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Autore: Lady I H V E Byron    28/10/2017    1 recensioni
"Ci sono cose, nella vita, cui non puoi fare niente. Come la morte di una persona cara. Lo so, per i primi tempi fa male, senti un enorme vuoto dentro e non vuoi più vedere nessuno. E' un dolore che a stento puoi sopportare, ti fa quasi impazzire. Sei consapevole che non torneranno più, che non puoi fare niente per riportarli in vita e questo ti fa soffrire sempre di più. Alla fine scopri... che tutto quello che puoi fare per loro... è vivere."
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Daniela Savoia è una ragazza in lutto per un ragazzo che lei amava; lo shock la porta al mutismo e alla depressione, tanto da rifiutare qualsiasi contatto con il mondo esterno. Nemmeno nell'ospedale psichiatrico dove è stata inviata riescono a trovare una soluzione: Daniela si chiude sempre più in se stessa, senza mangiare, continuamente tormentata da incubi sul ragazzo defunto. L'alternativa, seppur a prima vista assurda, si rivela una vacanza in una SPA, in cui, con sorpresa, incontra le ultime persone che si aspettava di incontrare...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Threesome, Triangolo
Capitoli:
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Note dell'autrice: saaaaaalve a tutti! Scusate se è da una vita che non aggiorno la storia, ma sapete com'è, con l'università e tutto. E poi sono anche un po' impegnata con un'altra storia sul forum dei Tokio Hotel e un contest di scrittura sul "The XIII Order Forum", quindi...
ma almeno un capitolo sono riuscita a finirlo. Scusate se è scritto male.

Riassunto dei capitoli precedenti: dopo essere venuta a conoscenza della morte del ragazzo che amava, Daniela cade in uno stato di depressione quasi irrecuperabile. Su consiglio della sua infermiera dell'istituto psichiatrico dove è stata inviata, passa una settimana in una SPA, nel tentativo di distrarla dal suo lutto. Ivi, con grande sorpresa, incontra i gemelli Kaulitz, da lei ammirati molto, di cui uno, Bill, una sera, sentendola cantare, sembra provare interesse per lei, nonostante le raccomandazioni del fratello. Il suo interesse si spinge a tal punto da entrare nella stanza d'albergo di Daniela, scovando, tra altre cose, la foto di un ragazzo a lui molto somigliante. Quel ragazzo lo sognerà quella notte stessa, mentre trascina con sé Daniela verso un dirupo. Scoprirà che quel sogno era premonitore: incuriosito da strani rumori provenienti dal corridoio, Bill esce, notando la ragazza camminare in direzione del tetto. Per evitare che accada ciò che aveva sognato, riesce a salvarla, prima che sia troppo tardi, magari temendo che si volesse suicidare. Ma la realtà è ben altra...

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Chiara’s P.o.V.
 
Stanotte ho fatto un sogno strano. Era tutto così reale… Ero al cinema… con Gabriele. Non so quale film abbiamo visto, ma ero con lui. Sembrava preoccupato, diceva che mi ero addormentata durante il film. Dopo avergli detto che stavo bene, lui mi prende per mano e insieme usciamo dal cinema, per andare a casa sua. Dopo avermi detto che mi amava, apre la porta e mi fa cenno di seguirlo.  Improvvisamente, però, sentii due braccia stringermi il torace e una voce dire: “Are you gone mad?”. Ero sul tetto della SPA, proprio sul bordo di un precipizio. E dietro di me… c’era Bill Kaulitz. Ero tra le sue braccia.
 
Era tutto scritto confuso, sintetico, tremolante ed erano presenti diverse macchie di lacrime, ma almeno avevo avuto la prova dell’innocenza di Bill.
 Ero nel salone da pranzo, per colazione, quando stavo leggendo il diario di Dani. Curiosa com’ero di indagare su quanto era successo quella notte, cosa stava facendo Bill con lei, non attesi la sera, per leggere cosa aveva sognato.
Senza pensarci due volte, presi il mio quaderno, scrivendoci qualcosa.
Notai due figure avvicinarsi a me.
-Ehm… buongiorno…- udii, in italiano, con accento germanico, e una lieve nota di imbarazzo.
Alzai la testa: i gemelli Kaulitz.
Fra i due, era il biondo ad essere il più nervoso, a giudicare da come si mordeva il labbro inferiore. Il moro, invece, era tranquillo. Erano in accappatoio, con i cappucci alzati. Diavolo, visti in quel modo erano davvero identici... Per fortuna, li abbassarono.
-Possiamo sederci…?- proseguì il primo, parlando in inglese.
Senza pensarci due volte, indicai le sedie di fronte a me.
-Prego.- dissi.
Si sedettero, quasi deglutendo. Dovevo aver loro fatto una cattiva impressione, con il comportamento che avevo avuto i giorni precedenti, nei tentativi di proteggere Daniela. Sembravano aver paura di me.
-Signora…- iniziò Bill, dopo essersi morso le labbra –Posso spiegare…-
Io tagliai corto, forse un po’ troppo brusca: -Ho un nome. Chiara. Non chiamarmi “signora”.-
-Ok, Chiara.-
-Che nome carino…- commentò Tom, osservandomi con un’aria strana, nel tentativo di sedurmi. Ma io ero una tosta.
-Prima di tutto…- riprese Bill, con aria preoccupata –Come sta Daniela?-
-Sta bene. Ora è a lezione di yoga, ma è ancora un po’ scossa da ieri notte.-
Tirò un sospiro di sollievo.
-Meno male, eravamo molto preoccupati.-
-Lui era preoccupato…- disse Tom, cinico.
-Non ne avete parlato con nessuno, vero?- domandai, seria in volto, per incutere loro un po’ di timore.
-Siamo stati muti come pesci.- rispose il moro, facendo il gesto della zip sulle labbra –Proprio come ci aveva suggerito.-
-Beh, tanto meglio.-
-Le posso assicurare che quanto è accaduto questa notte non è come pensa…- parlò il biondo.
-Lo so.- aggiunsi, seria –E se la cosa può sollevarvi, non voleva nemmeno tentare il suicidio.-
Posai il mio quaderno sul tavolo.
-Era sonnambula.-
Infatti, avevo scritto:
 
Giorno 3: la paziente ha contratto di nuovo una crisi di sonnambulismo nel cuore della notte.
 
