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Autore: Yugi95    29/10/2017    1 recensioni
Quando si perde l’unica cosa al mondo che abbia davvero importanza; quando si perde una parte di sé che mai più potrà essere ritrovata; quando si perde l’amore della propria vita senza poter fare nulla per impedirlo… è in quel momento, è in quel preciso momento che si cede lasciando che il proprio cuore sia corrotto dalle tenebre. Si tenta il tutto per tutto senza considerare le conseguenze, senza pensare al dolore che si possa causare. Se il male diventa l’unico modo per far del bene, come si può definire chi sia il buono e chi il cattivo? Se l’eroe, che ha fatto sognare una generazione di giovani maghi e streghe, si trasforma in mostro, chi si farà carico di difendere un mondo fatto di magia, contraddizioni e bellezza? Due ragazzi, accomunati dallo stesso destino, si troveranno a combattere una battaglia che affonda le proprie radici nel mito e nella leggenda; una battaglia che tenderà a dissolvere quella sottile linea che si pone tra ciò che è giusto e ciò che è necessario.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Maestro Fu, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo I – Il Binario 9¾

Un vecchio e malandato Volkswagen T1 del ’65, retaggio della mitica Summer of Love Californiana, entrò nel parcheggio sotterraneo della stazione londinese di King’s Cross. Dopo aver vagato per diversi minuti tra i vari livelli della struttura alla ricerca di un posto libero, si fermò nelle vicinanze di uno dei tanti ascensori che consentivano il ritorno in superficie. Una volta che i suoi rotondi fari furono spenti, gli occupanti scesero dal veicolo e si sgranchirono come poterono le gambe indolenzite.

«Ve l’avevo detto che l’aereo era la scelta migliore» esclamò leggermente irritata una giovane ragazzina dai capelli neri con i riflessi blu raccolti in due codini ai lati della testa.

«Marinette, sai bene che tuo padre ha paura di volare» replicò una donna dai tratti orientali con tono dolce, mentre si aggiustava i bordi stropicciati del suo bianco cheongsam arricchito da un variopinto design floreale.

Intanto un uomo baffuto e massiccio, la cui statura sfiorava quasi il metro e novanta, si stava affannando a scaricare dal retro del suo furgoncino un grosso baule. Quest’ultimo era completamente di legno, rivestito da una robusta pelle rossa e abbellito da cerniere in ottone. Infine, sulla sua superfice superiore campeggiava uno stilizzato stemma dorato dall’araldica alquanto bizzarra. «Ecco fatto!» ansimò il padre di Marinette poggiando il baule su un carrello di metallo adibito al trasporto dei bagagli.

«Ehi… Tikki, svegliati. Siamo arrivate» bisbigliò Marinette al suo piccolo esemplare di Scarlet Tanager, addormentato sul trespolo di una gabbietta dorata. «Mamma, papà… io avrei un treno da prendere.»

La famiglia raggiunse l’ascensore che li condusse finalmente all’interno della stazione. I tre si ritrovarono in un affollato e moderno atrio, al cui interno si raccoglieva la stragrande maggioranza dei viaggiatori prossimi alla partenza. File di negozi, bar, ristoranti e uffici si disponevano a semicerchio lungo il perimetro della struttura. La ragazza e i suoi genitori furono particolarmente affascinati da quell’ampio open space, la cui architettura richiamava quelle dei film di fantascienza.

«È… è bellissimo» sospirò Marinette fissando, quasi ne fosse rimasta ipnotizzata, la struttura portante dell’atrio.

«Mai visto niente di simile» aggiunse Tom con fare trasognante, affiancandosi alla figlia e poggiandole una mano sulla spalla.

Treni di ogni dimensione, forma e colore stazionavano sulle banchine in attesa dell’arrivo dei passeggeri; altri, ormai carichi di persone e bagagli, iniziavano la loro corsa lungo quelle strade di metallo che si perdevano all’orizzonte. Voci concitate di viaggiatori in ritardo, ripetuti avvisi emessi dai numerosi altoparlanti, acuti fischi e altri rumori meccanici si mischiavano in un’insopportabile e assordante cacofonia di sottofondo.

«Mon Dieu! Che confusione» esclamò Sabine portandosi una mano al petto.

«Mai vista tanta gente» aggiunse Tom con tono meravigliato, «Qual è il treno che devi prendere, bambina mia?»

In quello stesso istante il grande orologio rintoccò per otto volte di seguito indicando ai viaggiatori che un’altra ora era appena trascorsa. I coniugi Dupain-Cheng, consapevoli di non avere molto tempo a disposizione, si affiancarono alla figlia in cerca di risposte. Marinette aprì la borsetta rosa che portava a tracolla, dalla quale estrasse un sottile foglio di carta bianco con pregiati ghirigori dorati. «Stando a quanto è scritto qui sopra, dobbiamo cercare questa piattaforma.»

