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Autore: NPC_Stories    28/10/2017    0 recensioni
In un tragico momento della storia della nostra amicizia, io e Daren abbiamo litigato. Non una semplice lite, ma qualcosa che ha alzato un muro glaciale fra noi che non si è sciolto per un intero decennio. Noi elfi cambiamo idea lentamente, quindi ci è voluto del tempo per riconsiderare le nostre posizioni.
Gettare un ponte è un conto, ma riusciremo a recuperare l'affinità che avevamo un tempo? Partire per nuove avventure sarà d'aiuto? Quanto si deve rischiare la vita prima di capire che ogni attimo è troppo prezioso per passarlo nell'infelicità?
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Questa storia prima era un tutt'uno con "20th-level Sidekick", ora ho deciso di splittare quella storia in due differenti.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1361 DR: Mai farsi mancare qualche flashback

Primavera 1361, da qualche parte nelle vicinanze di Secomber

“Acco! Acco, papà.”
Jaylah saltellava ai miei piedi, tendendo le braccia verso l’arco con cui mi stavo esercitando. Di solito riuscivo a tenere l’arma fuori dalla sua portata, ma stavolta mi sorprese saltando in avanti e afferrando un’estremità del mio arco. Stavo per scoccare mirando al mio bersaglio di paglia, ma riuscii a trattenere la freccia. Probabilmente si sarebbe solo infilzata a terra, ma non era il caso di rischiare.
“Tesoro, cosa ti dico sempre? Quando papà tira con l’arco, devi restare dietro e guardare. Quando sarai abbastanza grande avrai un arco tutto tuo per esercitarti.”
“Ma io sono rande!” Protestò a gran voce. “E tutti i miei ratelli e le mie sorelle fanno tante cose.”
“Perché i tuoi ratelli e le tue sorelle sono più grandi di te. Quando avevano quattro anni non tiravano con l’arco, non facevano le magie, non lavoravano alla locanda, facevano solo quello che gli diceva la mamma.”
“Ma io voio fare tante cose come loro.” Jaylah mise il broncio. Il suo musetto infantile diventava davvero adorabile quando metteva il broncio, e io non riuscivo mai a resistere alla presa che aveva su di me. Sfilai la corda dall’arco e lo poggiai a terra, chinandomi accanto a mia figlia. Le carezzai la testa con una mano, giocando con i suoi boccoli biondi. A volte non riuscivo a credere che una simile meraviglia fosse mia, la mia bambina.
“Quando sarai grande potrai fare tutto quello che fanno loro. Anzi, potrai fare tutto quello che vuoi.”
Jaylah ciondolò in silenzio per qualche momento, poi si sporse verso di me come per confidarmi un segreto.
“Tine ha ninniconno. Io l’ho vitto!” Mi raccontò, con gli occhioni verdi spalancati e luminosi come laghi d’estate.
“Quando sarai grande forse anche tu potrai avere un amico unicorno. Forse diventerai capace di chiamarlo a te.”
“Gli devo dare la pappa come le galline?” Domandò, malinterpretando il concetto di chiamare a sé. Io francamente intendevo con la magia.
“Beh, amore... forse tentare non nuoce. Secondo te, cosa piace a un unicorno?”
Jaylah ci pensò con grande impegno.
“La torta.”
Stavo per scoppiare a ridere, ma non volevo dare una delusione alla piccola.
“Perché no? A tutti piace la torta. Forse dovresti parlarne con la tua mamma. Dovrebbe insegnarti come si fa la torta.”
Jaylah mi gratificò con un immenso sorriso.
“Vado dalla mamma!” Mi annunciò, mentre correva via, verso la cucina della locanda.
Sospirai, accingendomi a riprendere il mio allenamento interrotto.
Non era una bambina impegnativa, non era viziata, era pure adorabile ma... non immaginavo che prendersi cura dei bambini fosse così stancante.