I gemelli alzarono le sopracciglia folte.
-Sonnambula?- domandarono, all’unisono.
-Sì, avrei dovuto immaginarlo. E non avrei dovuto sospettare delle vostre intenzioni. Sembrate dei così bravi ragazzi…-
Entrambi sorrisero, grati sia del complimento che della loro innocenza.
-E per quel che vale… grazie per aver salvato Dani.-
Mi morsi le labbra, dall’imbarazzo, nell’aver anche minimamente pensato che Bill volesse abusare di lei.
-Quando possiamo dare una mano…- ringraziò Tom, sistemandosi i capelli e mettendosi comodo sulla sedia.
-Le capita spesso il sonnambulismo?- domandò Bill, facendosi serio.
Sfogliai il mio quaderno, alla ricerca di tutti i momenti in cui l’avevo sorpresa a vagare, di notte, nell’istituto, sonnambula.
-In effetti, questa è la terza volta che le capita.- spiegai –Ma nelle volte precedenti riuscivo a raggiungerla, prima ancora che salisse o scendesse le scale. Non oso immaginare cosa sarebbe capitato se non l’avessi fermata in tempo, Bill.-
Come previsto, lui si fece rosso e sorrise, mentre il gemello gli dava una leggera pacca sulle spalle. Davvero adorabile. In quel momento, compresi l’ammirazione di Dani nei suoi confronti….
Poi, tornò subito serio.
-Chiara, cosa è successo a Daniela?- domandò –Perché ha deciso di restare muta? Perché è stata inviata all’ospedale psichiatrico? E, soprattutto, chi è il ragazzo della foto?-
Mi stava supplicando anche con lo sguardo. Anche Tom sembrava curioso.
Già una volta me lo aveva chiesto e io avevo risposto chiudendo loro la porta in faccia.
Li osservai entrambi: sì, glielo dovevo.
-Dato che avete salvato Daniela… suppongo di dovervi spiegare come stanno le cose…- cominciai –Il ragazzo che avete visto in foto… era una persona cui Daniela teneva molto. E’ morto proprio la sera del vostro concerto a Milano.-
 
Daniela’s P.o.V.
 
Ero tornata in piscina, dopo la lezione di yoga.
Quando Chiara era venuta a prendermi, le scrissi di portarmi in camera, poiché volevo tornare in piscina.
Ero seduta sul bordo vasca, con le gambe in acqua, mentre continuavo la mia lettura di “Jane Eyre”.
Ero arrivata proprio alla mia parte preferita, la dichiarazione del signor Rochester a Jane.
 
Io le offro la mia mano, il mio cuore e i miei beni.
 
Io le domando di trascorrere la vita al mio fianco, di essere il mio secondo io e la mia migliore compagna sulla terra.
 
