{ III ~ Libera la Luce }
Cosa
senti dentro di te, proprio ora?
Da
quel giorno,
per un tempo talmente lungo e duro da ferire persino nel ricordo,
ogni respiro era stato un bacio dal gusto di fumo e pianto. Allora,
quando la notte scivolava sulla città la sua disperata
veglia
iniziava, finendo in un singhiozzo solo quando l’orizzonte
si tingeva di una sottile linea luminosa e gli occhi
spalancati, così immobili da non sembrare più
vivi, fissavano il
disco diurno sorgere, quasi temendo di vederlo sfaldarsi in un’onda
purpurea e ruggente che avrebbe annientato la città.
Temevi,
o volevi?
Già…
temevi,
o volevi? Per
quanto tempo l’una o l’altra realtà, la
possibilità e
l’irrepetibilità, l’incerto e il perduto
si erano battuti e
gridati contro le rispettive ragioni, in una tempesta celata allo
sguardo di tutti? È difficile aprirsi quando si scopre che
chi
riceve parte della nostra anima può andarsene da un momento
all’altro con essa, di propria volontà o strappato
da forze
superiori; è una perdita di tempo, un dolore, una rovina,
che
cancella i sogni e riduce a smarrire anche la propria
identità.
Ma
allora, dopo tutto questo…
per cosa continuiamo a combattere?
Perché
non vogliamo arrenderci?
Umiko
socchiuse leggermente gli occhi, sentendo la pressione della nube
polverosa allentarsi. Non c’era
più silenzio intorno a lei, il mondo vibrava del cuore della
terra e
del grido degli uomini; e anche il suo sospiro faceva rumore, era
vivo.
«Va
tutto bene, ora.»
Quel
sussurro l’attrasse,
le fece voltare il capo; a pochissima distanza da lei Stinger stava
tenendo tra le braccia la donna del ponte, ancora riconoscibile
nonostante gli abiti strappati, i capelli divenuti quasi grigi per la
sporcizia depositatasi sopra e la costellazione di macchie nere che
le punteggiava gambe e braccia.
L’impulso
della preoccupazione spinse la giovane a correre verso di loro, e
quando la sentì arrivare l’eroe alzò lo
sguardo dal volto della
bionda al suo. «Che cosa credevi di fare, prima?»,
le chiese, senza
nascondere nessuna traccia di rimprovero.
La
ragazza non rispose subito. Era stata sconsiderata, si era comportata
come se fosse stata incantata; ma sapeva bene che cosa era successo
in lei, e non poteva biasimarsi per quell’azione.
«Perdonami»,
rispose poi, inginocchiandosi accanto a lui, «non avrei
dovuto, lo
so…» Tacque di nuovo, incapace di proseguire, e
per fortuna Amaya
la trasse d’impiccio perché proprio in quegli
istanti aprì gli
occhi e la fissò.
«Tu…»,
mormorò dopo alcuni attimi, «… tu ti
sei salvata.»
«Piano,
piano», la tenne giù il classe A quando la vide
agitarsi, «stai
calma.»
«No,
affatto!», rispose l’altra quasi urlando,
spaventando sia il
ragazzo che Umiko, «non posso stare calma, perché
non siamo per
nulla al sicuro! Lui è ancora qui.»
Tutti
rivolsero lo sguardo davanti a sé; e pochi metri
più avanti,
speculare a lei, la giovane vide la sua copia fissare ognuno di loro,
uno dopo l’altro, prima di ancorare definitivamente gli occhi
nei
suoi. «Evidentemente hai la pelle più dura di
quanto avessi
creduto», le si rivolse con tono colmo di sarcasmo,
«ma questo non
è poi un male: il sangue che ti ho sottratto sta per
esaurirsi, e il
tuo è così delizioso che ho proprio voglia di
venirti a dare un
altro bacio.»
Una
mano si chiuse intorno al suo polso e un sibilo morse l’aria,
quasi
a voler colpire il volto del mostro. «Che divertimento
c’è a
prendersela con i civili? Battiti con chi sa risponderti a
tono»,
sentì replicare Stinger al suo fianco, lo sguardo pieno di
determinazione e la presa ben salda sulla lancia.
Il
mutaforma socchiuse gli occhi, ghignando a quelle parole.
«Tranquillo, poi penso anche a te. Prima fammi
pranzare», sibilò.
