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Autore: Manto    30/10/2017    3 recensioni
♥ Prima classificata al contest ‘Like an Hero - Eroe per un giorno’ indetto da Emanuela.Emy79 sul forum di Efp.
Quando il mondo intorno a te esplode, ci sono solo due cose che puoi fare: finire con esso, o trovare la tua strada per ricominciare a vivere; subire, o combattere.
Perché nulla è più forte dell'animo umano, nulla.
{Tanti auguri, carissima Angie96!}
Genere: Angst, Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Stinger, Zombieman
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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{ III ~ Libera la Luce }




Cosa senti dentro di te, proprio ora?
Da quel giorno
, per un tempo talmente lungo e duro da ferire persino nel ricordo, ogni respiro era stato un bacio dal gusto di fumo e pianto. Allora, quando la notte scivolava sulla città la sua disperata veglia iniziava, finendo in un singhiozzo solo quando l’orizzonte si tingeva di una sottile linea luminosa e gli occhi spalancati, così immobili da non sembrare più vivi, fissavano il disco diurno sorgere, quasi temendo di vederlo sfaldarsi in un’onda purpurea e ruggente che avrebbe annientato la città.
Temevi, o volevi?
Giàtemevi, o volevi? Per quanto tempo l’una o l’altra realtà, la possibilità e l’irrepetibilità, l’incerto e il perduto si erano battuti e gridati contro le rispettive ragioni, in una tempesta celata allo sguardo di tutti? È difficile aprirsi quando si scopre che chi riceve parte della nostra anima può andarsene da un momento all’altro con essa, di propria volontà o strappato da forze superiori; è una perdita di tempo, un dolore, una rovina, che cancella i sogni e riduce a smarrire anche la propria identità.
Ma allora, dopo tutto questo per cosa continuiamo a combattere?
Perché non vogliamo arrenderci?

Umiko socchiuse leggermente gli occhi, sentendo la pressione della nube polverosa allentarsi. Non c
’era più silenzio intorno a lei, il mondo vibrava del cuore della terra e del grido degli uomini; e anche il suo sospiro faceva rumore, era vivo.
«Va tutto bene, ora.»

Quel sussurro l’attrasse, le fece voltare il capo; a pochissima distanza da lei Stinger stava tenendo tra le braccia la donna del ponte, ancora riconoscibile nonostante gli abiti strappati, i capelli divenuti quasi grigi per la sporcizia depositatasi sopra e la costellazione di macchie nere che le punteggiava gambe e braccia.
L’impulso della preoccupazione spinse la giovane a correre verso di loro, e quando la sentì arrivare l’eroe alzò lo sguardo dal volto della bionda al suo. «Che cosa credevi di fare, prima?», le chiese, senza nascondere nessuna traccia di rimprovero.
La ragazza non rispose subito. Era stata sconsiderata, si era comportata come se fosse stata incantata; ma sapeva bene che cosa era successo in lei, e non poteva biasimarsi per quell’azione. «Perdonami», rispose poi, inginocchiandosi accanto a lui, «non avrei dovuto, lo so…» Tacque di nuovo, incapace di proseguire, e per fortuna Amaya la trasse d’impiccio perché proprio in quegli istanti aprì gli occhi e la fissò.
«Tu…», mormorò dopo alcuni attimi, «… tu ti sei salvata.»
«Piano, piano», la tenne giù il classe A quando la vide agitarsi, «stai calma.»
«No, affatto!», rispose l’altra quasi urlando, spaventando sia il ragazzo che Umiko, «non posso stare calma, perché non siamo per nulla al sicuro! Lui è ancora qui.»
Tutti rivolsero lo sguardo davanti a sé; e pochi metri più avanti, speculare a lei, la giovane vide la sua copia fissare ognuno di loro, uno dopo l’altro, prima di ancorare definitivamente gli occhi nei suoi. «Evidentemente hai la pelle più dura di quanto avessi creduto», le si rivolse con tono colmo di sarcasmo, «ma questo non è poi un male: il sangue che ti ho sottratto sta per esaurirsi, e il tuo è così delizioso che ho proprio voglia di venirti a dare un altro bacio.»
Una mano si chiuse intorno al suo polso e un sibilo morse l’aria, quasi a voler colpire il volto del mostro. «Che divertimento c’è a prendersela con i civili? Battiti con chi sa risponderti a tono», sentì replicare Stinger al suo fianco, lo sguardo pieno di determinazione e la presa ben salda sulla lancia.
Il mutaforma socchiuse gli occhi, ghignando a quelle parole. «Tranquillo, poi penso anche a te. Prima fammi pranzare», sibilò.
Umiko non lo vide balzare verso di lei, tanto fu rapido; ma gli artigli non la raggiunsero perché sia Amaya che Stinger furono più veloci, e mentre la prima scattò in piedi e spinse la ragazza lontano dal nemico, il secondo gli si parò davanti e gli affondò Gemma di Bambù nel ventre, costringendolo a ritrarsi.
«Che fortuna, ti ho presa per un pelo», sospirò la donna, allentando solo di un poco la stretta sull’altra. Era successo tutto così velocemente che era lecito domandarsi se fosse accaduto realmente, si disse questa mentre fissava l’avversario piegarsi su sé stesso. «Non male, ragazzino», mugolò poi questi al classe A, «non male.»
I presenti lo guardarono cadere definitivamente al suolo e rimanere lì disteso, immobile, e non parlarono più per un lungo istante, troppo increduli e confusi.
«Sul serio? Una taglia formidabile sulla sua testa ed è morto dopo un solo colpo?», esclamò quindi Stinger, avvicinandosi alla creatura.

