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Autore: LazySoul    29/10/2017    3 recensioni
Trama:
Diana ha 17 anni, è la secondogenita dell'Alpha ed è trattata da tutti come una bambina.
Nel tentativo di dimostrare di essere grande abbastanza per combattere e difendersi da sola, chiederà aiuto alla persona che più la confonde, suscitando in lei sentimenti contrastanti, Xavier O'Bryen.
Tra uno spasimante indesiderato, una migliore amica adorabilmente pazza e un assassino in circolazione, riuscirà Diana ad accettare i sentimenti che prova per Xavier?
Estratto:
«Sei giovane, ancora non hai imparato che spesso gli odori celano delle emozioni», spiegò, appoggiandosi al materasso con le mani e avvicinando il viso pericolosamente al mio: «E sai cosa mi sta urlando il tuo odore in questo preciso istante?», mi chiese, anche se era palese che non si aspettasse una risposta.
«Prendimi», sussurrò ad un soffio dalle mie labbra.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo XII: Salvataggio


 

 

Mi svegliai intorno le cinque di mattino, quando il cielo cominciava in lontananza a schiarirsi.

La radura dove io e Sab stavamo dormendo era scura e silenziosa proprio come la sera prima e trasmetteva un senso di sicurezza, dovuto principalmente ai numerosi ricordi felici che erano legati a quel luogo.

Isabel era profondamente addormentata alla mia sinistra, a pancia in su e con le braccia spalancate.

Mi resi conto che doveva essere stata lei a svegliarmi, colpendomi durante il sonno.

Sospirai, rigirandomi nel sacco a pelo, cercando di trovare una posizione comoda, ma la mia vescica scelse proprio quel momento per avvertirmi dei suoi bisogni impellenti, costringendomi ad alzarmi a sedere.

Non ero propriamente lucida; svolgevo i comandi del mio cervello col pilota automatico, muovendomi come uno zombie scoordinato.

Ci misi cinque minuti buoni ad uscire dalla tenda e indossare le scarpe. I piedi continuavano a volersi infilare nella Converse sbagliata (destro con sinistra, sinistro con destra). Inoltre il vento freddo che soffiava da ovest, non era particolarmente invitante e mi faceva desiderare di tornare subito nel caldo sacco a pelo che mi attendeva a pochi centimetri di distanza. Ma la vescica pretendeva di essere svuotata e io dovevo obbedire.

Non mi sembrava carino accucciarmi accanto alla tenda, così decisi di raggiungere l'abete più vicino e rispondere al mio bisogno impellente senza pensare al fatto che non avevo la carta igienica.

Senza rendermene conto finii col bagnarmi le converse, mentre tentavo maldestramente di scrollarmi, prima di indossare l'intimo. Mi resi conto che se avessi fatto la pipì trasformata in lupa avrei finito col fare meno danni e un verso lamentoso mi uscì dalle labbra, spaventando una civetta che si librò in aria.

Sollevai i pantaloni, coprendo la pelle d'oca sulle mie gambe, dovuta principalmente al vento freddo.

Alzai lo sguardo verso il cielo, osservando le stelle.

Quella notte c'era la luna crescente, sabato ci sarebbe stato il plenilunio e allora papà e l'Alpha Rice avrebbero organizzato la solita riunione tra vicini, dove si sarebbero annunciate le novità di entrambi i branchi e poi tenuta una breve festa. La partecipazione non era obbligatoria per tutti i membri dei branchi, ma sapevo che, non avendo scuola il giorno dopo, sarei stata costretta a presenziare; non avevo nessuna scusa per non andare.

Con un sospiro rassegnato mi diressi verso la tenda, sollevando le braccia sopra la mia testa, in modo da stiracchiarmi, cercando una soluzione per il dolore alla bassa schiena.

In quell'istante un rumore poco distante attirò la mia attenzione.

Mi voltai verso est, da dove proveniva quel suono e cercai di capire quale essere potesse averlo prodotto.

Doveva essere un animale a quattro zampe, si muoveva lentamente, quasi con circospezione.