Umiko
non lo vide balzare verso di lei, tanto fu rapido; ma gli artigli non
la raggiunsero perché sia Amaya che Stinger furono
più veloci, e
mentre la prima scattò in piedi e spinse la ragazza lontano
dal
nemico, il secondo gli si parò davanti e gli
affondò Gemma di Bambù
nel ventre, costringendolo a ritrarsi.
«Che
fortuna, ti ho presa per un pelo», sospirò la
donna, allentando
solo di un poco la stretta sull’altra. Era successo tutto
così
velocemente che era lecito domandarsi se fosse accaduto realmente, si
disse questa mentre fissava l’avversario piegarsi su
sé stesso.
«Non male, ragazzino», mugolò poi questi
al classe A, «non male.»
I
presenti lo guardarono cadere definitivamente al suolo e rimanere
lì
disteso, immobile, e non parlarono più per un lungo istante,
troppo
increduli e confusi.
«Sul
serio? Una taglia formidabile sulla sua testa ed è morto
dopo un
solo colpo?», esclamò quindi Stinger,
avvicinandosi alla creatura.
«Troppo
bello, già», rispose Umiko, socchiudendo gli
occhi. L’inquietudine
non voleva ancora lasciarla, ma probabilmente avrebbe impiegato ore
per svanire, dopo tutto quello che era accaduto; eppure sentiva ogni
senso in allarme, uno stimolo a prepararsi che vinceva la
necessità
di lasciarsi andare e le pungolava la carne. «Andiamocene»,
implorò infine rivolta all’eroe,
«ti prego, portaci via da qui.»
Amaya
assentì a quelle parole. «Ormai è
finita.»
«Finita?
Nulla è mai completamente finito.»
Furono
colti impreparati: nessuno riuscì a reagire per anche
solamente
tentare una difesa e tutti loro furono scagliati in aria dall’asfalto
del
suolo, che si sollevò e li travolse come un’onda.
Rinvigorito
della loro sorpresa, il mostro si rialzò ed erse in mezzo
alla
confusione come unico re, senza che più nulla di umano gli
fosse
rimasto: perdute le ultime gocce del sangue di Umiko a causa della
ferita, aveva ripreso il suo aspetto reale rivelandosi un cavaliere
delle tenebre o Tenebra stessa, i cui tentacoli che irraggiavano dal
suo corpo – se così si poteva chiamare la sorte di
vortice che lo
costituiva – come fasci d’inchiostro tenevano
premute le teste
delle prede contro il suolo, preoccupandosi di dare la maggior pena
possibile.
«Nulla
è mai completamente finito. Io sono un Incubo, il vuoto
crudele che
vi attende quando più vi sentite al sicuro, il fuoco che
divora le
vostre certezze; io non posso morire mai», lo sentirono
sibilare,
prima di trovarsi completamente avvolti da lacci troppo simili a
serpenti, «e per quanto senza una forma umana non possa
rimanere a
lungo esposto, in questi pochi istanti posso farvi ancora molto,
molto male.»
A
quelle parole la ragazza si volse spontaneamente verso Amaya,
incrociò il suo sguardo colmo di terrore e vi vide riflesso
il
proprio; e si agitò, sentendo ancora la sensazione di essere
scandagliata, quasi sventrata,
del mutaforma.
Lascia
stare i miei pensieri! Sono tutto ciò che mi appartiene!
Fece
appena in tempo a pensarlo che la stretta del mostro divenne
d’acciaio.
«Partiamo
da te… anzi, no: accontentiamo prima questa coraggiosa
guerriera»,
mormorò voltandosi verso Amaya, senza tuttavia allentare la
presa su
di lei.
«Lasciala
stare», ringhiò allora la giovane, agitandosi,
«mi hai martoriato,
ma non ucciso; finisci il lavoro con me.» Sconsiderata
che non sei altro.
L’Essere
accennò una smorfia che doveva essere un macabro sorriso. «E
rimandare ancora l’esecuzione di una persona che vuole solo
morire?
Che cattiveria negarle questo desiderio, davvero ingiusto.» E
nel
frattempo i tentacoli si ricoprirono di aculei, che penetrarono sotto
la pelle di Amaya e iniziarono a privarla lentamente del suo sangue.
«Ne
ho incontrati di mostri ripugnanti», sputò
Stinger, livido in volto
per il furore e l’impotenza, «ma nessuno vile come
te. Devi essere
la vergogna dei tuoi simili.»
«Questa
donna», sibilò allora il mutaforma, puntando un
dito contro la
bionda, «lei è la vera vergogna tra noi due.