«Troppo bello, già», rispose Umiko, socchiudendo gli occhi. L’inquietudine non voleva ancora lasciarla, ma probabilmente avrebbe impiegato ore per svanire, dopo tutto quello che era accaduto; eppure sentiva ogni senso in allarme, uno stimolo a prepararsi che vinceva la necessità di lasciarsi andare e le pungolava la carne. «Andiamocene», implorò infine rivolta all’eroe, «ti prego, portaci via da qui.»
Amaya assentì a quelle parole. «Ormai è finita.»
«
Finita? Nulla è mai completamente finito.»
Furono colti impreparati: nessuno riuscì a reagire per anche solamente tentare una difesa e tutti loro furono scagliati in aria dall
’asfalto del suolo, che si sollevò e li travolse come un’onda.
Rinvigorito della loro sorpresa, il mostro si rialzò ed erse in mezzo alla confusione come unico re, senza che più nulla di umano gli fosse rimasto: perdute le ultime gocce del sangue di Umiko a causa della ferita, aveva ripreso il suo aspetto reale rivelandosi un cavaliere delle tenebre o Tenebra stessa, i cui tentacoli che irraggiavano dal suo corpo – se così si poteva chiamare la sorte di vortice che lo costituiva – come fasci d’inchiostro tenevano premute le teste delle prede contro il suolo, preoccupandosi di dare la maggior pena possibile.

«Nulla è mai completamente finito. Io sono un Incubo, il vuoto crudele che vi attende quando più vi sentite al sicuro, il fuoco che divora le vostre certezze; io non posso morire mai», lo sentirono sibilare, prima di trovarsi completamente avvolti da lacci troppo simili a serpenti, «e per quanto senza una forma umana non possa rimanere a lungo esposto, in questi pochi istanti posso farvi ancora molto, molto male.»
A quelle parole la ragazza si volse spontaneamente verso Amaya, incrociò il suo sguardo colmo di terrore e vi vide riflesso il proprio; e si agitò, sentendo ancora la sensazione di essere scandagliata, quasi
sventrata, del mutaforma.
Lascia stare i miei pensieri! Sono tutto ciò che mi appartiene!
Fece appena in tempo a pensarlo che la stretta del mostro divenne d’acciaio.

«Partiamo da te… anzi, no: accontentiamo prima questa coraggiosa guerriera», mormorò voltandosi verso Amaya, senza tuttavia allentare la presa su di lei.
«Lasciala stare», ringhiò allora la giovane, agitandosi, «mi hai martoriato, ma non ucciso; finisci il lavoro con me.»
Sconsiderata che non sei altro.
L’Essere accennò una smorfia che doveva essere un macabro sorriso. «E rimandare ancora l’esecuzione di una persona che vuole solo morire? Che cattiveria negarle questo desiderio, davvero ingiusto.» E nel frattempo i tentacoli si ricoprirono di aculei, che penetrarono sotto la pelle di Amaya e iniziarono a privarla lentamente del suo sangue.
«Ne ho incontrati di mostri ripugnanti», sputò Stinger, livido in volto per il furore e l’impotenza, «ma nessuno vile come te. Devi essere la vergogna dei tuoi simili.»
«Questa donna», sibilò allora il mutaforma, puntando un dito contro la bionda, «lei è la vera vergogna tra noi due. Dovreste provare ribrezzo per il suo cuore quanto lo provate per me, perché è fredda e ingannatrice. O mi sbaglio, Amaya?»

