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Autore: Signorina Granger    30/10/2017    10 recensioni
INTERATTIVA || Conclusa
C’è un’area ristretta, protetta da una barriera inaccessibile, dove le persone vivono in armonia, nella ricchezza, ognuno ha il suo ruolo e vige la più totale giustizia.
L’opportunità di accedervi viene data a tutti, quando ogni quattro anni ha luogo un Processo di selezione, fatto di test e prove, al quale viene sottoposto chiunque abbia già compiuto vent’anni, dando a chi più se la merita la possibilità di vivere una vita migliore nell’Offshore.
L’occasione è una sola e se sprecata recuperarla è impossibile.
Benvenuti nel Processo.
[La storia prende ispirazione dalla serie “3%”]
Genere: Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
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Capitolo 6: Il corridoio 



Hailey si lasciò cadere sul letto con un sospiro di sollievo, massaggiandosi il braccio indolenzito mentre Alethea faceva altrettanto, sedendosi sul materasso.

Dopo la prova della stanza li avevano lasciati per ben due giorni con il fiato sospeso, senza comunicare assolutamente nulla: nessuna prova, nessuna valutazione, solo un’infinità di ore passate ad aspettare, a crogiolarsi in quella snervavate attesa.

E poi, quella mattina, durante la colazione i candidati rimasti avevano finalmente ricevuto notizie dagli esaminatori, che si erano rifatti vivi per comunicare ai ragazzi che avrebbero presto dovuto affrontare la quarta prova. 

Al sentire quelle parole Hailey, così come molti tra i suoi compagni, aveva tirato quasi un sospiro di sollievo, ben lieta che quell’infinita attesa fosse giunta a termine, ma quando erano stati informati su cosa avrebbero dovuto fare il sollievo era svanito piuttosto in fretta: non aveva mai amato particolarmente duellare, in effetti. 

E dopo tre ore pressoché infinite, dove una quindicina di candidati erano stati scartati, li avevano finalmente congedati, assicurando però loro di avere solo qualche ora libera prima della prova successiva.

“Immagino si divertano… prima ci lasciano a marcire nella noia più assoluta per due giorni e poi ci mettono ko. Non mi sento più la mano.”

Mairne entro nella stanza sbuffando, raggiungendo il letto a castello che condivideva con Alethea per arrampicarsi sulla scaletta, mentre Lilian faceva altrettanto con la stessa espressione tesa dipinta sul volto:

“Neanche io, ma almeno ce la siamo cavata… il che è una fortuna, non duellavo dai tempi della scuola.”
“Neanche io, e anche se non ero un vero e proprio portento la fortuna mi ha baciata di nuovo… spero solo che la prossima prova non sia strettamente fisica, perché sono sfinita.”

La bionda sospirò mentre si stendeva sul letto, decisa a riposarsi finché non le avrebbero chiamate per la prova seguente, mentre Lilian faceva altrettanto e Hailey, invece, fissava semplicemente lo sguardo su un punto indefinito del soffitto. Dopo qualche giorno, anche se le sembravano passate settimane intere, si era abituata all’asetticità di quel posto, non la infastidivano nemmeno più i vestiti grigi che era stata costretta ad indossare, come tutti gli altri. 


Forse era semplicemente entrata al 100% nella mentalità del Processo, tanto da non riuscire nemmeno ad immaginare una sua possibile reazione se fosse stata malauguratamente eliminata. 
La Corvonero sbuffò debolmente, incrociando le braccia al petto come a volersi “proteggere” da quella fastidiosa ipotesi: no, non se ne sarebbe andata. Era resistita fino a quel momento senza troppe difficoltà… se la sarebbe cavata fino alla fine.

Non aveva nessuna intenzione di tornare a casa, da quei genitori freddi che non avevano mai accettato la sua natura e che avevano fatto di tutto pur di reprimerla. 
Non aveva nessuna intenzione di tornare ad essere quella anormale, con qualcosa che non andava… forse cambiando completamente vita sarebbe riuscita a sentirsi finalmente più accettata, più a suo agio in mezzo a persone come lei.


*

“Che cosa stai facendo?”