Dovreste provare
ribrezzo per il suo cuore quanto lo provate per me, perché
è fredda
e ingannatrice. O mi sbaglio, Amaya?»
L’interpellata
non rispose, il volto stravolto dalla sofferenza che stava patendo,
ma gli occhi, lucidi, si chinarono verso il suolo.
«Vedete?
Non riesce neppure a rispondere. Bambina, stamattina dovevi lasciarla
decidere della propria sorte; ti saresti evitata tanti
problemi.»
Umiko
si sentì ferita quanto la donna per
quell’affermazione terribile.
«Rimangia
ciò che hai detto, nessuno ha il diritto di dire cose
simili!»
«Oh,
quindi vuoi dirmi che tu la conosci? Che
la perdoneresti?»
«Non
so cos’ha fatto, ma probabilmente sì»,
rispose con sincerità la
ragazza. Si interruppe, perché le gambe vennero trapassate
da
innumerevoli spine e la sensazione di essere risucchiata – di
nuovo
– le diede la nausea.
«Giààà,
che sciocco, come ho fatto a scordarmene?» Una risata
agghiacciante.
«Emozionante, quasi commovente, come vi siate trovate: due
anime
morte da tempo, nutrite dal proprio senso di colpa… stupendo.»
Fu
il turno della mora di arrossire. «Non
puoi trattarmi così», mormorò; e in uno
scatto di rabbia afferrò
la testa del tentacolo che andava stringendosi sulla sua bocca e
morse, senza fermarsi nemmeno quando il suo stesso sangue le scese in
gola. Improvvisamente
la vista si confuse; e dopo qualche attimo sbatté la testa
al suolo,
il respiro accelerato ma il corpo libero di muoversi.
Il
sollievo fu momentaneo, troppo rapido, perché il mostro la
prese
nuovamente per la vita e sollevandola la schiaffeggiò. «Non
lo farai una seconda volta», le intimò, ma pur
ricoperta di sangue
la ragazza riuscì a canzonarlo con un sorriso.
L’avversario
aumentò la presa, ma non fu dolorosa come le prime volte.
Vuole
tenermi in vita il più possibile – oppure sta
diventando debole,
nonostante il nostro sangue. Se lo tengo impegnato ancora per un
po’
forse riusciremo a cavarcela… e se non io, almeno gli altri.
L’altro
sembrò aumentare la densità delle proprie ombre,
come per farle
paura. «No,
non sperare nemmeno di potercela fare; vi ho tutti in scacco, e non
solo fisicamente.» I
tentacoli le accarezzarono il dorso delle mani e lei fece per
ritrarle, sentendosi scottare; e quando
nell’oscurità vide il
bagliore di un ghigno divertito comprese che era proprio quello che
lui le aveva fatto provare.
«So
il suo
nome», le sussurrò il mutaforma, «so che
cosa accadde a te… e
Tomomi.»
Tomomi.
La bellezza di un amico, la grazia di una presenza costante.
«Lo
so. L’hai visto», replicò piano Umiko,
senza esitare né tremare,
«siccome è sempre nella mia mente.»
«Sono
già passati quattro anni da quel giorno… con il
tempo hai imparato
a parlarne – anche se a fatica –, a ricominciare a
guardarti
quelle cicatrici senza rabbrividire. Eppure c’è
ancora qualcosa
che non è stato risolto, dentro te. Il rimorso ferisce
più di
qualsiasi lama: e se per un po’ si assopisce, quando ritorna
colpisce o punge, frusta o brucia, e lascia sempre un segno. Quante
volte ti ha già uccisa?»
La
mora deglutì. Dentro di sé sentiva
un’inspiegabile calma, uno
scudo che le proteggeva il cuore, e di questo era ben conscio anche
l’Essere, che assottigliò gli occhi e
digrignò i denti.
«Rispondi»,
ringhiò infine.
«Ogni
volta è meno dolorosa, invece. Da quando ho scoperto che non
sono
sola, anche i miei demoni stanno trovando pace.»
«Dimmi
la verità!»
«È
questa la verità», rispose lei, «anche
se tu non lo sai,
io sì.»
Il
primo colpo in viso fu doloroso. Il secondo insopportabile, il terzo la
fece urlare e scoppiare in pianto subito dopo, i successivi le fecero
implorare pietà.
«Non
è vero, non è vero nulla! Tu sei ossessionata da
quel ragazzo, ti
incolpi ogni giorno, stai perdendo tutto!»
I
tentacoli smisero di torturarla, ma lei rimase per un lungo istante
in silenzio. «No.