Poi ripensai al sogno fatto quella notte, a Gabriele.
Sembrava tutto così reale!
Avrei tanto voluto che quel sogno fosse la realtà e la realtà fosse un incubo. Un terribile incubo.
Un incubo dal quale mi sarei risvegliata, e mio padre entrava nella mia stanza, dicendomi che era ora di alzarmi per andare all’università.
Gabriele… non volli mai accettare il fatto che non ci fosse più, che fosse ormai lontano da me, per sempre.
Che fosse morto.
E se lui era morto… che senso aveva vivere?
Piansi, macchiando la pagina.
Scorsi un’ombra, avvicinandosi sempre più a me.
-Ciao.-
Riconobbi quella voce.
Quell’odore di vaniglia e sigaretta.
Mi asciugai in fretta le lacrime e mi voltai.
Il mio salvatore.
Il mio idolo.
Bill Kaulitz.
Più bello che mai.
La mia malinconia stava quasi svanendo, alla sua vista.
Quel volto così angelico, puro… mi bastava guardarlo, per risollevarmi il morale.
-Posso sedermi qui?- mi domandò, in inglese. Prima, mi aveva salutato in italiano.
Annuii, sorridendo leggermente.
-A proposito… buona Pasqua.-
Giusto. Era il 16 aprile. Era Pasqua. Ma io non facevo più molto caso alle festività. Ormai erano solo scuse per abbuffarci come maiali.
Immerse anche lui le gambe in acqua. Ogni tanto, ne tirava su una e poi la rimetteva in acqua.
Quasi ridacchiai a vedere i tatuaggi della tazza e del gelato. Erano davvero delle scelte strane come tatuaggi…
Lui, però, aveva lo sguardo sul libro.
-E’ il tuo libro preferito?- domandò.
Ci misi il segnalibro sopra e lo chiusi, mostrando il titolo.
Non diedi risposta.
-Sai, a me non piace molto leggere…- proseguì lui, guardando il cielo. Quel giorno era nuvoloso; esattamente in tono con il mio umore –A scuola ci facevano sempre leggere libri noiosi, quindi puoi immaginare a cosa mi abbia portato. La scuola dovrebbe insegnarti tante cose, orientarti verso quello che vorresti fare in futuro, farti apprezzare quello che studi… ma sono tutte cazzate. Alla fine si studia solo per avere un buon voto e sprecare pomeriggi a fare calcoli ed esercizi inutili.-
Esattamente quello che pensava Gabriele. Avevano mentalità molto simili sulla scuola. E anch’io la pensavo allo stesso modo.
Non dissi nulla. Ridacchiai e basta, e Bill con me.
Avrei tanto voluto parlargli, ma la mia bocca rimase chiusa.
-Sai, sono proprio contento che tu stia bene.- riprese, dopo un’altra pausa –Pensavo che dopo quanto è successo ieri notte non saresti nemmeno uscita dalla tua stanza.-
L’intento era quello, infatti. Chiara mi aveva quasi trascinato a forza fuori dalla mia stanza per andare alla lezione di yoga. Alla fine, mi diede dei calmanti in pasticche per calmarmi e convincermi ad uscire.
Abbassai la testa, con aria triste.
Bill sospirò, forse per la mia reazione, forse per l’imbarazzo di non saper cosa dire.
Mi osservò, con aria compatita.
-Sai, Chiara mi ha raccontato tutto.-
In quel momento, fui io a sospirare.
Pensai persino: “Farsi i fatti suoi no, eh?” Ovviamente rivolto a Chiara, non a Bill.
-Mi dispiace quanto ti è accaduto, Daniela.- proseguì; che effetto strano sentire il mio nome da lui, e con una pronuncia così elegante, tra l’altro… -Non deve essere facile, per te, me ne rendo conto. Sappi che ti sono vicino.- mi mise premurosamente una mano sulla spalla –Anch’io ho perso delle persone a me care. E non ti nascondo che un po’ ne soffro ancora. Dicono che il tempo guarisce tutte le ferite, ma quando si tratta della perdita di una persona cara… beh, quello è più complicato.-
Mi mostrò il braccio sinistro, quello con tutti i tatuaggi, facendo in modo che il mio sguardo cadesse sul fantasmino.
Era molto buffo, come se fosse stato disegnato da un bambino.
-Vedi questo tatuaggio?- domandò, alzando un angolo della bocca –Mi rendo conto che può sembrare buffo, ma ha un significato molto più profondo. Simbolizza la morte di tutte le persone che ho perso, per ricordarmi di loro.-
“Chi lo avrebbe mai detto?” pensai.
Alzai le sopracciglia, sorpresa da quella rivelazione.
Rappresentare una cosa triste e seria come la morte in una figura piccola, buffa, apparentemente innocente, sembrava più una mentalità tipica della Banda Osiris che dei Tokio Hotel.
-I lutti sono delle belve terribili, nemici persino più forti di te, che sembrano vincere tutte le battaglie che combatti contro di loro.- continuò -Ma poi riesci a vincerli, un modo si trova sempre per affrontare i lutti, Daniela. Io so quello che provi, ed è un sentimento terribile. Ma devi sapere questo. Ci sono cose, nella vita, cui non puoi fare niente. Come la morte di una persona cara. Lo so, per i primi tempi fa male, senti un enorme vuoto dentro e non vuoi più vedere nessuno. E' un dolore che a stento puoi sopportare, ti fa quasi impazzire. Sei consapevole che non torneranno più, che non puoi fare niente per riportarli in vita e questo ti fa soffrire sempre di più. Alla fine scopri... che tutto quello che puoi fare per loro... è vivere.-
Riflettei su quelle parole, rimanendone incantata.
L’unica cosa che potevo fare per Gabriele… era vivere?
Non comprendevo il motivo per cui Bill Kaulitz si stesse dando tanta pena per una sua fan. Una delle tante. Ma apprezzavo tantissimo i suoi tentativi di sollevarmi il morale. Davvero. Anche se non lo dimostravo.
Per questo lui si era alzato, in procinto di allontanarsi. Forse gli avevo dato l’impressione di non gradire la sua presenza e che volevo rimanere sola. Mai cosa fu più sbagliata.
Fece pochi passi, in direzione dell’interno della SPA, mentre io combattevo la mia tentazione di parlargli e dirgli “grazie”, oltre ad invitarlo a non andarsene.
Si fermò.
-Io non ho mai conosciuto Gabriele…- disse, forse voltandosi verso di me; io avevo ancora lo sguardo fisso sulla piscina; sapevo che Chiara gli aveva rivelato il nome del ragazzo cui mi ero innamorata –Ma non credo che gli piacerebbe vederti così triste. Se anche lui teneva a te, sono sicuro che preferirebbe che vivessi la tua vita, e non sprecarla a pensare e piangere lui.-
Erano più o meno le stesse parole che mi aveva detto Chiara, il giorno in cui eravamo partite per la SPA.
Dette da lui faceva uno strano effetto. Specie il giorno dopo avermi salvato la vita.
Lui proseguì, diretto verso l’interno della SPA.
No, non potevo lasciarlo andare così. Aveva ragione lui: dovevo affrontare il mio lutto, in qualunque modo. Ero stufa di perdere tutte le mie battaglie contro di esso. Almeno per una volta, volevo uscirne vincitrice.
Mi voltai.
-Bill, non te ne andare, ti prego!- dissi, in inglese.
Lui si voltò di scatto, stupito.
Fu di nuovo strano sentire nuovamente la mia voce. Non si era arrochita come quella di Clara di “La casa degli spiriti”, come temevo. Dopotutto, ero rimasta muta solo due settimane, non dieci anni.
Era rimasta la solita, ridicola voce che avevo.
Lui si avvicinò a me, un po’ in imbarazzo, mentre mi alzavo. Sicuramente non si aspettava una mia risposta.
-D-Daniela… l-la tua voce…- balbettò, sorpreso.
Io risi, divertita da quella reazione. Era ancora un ragazzo timido, nonostante l’età.
-Grazie.- ripresi –E grazie, per avermi salvato la vita, stanotte.-
Lui ricambiò il sorriso: sì, lui e Gabriele erano proprio simili. Avevano la stessa forma degli occhi, anche lo stesso sorriso.
-F-figurati…-
Anch’io ero imbarazzata, tanto. Forse era meglio se fossi rimasta muta: almeno non correvo il rischio di avere una conversazione imbarazzante con il grande Bill Kaulitz.
Ero negata per le conversazioni, ma trovai ugualmente un modo per rompere il ghiaccio.
-Non so se Chiara ti ha detto come mi chiamo, per intero…- allungai una mano, mentre con l’altra tenevo “Jane Eyre” –Comunque, mi chiamo Daniela Savoia, e sono una grande fan dei Tokio Hotel.-
Divertito, mi strinse la mano.
-Hai davvero un nome e un cognome adorabili. E mi lusinga trovarmi di fronte ad una fan che non urla o non sviene o non mi salta addosso.-
Io avevo sempre creduto che “Daniela Savoia” fosse la combinazione nome-cognome più stupida del mondo…
Per quanto riguarda il resto… beh, l’educazione militare di mio padre aveva fatto in modo che contenessi certi sentimenti. No, il motivo maggiore era la mia timidezza.
Prima che aggiungessi altro, lui mi interruppe.
-Perché non facciamo due passi, ti va?- propose, offrendomi il suo braccio.
Quante volte mi sarebbe capitato nella vita? Camminare sottobraccio al grande Bill Kaulitz?
Accettai subito la sua proposta, quindi presi il suo braccio.
 
Tom’s P.o.V.
 
Credevo che il mio fratellino avrebbe fatto un altro buco nell’acqua.
Lo avevo accompagnato fino alla veranda, proprio di fronte alla piscina.
La vedemmo entrambi china in avanti, a leggere un libro.
Bill era nervosissimo. Non faceva altro che guardarmi, come per cercare la forza e il coraggio che gli mancavano.
-Tomi…-
-Coraggio, va’ da lei…- lo esortai, con gentilezza.
Inspirando ed espirando senza sosta, uscì.
Rimasi lì tutto il tempo, per assicurarmi che non facesse cazzate.
Quando si era alzato, scossi la testa, pensando: “Dio, è davvero negato…”
Mi stupii anch’io a sentire la ragazzina parlare di nuovo. Era stato davvero improvviso, inaspettato.
“Allora davvero non era muta del tutto…” pensai.
Sorrisi, quando la vidi allontanarsi con Bill, sottobraccio.
-Il mio fratellino sta crescendo…- mormorai.
La tentazione di seguirli era forte. Sì, la mia gelosia per Bill non era ancora passata. E non passerà mai.
Ma non volevo rovinare il momento.
L’infermiera lo avrebbe fatto. Infatti, si presentò a me tre secondi dopo che Bill e Daniela avevano iniziato il loro giro per il cortile.
-Allora, come è andata?- domandò, ansimando, quasi reduce da una corsa.
Io, subito: -Ah, bene. Ha parlato.-
Lei sgranò gli occhi.
-DAVVERO?!- tuonò.
Io la intimai di tacere, o, almeno, di non urlare.
-Sì, e adesso sta passeggiando con il mio fratellino.-
Lo stupore si tramutò in apprensione.
-Credi sia una buona idea lasciarli da soli?- domandò, osservandomi di nuovo –Non voglio dubitare di tuo fratello, ma…?-
Io tagliai corto: -Stai tranquilla, Bill è innocuo. Daniela è in buone mani.-
Non sembrava molto convinta.
Tentai la stessa strategia di Bill, per, almeno, attirare la sua attenzione. Le porsi un braccio.
-Visto che siamo qua…- dissi, galante –Perché non ci prendiamo qualcosa da bere?-
Chiara prima osservò me, poi osservò il braccio, con aria seria.
Poi fece spallucce.
-Beh, perché no?-
Si era diretta verso il bar, precedendomi.
Sospirai, lasciando cadere il mio braccio.
-Tipo tosto da prendere, eh?- mormorai, in tedesco, seguendola.
 