Krystel di solito cresce da sola i suoi figli. Per una ragione o per l’altra ha sempre fatto così. A volte questo non è dipeso dalla sua volontà; il suo primo marito, il padre di Duvainion, era stato ucciso in battaglia quando il loro primogenito era solo un ragazzo. Da allora, gli altri uomini con cui aveva concepito i suoi figli erano stati solo piacevoli conoscenti o amanti occasionali, e avevano avuto un ruolo davvero marginale (se non del tutto assente) nella vita della loro prole.
Però quando era rimasta incinta di un figlio mio mi ero imposto: volevo avere una parte nell’infanzia e nell’educazione del bambino. Krystel non aveva nulla in contrario; io le piacevo ed era lieta che la sua figliola più giovane avrebbe avuto anche una figura paterna.
Non siamo mai stati innamorati, ma ormai eravamo buoni amici, andavamo d’accordo su molte cose e vivere fianco a fianco ci aveva resi anche amanti. Ognuno dei due era consapevole che l’altro non cercava amore e non l’avrebbe concesso, ma ci stava bene così.
All’inizio mi ero preso l’impegno di essere un padre presente perché ricordavo la conversazione con Hilda una notte di tanti anni prima; dai suoi racconti sembrava che le fosse mancata non tanto (o non solo) una figura paterna, quanto l’idea di poter essere accettata dalla comunità di suo padre, di poter avere un posto nella sua vita, o in generale nel mondo al di fuori della casa materna.
Poi però, man mano che la gravidanza procedeva e poi quando la bambina venne al mondo, me ne affezionai velocemente e irrimediabilmente. Era mia figlia. La cosa non aveva a che vedere con i miei parenti o con la mia foresta o con il farla crescere con più fiducia verso il mondo esterno: semplicemente, quella era mia figlia e io volevo esserci per lei.