«Sei sicura tesoro, hai controllato sia il biglietto giusto?»

«Sì papà, non c’è alcun dubbio.»

Sul biglietto vi era indicato il binario dal quale sarebbe partito l’Espresso per Hogwarts. Tuttavia, poiché sia per la ragazza che per i suoi genitori quella era la prima volta, non avevano idea in quale banchina stazionasse il treno. Sul pezzo di carta era indicato un qualcosa che aveva suscitato fin da subito le perplessità di Tom e Sabine. Secondo il biglietto, il diretto per la scuola sarebbe partito da un binario alquanto strano e dal nome piuttosto bizzarro: il Binario 9 ¾.

Purtroppo, sebbene i tre lo avessero cercato in tutta la stazione, non erano riusciti ad individuarlo. Il chiedere indicazioni ai diversi capistazione sparsi per l’edificio non era servito a granché se non a farli sembrare dei pazzi squinternati. Amareggiata e delusa dall’eventualità di perdere la “chiamata” più importante della sua vita, Marinette si sedette sul grande baule in legno al fine di trovare una soluzione a quel problema.

La sua mente tornò indietro di circa tre mesi, a quell’assolata mattina di inizio giugno. Le fu detto di essere una strega, una strega nata da comuni esseri umani privi di poteri magici. Aveva ricevuto lettera d’iscrizione per la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Caline Bustier, sua futura insegnante di Difesa contro le Arti Oscure, era stata così gentile da accompagnare lei e i suoi genitori a Diagon Alley per comprare tutto il materiale scolastico che le serviva. Le avevano spiegato ogni cosa, anche come raggiungere il suo treno. Lei, però, non riusciva proprio a ricordarlo.

Ad un tratto, mentre Tom e Sabine continuavano ad affannarsi nella ricerca del binario, l’improvviso fischio di un treno in partenza, la fece sobbalzare. Lo spavento di quel momento richiamò nella sua mente una serie di informazioni essenziali per raggiungere il treno. Senza perdersi d’animo, afferrò il manico del suo carrello e si mise in marcia. «Bene Tikki, ci siamo!» esclamò Marinette con una nota d’incertezza nella voce, «La Professoressa Bustier aveva detto che il Binario 9 ¾ è nascosto e che per accedervi devo attraversare senza aver paura la barriera tra i binari… i binari…»

La ragazza, nonostante fosse riuscita a ricordarsi la stragrande maggioranza delle cose, non era stata in grado di stabilire la più importante di tutte: tra quali banchine fosse nascosta quella del treno per Hogwarts. Il tempo a disposizione, però, scarseggiava e lei aveva dovuto compiere una scelta, la scelta che riteneva più logica. «Sono pronta! Chiamerò mamma e papà una volta che avrò oltrepassato la barriera.»

Si guardò un’ultima volta intorno, assicurandosi che nessun passeggero fosse ne paraggi. Serrò la presa sul manico del carrello e… e scattò in avanti. Veloce, sempre più veloce in modo tale da scacciare la paura che quel folle gesto implicava. La distanza tra lei e il muro diminuiva, sempre più, ormai era prossima ad attraversarlo. Chiuse gli occhi e trattenne il respiro fino a quando non impattò in pieno contro la solida barriera che divideva i binari 3 e 4.

Fu spinta in avanti con violenza, ma fortunatamente ricadde di lato e non urtò i mattoni. I bagagli, invece, rotolarono giù dal carrello e finirono per terra aprendosi. La gabbietta di Tikki fu sbalzata in aria, ma, grazie al provvidenziale intervento di un passante che l’aveva presa al volo, il piccolo esemplare di Scarlett Tanager rimase illeso.

«Ti sei fatta male?» le domandò una dolce voce maschile.

«Sì, cioè no… …cioè…  …non tanto» farfugliò la ragazza senza rendersi con chi o cosa stesse parlando, mentre si massaggiava la testa indolenzita.

«Prendi la mia mano, ti aiuto.»

Marinette fece come le era stato detto e fu allora che lo vide. Era un ragazzo, avrebbe potuto avere più o meno la sua età, ma era leggermente più alto di lei. I suoi capelli erano biondi ma non troppo chiari, mentre gli occhi erano di un bellissimo verde acceso. Indossava una camicia bianca sbottonata con le maniche avvolte sopra il gomito; al di sotto di essa si trovava una maglia nera arricchita da una serie di righe orizzontali colorate. Nella mano sinistra reggeva la lucente gabbia di Tikki, mentre ai suoi piedi era languidamente disteso uno svogliato gatto nero. «G-g-grazie» balbettò, timidamente, l’altra arrossendo sulle guance per l’imbarazzo «Io stavo… stavo…»

«Stavi cercando di arrivare al Binario 9 ¾, giusto?»