Il vento che giungeva dalle mie spalle portò il mio odore verso l'animale, ricordandomi che avrei dovuto stare attenta e impedire che cose simili succedessero. Far conoscere la propria posizione non era mai un bene.

Un ululato a dir poco sofferente giunse dalla boscaglia, gelandomi sul posto.

Quel suono aveva qualcosa di familiare, qualcosa che mi fece addentrare all'interno del bosco, alla ricerca di chiunque l'avesse prodotto.

I passi si fecero meno cauti, sia i miei, sia quelli che mi stavano venendo incontro. Prima di vederlo sentii giungere alla mie narici il suo odore, misto a quello del sangue.

Misi da parte la circospezione e iniziai a correre.

Pochi secondi dopo trovai un lupo dal manto scuro, era a terra, respirava affannosamente e perdeva molto sangue.

«Xavier!», gridai, cancellando la breve distanza che ci divideva.

Il lupo uggiolò, cercando di sollevarsi in piedi.

Mi inginocchiai accanto a lui, appoggiando le mani sul suo manto scuro: «Stai giù, non muoverti», gli ordinai, mentre cercavo di capire, malgrado il buio della notte, quanto fosse grave la sua situazione.

Era ferito al costato e aveva perso molto sangue, anche sulla spalla destra sembrava spiccare un morso, ma meno profondo rispetto all'altro.

«Devi trasformarti», gli dissi, guardando in quegli occhi chiari colmi di sofferenza: «Non riuscirò mai a trasportarti», mi lamentai con un gemito, guardandomi intorno, quasi nella speranza di veder comparire qualcuno che potesse aiutarmi.

Gli sfuggì un mugolio sofferente, mentre vedevo il suo corpo tremare.

Lo vidi trasformarsi sotto i miei occhi colmi di paura e, una volta tornato nella sua forma umana, le ferite che costellavano il suo corpo sembrarono ancora più gravi e minacciose di quanto avessi pensato.

«Cos'è successo?», gli chiesi, prendendogli il viso tra le mie mani, sporche del suo sangue caldo e viscido.

«Diana», disse, sembrava faticare molto a parlare, così decisi di scuotere con forza il capo e appoggiargli la mano sulla bocca.

«Non sforzarti, parleremo dopo, ora vado a cercare aiuto», gli spiegai, non riuscendo però a muovere un passo. Con che coraggio l'avrei lasciato nel bel mezzo del bosco, da solo e senza difese?

Gli occhi chiari di Xavier si chiusero, una smorfia di dolore gli attraversò il volto.

Senza pensarci due volte mi sollevai in piedi: «Isabel!», gridai nella direzione in cui sapevo essere la tenda.

Non potevo lasciarlo, non ne ero in grado. Dovevo sperare che la mia migliore amica non dormisse troppo profondamente.

Mi pentii di aver lasciato il cellulare in tenda, se solo...

«Diana», chiamò la voce di Xavier, questa volta sembrava meno sofferente, tanto che cominciai a sperare che non fosse poi così grave.

Mi voltai, lasciandomi nuovamente cadere in ginocchio accanto a lui.

Aveva di nuovo gli occhi aperti; il verde delle sue iridi spiccava rispetto al bianco della sua pelle e al rosso del sangue che gli sporcava il mento e la guancia destra: «Di-ana», mormorò, cercando di muovere la mano sinistra verso di me.

Senza pensarci afferrai le sue dita tra le mie; aveva la pelle ghiacciata e capii che dovevo assolutamente fare qualcosa per portarlo al sicuro, non c'era tempo da perdere.

Isabel dormiva troppo profondamente e non sarebbe giunta ad aiutarmi, quindi dovevo trovare una soluzione da sola.

Presi un profondo respiro e sbattei con forza le palpebre, cercando di dissipare le lacrime e tornare a vedere il mondo con lucidità. Non dovevo dare di matto, dovevo usare la testa e trovare un modo per aiutare il ragazzo che, coricato accanto a me, mi guardava con intensità e fiducia.