Bill’s P.o.V.
 
-Di cosa parla quel libro, esattamente?-
-E’ la storia d’amore più bella del mondo. Parla di una ragazza che si innamora del proprio padrone. Lui è un tipo scontroso e duro, ma questo perché sta soffrendo.-
Passeggiammo e chiacchierammo per chissà quanto tempo. Mi aveva parlato del suo libro preferito, di Jane Eyre, il suo amore per il signor Rochester e la gelosia che provava per la sua “rivale”, Blanche Ingram. Non ero mai stato appassionato di libri, però devo ammettere che aveva suscitato la mia curiosità. Mi promisi di comprarlo, una volta finito il Dream Machine Tour.
Poi, ci parlammo l’un dell’altra. Anzi, parlò più lei che io. Daniela sapeva già molte cose di me, dalle interviste, da Tokio Hotel TV e da Instagram. Fastidioso, ma al tempo stesso comodo: così evitavo di annoiarla, raccontandole della mia vita.
Studiava lettere all’università, ma, in realtà, non era sicura di cosa fare nella vita, ma di una cosa era sicura: quella di trovare la persona giusta con cui passare il resto dei suoi giorni. Proprio come me.
Mi parlò anche di Gabriele. Soprattutto di Gabriele. Era il secondo lutto che subiva. Sì, due lutti, quasi uno dietro l’altro, sono davvero due bestie.
Mi resi conto che lui mi assomigliava, anche come personalità: come me, anche lui era vittima di ingiustizie, e di bullismo. Era davvero fortunato ad avere un’amica come Daniela, con la sua dolcezza. Percepivo l’odio nel suo tono, quando mi parlava della sua “rivale” in amore.
Guardavo spesso Daniela, mentre parlava di Gabriele: non era solo lo sguardo di una persona in lutto che scorsi in lei, ma anche quello di un cuore spezzato. Lo sguardo di una persona che non era riuscita a dichiararsi prima che fosse troppo tardi. Sì, comprendevo quella sensazione.
Non potevo vederla in quello stato. Per sollevarle il morale, le raccontai qualche aneddoto divertente di me o degli altri membri dei Tokio Hotel.
-No! Sul serio?!-
-Sì! E ti giuro che è stato arduo tirarlo fuori da lì!-
Rise, tantissimo. E questo mi consolò.
Il sole era già alto, quando finimmo la nostra passeggiata. Avevo il mio telefono a portata di mano.
Gli diedi un’occhiata e alzai le sopracciglia.
-Cavolo, è già mezzogiorno.- rivelai, sorpreso.
Anche Daniela ebbe la mia stessa reazione.
-Sul serio?! Come è passato in fretta il tempo…- mi sorrise dolcemente –Grazie, Bill, per avermi ascoltato. Mi ha fatto bene parlare. Adesso mi sento molto meglio. Spero solo di non averti annoiato…-
Anche queste sono soddisfazioni. Anche io sorrisi.
-Non mi hai annoiato, anzi. Sono felice di esserti stato di aiuto.- mi voltai un attimo; sperai che non lo prendesse come gesto di maleducazione, ma stavo solo riflettendo; poi, mi ricordai di una cosa che avevo letto tra gli annunci affissi nella hall dell’albergo; incrociai di nuovo il suo sguardo –Stasera fanno un falò, proprio qui, in giardino, e a me piacerebbe andarci. Mi chiedevo… se volessi venire…-
Il suo sorriso si tramutò in uno sguardo riflessivo, quasi dispiaciuto. Un po’ sapevo cosa stava per dirmi.
-Mi spiace. Non mi piace uscire di notte.-
Dopo quanto era successo la notte precedente, come biasimarla?
Mi morsi le labbra, per nascondere la mia amarezza. Beh, almeno sapevo qualcosa in più su di lei.
Era un tipo interessante e mi sarebbe piaciuto conoscerla meglio. Mi illusi che pensasse lo stesso di me.
Eravamo vicini alla SPA, quando lei, dopo un piccolo momento di silenzio, mi prese un braccio.
Aveva uno sguardo quasi imbarazzato sul volto.
-Ehi, Bill… io ho fame.-
 
Daniela’s P.o.V.
 