L’interpellata non rispose, il volto stravolto dalla sofferenza che stava patendo, ma gli occhi, lucidi, si chinarono verso il suolo.
«Vedete? Non riesce neppure a rispondere. Bambina, stamattina dovevi lasciarla decidere della propria sorte; ti saresti evitata tanti problemi.»
Umiko si sentì ferita quanto la donna per quell’affermazione terribile. «Rimangia ciò che hai detto, nessuno ha il diritto di dire cose simili!»
«Oh, quindi vuoi dirmi che tu la conosci?
Che la perdoneresti?»
«Non so cos’ha fatto, ma probabilmente sì», rispose con sincerità la ragazza. Si interruppe, perché le gambe vennero trapassate da innumerevoli spine e la sensazione di essere risucchiata – di nuovo – le diede la nausea.
«Giààà, che sciocco, come ho fatto a scordarmene?» Una risata agghiacciante. «Emozionante, quasi commovente, come vi siate trovate: due anime morte da tempo, nutrite dal proprio senso di colpa…
stupendo
Fu il turno della mora di arrossire. «Non puoi trattarmi così», mormorò; e in uno scatto di rabbia afferrò la testa del tentacolo che andava stringendosi sulla sua bocca e morse, senza fermarsi nemmeno quando il suo stesso sangue le scese in gola. Improvvisamente la vista si confuse; e dopo qualche attimo sbatté la testa al suolo, il respiro accelerato ma il corpo libero di muoversi.
Il sollievo fu momentaneo, troppo rapido, perché il mostro la prese nuovamente per la vita e sollevandola la schiaffeggiò.
«Non lo farai una seconda volta», le intimò, ma pur ricoperta di sangue la ragazza riuscì a canzonarlo con un sorriso.
L’avversario aumentò la presa, ma non fu dolorosa come le prime volte.

Vuole tenermi in vita il più possibile – oppure sta diventando debole, nonostante il nostro sangue. Se lo tengo impegnato ancora per un po’ forse riusciremo a cavarcela… e se non io, almeno gli altri.
L’altro sembrò aumentare la densità delle proprie ombre, come per farle paura.
«No, non sperare nemmeno di potercela fare; vi ho tutti in scacco, e non solo fisicamente.» I tentacoli le accarezzarono il dorso delle mani e lei fece per ritrarle, sentendosi scottare; e quando nell’oscurità vide il bagliore di un ghigno divertito comprese che era proprio quello che lui le aveva fatto provare.
«So il suo nome», le sussurrò il mutaforma, «so che cosa accadde a te… e Tomomi.»
Tomomi. La bellezza di un amico, la grazia di una presenza costante.
«Lo so. L’hai visto», replicò piano Umiko, senza esitare né tremare, «siccome è sempre nella mia mente.»
«Sono già passati quattro anni da quel giorno… con il tempo hai imparato a parlarne – anche se a fatica –, a ricominciare a guardarti quelle cicatrici senza rabbrividire. Eppure c’è ancora qualcosa che non è stato risolto, dentro te. Il rimorso ferisce più di qualsiasi lama: e se per un po’ si assopisce, quando ritorna colpisce o punge, frusta o brucia, e lascia sempre un segno. Quante volte ti ha già uccisa?»