Non è vero.»
«So
che in realtà sei stata a uccidere Tomomi, quel
giorno!»
La
ragazza volse il capo verso Stinger e Amaya, che la fissavano con i
volti contratti dalla confusione e dall’attesa. Forse il
mostro le
aveva sputato addosso quelle parole per spingerla in qualche
trappola; ma le sarebbe stato impossibile tacere, quando era
qualcosa di più forte del timore a muoverla. «No,
è un’altra,
ben diversa, la nostra storia. Tomomi.… lui era troppo, per
me;
l’ho pensato fin dal primo momento che lo vidi, e a volte lo
penso
ancora oggi. Era così speciale: dove io ero confusa, lui era
razionale… dove io inciampavo e sbagliavo, lui aveva la
pazienza di
sorreggermi e guidarmi. Era gentile, comprendeva i silenzi e li
rispettava; per una che ha sempre la testa lontana da sé e
non sa
tacere, queste e altre sue qualità erano quasi
incomprensibili.
Quasi, dico; perché mai percepii una solitudine
così forte come
quella che sentii in lui… e la sentii proprio io, che fino a
quell’istante avevo creduto di non saperla riconoscere.
Eravamo
poco più che ragazzini, e mai avrei pensato che potesse far
scoprire
in me quella forza che mi spinse a demolire le barriere che si era
costruito per soffrire di meno, ma che non facevano altro che
abbatterlo di più.»
Una
pausa. «Spesso
gli dicevo che era nato per diventare un eroe: dietro il suo
atteggiamento difensivo nascondeva una nobiltà sensibile,
che quando
riusciva a trapelare aveva il potere di ritemprare l’anima e
dare
coraggio a chi gli era vicino; e se lo avesse compreso anche lui,
forse sarebbe riuscito a trovare una strada meno dolorosa e
più
rapida per ritornare a sorridere. Ci sarebbe riuscito, se gli fosse
stato concesso ancora più tempo di quanto effettivamente
ebbe.
Il
tempo, già, che credevo di avere al mio fianco ogni volta
che mi
dicevo di non essere pronta a dirgli ciò che provavo; il
tempo,
lento e costante, che mi spinse a credere che saremmo stati per
sempre felici, quando infine rivelai quanto lo amavo.
Forse
è per questo che il giorno che privò entrambi
delle nostre certezze
giunse troppo velocemente: il vero, grande errore che ci
segnò fu
non aver riconosciuto la sua forza, e quanto deboli eravamo sempre
stati di fronte a lui.
Che
cosa sarebbe accaduto se quel mattino fossimo usciti un’ora
prima o
un attimo dopo? Se l’autobus
non avesse tardato e io non avessi deciso di fare l’intero
percorso
a piedi? Se non avessi insistito così tanto da convincerlo?
Non
c’è
nulla di certo, se non quello che poi accadde.»
La voce, fino a quel momento controllata, venne spezzata dalle tracce
di un pianto così profondo da non essere visibile, ma
presente per
notti e giorni. «Fui io la prima a vedere quella figura.
Da
quello distanza non notai nulla, in lei, di allarmante o di
così
strano da farmi insospettire; ma più incrociavamo i nostri
passi più
la paura si prendeva la mia mente…
fino a quando non ne fui completamente paralizzata.
La
mia razionalità passò interamente a Tomomi: fu
lui a spingermi di
lato quando quello che avevo considerato una normale persona si
rivelò un Essere Misterioso e ci attaccò all’improvviso,
incendiando l’intera
strada con un solo respiro.
Fu
lesto, è vero, ma non potevamo scappare molto lontano;
presto fummo
chiusi in una trappola di fiamme dal quale non saremmo mai potuti
uscire vivi.
In
quegli istanti tesi le mani verso di lui per stringerlo a me, in un
ultimo abbraccio; e mentre l’onda di fuoco avvicinava i suoi
artigli a noi e tingeva il mondo di scarlatto, ciò che mi
fece più
male fu vedere riflesso negli occhi di Tomomi, così ancorati
ai miei
da sembrare sul punto di fondersi in una sola lacrima, la convinzione
di potermi proteggere.» E
ce l’ho fatta, Umiko: ti ho salvato. «Le
sue… le sue parole… mi disse di continuare a
essere sbadata e dal
cuore aperto, quasi totalmente incapace a controllare le mie
emozioni, perché solo così avrei potuto aiutare
un altro a uscire
dalle tenebre, così come avevo fatto con lui; che avrebbe
continuato
a vivere per sempre in me e respirato in ogni mio sospiro, che aveva
trovato il suo rifugio al mio fianco e in un modo o
nell’altro lì
sarebbe sempre rimasto.
