezzo a un marciapiede e alla mercé di qualsiasi sguardo. 
Nakhaš si concesse il lusso di saggiare quella sensazione, di avvertire il suo corpo reagire alla presenza di Noah. Era qualcosa di inspiegabilmente giusto, reale - e non importava se Alexandria avesse dubitato, se si fosse convinta che quello non era il Re, lui l'avrebbe riportata da Salomone. L'avrebbe fatta ricredere.
Per istanti lunghissimi il Generale rimase immobile beandosi di quei pensieri, poi, sentendo i muscoli del trapezio tirare, si volse con tutto il corpo verso il ragazzo. 
Il fiato corto e le guance arrossate di quest'ultimo erano prove inconfutabili di una corsa sfrenata, del disperato tentativo di raggiungerli dopo l'esitazione avuta in precedenza e, in qualche modo, Levi seppe che qualcosa, in lui, doveva essere cambiato. Forse aveva faticato a credere che le sue Chimere lo avessero trovato, forse dalla distanza a cui erano non li aveva riconosciuti - c'erano decine di supposizioni plausibili a cui aggrapparsi, ma l'unica cosa che davvero importava, in quel momento, era il fatto che li avesse inseguiti.

D'improvviso Noah deglutì, mettendo fine al flusso di pensieri di Levi. Mosse un passo in avanti senza distogliere lo sguardo dai loro e poi, con voce tremante, gli chiese: «Chi sei tu?» 
 


 

hagufah : corpo
şǐyr ʻereş̂ : ninna nanna

 

 
 
   
 
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