La mora deglutì. Dentro di sé sentiva un’inspiegabile calma, uno scudo che le proteggeva il cuore, e di questo era ben conscio anche l’Essere, che assottigliò gli occhi e digrignò i denti. «Rispondi», ringhiò infine.
«Ogni volta è meno dolorosa, invece. Da quando ho scoperto che non sono sola, anche i miei demoni stanno trovando pace.»
«Dimmi la verità!»
«È questa la verità», rispose lei, «anche se tu non lo sai,
io sì
Il primo colpo in viso fu doloroso. Il secondo insopportabile, il terzo la fece urlare e scoppiare in pianto subito dopo, i successivi le fecero implorare pietà.
«Non è vero, non è vero nulla! Tu sei ossessionata da quel ragazzo, ti incolpi ogni giorno, stai perdendo tutto!»
I tentacoli smisero di torturarla, ma lei rimase per un lungo istante in silenzio. «No. Non è vero.»
«So che in realtà sei stata a uccidere Tomomi, quel giorno!»
La ragazza volse il capo verso Stinger e Amaya, che la fissavano con i volti contratti dalla confusione e dall’attesa. Forse il mostro le aveva sputato addosso quelle parole per spingerla in qualche trappola; ma le sarebbe stato impossibile tacere, quando era qualcosa di più forte del timore a muoverla. «No, è un’altra, ben diversa, la nostra storia. Tomomi.… lui era troppo, per me; l’ho pensato fin dal primo momento che lo vidi, e a volte lo penso ancora oggi. Era così speciale: dove io ero confusa, lui era razionale… dove io inciampavo e sbagliavo, lui aveva la pazienza di sorreggermi e guidarmi. Era gentile, comprendeva i silenzi e li rispettava; per una che ha sempre la testa lontana da sé e non sa tacere, queste e altre sue qualità erano quasi incomprensibili. Quasi, dico; perché mai percepii una solitudine così forte come quella che sentii in lui… e la sentii proprio io, che fino a quell’istante avevo creduto di non saperla riconoscere. Eravamo poco più che ragazzini, e mai avrei pensato che potesse far scoprire in me quella forza che mi spinse a demolire le barriere che si era costruito per soffrire di meno, ma che non facevano altro che abbatterlo di più.»
Una pausa. «Spesso gli dicevo che era nato per diventare un eroe: dietro il suo atteggiamento difensivo nascondeva una nobiltà sensibile, che quando riusciva a trapelare aveva il potere di ritemprare l’anima e dare coraggio a chi gli era vicino; e se lo avesse compreso anche lui, forse sarebbe riuscito a trovare una strada meno dolorosa e più rapida per ritornare a sorridere. Ci sarebbe riuscito, se gli fosse stato concesso ancora più tempo di quanto effettivamente ebbe.
Il tempo, già, che credevo di avere al mio fianco ogni volta che mi dicevo di non essere pronta a dirgli ciò che provavo; il tempo, lento e costante, che mi spinse a credere che saremmo stati per sempre felici, quando infine rivelai quanto lo amavo.

Forse è per questo che il giorno che privò entrambi delle nostre certezze giunse troppo velocemente: il vero, grande errore che ci segnò fu non aver riconosciuto la sua forza, e quanto deboli eravamo sempre stati di fronte a lui.
Che cosa sarebbe accaduto se quel mattino fossimo usciti un’ora prima o un attimo dopo? Se l’autobus non avesse tardato e io non avessi deciso di fare l’intero percorso a piedi? Se non avessi insistito così tanto da convincerlo?
Non c’è nulla di certo, se non quello che poi accadde.» La voce, fino a quel momento controllata, venne spezzata dalle tracce di un pianto così profondo da non essere visibile, ma presente per notti e giorni. «Fui io la prima a vedere quella figura.
Da quello distanza non notai nulla, in lei, di allarmante o di così strano da farmi insospettire; ma più incrociavamo i nostri passi più la paura si prendeva la mia mente… fino a quando non ne fui completamente paralizzata.
La mia razionalità passò interamente a Tomomi: fu lui a spingermi di lato quando quello che avevo considerato una normale persona si rivelò un Essere Misterioso e ci attaccò all
’improvviso, incendiando l’intera strada con un solo respiro.
Fu lesto, è vero, ma non potevamo scappare molto lontano; presto fummo chiusi in una trappola di fiamme dal quale non saremmo mai potuti uscire vivi.
In quegli istanti tesi le mani verso di lui per stringerlo a me, in un ultimo abbraccio; e mentre l’onda di fuoco avvicinava i suoi artigli a noi e tingeva il mondo di scarlatto, ciò che mi fece più male fu vedere riflesso negli occhi di Tomomi, così ancorati ai miei da sembrare sul punto di fondersi in una sola lacrima, la convinzione di potermi proteggere.» E ce l’ho fatta, Umiko: ti ho salvato. «Le sue… le sue parole… mi disse di continuare a essere sbadata e dal cuore aperto, quasi totalmente incapace a controllare le mie emozioni, perché solo così avrei potuto aiutare un altro a uscire dalle tenebre, così come avevo fatto con lui; che avrebbe continuato a vivere per sempre in me e respirato in ogni mio sospiro, che aveva trovato il suo rifugio al mio fianco e in un modo o nell’altro lì sarebbe sempre rimasto.
Io persi conoscenza appena il fuoco ci investì, quindi non riuscii a vedere come lui mi fece da scudo, impedendomi di venire bruciata. Solo in ospedale, ore dopo, venni a sapere che fui trovata sotto il suo corpo, con le mani ustionate e che ancora lo stringevano a me; e che a triste testimone della vicenda erano rimaste solo queste cicatrici, e… e le sue scarpe. Tutto il resto era ormai silenzio, spezzato. Lontano.
Questa è la verità.»