Nymphea smise di scrivere sentendo la voce di Zavannah, che era in piedi accanto al letto a castello, il mento appoggiato sulle braccia che si reggevano sul letto dell’ex compagna di Casa.
La mora abbozzò un sorriso, seduta a gambe incrociate sul suo letto e con un foglio di pergamena in mano, prima di stringersi debolmente nelle spalle:

“Scrivo.”
“Non sapevo ti piacesse scrivere.”
“No, non è un hobby… immagino di poter scrivere qualcosa ai miei fratelli. Ovviamente non possiamo spedire nulla, lo so, ma é un modo per sentirli più vicini, credo. Gli scrivo quello che direi loro se fossero qui con me adesso.”

“Hai due fratellini, giusto?”

Nymphea annuì, abbassando lo sguardo sulla “lettera” che stava scrivendo mentre sentiva lo stomaco stringerlesi in una morsa fastidiosa, consapevole che Zavannah, essendo più grande di lei di un anno, non potesse sapere.

“Io ho un fratello maggiore… gli voglio bene, un po’ mi spiace pensare di non poterlo più vedere. Ma abbiamo le nostre vite ormai, lui lavora come Medimago e io… beh, si vedrà immagino.”

Zavannah si strinse nelle spalle mentre Nymphea si voltava nuovamente verso di lei, guardandola con curiosità:

“Se non dovessi farcela… che cosa vorresti fare, una volta tornata a casa?”
“Onestamente? Non ne sono sicura. Tu invece? Hai le idee chiare?”

“Sì, direi di sì… anche se non dovessi superare il Processo, so esattamente che cosa farò.”

La mora annuì, accarezzando la pergamena che teneva tra le mani, pensando alla sua grande passione, nonché talento, per le Pozioni. Passione che aveva ereditato dai suoi genitori… chissà che per lei non si tramutasse in una condanna. 


Nymphea ripiegò la lettera, pensando alle lacrime che la sorellina aveva versato qualche giorno prima, quando aveva dovuto salutare lei e il gemello di sette anni. Aveva assicurato loro che sarebbe tornata a casa presto per prendersi cura di loro, ma in cuor suo aveva sperato ardentemente che ciò non accadesse… con un po’ di fortuna avrebbe continuato a prendersi cura di loro, sì, ma dall’Offshore.


*


“Come mai quel muso lungo? Sei ancora tutto intero, mi risulta.”
“Sì, ma credo che tu ti sia divertito un po’ troppo, se devo essere onesto.”

Phoebus sorrise alle parole di Kieran, che invece gli rivolse un’occhiata torva mentre seduto sul suo letto, stiracchiava i muscoli delle braccia indolenzite.

“Scusa Kier, non avrai pensato che solo perché siamo amici ti avrei riservato un trattamento di favore, vero? La cosa importante è che siamo ancora qui.”
“Per miracolo, il tuo Schiantesimo mi ha quasi steso… la prossima volta lascerò che tu te la veda con Al.”

“Lasciatemi fuori, ho già avuto il mio bel da fare.”

Alastair, stesso sul letto in alto, si sporse leggermente per lanciare un’occhiata ai compagni, parlando con tono dubbioso:

“Hanno detto che la prossima prova si svolgerà oggi stesso… pensate che riguarderà la magia o no?”
“Beh, finora hanno sempre alternato, quindi in teoria non dovrebbe servirci la magia… ma vedremo tra qualche ora, immagino.”

Phoebus si strinse nelle spalle prima di allungarsi sul materasso, sistemando le mani dietro la nuca e fissando gli occhi scuri sulla rete del letto sopra al suo, visibilmente di buon umore. Per quanto lo riguardava, era sempre più felice e soddisfatto di essere ancora in gioco: ormai i candidati erano stati dimezzati, e l’Offshore diventava ogni ora sempre meno distante.


*


“Continuo a chiedermi che cosa dovremo fare… spero non una prova fisica, ho ancora i muscoli indolenziti.”

Milo piegò le labbra in una piccola smorfia mentre camminava accanto a Noah, seguendo il fiume di candidati verso il secondo piano, lo stesso dove un paio di giorni prima erano stati divisi in gruppi e avevano dovuto affrontare la prova nelle varie stanze. 

“Che cosa c’è Dwight, hai bisogno di fare un sonnellino?”
“Smettila di prendermi in giro, io sono stato sorteggiato sei volte, tu soltanto due!”

“Ho avuto fortuna, non posso negarlo. “

Noah sorrise appena, annuendo e guardando l’amico con una punta di divertimento nello sguardo. Milo invece, dopo avergli suggerito con un’occhiata di stare zitto, fece per ribattere ma venne preceduto dalla voce di una esaminatrice, che risuonò sulle scale e nel corridoio attraverso l’interfono, facendo zittire immediatamente tutti i candidati:

“Candidati, la prossima prova seguirà lo stesso modello di quella dell’enigma di tre giorni fa… Dovete dividervi negli stessi gruppi e raggiungere il settore dello stesso numero.”