Io
persi conoscenza appena il fuoco ci investì, quindi non
riuscii a
vedere come lui mi fece da scudo, impedendomi di venire bruciata.
Solo in ospedale, ore dopo, venni a sapere che fui trovata sotto il
suo corpo, con le mani ustionate e che ancora lo stringevano a me; e
che a triste testimone della vicenda erano rimaste solo queste
cicatrici, e… e le sue scarpe. Tutto il resto era ormai
silenzio,
spezzato. Lontano.
Questa
è la verità.»
Il
mutaforma non attese la fine di quel doloroso racconto per rivolgere
a Umiko un sorriso crudele. «Sei
stata tu a dire», esordì, «che hai
insistito tanto con Tomomi per
percorrere quella strada a piedi; quindi, hai condotto tu stessa il
tuo ragazzo verso la propria morte. E poi ti sei impietrita, non hai
nemmeno tentato di difenderlo… come puoi negare che sia
colpa tua?»
La
giovane socchiuse gli occhi.
È
il tuo terrore che vuole; ma tu ti sei rialzata, lentamente hai
ripreso a camminare. Non cadrai di nuovo. «Ho ormai vinto
queste
false colpe», sussurrò, «e sai una cosa?
Ho raccontato tutto
questo davanti a te perché mi sono perdonata. Il mio corpo
non reagì
quel giorno, la paura fu troppa; ma ho sofferto così tanto
per
questo, che non verrò piegata ancora. Tomomi è
sempre nella mia
mente, lo sento respirare davvero nel mio petto, la sua forza
è in
me. Ed è per questo… che no, non mi
piegherò ancora. Non avrò
paura di nuovo.»
Ora
rialzati completamente.
Le
unghie si conficcarono nei tentacoli; questi allentarono la morsa,
per poi liberarla completamente. L’Essere
sibilò, arretrando di un poco. «Ho
ancora abbastanza forza per ucciderti», mormorò,
prima di farli
scattare nuovamente verso la giovane.
Lei
li afferrò, li strinse con tutta l’energia che
sentiva prorompere
da ogni fibra di sé anche se il dolore che provò
la fece
barcollare. «Puoi sentire i miei pensieri!»,
rispose quindi, «ma
non puoi sentire il mio cuore; puoi percepire la
razionalità, ma non
le spinte delle pulsioni più umane, ciò che ci
permette di
ricominciare ad avanzare anche quando le nostre gambe sono state
spezzate, o crediamo che lo siano.
I
nostri errori, a volte nemmeno poi possiamo condannarli; ci rendono
quello che siamo, ci insegnano quanto le buone azioni, ci fanno
crescere.»
«Voi
siete fragili!»
«Già,
lo siamo; ogni cosa che ci circonda lo è, eppure siamo
ancora qui, a
resistere, perché altri non siano infranti come noi.
Fragili, e allo
stesso tempo così forti da poter imparare a proteggere, a
salvare;
non lo riesci a capire, vero?»
Altri
tentacoli si allungarono verso il suo volto; questa volta non li
avrebbe potuti evitare, lo comprese immediatamente, e allora chiuse
gli occhi, senza ritrarsi.
Sento
la tua forza in me; non cederò più, nemmeno negli
ultimi istanti.
Il
sibilo che accompagnava il colpo si avvicinò rapidamente,
schioccò
nelle sue orecchie facendola sobbalzare; tuttavia non provò
alcun
dolore. È…
è finita? Così
rapidamente?
«Sei
proprio una brava ragazza.»
Umiko
spalancò gli occhi, riscossa da quella voce. Tra lei e il
suo
avversario c’erano
un paio d’occhi rossi che la fissavano con benevolenza, e che
se
qualche ora prima l’avevano turbata, in
quell’istante le davano
calore.
Sorrise
a quelle parole, leggermente imbarazzata, e l’altro
le accarezzò i capelli. «Un
eroe non è più coraggioso di una persona comune,
ma è coraggioso
cinque minuti più a lungo,
si dice spesso. A giudicare dal tuo stato hai resistito per ben di
più
di cinque minuti, ma credo che sia giunto il momento di far giocare
me.»
La
ragazza annuì, fissando il classe S Zombieman avanzare e
fronteggiare il mostro, i tentacoli recisi stretti in una mano. «Non
ti dispiace troppo se combatto io al posto suo, vero? È
tutto il
giorno che ti sto cercando.»