Il mutaforma non attese la fine di quel doloroso racconto per rivolgere a Umiko un sorriso crudele. «Sei stata tu a dire», esordì, «che hai insistito tanto con Tomomi per percorrere quella strada a piedi; quindi, hai condotto tu stessa il tuo ragazzo verso la propria morte. E poi ti sei impietrita, non hai nemmeno tentato di difenderlo… come puoi negare che sia colpa tua?»
La giovane socchiuse gli occhi. È il tuo terrore che vuole; ma tu ti sei rialzata, lentamente hai ripreso a camminare. Non cadrai di nuovo. «Ho ormai vinto queste false colpe», sussurrò, «e sai una cosa? Ho raccontato tutto questo davanti a te perché mi sono perdonata. Il mio corpo non reagì quel giorno, la paura fu troppa; ma ho sofferto così tanto per questo, che non verrò piegata ancora. Tomomi è sempre nella mia mente, lo sento respirare davvero nel mio petto, la sua forza è in me. Ed è per questo… che no, non mi piegherò ancora. Non avrò paura di nuovo.»
Ora rialzati completamente.
Le unghie si conficcarono nei tentacoli; questi allentarono la morsa, per poi liberarla completamente. L
’Essere sibilò, arretrando di un poco. «Ho ancora abbastanza forza per ucciderti», mormorò, prima di farli scattare nuovamente verso la giovane.
Lei li afferrò, li strinse con tutta l’energia che sentiva prorompere da ogni fibra di sé anche se il dolore che provò la fece barcollare. «Puoi sentire i miei pensieri!», rispose quindi, «ma non puoi sentire il mio cuore; puoi percepire la razionalità, ma non le spinte delle pulsioni più umane, ciò che ci permette di ricominciare ad avanzare anche quando le nostre gambe sono state spezzate, o crediamo che lo siano.
I nostri errori, a volte nemmeno poi possiamo condannarli; ci rendono quello che siamo, ci insegnano quanto le buone azioni, ci fanno crescere.»
«Voi siete fragili!
» 
«Già, lo siamo; ogni cosa che ci circonda lo è, eppure siamo ancora qui, a resistere, perché altri non siano infranti come noi. Fragili, e allo stesso tempo così forti da poter imparare a proteggere, a salvare; non lo riesci a capire, vero?»
Altri tentacoli si allungarono verso il suo volto; questa volta non li avrebbe potuti evitare, lo comprese immediatamente, e allora chiuse gli occhi, senza ritrarsi.

Sento la tua forza in me; non cederò più, nemmeno negli ultimi istanti.
Il sibilo che accompagnava il colpo si avvicinò rapidamente, schioccò nelle sue orecchie facendola sobbalzare; tuttavia non provò alcun dolore. È… è finita? Così rapidamente?
«Sei proprio una brava ragazza.»

Umiko spalancò gli occhi, riscossa da quella voce. Tra lei e il suo avversario c’erano un paio d’occhi rossi che la fissavano con benevolenza, e che se qualche ora prima l’avevano turbata, in quell’istante le davano calore.
Sorrise a quelle parole, leggermente imbarazzata, e l’altro le accarezzò i capelli. «Un eroe non è più coraggioso di una persona comune, ma è coraggioso cinque minuti più a lungo, si dice spesso. A giudicare dal tuo stato hai resistito per ben di più di cinque minuti, ma credo che sia giunto il momento di far giocare me.»
La ragazza annuì, fissando il classe S Zombieman avanzare e fronteggiare il mostro, i tentacoli recisi stretti in una mano. «Non ti dispiace troppo se combatto io al posto suo, vero? È tutto il giorno che ti sto cercando.»
L
’altro ghignò in risposta. «Se mi farai divertire non mi dispiacerà di certo.»
«Oh, bene… allora si prospetta una giornata interessante.»