«Riesci a sollevarti in piedi?», gli chiesi, la voce roca e colma di preoccupazione e nervosismo.

Xavier fece una smorfia e con il mio aiuto riuscì ad alzarsi, appoggiandosi ad un abete.

I suoi gemiti di dolore, uniti all'espressione sofferente che sfoggiava, mi fecero vedere rosso per qualche secondo. Avrei ucciso chiunque era stata a ridurlo in quello stato e, dall'odore che aleggiava nell'aria, capii che me la sarei dovuta prendere con l'assassino di Frank O'Bryen.

Lasciai andare la mano di Xavier e mi allontanai dal suo corpo, sfilandomi le scarpe, poi i vestiti.

In meno di dieci secondi mi ero trasformata, abbandonando la mia figura umana - minuta e debole - per assumere quella di lupa — forte e imponente.

Mi accostai a Xavier, lasciando che si issasse sulla mia schiena, stringendo tra le dita il mio pelo per assicurarsi maggiormente a me. Non mi lamentai per il dolore, stringendo semplicemente i denti e muovendo qualche passo, per assicurarmi che la presa di O'Bryen fosse abbastanza salda da non farlo sbilanciare e cadere.

Quando constatai che era al sicuro, stretto alla pelliccia della mia schiena, mi avviai con passo spedito verso casa mia, lasciando dietro di me i vestiti e le scarpe. Le avrei recuperate in un altro momento. Forse.

Facevo attenzione a non andare toppo veloce, così da non fargli perdere l'equilibrio e non fargli male. Allo stesso tempo però cercavo di mantenere un passo svelto e deciso. Prima fossimo giunti a destinazione meglio sarebbe stato per lui.

«Diana», lo sentii gemere, sentendo gli occhi appannarsi nuovamente a causa delle lacrime.

Non gli avrei permesso di morire; doveva ancora insegnarmi a combattere e dovevo ancora scoprire tanto di quelle cose su di lui... Non sapevo nemmeno quanti anni avesse, cosa gli piacesse fare nel tempo libero...

"Apparentemente gli piace rischiare la vita", sussurrò una vocina stizzita nella mia testa.

Effettivamente era la seconda volta che mi ritrovavo ad aiutarlo a causa di uno scontro con l'assassino di suo padre. Dovevo suggerirgli qualche hobby meno pericoloso.

In quell'istante scorsi oltre gli alberi la silhouette scura della mia casa, illuminata fiocamente dalle prime luci del mattino e sorrisi internamente.

Ce l'avevamo quasi fatta, Xavier era ancora vivo (lo sentivo chiaramente respirare e percepivo il suo cuore battere contro la mia schiena), malgrado avesse perso molto sangue.

Nonna avrebbe saputo cosa fare e papà le avrebbe dato una mano; O'Bryen sarebbe tornato in forma smagliante in un paio di giorni, forse tre al massimo.

Quando giungemmo a casa mia, mi accucciai a terra, cercando di aiutarlo col muso a scendere.

Le mani sporche di sangue rappreso di Xavier, con una forza che non mi aspettavo, portarono il mio sguardo alla sua altezza. Al buio faticavo a vedere il colore dei suoi occhi, ma ormai li conoscevo abbastanza da potermeli figurare in modo abbastanza fedele, senza aver bisogno di una luce.

«Grazie», mormorò con la voce spezzata dal dolore, facendo tornare — prepotenti — le lacrime nei miei occhi.

Appoggiai il muso contro la sua fronte, dimenticandomi per qualche breve secondo la sua ferita e la necessità di chiamare aiuto. Avvolta dal suo odore, stretta tra le sue braccia; sentii le ginocchia tremarmi.

Mi scostai bruscamente e una smorfia di disappunto comparve sul suo volto.

Strinsi i denti e calmai il mio respiro e battito cardiaco, rilassando i muscoli.

Sentii la prima contrazione e poi le ossa si dislocarono per assumere una forma diversa e farmi tornare la minuta umana che ero. La pelliccia grigia scomparve, lasciandomi nuda, a terra, in un mare di sudore.