L’altro
ghignò in risposta. «Se mi farai divertire non mi
dispiacerà di
certo.»
«Oh,
bene… allora si prospetta una giornata
interessante.»
La
mora indietreggiò, fino a quando un paio di mani non
l’abbracciarono.
«Va tutto bene?», sentì la voce dolce
della donna sussurarle, e
lei socchiuse gli occhi. «È
come se avessi detto addio a un altro incubo… un altro
demone ha
trovato la sua definitiva pace.» Un sospiro.
«Quindi sì, sto
bene.» Si
pose una mano sul cuore; e sotto la pressione gentile delle dita
sentì davvero un’altra crepa richiudersi, smettere di sanguinare per sempre.
◊♦◊
«Non
c’è tramonto più meraviglioso di quello
che si vede dalla città
K.»
Un
sorriso. «È vero; ed è una delle cose
che più mi è mancata.»
Amaya
respirò a pieni polmoni l’aria
della prima sera, si strinse nelle proprie braccia. Mano a mano che
il crepuscolo avanzava i contorni dei palazzi che la circondavano e
il profilo delle foreste in lontananza si smussavano, e perfino le
nubi si facevano più morbide, assumevano nuove forme e
annunciavano
l’avvento della quiete.
Era
il momento dei pensieri, dei ricordi; e per la prima volta dopo tanto
tempo questi erano svincolati dai muri di una stanza, liberi di
librarsi verso qualcuno che non fosse lei stessa. Lo sentiva. «Chi
si potrebbe lamentare di una giornata simile? Ho lasciato la mia casa
con la quasi totale certezza di non farvi ritorno; ho visto la
città
venire attaccata, poi sono stata attaccata io stessa; ho combattuto,
ma sono stata anche difesa da più eroi; ho visto un
terribile incubo
morire dopo un’aspra battaglia, ho accompagnato una ragazza
coraggiosa in ospedale e ho dovuto calmare la sua famiglia urlante;
ora sto camminando nel tramonto, e non in solitudine.»
«Beh,
a parte qualche dettaglio, è così che funziona la
vita. Comunicare,
sentire, provare, comprendere… cosa saremmo senza tutto
questo?»
La
donna non rispose immediatamente; prima lasciò che il
piccolo viale
alberato che conduceva al Natural Park l’abbracciasse,
che il vento frusciasse intorno il suo canto.
La
città K non può vivere senza la forza della
Terra: i suoi cittadini
sono legati al suolo come tanti fiori, cadono e ritornano come le
foglie.
È
forte, la nostra gente; segue il ritmo dell’Esistenza
come le foreste, e sanno sempre trovare una via. In tutto
ciò che ci
circonda c’è una risposta, e un inizio.
«Amaya?»
Lei
non rispose immediatamente. «Sono confusa…»
Si fermò, per poi ricominciare a parlare più
sommessamente, a sé
stessa. «Oggi
ho visto la vita esplodere intorno a me…» E
cosa più importante mi sono sentita una sua parte, ho agito
e ho
impresso la mia orma in lei, non mi sono lasciata travolgere ma ho
saputo risponderle. Perché non ho semplicemente lasciato che
tutto
mi scivolasse addosso, come sempre? E domani… domani
proverò ciò
che ho provato oggi?
I
passi dell’eroe che la precedeva si fermarono, e questi si
girò a
fissarla.
La
donna si morse un labbro, esitante.
«Ecco…», mormorò, prima di
scrollare il capo e sospirare. Quando Umiko aveva raccontato la sua
storia, aveva ripreso coraggio e forza; se avrebbe fatto lo stesso,
forse si sarebbe sentita più libera.
Un
peso condiviso fa meno male; e anche se quello che la stava
osservando in attesa di una sua parola era uno sconosciuto, lui aveva
vissuto insieme a lei quella giornata assurda e aveva sentito le
parole che quel mostro le aveva rivolto, e…
forse voleva perfino ascoltarla. Inoltre, se ne rendeva conto, non
sarebbe riuscita a tacere ancora per molto, quindi non le rimaneva
che seguire i suoi bisogni.
«…
Credo che non possa essere espresso velocemente.» Con un
cenno del
capo indicò una panchina a poca distanza da entrambi. Quella
zona
era stata risparmiata dalla devastazione, e immersa in una
serenità
tutta sua era l’ambiente perfetto per aprirsi.