La mora indietreggiò, fino a quando un paio di mani non l’abbracciarono. «Va tutto bene?», sentì la voce dolce della donna sussurarle, e lei socchiuse gli occhi. «È come se avessi detto addio a un altro incubo… un altro demone ha trovato la sua definitiva pace.» Un sospiro. «Quindi sì, sto bene.» Si pose una mano sul cuore; e sotto la pressione gentile delle dita sentì davvero un’altra crepa richiudersi, smettere di sanguinare per sempre.




◊♦◊




«Non c’è tramonto più meraviglioso di quello che si vede dalla città K.»
Un sorriso. «È vero; ed è una delle cose che più mi è mancata.»

Amaya respirò a pieni polmoni l
’aria della prima sera, si strinse nelle proprie braccia. Mano a mano che il crepuscolo avanzava i contorni dei palazzi che la circondavano e il profilo delle foreste in lontananza si smussavano, e perfino le nubi si facevano più morbide, assumevano nuove forme e annunciavano l’avvento della quiete.
Era il momento dei pensieri, dei ricordi; e per la prima volta dopo tanto tempo questi erano svincolati dai muri di una stanza, liberi di librarsi verso qualcuno che non fosse lei stessa. Lo sentiva.
«Chi si potrebbe lamentare di una giornata simile? Ho lasciato la mia casa con la quasi totale certezza di non farvi ritorno; ho visto la città venire attaccata, poi sono stata attaccata io stessa; ho combattuto, ma sono stata anche difesa da più eroi; ho visto un terribile incubo morire dopo un’aspra battaglia, ho accompagnato una ragazza coraggiosa in ospedale e ho dovuto calmare la sua famiglia urlante; ora sto camminando nel tramonto, e non in solitudine.»
«Beh, a parte qualche dettaglio, è così che funziona la vita. Comunicare, sentire, provare, comprendere… cosa saremmo senza tutto questo?»

La donna non rispose immediatamente; prima lasciò che il piccolo viale alberato che conduceva al Natural Park l
’abbracciasse, che il vento frusciasse intorno il suo canto.
La città K non può vivere senza la forza della Terra: i suoi cittadini sono legati al suolo come tanti fiori, cadono e ritornano come le foglie.
È forte, la nostra gente; segue il ritmo dell
’Esistenza come le foreste, e sanno sempre trovare una via. In tutto ciò che ci circonda c’è una risposta, e un inizio.
«Amaya?»
Lei non rispose immediatamente. «Sono confusa…
» Si fermò, per poi ricominciare a parlare più sommessamente, a sé stessa. «Oggi ho visto la vita esplodere intorno a me…» E cosa più importante mi sono sentita una sua parte, ho agito e ho impresso la mia orma in lei, non mi sono lasciata travolgere ma ho saputo risponderle. Perché non ho semplicemente lasciato che tutto mi scivolasse addosso, come sempre? E domani… domani proverò ciò che ho provato oggi?
I passi dell’eroe che la precedeva si fermarono, e questi si girò a fissarla.
La donna si morse un labbro, esitante. «Ecco…», mormorò, prima di scrollare il capo e sospirare. Quando Umiko aveva raccontato la sua storia, aveva ripreso coraggio e forza; se avrebbe fatto lo stesso, forse si sarebbe sentita più libera.

Un peso condiviso fa meno male; e anche se quello che la stava osservando in attesa di una sua parola era uno sconosciuto, lui aveva vissuto insieme a lei quella giornata assurda e aveva sentito le parole che quel mostro le aveva rivolto, e… forse voleva perfino ascoltarla. Inoltre, se ne rendeva conto, non sarebbe riuscita a tacere ancora per molto, quindi non le rimaneva che seguire i suoi bisogni. «… Credo che non possa essere espresso velocemente.» Con un cenno del capo indicò una panchina a poca distanza da entrambi. Quella zona era stata risparmiata dalla devastazione, e immersa in una serenità tutta sua era l’ambiente perfetto per aprirsi.
«Vedi», iniziò appena l’altro le si fu seduto vicino, «non riesco a levarmi dalla testa le parole di quel mutaforma, continuo a ripensarci e tormentarmi.