Respirando affannosamente mi sollevai a sedere, ignorando la stanchezza e i muscoli intirizziti dopo la trasformazione appena avvenuta.

Una volta in piedi corsi verso la porta sul retro di casa mia, iniziando a bussare e a chiamare i miei genitori, mio fratello e mia nonna.

Vidi dopo breve le luci in camera dei miei accendersi e sentii dei passi concitati.

La prima ad aprire la porta fu mia madre, indossava un pigiama bianco e una vestaglia pesante, i capelli scuri erano scompigliati e gli occhi arrossati erano colmi di preoccupazione.

«Diana!», esclamò, fissandomi dalla testa ai piedi contrariata: «Cosa ci fai nuda e...», spostò lo sguardo alle mie spalle, dove Xavier, a terra, rantolava per il dolore, premendo le dita della mano sinistra sulla ferita alla spalla destra.

«Ti spiegherò tutto dopo!», le dissi, correndo verso O'Bryen e afferrandolo per i piedi, pronta ad aiutare a trasportarlo: «Ha bisogno di essere medicato! Ora!»

Sulla soglia comparve papà, il volto stravolto quasi quanto quello di mia mamma, ma negli occhi vi era una maggiore risoluzione. Mi corse subito incontro, prendendo saldamente le spalle di Xavier, facendo attenzione alla sua ferita. Grazie al suo aiuto riuscii a portarlo dentro, dove lo adagiammo sul divano.

Solo in quel momento, con le luci accese, circondata dalla mia famiglia, mi resi razionalmente conto di essere nuda e di aver appena portato in casa una ragazzo altrettanto nudo — anche se ferito mortalmente.

Mamma sarebbe andata fuori di testa e mi avrebbe messo in punizione...

Oh, cavolo! Come le avrei spiegato il motivo per cui non ero a dormire da Frida Martinez in quel momento?

Ero in un mare di guai, ma ci avrei pensato dopo, quando sarei stata certa che Xavier si sarebbe ripreso e che tutto sarebbe andato bene.

Sentivo le voci dei miei familiari intorno a me, ma non riuscivo a distinguere le parole che stavano dicendo, seduta sul divano accanto a Xavier, tutto quello che potevo fare era premere la mano sulla sua ferita, nel vano tentativo di fermare l'emorragia, non perdendo di vista per una solo istante i suoi occhi verdi che ora potevo vedere chiaramente. Allo stesso modo in cui riuscivo a scorgere nelle sue iridi verdi tutta la sofferenza e la debolezza.

«Fate qualcosa!», urlai, sporgendomi ulteriormente su di lui.

Nella mia mente si era formata la malsana idea che lui avesse bisogno di sapermi vicina, che solo grazie alla mia presenza e al mio odore sarebbe riuscito a salvarsi.

Le mani di mio fratello mi presero per le spalle, strattonandomi all'indietro.

«Lasciami!», ringhiai, cercando di usare tutta la forza che mi era rimasta per non abbandonare il mio posto accanto a Xavier.

«Diana, smettila!», mi disse a denti stretti Kyle, facendomi alzare, mettendo un paio di metri tra noi e il divano.

Sentii Xavier gemere dal dolore e cercarmi con lo sguardo: «Diana?», chiamò, la voce debole e gli occhi che minacciavano di chiudersi da un momento all'altro.

Cercai di ribellarmi, di sgusciare via dalla presa di mio fratello, poi nonna entrò nel mio campo visivo e una strana calma si impossessò di me. Dentro di me sapevo che lei non avrebbe mai potuto fare del male a Xavier, che lei era la sua unica speranza di sopravvivere.

Nonna indossava una lunga vestaglia da notte e aveva con sé una ciotola contenente una strana sostanza.

Senza perdere tempo applicò un unguento color melma sulle ferite di Xavier; quasi istantaneamente il sangue cessò di scorrere e macchiare ulteriormente i cuscini del divano.