Per la prima volta, dopo quasi due settimane, sentii di nuovo il languorino sullo stomaco.
Che incantesimo aveva lanciato Bill su di me? Prima mi aveva fatto di nuovo parlare, poi la fame.
Sì, parlare con lui mi aveva fatto bene e lui sembrava ascoltare tutto con attenzione.
Era un ragazzo meraviglioso, perché non aveva ancora una ragazza? Questo mi chiedevo. Forse nessuna meritava uno come lui o forse lui era troppo romantico per le ragazze “normali”.
Al salone da pranzo ricevevo sguardi strani dai commensali. Le voci giravano in fretta. Sapevano chi ero e mi trattavano già come fossi una psicopatica da cui dovevano tenersi lontano.
Non mangiavo da due settimane, ma non sentivo una gran fame. O meglio, non sentivo ancora il bisogno di mangiare molto. Presi solo un’insalata dal buffet e qualche crostino. Mi sembrava giusto per iniziare.
Con mia grande sorpresa, vidi Chiara con Tom. Scoprii più tardi che si erano messi d’accordo con i camerieri per unire i nostri tavoli.
Stavano parlando e ridendo. Da come mi aveva raccontato Bill, sembrava che Chiara ripugnasse Tom.
Io ero lì ferma a fissarli, con il piatto ancora in mano.
Non mi accorsi di Bill, che si fermò accanto a me.
-Vuoi mangiare qui?-
Caddi dalle nuvole. Per poco non feci cadere anche il piatto.
Che imbarazzo che provai… non osai nemmeno pensare a me stessa fare la bella statuina in mezzo ad una sala.
Tom si voltò verso di noi, lo stesso fece Chiara; entrambi ebbero la stessa reazione a vedermi con un piatto in mano.
-Ehi, che novità è mai questa, signorina?- domandò lui, con il suo solito approccio diretto, indicando, ovviamente, il piatto.
Mi accomodai di fronte a Chiara e Bill prese posto accanto a me. Il cuore mi batteva ancora forte, nonostante fossi stata con lui per tutta la mattinata. Chi non sarebbe emozionato ad avere accanto il proprio idolo, in fondo?
-Beh… mi era venuto un languorino…- fu la mia unica risposta.
Chiara quasi sorrise a quelle parole: era lieta di vedere finalmente dei miglioramenti.
Sì. Parlare mi aveva fatto bene. Mi sentivo più sollevata. Erano passate due settimane da quando ero venuta a conoscenza della morte di Gabriele. Il lutto era ancora forte in me, ma non abbastanza da impedirmi di tornare, passo dopo passo, alla normalità.
E Bill… per me era come un angelo caduto dal cielo con l’intento di aiutarmi. Tre volte mi aveva salvato la vita: prima con le sue canzoni, poi, la scorsa notte, prendendomi tra le sue braccia, e quella mattina aveva come lanciato un incantesimo che mi aveva liberata dal mutismo e dal digiuno.
Gli dovevo molto.
Tom, però, osservò il mio piatto con aria perplessa.
-Sì… lo vedo… occhio a non abbuffarti, però.- commentò.
Bill gli tirò uno schiaffo sulla fronte. “Bella mossa.” pensai, ridacchiando.
-Tom, non essere maleducato!-
-Comunque, non ha tutti i torti.- lo difese Chiara e questo lasciò stupiti noi tre, soprattutto Tom –Cara, non hai mangiato da due settimane. Meglio riprendere piano piano, per riabituare il tuo corpo al cibo, o rischi il collasso.-
Sapevo mi avrebbe detto queste cose, per questo avevo preso solo qualche crostino e un’insalata.
-Ma allora ti interesso…- riprese Tom, con il suo tipico sguardo da marpione, lieto di avere una persona che la pensasse come lui; Chiara lo allontanò da sé. Tipico.
Bill scosse la testa, ridendo anche lui.
Quando sorrideva, il mondo si illuminava. Sarei rimasta ore a osservarlo.
Mi tornò improvvisamente in mente “In your shadow I can shine”.
Era esattamente quello che provavo, quando stavo al fianco di Bill.
Sentivo di splendere, nella sua ombra. Nei pochi minuti che avevo passato con lui, mi ero sentita come rinata. E poi, con la sua gentilezza e la sua sensibilità, mi aveva fatto sentire a mio agio, fatto passare, anche se per un solo istante, la mia malinconia.
Forse era la mia gratitudine per avermi salvata la notte scorsa.
Mentre assaporavo lentamente i crostini al pomodoro, ascoltavo la conversazione tra i Kaulitz e Chiara. Non l’avevo mai vista così sorridente; non dalla mia permanenza all’ospedale psichiatrico.
Inoltre, fu strano sentire il sapore del cibo: era come assaggiare un nettare divino, lieve al primo tocco con la lingua, ma che diveniva sempre più forte e dolce, con la consapevolezza di ottenere l’immortalità.
Mi resi conto che il cibo mi era mancato.
Lo sguardo di Tom si posò su di me.
-Ehi, sei tornata muta?- mi canzonò.
Inghiottii l’ultimo pezzo di crostino, sobbalzando. Per poco non soffocai.
-Vi stavo solo ascoltando!- protestai, offesa -E non ho niente di interessante da dire…-
-Per forza, hai vomitato tutto al mio fratellino…-
Dallo sguardo che assunse subito dopo e da come si era piegato in avanti, dedussi che Bill gli aveva tirato un calcio sullo stinco.
-Comunque…- riprese questi, incrociando le dita delle mani sotto il mento, come se nulla fosse  avvenuto -Stasera noi due andiamo al falò, nel cortile. Daniela ha rifiutato il mio invito. Tu vuoi venire, Chiara?-
Ci stava provando anche con lei?
Un lieve senso di gelosia mi prese all’improvviso, quasi senza motivo.
Lei guardò Bill. Poi guardò me. E poi guardò di nuovo Bill.
-Niente di personale, ma non posso nemmeno io.- rispose, in cuor sul dispiaciuta -Se Daniela non vuole andare, non devo andare neppure io. Dopo quanto è successo questa notte e, dal momento in cui sta cominciando a mostrare dei miglioramenti, devo restare con lei.-
Mi voltai di scatto verso di lei.
-Chiara, non sono più una bambina!- protestai -Non ho bisogno di essere sorvegliata!-
-Mi dispiace, cara, ma tu sei stata affidata a me. Per forza devo sempre stare con te. Le piccole fughe che hai fatto ultimamente e l’incidente di stanotte sono state il frutto della mia svogliatezza. Davo per scontato che non ti saresti mossa dalla tua stanza senza di me e non mi sono resa conto dei tuoi miglioramenti. Se questa notte non ci fosse stato Bill… oddio… non oso pensare cosa ti sarebbe capitato. No, non ripeterò questo errore.-
Forse mi conveniva restare muta. Forse dovevo continuare a comportarmi da depressa. Mi sarei sentita meno da… “cane al guinzaglio”.
-Lasciatemi comunque dire che a Milano siete stati magnifici.- aggiunsi, cambiando argomento -È valsa la pena l’attesa di dieci anni.-
I Kaulitz si osservarono l’un l’altro, ridendo di gusto.
-Beh, il nostro intento non è certo deludere i nostri fan, no?- commentò il moro, sarcastico.
-Per quello che vale, allora, mi è piaciuto soprattutto il “Drum battle” tra te e Gustav.-
Si atteggiò nuovamente da pavone, lisciandosi i capelli neri.
-Modestia a parte, sono troppo figo…-
Per tutto il pranzo, un pianista stava suonando il grande pianoforte al centro del salone, lo stesso dove io avevo suonato “Run run run” (e quando ho definitivamente incontrato Bill).
Ad un certo punto smise.
-Signore e signori, adesso è l’ora dei clienti.- annunciò, senza alzarsi -Vale a dire che voi, ora, cantate al posto mio.-
Era praticamente un karaoke.
L’ho sempre odiato. Per il fatto di essere naturalmente intonata mi chiedevano tutti di cantare.
-Coraggio. C’è qualcuno che vuole farsi avanti?- si guardò intorno –Lei? Lei, signore? O magari lei?-
Molte persone si atteggiarono come me; dandogli le spalle, sperando di non essere scelti.
Avrei tanto voluto avere il potere dell’invisibilità, per sparire all’improvviso.
Bill mi osservò con aria strana, quasi sorridendo. Scorsi con la coda dell’occhio che anche Chiara mi stava osservando.
Non detenevo il potere della telepatia, ma sapevo cosa stessero pensando.
Io lo supplicai con lo sguardo, mentre facevo lentamente “no” con la testa.
“Ma perché non ci va lui, piuttosto?” pensavo, serrando le labbra, e rivolgendo il mio sguardo verso il piatto vuoto.
Stavo per entrare in paranoia. Ho sempre odiato fare le cose se forzata.
-Magari la signorina con la camicia azzurra?-
Camicia azzurra… Un camicione azzurro, voleva dire. Lo avevo indossato poco prima di camminare con Bill, con dei pantaloni larghi bianchi e delle ballerine grigie. Un brutto accostamento, nevvero?
Sì, si riferiva a me.
Bill fece una mossa strana, ritirando un braccio di scatto.
Bastardo.
Mi aveva indicato al pianista, sperando che non lo notassi.
Avrei dovuto notarlo dalla faccia di Tom, che si stava coprendo la bocca, ma stava ugualmente ridendo dal naso.
-Coraggio, signorina, venga. Non abbia timore.-
Guardai Bill, Chiara e Tom come se fossi un predatore e loro le mie prede. Li avrei divorati tutti.
-Vi odio…- mi uscì tra i denti, mentre mi alzavo.
Mi stavano guardando tutti.
Forse con orrore; dopotutto, ai loro occhi, io ero ancora la ragazza psicotica.
Avrebbero cambiato opinione di me, dopo avermi sentito cantare?
Avrei tanto voluto svenire e far prendere un colpo a tutti, mentre mi avvicinavo al pianista.
-Cosa vuole cantarci, oggi?- mi chiese, cortesemente.
Se era un modo di farmi sentire a mio agio si sbagliava di grosso. Ho sempre odiato essere al centro dell’attenzione. Non ero come Bill, insomma.
Ma non ebbi altra scelta.
Pensai a Gabriele. Quante volte mi aveva sentito cantare? Forse nessuna, grazie al cielo. Non sarebbe stato come gli altri, che mi chiedevano sempre di cantare.
Pensai a lui. Pensai a mia zia, a cui piaceva sentirmi cantare e continuava sempre a chiedermi di cantare.
Pensando a loro, feci la mia scelta.
-Conosce “Gocce di memoria”, di Giorgia?-
Era una delle mie canzoni preferite. Rispecchiava esattamente come mi sentivo in quel momento.
-Ma certamente signorina.- annuì il pianista –Quale tonalità?-
Ero brava a cantare, ma per le nozioni di teoria della musica non ero negata, di più. Se volevo suonare qualcosa, andavo sempre a orecchio.
-L’originale.- dissi, un po’ in imbarazzo.
Per fortuna, lui comprese e mi diede un microfono.
Mi girai verso i commensali.
Stavo tremando dall’emozione.
Cantare per conto mio era un conto, ma di fronte a tanta gente…
“E se non piace? Cosa mi diranno? Oddio, sono vestita malissimo”
Questi erano alcuni dei pensieri che mi attraversarono la mente.
Il piano stava già suonando le prime note.
Guardai Bill, che mi sorrise lievemente.
Arrossii.
Non potevo tornare indietro.
 