E così erano passati quattro anni dalla sua nascita, e ormai era una signorina che voleva tirare con l’arco e preparare torte per gli unicorni.
“Krystel, ti vorrei parlare.” Le annunciai quella sera.
Eravamo soli in taverna. Tutti i bambini che erano stati ospiti della locanda nei mesi precedenti erano tornati alle loro case da pochi giorni, ma la stagione non era ancora abbastanza avanzata perché la locanda avesse già dei clienti. Le figlie di Krystel si erano già ritirate per riposare, ma non il giovane Luel che sicuramente era andato a gozzovigliare e a suonare in una taverna di Secomber e ci sarebbe rimasto fino all’alba, o fino alla fine del mese per quanto era imprevedibile. La piccola Jaylah era con noi perché non riusciva ad addormentarsi senza compagnia, ma Krystel non aveva ancora avuto il tempo di metterla a letto quindi ora sonnecchiava in braccio a sua madre. Visto che ormai la bambina cominciava a diventare pesante, mi offrii di alleggerire Krystel del suo fardello. Lei mi passò la piccola con uno sguardo di gratitudine.
“Siediti pure, vado a prendere qualcosa da bere.” Mi invitò, indicando una delle sedie vuote.
Mi sedetti, con un occhio di riguardo per non svegliare la bambina.
Krystel tornò con due boccali di ippocrasso caldo, una delizia nelle sere ancora fredde di primavera.
“C’è una cosa di cui ti vorrei parlare.” Cominciai, con cautela. “Tu sai quanto mi sono affezionato a Jaylah... è la mia unica figlia e le voglio molto bene. Però sono qui da quasi sei anni e ho comunque dei doveri verso il mio popolo. E ho una famiglia nella foresta di Sarenestar, i miei genitori e tutti i loro parenti... io sono cresciuto lì, quello è il mio clan, un concetto che è quasi sinonimo di famiglia. I miei amici e i miei cugini sono quasi dei fratelli.”
“Per cui, ci lascerai?” Krystel sembrava tranquilla. Non tranquilla come se volesse sbarazzarsi di me e fosse contenta della mia decisione, ma tranquilla come se l’avesse messo in conto.
“Ecco, per la verità... questa sarà una richiesta che forse troverai assurda, e potrei accettare un rifiuto, ma vorrei che prima di dire di no tu ci pensassi davvero. Mi piacerebbe portare Jaylah nella mia foresta. Vorrei che conoscesse i suoi nonni e il popolo di suo padre.”
Il silenzio che calò fra noi fu il più pesante della mia vita.
Pensai a molte cose in quei lunghi istanti d’attesa, mentre Krystel rifletteva sorbendo con calma la sua bevanda.
“Sono piacevolmente colpita dalla tua onestà. Una persona più vile avrebbe invitato anche me, sapendo che avrei rifiutato per via dei miei impegni qui.”
“Io non... ecco, non voglio offendere la tua intelligenza. Che tuo fratello sia mio amico è un conto, ma se portassi anche te alla foresta sarebbe visto come un segno del fatto che io e te siamo una coppia, o meglio una famiglia, e non... non sarebbe facilmente accettato. Inoltre, beh, io e te non siamo una coppia.”
“No, infatti.” Krystel mi fissò da sopra la sua tazza e perdendomi in quegli occhi magnetici improvvisamente realizzai con chiarezza che era una strega, qualsiasi cosa volesse dire. Il suo sguardo mi mise a disagio.
“Sei... in collera?”
“Dovrei essere in collera perché sei stato sincero con me e perché ami nostra figlia? Naturalmente no. Ma vorrei che tu capissi quanto sia difficile per me separarmi dalla mia piccolina. Ha soltanto quattro anni, dovrei lasciare che venga trasportata per mezzo Faerûn in un viaggio che comporta dei pericoli, per poi non vederla più per... quanto tempo? Mesi, anni?” Krystel distolse lo sguardo. “Se io fossi innamorata di te mi importerebbe di avere l’approvazione del tuo popolo, ma non è così. Mi importa di Geyla. In questo momento ti parlo da madre: come verrebbe trattata?”
Agganciò nuovamente il suo sguardo al mio e questa volta lo sostenni, cercando di trasmetterle il mio sostegno e tutta l’onestà che ero disposto a mettere in gioco.
“Il fatto che la bambina sia figlia tua e nipote di un ruathar, oltre che figlia mia, certamente deporrà a suo favore. Verrà accettata come mia figlia e di sicuro tutti le vorranno bene. Ma sarò sincero, Krystel, non credo che potrà avere un ruolo. Voglio dire... se mai decidesse di vivere nella mia foresta quando sarà adulta, per un po’ o per sempre, il suo ruolo sociale sarebbe simile a quello che hanno i figli bastardi nelle società umane; mio zio Fisdril è a capo del clan Arnavel, è uno degli elfi più rispettati della foresta, ma non credo che la posizione sociale di Jaylah potrà mai beneficiare di qualche avanzamento grazie a questa parentela.”
“Personalmente non mi interessano queste cose, e se dovessero importare a lei quando sarà grande, sarà un problema che dovrà affrontare. Per il momento mi basta sapere che la bambina sarebbe ben accetta.”
“Questo sicuramente. Sarebbe amata.”
Krystel annuì, abbassando lo sguardo.
“Sei stato onesto con me, quindi io lo sarò con te. Ci sono giorni in cui vorrei essere capace di dare qualcosa di più ai miei figli. Ma con Geyla è più facile, perché ha anche un padre che la ama, non soltanto me. Desidero che conosca il tuo popolo. Tu di certo puoi insegnarle ad essere un’elfa molto meglio di come farei io. Trovo giusto che abbia l’occasione di conoscere almenò l’eredità culturale di suo padre.”
Rimasi a guardarla ammirato, per forse un intero minuto. Già la stimavo come amante, come donna e come madre, ma in quel momento mi resi conto che c’era qualcosa di più in lei. Stava facendo un sacrificio, rinunciando a vedere la sua figlia più piccola per chissà quanto tempo, solo per poterle dare una migliore possibilità di vita.
“Ti è pesato?” Le domandai d’impulso, prima di potermene pentire.
Krystel mi guardò senza comprendere.
“Voglio dire... crescere senza radici. Ti è pesato?”
Mi sembrò di vedere un velo di tristezza nei suoi occhi, ma fu solo per un momento.
“Ho trovato le mie radici quando sono diventata una strega. Avere una maestra che m’insegnasse... non solo mi ha dato uno scopo nella vita, ma mi ha resa parte di qualcosa di più grande. Io ho ricevuto gli insegnamenti e ho avuto in eredità il territorio di Hilda Sethamelc, la vecchia Strega della Palude. Ho fatto il mio dovere prendendomi cura di quel territorio per anni, e infine ho addestrato a mia volta Merrique, che è diventata la nuova Strega della Palude dopo di me. Ora continuo a mettere in pratica gli insegnamenti della mia vecchia maestra e a trasmetterli alle nuove generazioni. Questa è la mia Tradizione, Johel. Questa è la mia famiglia.”
“E... non ti basta trasmettere questo alle tue figlie?”
Krystel sorrise ancora, ma era un sorriso un po’ triste.
“La vocazione non si trasmette con il sangue. Non necessariamente. Guarda i miei figli... alcuni di loro hanno scelto di seguire il mio percorso, ma non tutti; un figlio della foresta, una commerciante, una guaritrice, un’avventuriera, un bardo, e di Kore poi non ho notizie da anni... alcuni di loro hanno appreso la mia arte ma la applicano in forme diverse. Questo è un cammino che si deve scegliere, e voglio che Geyla possa scegliere. Io ho avuto una grandissima fortuna perché questa poi si è rivelata la strada giusta per me, ma quando l’ho intrapresa non avevo scelta.”
 