Sul viso paonazzo di Marinette si dipinse un’espressione di grande stupore, mentre le sue labbra boccheggiavano parole senza senso. Il ragazzo le sorrise e le indicò il grande stemma dorato presente sul baule. «Vedi? Quello è lo stemma di Hogwarts, soltanto i suoi studenti hanno dei bagagli del genere.»

«Quindi anche tu sei… sei un mago?»

«Una specie, ma è ancora presto per definirmi tale» sibilò, divertito, l’altro riconsegnando la gabbietta alla sua interlocutrice «Ecco tieni… credo non si sia fatta nulla.»

La afferrò e si assicurò che la sua amata Tikki non avesse riportato alcuna ferita. Rialzata la testa, però, si accorse che il ragazzo era scomparso nel nulla. Marinette si guardò intorno cercando almeno con lo sguardo di individuarlo, ma distinguere qualcuno tra la massa dei viaggiatori di King’s Cross era impossibile. «Bel tipo, sparire così all’improvviso. Avrebbe almeno potuto dirmi dove si trova il binario e…e questo cos’è?»

Al di sopra del baule in legno si trovava un block notes aperto, sulla cui prima pagina era stata scritta la seguente frase: “Barriera tra i binari 9 e 10, ha meno di dieci minuti Milady”. La ragazza prese il piccolo quaderno lasciato evidentemente da quel misterioso passante e lo ripose nella sua borsetta; accennando dopo un timido sorrisetto imbarazzato mentre le sue guance si coloravano di rosso. «Forse non è così male come credevo.»

Dopo aver risistemato i bagagli sul proprio carrello, sfrecciò tra viaggiatori spaventati e capostazione infuriati. Raggiunse in un batter d’occhio il secondo padiglione di King’s Cross, luogo dove era ubicato il passaggio per raggiungere l’espresso per Hogwarts. Superando le precedenti banchine, imboccò quella che si trovava tra i binari 9 e 10. Estrasse il cellulare dalla tasca della giacca: non poteva andare da sola, loro dovevano essere con lei, loro dovevano accompagnarla fino alla fine.

«Marinette, Marinette!»

La ragazza si girò di scatto trovando alle proprie spalle il Signor Dupain. «Papà, papà… sono qui! Dov’eravate finiti? Dov’è la mamma?»

«Ci… ci sta aspettando… ci sta aspettando dall’altra parte» ansimò Tom ormai rimasto senza fiato ed energie.

«Siete riusciti a trovare il passaggio? Come avete fatto?!»

«Un signore molto gentile ci ha aiutato. Sabine è con lui e la sua famiglia.»

«Bene… allora non ci resta che raggiungerli. Forza muoviti!» sentenziò Marinette con ritrovato vigore, afferrando il muscoloso braccio del Signor Dupain.

Quest’ultimo, sebbene avesse tanto voluto riposare su quella comoda panchina, si rimise in piedi e, lasciandosi trascinare dalla propria figlia, si mosse in direzione della barriera che separava i binari 9 e 10. Entrambi afferrarono il manico del carrello portabagagli e, dopo essersi scambiati un ultim’occhiata di complicità, iniziarono a correre il più veloce che poterono verso il muro di mattoni. Chiusero gli occhi e trattennero il respiro finché non si trovarono dall’altra parte.

Un denso e caldo vapore bianco li investì in pieno riempiendo le narici di un odore acre e pungente. Marinette tossì leggermente e, tappandosi il naso con entrambe le mani, trattene il fiato al fine di non inalare quell’aria pesante che tanto le dava fastidio. La sensazione di malessere, però, durò solo alcuni secondi; ben presto infatti la ragazza si abituò all’atmosfera del posto e riprese a respirare normalmente.

La banchina, posta alla destra del treno, un tardo locomotore dell’Ottocento, era gremita di persone di tutte le età, etnia e condizione: la maggior parte degli studenti, non ancora saliti sul treno, si affrettava a caricare i propri bagagli; gruppi di genitori si accalcavano ai finestrini delle carrozze per dare un ultimo saluto ai loro figli prima della partenza; alcuni professori erano infine intenti a riabbracciare i loro amati alunni che per ben tre mesi non avevano visto e con i quali avrebbero condiviso gioie e dolori di quell’anno scolastico che si apprestava a cominciare.