Sono gocce di memoria
Queste lacrime nuove
Siamo anime in una storia
Incancellabile
Le infinite volte che
Mi verrai a cercare
Nelle mie stanze vuote
Inestimabile
E’ inafferrabile
La tua assenza
che mi appartiene
Siamo indivisibili
Siamo uguali e fragili
E siamo già così lontani
 
Mi tenevo stretta soprattutto i ricordi di Gabriele, mentre cantavo. Mi faceva sentire tutt’una con la canzone.
Avevo gli occhi chiusi, per non vedere i volti delle persone. Per paura di vedere le loro reazioni di fronte alla mia voce. Soprattutto quella di Bill.
Odiavo quello sguardo di ammirazione, adorazione. Non lo sopportavo.
Già si levarono i primi applausi. Odiavo anche quelli.
Li ignorai, attesi che il pianista finisse il pezzo con il piano, poi proseguii.
 
Con il gelo nella mente
Sto correndo verso te
Siamo nella stessa sorte
Che tagliente ci cambierà
Aspettiamo solo un segno
Un destino
Un’eternità
E dimmi come posso fare
Per raggiungerti adesso
 
Altro momento di pausa. Altri applausi.
 
Per raggiungerti adesso
Per raggiungere te
 
Non potei vederlo, ma mi fu raccontato che i Kaulitz, proprio entrambi, si erano alzati, applaudendo, e altri avevano seguito il loro esempio.
Ma io ignoravo gli applausi. Certa gente avrebbe pagato per essere al posto mio, per avere il mio talento.
Glielo avrei ceduto volentieri. Ma come fare? E’ praticamente impossibile.
Solo per una persona avrei cantato, quella che avrei amato per sempre. Se non Gabriele, chi altri?
Le ultime frasi rispecchiavano proprio me: cosa potevo fare per raggiungerlo, adesso?
Mi ricordai, tuttavia, delle parole di Bill: l’unica cosa che potevo fare per lui era solo vivere, conservando i bei ricordi nel mio cuore. Significava anche vivere una vita miserabile, piena di dolore, piangere tutti i giorni per la morte di una persona cara, reclusa dal mondo e rifiutata da tutti? Non era vivere, era vegetare.
Era questo che intendeva il mio idolo?
Proseguii per la seconda strofa
 
Siamo gocce di un passato
Che non può più tornare
Questo tempo ci ha tradito
È inafferrabile
Racconterò di te
Inventerò per te
Quello che non abbiamo
Le promesse sono infrante
Come pioggia su di noi
Le parole sono stanche
Ma so che tu mi ascolterai
Aspettiamo un altro viaggio
Un destino
Una verità
E dimmi come posso fare
Per raggiungerti adesso
Per raggiungerti adesso
Per raggiungere te
 
Nella parte finale, gridai tutto il mio dolore, mascherandolo con intermezzi vocalici, come nella canzone originale.
Finalmente, finii.
Ebbi il coraggio di aprire gli occhi: tutti in piedi, applaudendo, alcuni fischiarono.
Per poco non svenni. Ma non dall’emozione, bensì dal disprezzo.
Non sorrisi, ma feci ugualmente un lieve inchino, prima di scappare verso il tavolo.
Chiara, Bill e Tom stavano continuando ad applaudire.
-Hai visto?- mi domandò Bill, sorridendo –Ci voleva molto?-
-Ti odio…- ripetei, osservandolo in cagnesco. Ma, invero, era così bello che gli si poteva perdonare tutto.
Tom mi allungò una mano.
-Signorina, ti devo fare i miei complimenti!- aggiunse; un po’ perplessa, gliela strinsi –Hai una voce stupenda. Ora capisco il mio fratellino. Vuoi essere la nostra nuova cantante?-
Il gemello gli rivolse un’occhiata minatoria, serrando le labbra.
-Scusa, Billi, dicevo per dire…-
-Comunque, dovevi vederlo, Daniela…- aggiunse Bill –Stava quasi piangendo.-
Fu il turno di Tom per lo sguardo cagnesco.
-Io non stavo…-
Vennero interrotti da una “visita” al nostro tavolo.
-Signorina, dobbiamo farti le nostre congratulazioni.-
Era una coppia anziana. Turisti italiani, grazie al cielo.
La classica coppia formata dal marito quasi magro, cappellino sulla testa, occhiali da vista, barba incolta bianca, e la moglie grassa, avvolta da un abito largo a fiori, e truccata con mascara e rossetto.
-La sua voce è magnifica.-
Io feci un verso strano con le mie labbra e annuii.
Mi uscì un lieve “Grazie” dalla bocca.
Per fortuna, Chiara intervenne.
-Vi prego, signori, non disturbatela. Meglio non darle certe emozioni.-
-Oh, che modi!- si offese la donna, prima di allontanarsi col marito –Volevamo solo fare dei complimenti!-
Ecco il vero motivo per cui non volevo più cantare.
-Hai visto, tesoro?- aggiunse Chiara, abbracciandomi –Li hai stregati tutti!-
Bill sorrise a sua volta.
-Sì… come una sirena…-
Sì… forse non mi avrebbero più visto come una psicopatica, ma come una cantante. Il che era peggio, per me, almeno.
 