Le braccia di mio fratello mi stringevano, scaldando la mia pelle fredda, ma lui e i miei genitori in quel momento non erano importanti; erano ombre che a mala pena entravano nel mio campo visivo. Tutto quello che vedevo e sentivo era Xavier, mi sembrava di respirare il suo dolore, ed era atroce.

Mentre lo trasportavo verso casa avevo schermato quelle emozioni, animata dall'adrenalina; avevo uno scopo ben preciso da portare a termine e mi ero concentrata su quello.

Ora l'adrenalina se n'era andata, lasciandomi tremante e debole, in balia di sentimenti troppo forti e sconcertanti per poter essere veri.

"Xavier, non mi lasciare", era tutto quello che potevo pensare, osservando nonna fasciare le ferite con della garza bianca.

Sapevo che la situazione non era così grave, razionalmente ero certa che non sarebbe morto, ma la paura offuscava la mia mente, facendomi temere il peggio.

In mezzo alla nebbia che avvolgeva il mio cervello, un pensiero improvviso mi fece voltare verso mio fratello per sussurrargli poche brevi frasi all'orecchio: «Sab è nel bosco, nella radura dove giocavamo da piccoli. Accertati che stia bene, io non posso andare. Non posso lasciarlo».

Sapevo che i miei genitori, malgrado avessi tenuto un tono di voce basso, avevano sentito tutto; ne ebbi la conferma quando vidi chiaramente mamma sussultare e lanciarmi un'occhiata piena di rimprovero.

Probabilmente mi avrebbero impedito di uscire fino al mio diciottesimo compleanno e cominciavo ad essere tristemente consapevole del fatto che non solo me lo meritavo, ma me l'ero anche cercata.

Quando le braccia di Kyle mi abbandonarono, sentii uno strano vuoto alla bocca dello stomaco, e il mio corpo si ricoprì di pelle d'oca.

Mi mossi come un'automa verso il bagno, recuperando una bacinella e riempiendola di acqua tiepida, presi la spugna e poi tornai in salotto, dove mi inginocchiai accanto al divano, iniziando a pulire il volto e il torso di Xavier. Presto l'acqua limpida iniziò a colorarsi di rosso.

Papà bloccò i miei movimenti, impedendomi di procedere oltre la ferita al fianco. Alzai lo sguardo offuscato dalle lacrime su di lui, cercando di capire cosa volesse e perché mi avesse interrotto.

«Vieni tesoro, mamma ti ha preparato un bagno caldo», mi disse, aiutandomi a sollevarmi in piedi.

Lasciai scivolare lo sguardo sul volto di Xavier, che si era addormentato dopo aver bevuto quello che nonna aveva definito: «Un intruglio miracoloso».

Avrei voluto protestare, ma sapevo di non avere nessuna chance contro la risoluzione di mio padre, così mi lasciai accompagnare in bagno, dove la vasca era colma di fumante acqua calda.

Mamma era lì accanto e mi aiutò ad entrarci.

Sembrava aver messo da parte tutta la rabbia, il nervosismo e il rimprovero. Aveva il volto calmo, anche se colmo di tristezza e i suoi gesti erano pacati.

Era come se avesse saputo che in quel momento non sarei stata in grado di sostenere una conversazione e che quindi arrabbiarsi con me sarebbe stato inutile; urlarmi contro, fiato sprecato.

Mi passò la spugna sul corpo; mi sconvolse vedere l'acqua della vasca tingersi di rosso, proprio come era successo poco prima nella bacinella.

«Sta bene», sussurrò, cullandomi con la sua voce: «Tua nonna l'ha medicato, vedrai che quando si sveglierà più tardi starà ancora meglio».

Lasciai che una lacrima mi scivolasse lungo la guancia, confondendosi con le gocce d'acqua e andando ad immergersi nel rosso della vasca.

Ero talmente stanca che rischiai di addormentarmi durante il bagno; per fortuna venni prontamente svegliata da mamma, che mi avvolse nel mio accappatoio e mi accompagnò in camera.

Mi aiutò ad asciugarmi i capelli e poi mi fece indossare il pigiama.