«Marinette, Tom! Siamo qui» urlò Sabine al fine di farsi sentire dal resto della sua famiglia, alzando il braccio destro e sventolando in aria.

I due, sebbene vi fosse molta confusione, riuscirono a percepire chiaramente la voce della donna e, individuatala tra la folla, corsero da lei. La Signora Dupain-Cheng era in compagnia di altre cinque persone che Marinette non aveva mai visto. Di conseguenza, una volta raggiunta la madre, si presentò loro cercando di nascondere la sua immancabile timidezza. «P-p-piacere di conoscervi, io sono Marinette.»

«Il piacere è tutto mio, Marinette» replicò un uomo barbuto e dalla pelle scura. «Mi chiamo Otis Césaire e questa è la mia famiglia: mia moglie Marlena e le mie tre figlie Alya, Ella ed Etta. La più grande, Nora, è già salita»

La Signora Césaire era una donna esile e slanciata. La sua pelle era scura quasi come quella del marito, mentre i capelli, raccolti in un grazioso chignon, erano castani. Indossava un pullover bianco e un paio di jeans abbastanza giovanili che ne accentuavano le forme. Allo stesso modo anche Alya e le sue sorelline presentavano una carnagione piuttosto scura e le iridi marroni; tuttavia la ragazza si distingueva dal resto della famiglia per il peculiare colore dei suoi capelli ondulati: castani ma ramati sulle punte.

Alya piacque immediatamente a Marinette. Nonostante l’avesse appena incontrata, le sembrò una persona simpatica e affidabile, una persona con la quale poter stringere un solido e duraturo rapporto di amicizia. Anche la figlia del Signor Césaire rimase positivamente colpita dalla ragazza dai capelli neri. In particolare, la divertivano enormemente la goffaggine e quel senso di perpetua insicurezza che tanto caratterizzavano il modo di fare di Marinette. «Anche tu sei al primo anno, giusto?»

«Si. Ho da poco compiuto quattordici anni» replicò la figlia del Signor Dupain con un sorriso.

«Perfetto! Sono sicura che ci divertiremo un casino insieme!»

«Lo… lo penso anch’io.»

La sirena dell’Espresso per Hogwarts emise un acuto fischio, segnale che il treno era ormai prossimo alla partenza. Il Signor Dupain e il Signor Césaire, una volta che ebbero finito di caricare con l’aiuto di alcuni addetti i bagagli delle figlie, le invitarono a salire in carrozza. Alya salutò sua madre e le gemelline assicurando loro che si sarebbero rivisti per Natale; poi, dopo aver salito la scaletta in ferro del vagone, scomparve tra la calca. Subito dopo anche Otis si arrampicò sull’alta carrozza del treno.
«Come mai sale anche lui?»

«Il Signor Césaire è un insegnante di Hogwarts. Per questo motivo prende il treno» le spiegò Tom, mentre sua figlia a saliere la scaletta.

Marinette si voltò verso i propri genitori. I due erano stretti in un dolce abbraccio: il Signor Dupain aveva le lacrime agli occhi. Sabine, invece, era serena, orgogliosa di ciò che sarebbe diventata la sua bambina. In cuor suo aveva sempre saputo che sua figlia avesse un qualcosa di speciale, un qualcosa che la rendeva diversa da tutti gli altri. Hogwarts le avrebbe permesso di esprimere il suo potenziale, le avrebbe permesso di sbocciare e di diventare quel magnifico fiore che era destinato ad essere.
 La Signora Dupain-Cheng allungò il braccio destro verso la ragazza e con le dita ne sfiorò la pallida guancia, sfiorò le lacrime che le rigavano il viso. «Marinette, non aver paura di essere te stessa. Io e papà saremo sempre orgogliosi di te. Tu, sei la nostra bambina, sei la persona più dolce, sensibile e impacciata del mondo, sei una strega, tu… tu sei semplicemente la nostra Marinette.»

«Vi… vi voglio bene, voi non sapete quanto» piagnucolò la ragazza, stringendo a sé la gabbia di Tikki.

Per una seconda volta l’acuto fischio dell’Espresso per Hogwarts riecheggiò nell’aria: il tempo dei saluti era purtroppo finito. Marinette entrò definitivamente nella carrozza, mentre il capostazione dava l’ordine di chiudere le porte. Tom e Sabine continuavano a fissarla muovendo tristemente le loro mani nell’aria. Il treno fischiò per una terza ed ultima volta, poi le ruote di metallo iniziarono a muoversi. Dapprima lentamente, poi con il passare dei secondi sempre più veloce finché il riflesso dei Signori Dupain-Cheng non lasciò il posto a quello della tranquilla campagna inglese.
   
 
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