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Autore: NPC_Stories    28/10/2017    0 recensioni
In un tragico momento della storia della nostra amicizia, io e Daren abbiamo litigato. Non una semplice lite, ma qualcosa che ha alzato un muro glaciale fra noi che non si è sciolto per un intero decennio. Noi elfi cambiamo idea lentamente, quindi ci è voluto del tempo per riconsiderare le nostre posizioni.
Gettare un ponte è un conto, ma riusciremo a recuperare l'affinità che avevamo un tempo? Partire per nuove avventure sarà d'aiuto? Quanto si deve rischiare la vita prima di capire che ogni attimo è troppo prezioso per passarlo nell'infelicità?
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Questa storia prima era un tutt'uno con "20th-level Sidekick", ora ho deciso di splittare quella storia in due differenti.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1372 DR: Dieci anni dopo, a una vita di distanza


Non vedevo Daren da dieci anni.
Vorrei poter dire che era partito per una missione pericolosa e solitaria, ma la realtà è molto più triste: avevamo litigato. Avevamo litigato a livelli abissali. Gli avevo intimato di andarsene e non tornare mai più, e sebbene la mia parola non sia legge e io non abbia il potere di esiliare qualcuno, lui non aveva motivo di tornare in una foresta in cui non era più il benvenuto.

Per farla molto breve, il mio clan era stato attaccato e Daren naturalmente aveva combattuto al nostro fianco; sul finire dello scontro, aveva scoperto che uno dei nostri aggressori era un suo conoscente, qualcuno che un tempo era stato suo amico, e mi aveva chiesto di risparmiargli la vita.
Io mi sono arrabbiato moltissimo perché questo suo “ex amico” era un mago e aveva cercato attivamente di uccidere me e i miei compagni, anche se per fortuna non era riuscito nel suo turpe intento. “Per fortuna” in questo contesto significa “perché Daren lo aveva atterrato prima che potesse completare l'incantesimo”.
Fu una situazione molto penosa, per entrambi: inizialmente volevo finire quell'infame carogna mentre era a terra, come si fa solitamente con i nemici, ma Daren insistette in ogni modo... si appellò perfino alla nostra amicizia, e fu quello a far traboccare il vaso. Cercò di fare leva sulla nostra amicizia per convincermi a lasciar andare un individuo che aveva cercato di uccidermi. Che amicizia ci poteva essere fra noi se lui soprassedeva così facilmente a un attentato contro la mia vita?
La mia colpa fu scendere al suo livello, ma ero furibondo. “D'accordo, allora. Se tieni così tanto alla vita di costui, può andarsene, ma tu te ne andrai con lui. Non voglio vederti mai più.” Minacciai. Fu per costringerlo a scegliere. Scegliere fra la nostra amicizia e il suo remoto sentimento di lealtà verso un criminale.
Quello che non avevo realizzato è che un amico che ti impone una scelta minacciando di tagliare i rapporti non è un amico.
E così le nostre strade si divisero. Nel momento in cui capii che se ne sarebbe andato avrei voluto rimangiarmi tutto, ma il solo pensiero che avesse fatto quella scelta rinfocolava la mia rabbia. Quella notte ognuno lasciò andare l'altro con il cuore pesante e ricolmo di rancore e incomprensione.