In quel momento arrivò Kyle, disse qualcosa a mamma che non capii e mi guardò con occhi tristi e spaventati.

«Diana è sotto shock, ha bisogno di riposare», sentii dire accanto a me e ringraziai mentalmente mamma per avermi detto cosa mi stese succedendo. Ora capivo perché mi sentivo tanto debole e confusa.

Mi coricai tra le coperte e mamma si sedette accanto a me, accarezzandomi i capelli e sussurrandomi qualche parola per farmi addormentare.

«Xavier», riuscii a sussurrare, incontrando gli occhi pieni di tenerezza di mamma.

«Sta bene, amore. Andrà tutto bene. Shhh. Ora dormi».

Quando ripresi conoscenza era mattino inoltrata, se non addirittura primo pomeriggio. Il sole era alto in cielo e gli uccellini cinguettavano allegramente fuori dalla mia finestra.

Grugnii e mi rigirai nel letto, nella speranza di, dando le spalle alla luce, riuscire a riaddormentarmi.

Poi il ricordo di ciò che era successo quella mattina presto mi comparve davanti agli occhi, facendomi rivivere l'accaduto.

Con un gemito di sofferenza mi sollevai a sedere e mi fiondai giù dal letto, indossando le ciabatte pelose e dirigendomi verso il salotto.

Le fodere del divano erano state cambiate e una sorridente Edith giocava con i lego: «Didi!», mi chiamò, abbagliandomi col suo sorriso.

Spostando lo sguardo incontrai quello di mamma, seduta al tavolo della cucina che parlava con la signora Drake, la madre di Isabel.

Avevo intenzione di rimandare la resa dei conti ancora per qualche minuto, così uscii dal salotto, decidendo di provare a cercare in mansarda.

Xavier era coricato sul suo letto, mentre nonna controllava le bende per assicurarsi che fossero abbastanza strette.

Il peso che avevo sentito fino a quel momento sul cuore si dissolse, appena percepii chiaramente il battito forte e regolare di O'Bryen.

Grazie al cielo era vivo.

«Oh, finalmente qualcuno è venuto a darmi il cambio», borbottò nonna, prima di porgermi un bicchiere colmo d'acqua: «Nel caso si dovesse svegliare, fallo bere», mi ordinò, recuperando il gomitolo di cotone e l'uncinetto, dirigendosi verso la porta: «Vado di sotto a prepararti un'infuso che ti farà sentire meglio, non hai una bella cera, tesoro».

«Grazie», mormorai con voce roca e tremante.

Non mi riferivo all'infuso, ma alle cure che aveva dedicato a Xavier ed ero certa che nonna lo capì, perché mi sorrise con calore e mi fece l'occhiolino, sussurrandomi: «Dovere», prima di chiudersi la porta della mansarda alle spalle e dirigersi verso la cucina.

Tornai a voltarmi verso O'Bryen e mossi i brevi passi che ci separavano. Appoggiai il bicchiere d'acqua sul comodino, poi mi sedetti sul bordo del letto, sporgendomi su di lui.

Il suo odore mi aveva invaso le narici fin dal momento in cui avevo messo piede in quella stanza, ma ora era ancora più forte e intossicante.

Il suo respiro era regolare, così come il battito del suo cuore e, se non fosse stato per il volto pallido o le bende che fasciavano la sua spalla destra e il suo fianco, avrei pensato che stesse semplicemente dormendo.

Allungai una mano, percorrendo con le dita il contorno della sua guancia, sentendo la sua pelle tiepida.

Ero contenta che le ferite non si fossero infettate, evitandogli di soffrire l'inferno della febbre.

Non era la prima volta che entravo in mansarda da quando lui ci si era trasferito, ma le volte precedenti non avevo avuto molto tempo per guardarmi effettivamente intorno ed esplorare le poche cose che aveva con sé.

