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Autore: Lila May    29/10/2017    1 recensioni
/ Sequel di Disaster Movie / romantico, slice of life, comico (si spera) /
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10 anni dopo la terribile, anzi, mostruosa convivenza con i ragazzi della Unicorno, Esther Greenland passeggia per le strade di New York a tacchi alti e mento fiero. Il suo sogno più grande si è finalmente realizzato, e tutto sembra procedere normale nella Grande Mela americana.
Eppure, chi l'avrebbe mai detto che proprio nel suo luogo di lavoro, il gelido bar affacciato sulla tredicesima, dove non va mai nessuno causa riscaldamento devastato, avrebbe riunito le strade con una delle persone più significative della sua vita?
Il solo incontro basterà per ribaltare il destino della giovane, che si vedrà nuovamente protagonista del secondo disastro più brutto e meraviglioso della sua esistenza.
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❥ storia terminata(!)
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bobby/Domon, Dylan Keith, Eric/Kazuya, Mark Kruger
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter One.

the gasoline guy

 

Un panno caldo nella destra e una grossa tazza bagnata nella sinistra, Esther stava minuziosamente asciugando la porcellana che solo qualche minuto prima era stata a mollo in una bacinella piena di sapone. Nonostante fosse coperta dalla testa ai piedi, gli spifferi di gelo che entravano dalla stretta fessura della porta in vetro le provocavano intensi brividi al collo. Lei e Mary si scambiarono un’occhiata complice: il riscaldamento di quel bar andava di nuovo riparato, o i clienti avrebbero davvero cominciato ad emigrare alla ricerca di posti più accoglienti e tiepidi.
<< Cazzo, si muore di freddo. >> sbottò l’amica della Greenland, chinandosi sul bancone per pulirlo dalle incrostazioni lasciate dalle tazze il cui ignoto contenuto si era riversato un po’ troppo oltre il bordo.
<< La gente arriva, prende il caffè e se ne va. >>
<< A nessuno va di fare colazione con questo freddo, ti credo. Se vogliono il gelo, possono consumare il caffè anche fuori. O no? >>
<< Sarà la quarta volta in due mesi che ci facciamo mettere a posto il riscaldamento. Non ne posso più di ‘sti idraulici rincoglioniti americani. Nei film fanno tanto i fenomeni… poi dal vivo nemmeno sanno mettere a posto un termosifone. >>
<< Dai, che a natale si va in California. >>
<< Grazie a dio, aggiungerei. >>
Esther posò lo sguardo fitto di mascara sulla schiena mascolina dell’amica. Lei e Mary si conoscevano dalle lontane scuole medie, un arco di tempo lunghissimo anche solo a pensarci. Da adolescenti avevano giocato insieme nella stessa squadra di calcio, accompagnando quell’isterica di Suzette Heartland in tutte le sue folli avventure da femmina alfa, ma avevano cominciato ad interagire tra di loro solo a fine liceo. Ad unirle veramente c’era stato un sogno in comune, quello di poter gestire un bar all’estero, poter creare dolci, regalare alle persone piacevoli chiacchierate e colazioni rigeneranti. Un’ambizione banale, che però le aveva unite e le aveva portate nella caotica e meravigliosa New York city.
La Grande Mela le aveva accolte in un freddo abbraccio, immergendole in una realtà ben diversa dai paesini provinciali in cui erano entrambe cresciute, ma nel giro di breve si erano entrambe sincronizzate al ritmo frenetico di quella nuova vita.
Ora vivevano insieme come due adorabili sposine che condividevano felicemente le spese, i trucchi, i vestiti e lo spruzzino per i vetri, tutto.
Persino i ragazzi, per quelle rare volte che avevano voglia di divertirsi.
E tra poco, anche una vacanza nella bella California, di ben due settimane.
<< Finalmente clienti!>>
La voce ferma della Moore bastò a interrompere il flusso di pensieri della mora, che si riscosse sul posto. Entrambe sfoderarono i loro migliori sorrisi, fissando lo sguardo oltre la porta trasparente.
E poi, la riconobbe.
La testa color biondo ambra fece capolino oltre il vetro appannato di freddo, invadendo gli occhi di Esther con la potenza di uno tsunami dorato.
Cristo, eccolo lì.
Il tipo della benzina, lui.
Come dimenticare quel colore.
Si stupì nel percepirsi ancora tanto nervosa, e si ritrovò a stringere i pugni con forza mentre il ragazzo entrava accompagnato dal soggetto castano.
Non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Il cuore accelerò la sua giovane corsa, minacciando di riempirle il petto di lividi ad ogni battito sconquassante.
<< Salve! >>
Dei due, solo il castano si avvicinò al bancone.
Il biondo rimase sulla soglia, gli occhi nascosti dalla lunga frangia bionda e il capo chino sul cellulare.
Era così bello, maledizione. Indossava una giacca a vento nera, jeans sbiaditi e Converse bianche.
Dio.
Quel modo di vestire emanava un qualcosa di familiare, troppo.
<< Siamo di fretta, ragazze. >> soggiunse il castano, cercando di catturare l’attenzione. << Ce li fate due caffé? >>
<< Cazzo! >> la voce di Mary proruppe nel silenzio imbarazzato del piccolo locale, incrinata di gioia, ma “testa ambrata” parve non farci caso; la luce candida del cellulare proiettava ombre indecifrabili sul volto ben celato.
<< Ma tu sei Erik Eagle! >>
Nel sentire quelle parole, il cuore di Esther ebbe un sobbalzo. Subito si concentrò sul castano, e sorrise a trentadue denti quando si rese conto che era davvero Erik. Proprio il buon, vecchio, passionale Erik Eagle. Grandi occhi neri, capelli castani sollevati verso l’alto. Si era solo alzato, per il resto, era perfettamente identificabile. Ma questo significava che se uno era Eagle… l’altro per forza era… no, no. Non per forza.
Poteva anche non esserlo.
Calmati, cretina.