«Vedi»,
iniziò appena l’altro le si fu seduto vicino,
«non riesco a
levarmi dalla testa le parole di quel mutaforma, continuo a
ripensarci e tormentarmi.
Mi
ha definito indegna di continuare a vivere in mezzo a voi, falsa,
quasi pericolosa; e vorrei non ritrovarmi in queste accuse, e invece…
invece le condivido.»
«Ma
perché dovresti?»
«Perché
è vero: non
sono mai stata sincera, né con me stessa né con
gli altri, mai
autentica; sotto questo aspetto severo e poco amichevole ho sempre
nascosto un animo fragile, ma tale lato l’ho riservato solo
ai miei
genitori, mentre agli altri ho rivolto solo delle maschere. Sono
più
debole e insicura di quanto si possa sospettare, capace di piangere
per ore a causa delle sofferenze degli amici, ma questo non mi
è mai
piaciuto: a causa di dispiaceri e delusioni passate ho perso troppo
presto la capacità di fidarmi degli altri e ho iniziato a
credere
che mostrandomi realmente, negli aspetti positivi come nelle
debolezze, tutti avrebbero potuto approfittarne e farmi ripetere
situazioni terribili; così per anni ho fatto della freddezza
la mia
armatura, soffocando in silenzio ogni empatia che provavo per chi mi
circondava… fino a quando una lunga malattia non si
è portata via
le uniche due persone che mi hanno conosciuto per come sia davvero.
In
quegli istanti mi sono scoperta incapace di rassegnarmi, di chiedere
aiuto; allo stesso modo la gente non era disposta ad ascoltarmi
né
confortarmi, e quando mi accusava di essermi meritata tutto quello
che mi era capitato reagivo solo più violentemente,
aggravando le
mie ferite e facendo il vuoto intorno a me.
La
solitudine, molti la conoscono e provano; ma a volte si tratta di
attimi di stasi che poi si sfaldano, di conoscenze sbagliate che
feriscono ma non annichiliscono, di qualcosa che non lascia segni
profondi; ma quando il tuo mondo si riduce a te, e non riesci a
riprenderti nulla di ciò che avevi? Allora che cosa puoi
fare?
L’inganno
tessuto per tanto tempo mi si è ritorto contro, e io non ho
saputo
pagare il prezzo imposto; quel “lasciami sola” che
ho pronunciato
fino alla sfinimento è diventata l’unica
realtà che potessi
calzare.»
Le
luci dei lampioni e delle timide stelle si accesero e intrappolarono
il loro riflesso nei suoi occhi, mentre le parole si susseguivano
senza alcuno sforzo in una confessione che più scioglieva il
grumo
di un’assenza sofferta meno dilaniava.
Amaya
sussultò di sorpresa quando a un certo punto il suo
ascoltatore le
prese le mani tra le sue e le strinse per spingerla a parlare ancora;
ma non si ritrasse, come se avesse davvero ripreso forza non si
arrestò. «Non
sarò mai coraggiosa come Umiko; nonostante quello che ha
vissuto ha
imparato a sorridere di nuovo, e credo che dopo oggi sarà
ancora più
serena.»
«No,
non credo che lei sia più coraggiosa di te. Voi due siete
uguali.»
Amaya
guardò Stinger con aria interrogativa, prima che questi le
rispondesse: «Ti
ha salvato prima di cadere, come qualcuno ha fatto con lei. Ti ha
impedito di scivolare dal ponte, ti ha permesso di vivere;
ti ha spinto a fronteggiare anche le tue paure, e grazie a lei ora ne
stai parlando. Ti ha dato un’altra possibilità con
un solo gesto.»
La
donna rimase in silenzio. «Mi stai parlando come se avessi
una
speranza.»
«Se
dentro di te non ci fosse stata ti saresti lasciata attaccare dal
mutaforma senza provare a difenderti; non avresti resistito per tutte
queste ore, non è vero?»
«Già»,
mormorò lei infine. Più
tento di vedere nella donna di oggi una sconosciuta, più
trovo me
stessa. Lentamente. Costantemente.
È
come se mi trovassi davanti a uno specchio e stentassi a
riconoscermi, ma mano a mano prendessi conoscenza dei miei tratti e
scoprissi di averli dimenticati.
Di
essere incompleta. «Stinger…
ho
comunque paura di domani. Di scoprire che in realtà non
è cambiato
nulla e non potrà mai farlo, di aver dimenticato
tutto.»
Ho
paura di infrangere quel vetro e non vederne più la luce.