La giornata trascorse in fretta.
Dopo il pranzo c’era stata il bingo, a cui partecipammo tutti e quattro, Bill, Tom, Chiara ed io.
In palio c’era un uovo di Pasqua gigante, alto mezzo metro.
Chiara ed io dovemmo tradurre in inglese i numeri usciti per i gemelli. Conoscevano pochissimo l’italiano.
Tutto sommato, fu divertente.
Fu Chiara a vincere, con grande dispiacere di noi tre.
Ma, alla fine, divise l’uovo con noi.
Non mi piacevano molto le uova di Pasqua. Ad eccezione di quelle della Kinder, ovvio. Di quelle ne avrei mangiate a iosa.
Mi attendevano altri massaggi e bagni, prima che scendesse la sera.
Stavo giocando a “The Order 1868”, dopo cena, già in camicia da notte, ma non ne avevo molta voglia.
Misi il gioco in pausa e camminai verso la finestra. Non avevo ancora chiuso la persiana.
Vidi il falò di Pasqua. Mio Dio… faceva quasi impressione. Ma, allo stesso tempo, era come ipnotico.
Le fiamme erano ipnotiche.
C’erano delle persone intorno. Tra loro distinsi i Kaulitz, ovviamente.
Belli come i raggi del sole all’alba.
Le fiamme stavano illuminando i loro volti, rendendoli ancora più belli.
Ma il mio sguardo era diretto soprattutto al più piccolo, al bellissimo Bill.
Il mio idolo.
Il mio salvatore.
Lo osservavo in adorazione, come se io fossi una sacerdotessa in preghiera ad un’antica divinità greca.
Lui era il mio nuovo Apollo.
Così raggiante.
Così puro.
Così angelico…
L’emblema della bellezza maschile, pura e corrotta nello stesso tempo.
Si voltò nella mia stessa direzione.
Sobbalzai, imbarazzata.
Lui sorrise, e mi salutò con la mano.
Anch’io sorrisi e ricambiai il saluto.
Bill… inutile ripetere che mi aveva cambiato la vita.
Esortandomi a cantare… non so…
Cantare “Gocce di memoria” mi fece sentire… strana. Più leggera. Ma altrettanto malinconica.
Il pensiero di Gabriele continuava a tormentarmi.
Era questo che provava Giorgia, quando perse Baroni? Era questo che l’aveva ispirata a comporre questa canzone?
Era una sensazione fastidiosa. Ero consapevole che me la sarei trascinata dietro per l’eternità.
Ma Bill… mi aveva aiutato a rimuovere dei massi dal carico di pietre che stava gravando nel mio cuore, facendomi di nuovo parlare, sfogare il mio dolore con una canzone.
Chiusi la persiana, senza smettere di guardare quell’angelo caduto sulla terra, e mi appoggiai con la schiena alla finestra, sospirando.
Per la prima volta, dopo quasi due settimane, sorrisi, con l’anima leggera.
 
 
 
 
Bill’s P.o.V.
 