<< Le ragazze della Tripla C! >> esclamò lui dall’altra parte del bancone. Sembrava felice di vederle, così emozionato nel suo pratico giubbotto verde acqua che lo rendeva goffo e fragile. Note di smisurato affetto continuavano a scorrergli vivide negli occhi intensi. Affetto per loro, per ciò che avevano passato insieme e per come tutto era finito. << Beh, come mai siete in due? Il resto della banda si è smarrito a Fifth Avenue? >>
Tripla C.
La parola d’ordine che fece scattare la mina distruttrice.
Esther colse il biondo sollevare il capo con fin troppa energia, ma prima che quest’ultimo potesse anche solo fissare gli occhi sul bancone, la mora sparì nel magazzino a grandi falcate, chiudendosi la porta alle spalle.
Sentiva il cuore battere energicamente contro il petto, la gola seccarsi per la forte emozione, come un fiore rimasto senz’acqua per troppo tempo.
Si ravviò la coda di cavallo, ricomponendola nervosamente.
Perché non era rimasta lì? Perché non aveva fronteggiato quegli occhi intenti nel posarsi sui suoi? Solo perché il castano si era rivelato essere Erik, non voleva di certo dire che l’altro fosse lui… Mark.
Mark Kruger.
E poi, anche se fosse stato lui, che cambiava?
Si ripresentò al capezzale di Mary solamente quando i due ragazzi si dileguarono dal posto con due bicchieroni di caffè caldi tenuti saldamente tra le mani.
Moore la squadrò attentamente, prima di indicare la porta con sguardo più scioccato che altro. << Hai visto chi era? >>
<< Ho visto eccome! >>
<< Erik! Erik Eagle!Allora è vivo cazzo! Questa sera voglio chiamare Suzette e dirle che il suo ex ex ex ex ex ex - potremmo continuare all’infinito - ragazzo si è presentato da noi con un disperato bisogno di caffeina e figa. Secondo me si trasferisce qui. >>
<< Sempre che non l’abbia già fatto. >>
Le due risero di gusto, prima di riprendere a pulire la cucina.
Poi, la domanda. La fece. Veloce e pesante come un tuono che si riversa contro i grattacieli più alti della città. << Hai visto il biondo? >>
<< Sì. >>
<< Per caso… >>
<< Ti ho già risposto. Sì. >> vMary si voltò verso Esther e le tirò una ciocca arricciata sfuggita alla morsa della coda, le iridi lillà che lasciavano trapelare un guizzo divertito.
Greenland parve vacillare sui suoi sfolgoranti tacchi alti, la prima volta che le capitò in tutta la sua breve vita.
Quel cognome così duro le arrivò dritto al cuore come una stilettata di ghiaccio, affondando nel muscolo pulsante senza alcuna pietà.
Col respiro sospeso a mezz’aria spostò gli occhi sulla porta, poi li riportò su Mary.
Poi sulla porta, di nuovo, oltre i cumuli di neve, oltre le macchine, gli edifici.
Alla ricerca di lui.
Sapeva che si sarebbe dovuta fidare del suo istinto, fin dall’inizio. “Testa ambrata” era davvero Kruger.
Mark, Mark Kruger, lo stesso ragazzo che anni prima l’aveva resa protagonista di un tormentato, infantile amore estivo.
Quanto aveva insistito per averlo. Quanto ci aveva pianto, quanti messaggi letti e a cui lui non aveva mai dato risposta.
E ora spuntava così, dopo un anno di vita nella Grande Mela, nel più improbabile dei lunedì, con tre gradi sottozero, assieme ad un Erik Eagle all’apparenza felice e realizzato.
A chiedere un caffè.
Nel suo bar. Quello freddo che si affacciava timido sulla tredicesima.
<< Era proprio lui, te lo giuro. >>
La conferma di Mary arrivò come una carezza bollente sulla sua guancia congelata dall’emozione.
<< Già... va beh, a volte si fanno di nuovo vivi. >> Esther ritornò alle sue tazze, ancora chiaramente agitata. Chissà come avrebbe reagito la vecchia tredicenne che era stata se avesse vissuto quel momento in prima persona. Sicuramente avrebbe fronteggiato Mark con aria spavalda, invitandolo a farsi avanti.
E poi avrebbe inveito contro di lui.
Per averla abbandonata. Per essere sparito, soprattutto dopo che tra loro c’era stato quel bacio doloroso e appassionato. Forse per lui non aveva significato niente, forse per lui si era trattato di un semplice sfogo, ecco, ma per lei le labbra di Mark avevano significato tutto.
Sorrise, pensando che i motivi che una volta l’avevano tenuta col cuore a cocci ora le provocavano solo divertimento.
Eppure… era scappata lo stesso, quando lui aveva cercato un contatto. Senza nemmeno darsi tempo di riconoscerlo.
<< Non dirmi che ti sei nascosta nel magazzino per sfuggirgli. Se n’è accorto, ti ha guardata. Ma non credo ti abbia riconosciuta, avrà visto solo il tuo grosso culo da balena rinchiudersi oltre le mie spalle. >>
La punta del tacco schizzò improvvisamente in avanti, schiantandosi contro la caviglia di Mary senza alcuna pietà.
<< Non volevo farmi notare troppo. >> sbottò poi Esther, ritirando con raffinatezza la gamba snella dopo che il suo
attacco premeditato andò a segno. << Non ho molta voglia di riallacciarci un legame, sinceramente. >> si passò una mano tra i boccoli, ignorando di proposito l’espressione acida dell’amica. Mentiva. Eccome se mentiva. << Ne di parlarci. Ecco. E lascia stare il mio culo da balena, orba schifosa. >>
<< Beh, potevi almeno dirgli ciao. Per correttezza. >>
<< Perché, lui lo ha fatto? >>
<< Certo! >> Mary sorrise maliziosa, ammiccamento che l’altra ricambiò con una banale smorfia venata d’ansia. Esther Greenland si poteva considerare donna su molti aspetti, troppi forse, ma in quei momenti i suoi ventitré anni appena sbocciati si facevano sentire nel più immaturo dei modi.
<< Dopo che ti sei segregata nel buio, ovvio. Comunque ora che sanno che ci lavoriamo vedrai che tornano. >>
<< Non lui. >>
<< Anche lui. >>
<< Lui non sa tornare. >>
Moore parve freddarsi a quell’ultima frase. Si avvicinò alla mora e le afferrò con dolcezza un polso, ignorando il broncio che mise su l’amica a quel contatto non voluto. << Mi vuoi spiegare bene che cavolo è successo tra voi due che appena lo hai riconosciuto ti sei rintanata nello sgabuzzino? >>
<< Storia lunga. >>
<< Beh, racconta. Sono qui per te. Sono anni che mi sorbisco le tue cazzate, ma questa… questa mi è proprio nuova. >>