Papà mi aveva raccontato che, appena gli aveva dato il permesso di stare in casa nostra temporaneamente, Xavier era partito verso una destinazione ignota ed era tornato poche ore dopo, nel cuore della notte, con una moto e un borsone. Era tutto quello che papà aveva condiviso quando, tre giorni prima, gli avevo chiesto da dove fosse spuntata la Ducati parcheggiata nel nostro garage. Quella stessa moto che un certo ragazzo guidava come un pazzo, rischiando ogni volta di rompersi l'osso del collo.

Forse si diverte davvero a rischiare la vita nel suo tempo libero.

"Questo spiegherebbe la sua attrazione nei tuoi confronti", disse una vocina nella mia testa, facendomi sorridere ironicamente.

Mi alzai dal letto, facendo attenzione a non disturbare il suo sonno e mi diressi verso la scrivania.

Un computer spento, qualche matita senza punta, una penna rossa, alcuni bloc-notes inutilizzati, altri dove vi erano appuntati orari e indirizzi (molto probabilmente quelli degli appartamenti che aveva visitato fino a quel momento). Aprii il primo cassetto della scrivania, trovandoci un paio di quaderni: il primo riportava gli schemi delle attività che avrebbe voluto fare svolgere ai suoi alunni — me compresa — nelle settimane successive. Ebbi la tentazione di afferrare la penna rossa che — innocua e innocente — si trovava sulla sua scrivania, per cancellare attività che odiavo, come per esempio ginnastica artistica e pallavolo. Riuscii a resistere all'impulso e posai il quaderno al suo posto, afferrando il secondo, dove non trovai niente di niente; apparentemente non era ancora stato utilizzato.

Nel secondo cassetto trovai il mio reggiseno, quello che gli avevo lanciato contro qualche giorno prima. Diventai istantaneamente rossa e il mio povero cuore iniziò ad aumentare i battiti al ricordo dello sguardo stupito e divertito, ma anche profondamente eccitato, che mi aveva lanciato in quell'occasione.

Allungai una mano, decisa a riappropriarmi di ciò che era mio, quando una voce alle mie spalle mi fece perdere un battito per lo spavento.

«Non ci provare».

Mi voltai di scatto, chiudendo il cassetto e parandomici davanti.

Incontrai gli occhi chiari di Xavier che mi scrutavano con una punta di malizia e divertimento, le fossette erano ben visibili sulle sue guance, tentatrici come sempre.

«Hey!», dissi con un sorriso, cercando di nascondere meglio che potevo il reggiseno che stringevo tra le mani dietro alla mia schiena.

«Rimettilo al suo posto», disse con tono serio, facendomi capire che aveva visto tutto.

«Sarà fatto», dissi, sorridendo da orecchio a orecchio, mentre avanzavo verso di lui, decisa a fargli bere l'acqua, proprio come nonna mi aveva indicato: «Prima però, devi...»

«Intendo nel mio cassetto. Me lo avevi regalato, se non ricordo male», aggiunse, scrutandomi coi suoi occhi verdi piedi di divertimento.

Aveva rischiato la morte poche ore prima ed, ora...

Ora stava fin troppo bene. Dovevo dire a nonna che aveva esagerato con le medicine, qualcuna in meno non gli avrebbe fatto poi tanto male.

Alzai gli occhi al cielo: «Ovviamente stavo scherzando», dissi, porgendogli il bicchiere d'acqua, mentre con l'altra mano stringevo il mio indumento intimo.

Xavvier allungò la mano, la una smorfia di dolore comparve sul suo volto, lasciandomi intendere che avrei dovuto aiutarlo a bere.

Con un sospiro lasciai cadere il reggiseno sulla sedia accanto al letto e mi sedetti accanto a O'Bryen, facendo attenzione a tenere il bicchiere abbastanza inclinato, ma non troppo, così da evitare che l'acqua finisse ovunque tranne dove avrebbe dovuto.

«Grazie», disse, fissandomi con un'intensità che mi fece sentire per qualche secondo a disagio.

Appoggiai il bicchiere sul comodino, sussurrando un imbarazzato: «Figurati», poi mi alzai, decisa a mettere il maggior spazio possibile tra di noi.