Fu circa dieci anni dopo che mi svegliai una mattina d’inverno e me ne resi conto con chiarezza sconcertante: il mio amico mi mancava. Era un pensiero che aleggiava da anni nei recessi della mia mente, ma che non aveva mai preso coraggio di manifestarsi.
Ero riuscito a non pensare più a quella notte, ma non potevo evitare di pensare a lui di quando in quando. Ogni volta che partivo per una missione o per un'avventura mi veniva naturale pensare di cercare Daren per dirgli di preparare le spade... ma lui non c'era. Ogni volta che succedeva qualcosa di sciocco mi venivano in mente i commenti sarcastici che avrebbe fatto se fosse stato lì, ma non c'era. Erano solo flash, questione di pochi secondi, ma avevano sempre il potere di rovinarmi la giornata.
Quando finalmente presi coscienza del problema, mi decisi ad affrontare di nuovo i terribili ricordi di quella notte. Più ci pensavo, più mi avvicinavo a realizzare una cosa: avevo reagito peggio di quanto avrei dovuto perché in quel momento avevo paura. Ogni volta che il passato di Daren si ripresenta in qualche forma, ne ho paura. Non di lui, sia chiaro, non ho paura che possa tornare a essere il mostro senza cuore che era prima che lo conoscessi. È solo pura e semplice paura dell'ignoto.
Daren sa tutto del mio modo di vivere, conosce il mio clan, i nostri usi e costumi, parla perfino la nostra lingua con la dimestichezza di un giovane elfo. Io non so quasi nulla della sua vita di prima. Non ha mai voluto parlarmene. Mi ha insegnato solo quello che pensava potesse servirmi: come combattere al meglio contro qualcuno che ha alle spalle un addestramento come il suo. L'unica cosa che ha ritenuto importante trasmettermi è stato, in poche parole, come ucciderlo. Oh, non lui ovviamente, ma come uccidere qualcuno come lui. Non c'era nient'altro, nessun altro aspetto della sua cultura che riteneva fosse positivo per me conoscere. Ho solo imparato i rudimenti della sua lingua nel caso mi fosse capitato di origliare una conversazione.
Metà della sua vita è sempre stata al di là di ogni mia possibilità di comprensione. Un intero sistema di pensiero, di valori, di priorità... un intero background culturale che non avrei mai capito.
La decisione di intercedere per un suo vecchio amico, nonostante si fossero trovati su fronti opposti in una piccola battaglia e anche nella metaforica guerra fra il bene e il male, doveva per forza avere le sue radici in questo loro passato comune, in questo territorio dell'anima a me sconosciuto.
Ogni volta che Daren si comportava in modo alieno, dimostrando di essere ancora un mezzo sconosciuto per me, io avevo paura. Paura di perdere la sua amicizia, paura che mi nascondesse qualcosa, paura che me lo nascondesse perché pensava che non sarei stato in grado di capire o che lo avrei respinto.
E alla fine questo a cosa ci aveva portati?
Non ero stato in grado di capire, e lo avevo respinto.
 
Alla fine compresi anche come mai per dieci anni avevo cercato di non pensare a quella notte: non era solo per il dolore al pensiero che non gli importasse della mia vita, o che reputasse più importante la vita di un assassino rispetto alla mia. No, dopotutto sapevo che questa era solo un'interpretazione a caldo, l'impressione che avevo avuto nel bel mezzo della battaglia, ma non poteva essere corretta.
Non volevo affrontare il pensiero che potessi essere stato io a sbagliare.
Certo non era una certezza, non sarei passato dal pensare è tutta colpa sua a è tutta colpa mia, ma adesso almeno avevo tutta l'intenzione di ritrovarlo e interrogarlo sulle sue motivazioni.

Non sapevo dove cercarlo e non sapevo cosa gli avrei detto. In realtà non ero pronto a scoprire se fosse ancora arrabbiato con me, o addiruttura se mi odiasse. Quindi andai a interrogare qualcun altro.
“Ciao, mio vecchio amico.” Sussurrai settimane dopo, quando finalmente raggiunsi la mia destinazione nella foresta di Tethir. Poggiai una mano e la fronte sulla corteccia di una giovane quercia, che sembrava più vecchia dei suoi settant'anni, e respirai a pieni polmoni i profumi del bosco per cercare di distrarmi dalla mia malinconia.
Non potevo parlare con Daren dopo dieci anni di silenzio, ma potevo parlare con un Daren la cui memoria era ferma a prima che i nostri rapporti si guastassero.
Non sarà come se fosse davvero lui, ripetei a me stesso per l'ennesima volta. Una quercia è come un cadavere, resta solo un'impronta della sua anima qui dentro... ma sa tutto quello che sapeva Daren quando è morto.
Estrassi dalla tasca un anello che mi avrebbe permesso di parlare con i vegetali. Forse ci sarebbero voluti dei giorni, ma avrei avuto le mie risposte.
 
Ciao, mio vecchio amico. Ripetei, questa volta in un linguaggio che la pianta potesse capire.
Ti avevo già sentito la prima volta. Fu la risposta lapidaria. Che gentile. Quindi la quercia capiva ancora le lingue che conosceva in vita, ma non poteva parlare.
Ciao, elfo.
Sono Johlariel. Gli chiarii. Magari la sua memoria era compromessa?
Sì, lo so.
Ah.
Che cosa fai qui, Johlariel?
Sentivo la tua mancanza.
Sono morto da molti anni, perché ora?