Mi ha definito indegna di continuare a vivere in mezzo a voi, falsa, quasi pericolosa; e vorrei non ritrovarmi in queste accuse, e invece… invece le condivido.»
«Ma perché dovresti?»
«Perché è vero: n
on sono mai stata sincera, né con me stessa né con gli altri, mai autentica; sotto questo aspetto severo e poco amichevole ho sempre nascosto un animo fragile, ma tale lato l’ho riservato solo ai miei genitori, mentre agli altri ho rivolto solo delle maschere. Sono più debole e insicura di quanto si possa sospettare, capace di piangere per ore a causa delle sofferenze degli amici, ma questo non mi è mai piaciuto: a causa di dispiaceri e delusioni passate ho perso troppo presto la capacità di fidarmi degli altri e ho iniziato a credere che mostrandomi realmente, negli aspetti positivi come nelle debolezze, tutti avrebbero potuto approfittarne e farmi ripetere situazioni terribili; così per anni ho fatto della freddezza la mia armatura, soffocando in silenzio ogni empatia che provavo per chi mi circondava… fino a quando una lunga malattia non si è portata via le uniche due persone che mi hanno conosciuto per come sia davvero.
In quegli istanti mi sono scoperta incapace di rassegnarmi, di chiedere aiuto; allo stesso modo la gente non era disposta ad ascoltarmi né confortarmi, e quando mi accusava di essermi meritata tutto quello che mi era capitato reagivo solo più violentemente, aggravando le mie ferite e facendo il vuoto intorno a me.
La solitudine, molti la conoscono e provano; ma a volte si tratta di attimi di stasi che poi si sfaldano, di conoscenze sbagliate che feriscono ma non annichiliscono, di qualcosa che non lascia segni profondi; ma quando il tuo mondo si riduce a te, e non riesci a riprenderti nulla di ciò che avevi? Allora che cosa puoi fare?
L’inganno tessuto per tanto tempo mi si è ritorto contro, e io non ho saputo pagare il prezzo imposto; quel “lasciami sola” che ho pronunciato fino alla sfinimento è diventata l’unica realtà che potessi calzare.»

Le luci dei lampioni e delle timide stelle si accesero e intrappolarono il loro riflesso nei suoi occhi, mentre le parole si susseguivano senza alcuno sforzo in una confessione che più scioglieva il grumo di un’assenza sofferta meno dilaniava.
Amaya sussultò di sorpresa quando a un certo punto il suo ascoltatore le prese le mani tra le sue e le strinse per spingerla a parlare ancora; ma non si ritrasse, come se avesse davvero ripreso forza non si arrestò.
«Non sarò mai coraggiosa come Umiko; nonostante quello che ha vissuto ha imparato a sorridere di nuovo, e credo che dopo oggi sarà ancora più serena.»
«No, non credo che lei sia più coraggiosa di te. Voi due siete uguali.»

Amaya guardò Stinger con aria interrogativa, prima che questi le rispondesse: «Ti ha salvato prima di cadere, come qualcuno ha fatto con lei. Ti ha impedito di scivolare dal ponte, ti ha permesso di vivere; ti ha spinto a fronteggiare anche le tue paure, e grazie a lei ora ne stai parlando. Ti ha dato un’altra possibilità con un solo gesto.»
La donna rimase in silenzio. «Mi stai parlando come se avessi una speranza.»
«Se dentro di te non ci fosse stata ti saresti lasciata attaccare dal mutaforma senza provare a difenderti; non avresti resistito per tutte queste ore, non è vero?»
«Già», mormorò lei infine.
Più tento di vedere nella donna di oggi una sconosciuta, più trovo me stessa. Lentamente. Costantemente.
È come se mi trovassi davanti a uno specchio e stentassi a riconoscermi, ma mano a mano prendessi conoscenza dei miei tratti e scoprissi di averli dimenticati.
Di essere incompleta.
«Stingerho comunque paura di domani. Di scoprire che in realtà non è cambiato nulla e non potrà mai farlo, di aver dimenticato tutto.»
Ho paura di infrangere quel vetro e non vederne più la luce.
Ho paura di non stupirmi più di me stessa.