La sua mano destra mi afferrò per il bordo del pigiama, facendomi nuovamente sedere: «Diana, non intendevo per l'acqua», mormorò, il divertimento scomparso dal suo volto, sostituito da uno sguardo serio: «Io volevo...»

«Mi hai già ringraziato ieri sera, non ricordi?», gli chiesi sentendomi terribilmente a disagio.

Avevo promesso a me stessa, dopo l'attacco di panico del pomeriggio precedente, a casa di Frida, che avrei evitato di trovarmi nella stessa stanza con lui, da soli. Volevo tenere le distanze; possibile che non riuscissi a fare una cosa così semplice? Cosa c'era di sbagliato in me?

Poi notai una cosa che poco prima, quando mi aveva impedito di alzarmi non avevo notato: aveva usato la mano destra senza mostrare la minima sofferenza in volto.

Un'espressione oltraggiata sostituì quella imbarazzata: «Non ti fa affatto male!», esclamai, muovendo di qualche centimetro verso l'alto la sua mano per avere conferma, notando come effettivamente il gesto non sembravo avergli provocato nessun dolore: «Potevi bere l'acqua da solo senza bisogno del mio aiuto!»

Xavier sorrise, facendomi l'occhiolino: «Mi hai scoperto, ho finto di stare peggio perché volevo averti qua, accanto a me», disse, con una punta di malizia nella voce.

Per qualche secondo mi chiesi se mi stesse prendendo in giro, confusa da come l'espressione sul suo volto sembrasse trasmettermi una cosa, mentre la sua voce ne diceva un'altra.

«Non riesco a capire se sei serio o meno», ammisi, alzandomi in piedi e recuperando il mio reggiseno, decisa ad andarmene.

«Potresti, per una volta, non fuggire?», mi chiese, facendomi bloccare sui miei passi, un nodo in gola e un'espressione colpevole in volto.

Sapevo cosa intendeva e sapevo che aveva ragione.

Non era la prima volta che, quando la situazione si faceva troppo spinosa per i miei gusti mi davo alla fuga.

Smisi di dargli le spalle, incontrando i suoi occhi verdi.

«Ti ringrazio, senza di te non so se mi sarei salvato», mormorò.

«Non dire così», sussurrai, cercando di scacciare le lacrime dai miei occhi, avvicinandomi a lui e intrecciando le dita della mia mano destra con la sua.

«Sono in debito», mormorò, avvicinando le nostre mani unite al suo viso, così da lasciare un bacio sulla mia.

Persi l'uso del mio corpo per un paio di secondi, mentre cercavo di processare le forti emozioni che il mio corpo aveva provato per un semplice e banale baciamano.

"Diana, torna in te!"

«Sì, lo sei», mormorai senza fiato, prima di disincastrare le nostre dita.

La mano destra mi formicolava per il bacio. O ero io che mi stavo immaginavo tutto?

«Fuggi, Diana, so che vuoi farlo», mi disse, lo sguardo triste che non perdeva il mio: «Prometti di tornare a trovarmi però», aggiunse, un sorriso lieve sulle labbra e le sue bellissime fossette sulle guance.

Sorrisi e mi sporsi verso di lui per lasciargli un bacio sulla fronte: «Lo prometto», sussurrai, inspirando a fondo il suo odore e sentendolo chiaramente fare lo stesso.

Meno di tre secondi dopo ero fuori da quella camera, con la porta chiusa alle mie spalle e un'espressione terrorizzata sul mio volto.

L'unica cosa che consideravo positiva di quell'incontro era l'aver recuperato il mio reggiseno.

Nient'altro.
 


*********

Ciao a tutti! :)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, scusate per il ritardo, volevo aggiornare ieri, ma ho avuto una giornata parecchio incasinata e non ce l'ho fatta 🙈
Spero abbiate tempo e voglia di farmi sapere cosa ne pensate!
Il prossimo capitolo arriverà sabato 4 o domenica 5. 
Un bacio, 
LazySoul

 
  
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