Esitai. Non sapevo bene come rispondere.
Sei morto, ma sei tornato in vita. Non ne eri a conoscenza?
No. So che ero un fantasma perché il fantasma è venuto a farmi visita, ma non sapevo di essere tornato in vita.
Ma certo. Non poteva sapere nulla di ciò che era successo dopo la sua morte, a meno che non ne fosse stato testimone con i suoi sensi limitati, e Daren era apparso davanti alla quercia. Quindi, con la sua nuova “vita” vegetale aveva mantenuto la capacità di apprendere informazioni nuove; interessante.
Se sono tornato in vita, come puoi sentire la mia mancanza?
Merda. È sempre stato un po' troppo sveglio.
Sei disperso. Mentii, ma non era del tutto una bugia. Sono qui perché ho bisogno di informazioni per... poterti ritrovare. Informazioni sulla tua vecchia vita.
La quercia non rispose, ma riuscii a percepire a pelle il suo turbamento e disagio. Sarebbe stato un lavoro lungo.
 
Tempo dopo, ripartii dalla foresta Wealdath insieme al più improbabile dei compagni di viaggio: uno gnoll. Un cucciolo, per la precisione. La creaturina aveva mangiato una ghianda della quercia benedetta e aveva assimilato parte dei ricordi (e forse della personalità?) di Daren. Uno gnoll allo stato brado sarebbe stato già un problema, una creatura bestiale dall'indole malvagia, ma così si dimostrò un problema unico nel suo genere. Ma questa è un'altra storia.
Con il tempo capii che era inutile fargli domande perché i suoi ricordi della vita di Daren erano molto confusi, il cucciolo era lì solo perché mi prendessi cura di lui e non certo il contrario. Tuttavia scoprii che aveva una certa utilità come traduttore, quando non faceva confusione fra le diverse lingue che aveva appena appreso in modo frammentario e incompleto.
“Come si dice riconciliazione?” domandai un giorno, mentre cercavo di scrivere una lettera per Daren.
Il piccolo gnoll mi guardò con occhio vitreo. “Non si dice.”
“Un concetto simile?”
“Uh... alleato?”
“In che modo sarebbe simile?”
“Beh” mi rispose tutto stizzito “vuole dire sempre che avete deciso di non uccidervi uno e l'altro”.
Mi fermai, poggiai la piuma che usavo per scrivere e mi girai a guardarlo.
“Gimli, non capisco se sei tu ad essere completamente inutile, o se è la lingua.”
“È la lingua.” Aveva sempre la risposta pronta e questa volta anche un tono altezzoso. “Io non posso essere inutile, perché non sono un elfo.”
“Oh, ma sentilo. Quest'elfo inutile” dissi, indicando me stesso “ha ucciso moltissimi gnoll in vita sua. Tu quanti elfi hai ucciso?”
Naturalmente non intendevo davvero minacciarlo. Volevo solo vedere quanto fosse forte l'influenza di Daren su di lui, vista la sua giovanissima età.
“Non ho detto che gli elfi devono morire perché sono inutili.” Mi corresse, arricciando il nasino da canide. “Se tutti quelli inutili dovevano morire, restavamo solo io e i tizi che fanno gli alcolici.”
Dopo questa dichiarazione, scoppiai a ridere senza ritegno. Ero certo che Gimli non avesse mai toccato una goccia d'alcol in vita sua, sembrava un bambino che ripete una battuta sentita in bocca a un adulto.
“D'accordo, d'accordo. Come si può dire qualcosa come fare pace?”
Gimli ci pensò su. A suo merito, ci pensò davvero.
“Uno scambio di ostaggi?”
Sospirai, scoraggiato dalla difficoltà del lavoro che avevo deciso di sobbarcarmi. Piegai la lettera ancora incompleta e la misi via. Avevo scritto abbastanza per una giornata.

Avevo riflettuto a lungo su cosa scrivere. Mi era costato molta fatica superare le resistenze e le reticenze della quercia, ma alla fine avevo ottenuto alcune informazioni chiave.
Avevi degli amici nella tua vecchia vita? Avevo chiesto alla quercia.
Oh, certo. Il circolo del bridge, tutte le sere.
Ti prego, sii serio.
Non avevo amici nel senso in cui tu intendi l'amicizia.
E allora cosa avevi?
La quercia non aveva risposto.
Daren, chi è Antrar?
Ancora nessuna risposta. Poi, dopo un lungo momento:
Ho capito chi intendi, anche se la tua pronuncia è pessima. Dove hai sentito questo nome?
Decisi di vuotare il sacco:
È per colpa sua se sei sparito.
Raccontai, romanzando un po' la realtà. Non era un tuo vecchio amico?
Non nel modo in cui tu intendi l'amicizia.
E che diavolo! Sbottai e gli gridai contro. Non mi interessa in che modo fosse tuo amico, parlami di lui e basta!
Johel. Mi disse infine, usando per la prima volta il mio soprannome. Non so cosa sia successo in questi anni in cui ero vivo, ma non mi ci vedo ad essermi unito a quelli. Sono nemici del mio culto e sono persone malvagie. Anche il mio vecchio amico. Non posso aver cambiato schieramento. Non posso aver tradito quello in cui credo, o aver tradito te. Non l'ho fatto... vero?
Per la prima volta avevo percepito una punta di preoccupazione nel suo tono. Di colpo mi ricordai che la quercia conteneva i resti dell'anima di un Daren molto più giovane, che aveva trovato da poco una dimensione in cui vivere.
No. Tranquillo amico, non hai tradito nessuno. Pregai che fosse vero. Ma devo ritrovarti, quindi sii il più preciso possibile. Dimmi tutto quello che ricordi.