«Beh, è vero che se tu ti dimenticassi di me sarebbe triste, soprattutto dopo essere sbucata dal nulla per abbracciarmi.»

Amaya arrossì, quindi ridacchiò e infine rise davvero; brevemente, ma senza fatica. «In effetti mi sarà difficile scordare quel passaggio.»
«E allora non dimenticherai nulla. E tutte le domande che porti dentro, quelle che ti rendono confusa e instabile, loro troveranno una risposta solo se le cercherai; e magari scoprirai che è sempre stata davanti ai tuoi occhi, intorno a te.»

Lei alzò lo sguardo alla volta ormai rigonfia di bagliori, come doveva essere il suo sguardo. Le lacrime pizzicavano, ma le avrebbero fatto bene quando si sarebbero liberate. «Dopo questa giornata ho tante persone a cui devo la vita», mormorò.
«Almeno in questo senso non posso più definirmi inutile e sola.»
«Non dovresti nemmeno pensarlo, perché nessuno lo è; siamo tutti connessi, anche a chi non è con noi. Hai visto le scarpe di Umiko?»
«No… perché me lo chiedi?»
«Per caso ho notato che erano bruciate, in parte, e di certo non femminili.»

«Che siano quelle del suo ragazzo?»
«Lo penso anch’io, e se lo sono davvero lo trovo bellissimo: perché
ha deciso di percorrere la strada, qualunque essa sia, qualunque lei voglia, per sé stessa e per lui.»
«In questo modo non lo sentirà mai lontano», finì per lui la donna, che sorrise di nuovo e si abbracciò.
Vorrei ancora sperare che anche per me verrà il giorno in cui qualcuno mi dirà che sono perdonata, che sono amata; e prima che lo faccia un altro, vorrei farlo io. Quello sarebbe un giorno che meriterebbe di essere visto; quello sarebbe un giorno in cui potrei credere.
Il rombo di un tuono la riscosse dalla sua posizione, ma non la spaventò più di tanto, né si turbò quando il profumo della pioggia iniziò a giocare con l’aria.
«Uh-uh, qui si sta per scatenare un bel temporale», saltò in piedi Stinger, «e sta arrivando davvero velocemente.»
«Io amo il buio quanto la pioggia», rispose lei, lo sguardo rapito dalla volta, «è scritto perfino nel mio nome. Non c’è nulla che possa quietarmi o farmi sentire bene come un acquazzone serale», e detto questo lasciò la panchina e la seppur minima protezione degli alberi. Discreto, il cielo iniziò a piangere appena lei gli aprì le braccia, e le gocce presero a scivolare tra i suoi capelli come perle.
«Così ti prenderai un malanno», le disse il classe A, avvicinandosi a lei e stringendola tra le braccia, «e guarda qui, sei già gelida.»
Amaya ricambiò la stretta. «Hai fatto bene a darmi un abbraccio, te ne dovevo un altro per avermi ascoltata. Sei il primo a non essere scappato.»
«Mi piace ascoltare la gente parlare», disse scompigliandole i capelli, «non è mai un problema. E poi non mi sembra che tu abbia zanne o spine da cui fuggire!»
«No, è vero», fu la risposta, intrisa di pianto di liberazione, «ma non sai quanto bene tu mi stia facendo. Grazie», mormorò, affondando il volto nel petto dell’eroe e respirando il suo calore, aumentando la stretta come per timore di avvolgere il vuoto.

«Aspetta… perché stai piangendo? Ti sto facendo male?»
«No, assolutamente no; io piango… piango…»

Piango perché mi sono sbagliata, ed è questo il giorno in cui iniziare a credere;
piango perché il mio esilio sta finendo, e non importa quanto sarà lungo il viaggio; casa non è mai stata così vicina.







ANGOLO DI MANTO


E dopo giorni e giorni di scrittura, anche quest’avventura è giunta al suo termine.
Ancora una volta, grazie a Emanuela.Emy79 per avermi dato l’opportunità di scrivere nuovamente su Opm, il fandom che da qualche mese a questa parte è praticamente mia casa e rifugio ♥
Grazie anche a tutti coloro che hanno letto e a chi vorrà lasciare un segno del proprio passaggio **

   
 
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