Spesso mi capita di fare sogni strani. Anzi, direi di frequente.
Quella notte, sognai di essere un marinaio. Ero su una barca, con Tom, cercando di domare le onde di una tempesta.
Alla fine, siamo caduti entrambi in acqua, a causa di un’onda che ci fece ribaltare.
Eravamo quasi perduti: sebbene sapessimo nuotare, non sapevamo per quanto tempo saremo riusciti a resistere alla tempesta.
Poi, una voce dolce, melodiosa, angelica ci diede nuovamente la speranza.
Scorgemmo una roccia, illuminata da un raggio di sole. Su di essa vi era una sirena, dalla coda nera come il cielo di notte. Aveva vari gioielli sul collo, sulle braccia, sui polsi, del medesimo colore.
Stava cantando una melodia che oserei dire angelica, pettinandosi i lunghi capelli neri ornati con perle e una coroncina di diamanti neri. Fece attirare sia me che Tom al suo cospetto.
Non era una sirena qualunque: era Daniela.
La MIA sirena.
MEINE Sirene.
Come tale, ci aveva attirati col suo canto, ma non verso la morte, come raccontano le leggende.
Improvvisamente, il cielo si fece scuro, e qualcosa spuntò dall’acqua: una presenza maligna era apparsa alle spalle della mia Daniela, con posa fiera e brillanti occhi gialli. Una creatura dal corpo metà umano e metà serpente marino, che rideva malignamente.
Gabriele. Il volto era quello di Gabriele.
Ma quella risata… mi fece spaventare a tal punto da svegliarmi di soprassalto.
Ansimai, mettendomi seduto.
Ero ancora nella mia stanza d’albergo, nel cuore della notte.
Tirai un sospiro di sollievo.
-DANNATA CONNESSIONE GEMELLARE!- anche Tom era sveglio; mi stava dando delle botte sul braccio e sulla testa –Non ti bastava raccontarmi di lei, ora me la fai anche sognare!-
Compresi all’istante il senso delle sue parole.
-Non mi dire che…-
-Sì.-
Di nuovo. Avevamo fatto lo stesso sogno.
Tra tutte le cose che potevamo sognare insieme, proprio quello.
Mi sentii leggermente in imbarazzo.
-Anche se… forse non c’è da biasimarti…- si era calmato nel giro di pochi secondi; erano sempre così le nostre liti, ci scaldavamo per pochi istanti, poi tutto tornava come prima –Voglio dire… avevi ragione sulla sua voce. E’ davvero angelica.-
Fui colto da un piccolo brivido sulla schiena: gelosia. Ero già geloso di Daniela.
Io ho sempre amato Tom, ma il pensiero di dividere con lui una persona… no, non potevo accettarlo.
-Tu sei stato con lei per tutta la mattina a raccontarvi i fatti vostri…- proseguì, sdraiandosi di lato sul letto, rivolto verso di me; i capelli corvini erano sparsi per tutto il cuscino –E visto che io non ho più sonno e tu nemmeno… cosa hai scoperto su di lei?-
Ah, Tom… sempre così imprevedibile. Prima mi metteva in guardia da Daniela e un attimo dopo voleva sapere tutto di lei. Ma c’è anche da dire che anche lui era stato colpito dallo stesso incantesimo che aveva colpito anche me…
-Suo padre è militare.- raccontai –E da come mi ha raccontato Dani, spesso si porta il lavoro a casa, nel senso che è praticamente cresciuta con un’educazione militare. Sua madre, invece, è una donna molto fredda, perché non ha mai avuto amore da parte dei suoi genitori.-
Tom storse la bocca e alzò le sopracciglia.
-Cavoli, cominciamo bene…- commentò, forse iniziando a provare pietà per Daniela.
-E a scuola le cose non andavano certo meglio.- proseguii –Io venivo bullizzato dai miei compagni per il mio look, ti ricordi?-
-Io ricordo i loro volti a contatto con le mie nocche…-
Sì, già da piccoli Tom mi proteggeva dagli altri. Cosa farei senza di lui?
-Daniela veniva bullizzata dalle sue stesse maestre. Mi ha detto che la prendevano in giro per la sua timidezza e per la sua tendenza a distrarsi facilmente. I suoi compagni ridevano insieme a loro.-
-Che stronze… Dicono di aiutarci, invece si rivelano i nostri peggiori nemici. Ha tutta la mia comprensione.-
-E a casa veniva bullizzata dal padre e anche dalla nonna, che la umiliavano per colpa della scuola, inoltre nessuno della sua famiglia voleva ascoltare le sue opinioni. E siccome è figlia unica… è come se fosse sempre stata sola…-
Percepivo in Tom il mio stesso stato d’animo, con quelle parole. Noi avevamo l’un l’altro, ma Daniela…
-Poveretta…- mormorò.
-L’unica che la ascoltava era sua zia, la seconda sorella maggiore di suo padre.-
-Sì… quella morta l’anno scorso…- Chiara ci aveva raccontato anche questo –Non c’è da biasimarla se sta soffrendo ancora la sua morte. Come quella di… come si chiama…? Gabriele?-
Gabriele… quel nome mi faceva sempre infuocare lo stomaco e il cuore. Ma perché?
-Da come mi ha raccontato, anche lui aveva vissuto una vita simile alla sua, lo stesso vale per un loro amico in comune.- mi aveva raccontato anche di Filippo –Anzi… sarebbe meglio dire che… Gabriele mi somigliava molto… e non solo per l’aspetto.-
-Che intendi?-
-Anche lui era vittima di ingiustizie e di bullismo. Inoltre, era da anni che ci provava con una ragazza che non ricambiava il suo amore. Se solo si fosse svegliato… se solo si fosse reso conto quello che Daniela provava per lui…-
Ora comprendevo quei bruciori: era il mio odio per Gabriele, per la sua svogliatezza. Un odio per una persona che nemmeno ho conosciuto. Sensato e insensato nello stesso tempo.
Anche Tom stava pensando alla stessa cosa.
-Se l’avesse sentita cantare, sono sicuro che avrebbe lasciato quella stronza…- commentò, cambiando posizione, con la schiena rivolta verso il letto; io non mi ero mosso, ero ancora di fianco –Daniela… sì… è davvero come una sirena.-
 Visto che c’ero, gli raccontai anche della formazione musicale di Daniela: effettivamente, aveva studiato canto, dall’età di sette anni, ma era stata una decisione di sua nonna, non la sua. La sua voce meravigliosa, però, l’aveva di natura.
Io ci rimasi quasi male, quando mi disse che erano passati otto anni da quando aveva smesso di prendere lezioni; Tom ebbe la stessa reazione, quando glielo raccontai.
-E’ un talento sprecato.- disse. Era la stessa cosa che avevo detto a Daniela, forse per persuaderla a riprendere lezioni.
Aveva rinunciato un po’ per noia, un po’ per questioni economiche, ma soprattutto per la scuola.
-Sì, la scuola rovina sempre tutto.-
Su questo Tom e io eravamo d’accordo. Non per niente siamo gemelli.
-Inoltre mi ha detto che esibirsi sul palcoscenico, essere invasa dai paparazzi o roba simile non era quello che voleva fare nella vita.- conclusi –Non è come me, insomma.-
-Ma un sogno lo avrà, no?-
-Sì, trovare l’uomo della sua vita e passare il resto dei suoi giorni con lui.-
Vi fu un breve attimo di silenzio tra noi due.
Silenzio che venne spezzato da Tom, che si mise a ridere a crepapelle, quasi rischiando di svegliare l’intero hotel.
-E’ proprio la persona giusta per te, fratellino!- già stavo prevedendo cosa stava per dire –Entrambi correte dietro a desideri fiabeschi! E poi… lei pare avere tendenze un po’ mascoline e tu sei donna per metà… farete una bella coppia! Ah, ah, ah!-
Odiavo quando faceva così…
 
Tom’s P.o.V.
 
Trovare la persona della nostra vita.
Non è quello che vorremo tutti, in fondo?
Per esperienza personale… dico solo che non è altro che un’illusione.
Non volevo che anche Bill vi cadesse. Il mio cuore si era letteralmente spezzato, quando scoprii la vera personalità di Ria. No, non lo raccomando a nessuno.
Ma la voce di Daniela… avvertii come una strana sensazione. Di sentire nuovamente il mio cuore intero.
Bill non aveva esagerato: era davvero una sirena.
Una sirena che aveva colpito anche me, con il suo canto.
Mi pareva di sentire ancora la sua voce cantare quella bellissima e triste canzone: nemmeno io potei fare a meno di trattenere una lacrima, quando Bill e io ne leggemmo la traduzione in tedesco e scoprimmo la storia dietro di essa.
Mi sentii a disagio, mentre davo le spalle a Bill, in modo che non incrociasse il mio sguardo: Daniela avrebbe sicuramente preferito lui a me, con la sua dolcezza e la sua fedeltà, il sogno di ogni donna. Io ero un vero depravato. Ma anche questo è il sogno di ogni donna, solo… non di donne come Daniela.
Il mio cuore vibrò: mi stavo forse innamorando anch’io di lei? Che davvero avesse lanciato un incantesimo d’amore anche su di me, con la sua voce angelica? Questo albergava nella mia mente.

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Note finali: avrete notato che ho cambiato le note principali. Sì, ci sarà un triangolo e un "threesome", ora vi spiego perché: stanotte ho fatto un sogno strano, dove c'era prima il ragazzo che mi piace, poi, stranamente, anche i Kaulitz! Ho sempre ammirato Bill, ma ero seduta vicino a Tom e gli ho anche fatto una carezza. Sapeste la sensazione che ho provato... sembrava stessi davvero toccando la sua pelle (liscia, tra l'altro!) e la sua barba. Mi sono svegliata dicendomi: "Sempre queste storie d'amore con Bill, nelle fanfiction (almeno da quelle che ho letto); perché non metterci anche Tom?"
   
 
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