Con le informazioni che avevo raccolto, ero riuscito a farmi un'idea un po' più precisa del suo rapporto con quel criminale. Erano stati amici in un certo senso, nell'unico senso possibile nel loro mondo, e quell'amicizia si basava su tre cardini interdipendenti: lealtà, fiducia e segretezza. La fiducia reciproca doveva basarsi sulla lealtà, ma ogni atto di lealtà era un atto di fiducia perché non c'era mai la completa certezza che l'altro ricambiasse quella lealtà... ma fintanto che ognuno dei due continuava ad agire a beneficio dell'altro, aggrappandosi alla flebile speranza di essere contraccambiato, un simile rapporto di amicizia poteva portare grandi vantaggi a ciascuno dei due. E naturalmente questo rapporto doveva restare segreto, perché era proibito e perché avrebbe potuto essere usato contro di loro.
Daren aveva ragione: quello non era il mio concetto di amicizia. Fare dei favori a qualcuno solo perché lo si reputa la persona più vagamente affidabile nel circondario, o la persona che avrebbe meno vantaggi a tradirti, e solo allo scopo di averne dei benefici in cambio... non è quello che io chiamo amicizia. Eppure per loro era già una dimostrazione di fiducia ad altissimo rischio, una follia quasi, e la necessità di tenere segreta questa amicizia la rinforzava ancora di più perché se uno dei due fosse stato scoperto entrambi sarebbero finiti nei guai.
Potevo vagamente cominciare a capire perché Daren aveva voluto che la vita di quel soggetto venisse risparmiata; non è tipo da lasciar morire volentieri un conoscente, figuriamoci un ex-amico. Anche se non erano amici nel senso vero del termine, erano la cosa più vicina al concetto, e si erano affidati l'uno all'altro per la sopravvivenza.
Daren non desiderava tradire qualcuno che per lui era stato importante, e io non avevo il diritto di intromettermi nella sua vita privata... anche se avevo assolutamente il diritto di odiare il mio aspirante assassino.

Decisi di dirigere i miei passi verso Secomber, per cercare la sorella di Daren, Krystel. Non sapevo dove fosse lui, ma dovevo confidare nel fatto che avesse mantenuto i rapporti con la sua famiglia.
È anche la mia famiglia. Ragionai, stringendo i denti per allontanare la sensazione sgradevole e dolceamara che si accompagnava a quel pensiero. Dopotutto l'ultima figlia di Krystel è anche mia figlia. La piccola Jaylah... non la vedo da troppo tempo. Sono stato negligente con lei, sono stato un pessimo padre perché vederla mi portava alla mente ricordi troppo dolorosi. Avevo promesso che sarei stato un buon padre, presente nella sua vita, e che la differenza di razza non ci avrebbe separati.
E in un certo senso era stato così... quello che ci aveva separati era stato la lite fra me e Daren.
Vederla mi ricordava ogni giorno di lui, e mi faceva rivivere i miei dubbi sulla fiducia che gli avevo accordato. Potevo raccontare a me stesso che la differenza di razza non era stata la causa scatenante del mio allontanamento dalla mia bambina, ma la verità era che la somiglianza con sua madre e con suo zio aveva avuto un certo peso.
Ma avevo provato a restare vicino a mia figlia. Circa dieci anni prima, qualche mese prima dell'attacco al mio clan, l'avevo portata con me alla foresta di Sarenestar.
 
Io e Gimli in quel momento oziavamo su una nave in attesa di arrivare al porto di Baldur's Gate, una delle tappe del nostro viaggio verso nord, e per quel giorno avevo rinunciato a continuare a scrivere la mia lettera per Daren. Non avevo molto da fare, quindi lasciai vagare i miei pensieri attraverso le pagine della memoria.


   
 
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