Presi accordi con Krystel perché abituasse la bambina all’idea, e con il mio amico perché mi accompagnasse: volevo un viaggio sicuro per Jaylah. Avremmo camminato per mesi, ma in quei mesi non le doveva essere torto nemmeno un capello. Avrei infilzato con le mie frecce qualunque tizio sospetto che si azzardasse a guardare nella nostra generica direzione.

Estate 1361, foresta di Sarenestar

“Fermi! Dichiarate nomi e intenzioni!” Ci intimò una voce maschile, da un punto imprecisato sopra di noi. In quel punto la foresta era piuttosto fitta e creava una strana eco, difficile dire da dove venisse la voce.
“Siamo noi, Johlariel e Daren” risposi all’aria, senza ancora vedere chi ci avesse fermati. La voce però mi era familiare. “La nostra intenzione è tornare a casa.”
“Io sono Geyla e cerco un inniconno!” La bimba fece sentire la sua voce senza paura, gridando all’aria come me. La sua risata infantile e cristallina seguì le sue parole.
Stavo cercando di insegnarle che ninniconno sono due parole, un unicorno, e stavamo facendo progressi.
Un elfo piuttosto alto e robusto si calò da un albero atterrando davanti a noi. Lo riconobbi: era un nostro vecchio amico, Raerlan. Se non fossero bastati i suoi insoliti occhi dorati a rivelarmi la sua identità, ebbene solo lui in tutti i reami amava indossare ridicoli cappelli di foggia umana.
Jaylah lanciò un gridolino di sorpresa. Era il primo elfo che vedeva oltre a me.
“Johlariel e Daren? Questi nomi mi dicono qualcosa...” finse di non ricordare, poggiandosi il mento su una mano. “Un tempo vivevano qui un Johlariel e un Daren, ma sono spariti da così tanto tempo da essere stati quasi dimenticati.”
“Oh oh oh. Lo so, siamo stati via qualche anno. Non serve fare il sarcastico.” Mi sistemai meglio Jaylah in braccio, perché ormai diventava sempre più pesante.
Raerlan passò lo sguardo da me alla bambina, poi a Daren.
“Ma quanto siete carini. Ho sempre saputo che c’era qualcosa di non detto, fra voi. Sono felice che abbiate deciso di dichiararvi a tutti.”
“Come prego?” Domandò il mio amico, e dal suo tono Raerlan avrebbe dovuto capire quando fermarsi.
“Toglietemi questa curiosità, chi di voi due si è trasmutato in donna per più di nove mesi?”
Buttai gli occhi al cielo, sbuffando. Non ero nello spirito di stare ai suoi scherzi.
“Questa bambina è figlia mia e della sorella di Daren.” Spiegai, in tono piatto.
“Raerlan, sei un alicorn.” Intervenne Daren, che a quanto pare aveva meno pazienza di me. “Non mi sembri nella posizione di questionare la sessualità altrui, dal momento che uno dei tuoi genitori era un elfo e l’altro un unicorno. Toglimi questa curiosità. Tuo padre aveva un fetish equino? Oppure è stata tua madre che, con un complicato sistema di corde e leve...”
“Trasmutazione!” sbottò, alzando le braccia. “Tutti sempre con questa domanda! Semplice trasmutazione, per l’amor degli Dei.”
Jaylah scambiò il suo alzare le braccia al cielo come un segno di festeggiamento, quindi lo imitò gridando “Ninniconno!” con un gran sorriso.
Daren scoppiò a ridere senza vergogna.


           

   
 
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