Ho
paura di non stupirmi più di me stessa.
«Beh,
è vero che se tu ti dimenticassi di me sarebbe triste,
soprattutto
dopo essere sbucata dal nulla per abbracciarmi.»
Amaya
arrossì, quindi ridacchiò e infine rise davvero;
brevemente, ma
senza fatica. «In
effetti mi sarà difficile scordare quel passaggio.»
«E
allora non dimenticherai nulla. E tutte le domande che porti dentro,
quelle che ti rendono confusa e instabile, loro troveranno una
risposta solo se le cercherai; e magari scoprirai che è
sempre stata
davanti ai tuoi occhi, intorno a te.»
Lei
alzò lo sguardo alla volta ormai rigonfia di bagliori, come
doveva
essere il suo sguardo. Le lacrime pizzicavano, ma le avrebbero fatto
bene quando si sarebbero liberate. «Dopo
questa giornata ho tante persone a cui devo la vita»,
mormorò.
«Almeno
in questo senso non posso più definirmi inutile e
sola.»
«Non
dovresti nemmeno pensarlo, perché nessuno lo è;
siamo tutti
connessi, anche a chi non è con noi. Hai visto le scarpe di
Umiko?»
«No…
perché me lo chiedi?»
«Per
caso ho notato che erano bruciate, in parte, e di certo non
femminili.»
«Che
siano quelle del suo ragazzo?»
«Lo
penso anch’io, e se lo sono davvero lo trovo bellissimo:
perché ha
deciso di percorrere la strada, qualunque essa sia, qualunque lei
voglia, per sé stessa e per lui.»
«In
questo modo non lo sentirà mai lontano»,
finì per lui la donna,
che sorrise di nuovo e si abbracciò. Vorrei
ancora sperare che anche per me verrà il giorno in cui
qualcuno mi
dirà che sono perdonata, che sono amata; e prima che lo
faccia un
altro, vorrei farlo io. Quello
sarebbe un giorno che meriterebbe di essere visto; quello sarebbe un
giorno in cui potrei credere.
Il
rombo di un tuono la riscosse dalla sua posizione, ma non la
spaventò
più di tanto, né si turbò quando il
profumo della pioggia iniziò
a giocare con l’aria.
«Uh-uh,
qui si sta per scatenare un bel temporale», saltò
in piedi Stinger,
«e sta arrivando davvero velocemente.»
«Io
amo il buio quanto la pioggia», rispose lei, lo sguardo
rapito dalla
volta, «è scritto perfino nel mio nome. Non
c’è nulla che possa
quietarmi o farmi sentire bene come un acquazzone serale», e
detto
questo lasciò la panchina e la seppur minima protezione
degli
alberi. Discreto, il cielo iniziò a piangere appena lei gli
aprì le
braccia, e le gocce presero a scivolare tra i suoi capelli come
perle.
«Così
ti prenderai un malanno», le disse il classe A, avvicinandosi
a lei
e stringendola tra le braccia, «e guarda qui, sei
già gelida.»
Amaya
ricambiò la stretta. «Hai fatto bene a darmi un
abbraccio, te ne
dovevo un altro per avermi ascoltata. Sei il primo a non essere
scappato.»
«Mi
piace ascoltare la gente parlare», disse scompigliandole i
capelli,
«non è mai un problema. E poi non mi sembra che tu
abbia zanne o
spine da cui fuggire!»
«No,
è vero», fu la risposta, intrisa di pianto di
liberazione, «ma non
sai quanto bene tu mi stia facendo. Grazie»,
mormorò, affondando il
volto nel petto dell’eroe e respirando il suo calore,
aumentando la
stretta come per timore di avvolgere il vuoto.
«Aspetta…
perché stai piangendo? Ti sto facendo male?»
«No,
assolutamente no; io piango… piango…»
Piango
perché mi sono sbagliata, ed è questo il giorno
in cui iniziare a
credere;
piango
perché il mio esilio sta finendo, e non importa quanto
sarà lungo
il viaggio; casa non è mai stata così vicina.
ANGOLO DI MANTO
E dopo giorni e giorni di
scrittura, anche quest’avventura è giunta al suo
termine.
Ancora una volta, grazie a
Emanuela.Emy79
per avermi dato l’opportunità di scrivere
nuovamente su Opm, il
fandom che da qualche mese a questa parte è praticamente mia
casa e
rifugio ♥
Grazie
anche a tutti coloro che hanno letto e a chi vorrà lasciare
un segno
del proprio passaggio **