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Nda
eccomi qui col primo capitolo di questa storia, signorine. Come andiamo? Io tutto bene, volevo fare un annuncio importante, anzi, due.
Il primo, che questa long è stata scritta fino al capitolo 10 - terminato solo ieri tra l'altro -. Cioè che i capitoli pronti sono molti, quindi non vi preoccupate, che gli aggiornamenti saranno piuttosto rapidi, anche perché non ho intenzione di arrendermi o prendermela comoda per altri quattro anni (?).
Il secondo, che dal 7 novembre al 19 novembre perderò quattro ore di matematica e la prof mi ucciderà sarò negli Stati Uniti. Già, nella patria di Mark Kruger , proprio così. Il sogno di una vita!
Per quell'arco di tempo non penso che mi metterò a scrivere, voglio godermi bene gli USA, quindi lascerò il pc a casa. Per questo motivo, tra pochi giorni pubblicherò anche il capitolo due, e forse forse pure il tre, così vi lascio che siete già entrati “nel vivo” della trama.
Detto questo, come vi è parso questo capitolo? So che è un po' corto (i capitoli iniziali saranno un po' tutti così), non è successo granché, cioè, è comparso Mark OMMIODDIO MAAAARK TI AMOOOOOOOOOH, ma lo vedremo meglio nel prossimo chappy  una piccola curiosità: il titolo, come ben sapete, significa il ragazzo della benzina. In inglese benzina si dice petrol, ma in inglese americano si dice gasoline. Solo questo (?) mi sembrava giusto usare l'inglese degli americani, visto che siamo negli States.
Volevo precisarlo (?)
Fatemi sapere in una recensione che ne pensate, mi farebbe molto piacere!

A presto!

Lila

 
   
 
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