“Ancora divisi in gruppi? Fantastico, così abbiamo più probabilità di essere eliminati.”
“Lo fanno proprio per questo Noah, si divertono tremendamente a mieterci brutalmente...
 Beh, buona fortuna Carroll, io vado a cercare Mairne.”

“Buona fortuna anche a te… e ti prego, tienila d’occhio per me.”


Noah roteò gli occhi, pregando affinché l’amica se la cavasse mentre Milo, sorridendo, annuì, assicurandogli silenziosamente che avrebbe fatto in modo di passare la prova insieme all’esuberante biondina.


*


Quando raggiunse, per la seconda volta nell’arco di pochi giorni, la porta con il numero “4” di metallo infisso nel legno chiaro, Erza trovò i suoi compagni ad aspettarla, anche se l’unica a salutarla fu Louella visto che Phoebus e Nymphea stavano parlando tra loro e non sembrarono essersi accorti della sua presenza, lui appoggiato alla parete con le le braccia conserte e un accenno di sorriso divertito dipinto sul volto e lei leggermente più a disagio, impegnata a torturarsi debolmente le mani. 

Quando la vide, fu l’esaminatrice che fino a quel momento aveva aspettato in silenzio accanto alla porta a parlare, facendole cenno di avvicinarsi:

“Ora che siete tutti, posso dare inizio alla prova. Le regole sono semplici: dietro la porta non troverete più la stanza dell’altro giorno, ma un corridoio. Il vostro compito è attraversarlo entro il limite di tempo, ossia cinque minuti, ma dovrete farlo insieme: se allo scadere del tempo non sarete tutti arrivati infondo e non avrete messo una mano sulla porta, tutto il gruppo verrà eliminato.”

“Attraversare un corridoio in cinque minuti? Tutto qui?”

Erza inarcò un sopracciglio, rivolgendo un’occhiata scettica alla donna che invece sorrise, annuendo con un cenno del capo appena percettibile: 

“Esattamente. Coraggio, candidati… il vostro tempo inizia adesso.”

La porta si aprì con uno scatto e Louella, dopo aver rivolto un’ultima occhiata scettica alla strega, aprì l’anta per entrare nel corridoio, trovandolo quasi completamente buio. C’erano poche luci giallastre disseminate sul soffitto e sul fondo del corridoio, lungo circa una trentina di metri, segnando il punto che avrebbero dovuto raggiungere per superare la prova. 

La porta si richiuse alle spalle di Phoebus con uno scatto, intrappolandoli definitivamente all’interno de corridoio buio mentre Nymphea rabbrividì, stringendosi le braccia con le mani per il brusco calo della temperatura. 

“Beh… andiamo.”

Phoebus mosse qualche passo avanti, abituandosi lentamente al buio mentre Erza lo seguì senza indugiare minimamente, continuando a guardarsi intorno con attenzione: aveva la netta sensazione che di lì a poco qualcosa di orribile sarebbe comparso dal nulla, proprio davanti a lei.

Sensazione che venne condivisa da tutti i compagni, anche se nessuno espresse quei dubbi a voce alta e sia Louella che Nymphea si limitarono ad affrettarsi a seguire i due Serpeverde, non morendo esattamente dalla voglia di restare indietro lì dentro. 

Quell’ambiente era tutto fuorché rassicurante.




“Sono entrati, Signore.”
“Allora immettete il gas.”

Benjamin parlò senza staccare gli occhi chiari dagli schermi che aveva davanti, monitorati da un paio tra i suoi collaboratori. Quasi tutte le porte erano state parete, quindi quasi tutti i candidati avevano ormai iniziato la prova… ma ovviamente il meglio doveva ancora arrivare, grazie al gas che stava per filtrare nei corridoi. 


“Non ci ha ancora fatto chiarezza sugli effetti che produce.”
“Si tratta più che altro del vapore di una sostanza tossica… ma non è particolarmente nocivo, colpisce solo il lobo occipitale del cervello.”

“E che effetti dovrebbe produrre? Non l’abbiamo mai usato, prima.

La strega si voltò verso il superiore, rivolgendogli un’occhiata scettica, quasi temendo per quei poveri ragazzi, mentre Benjamin invece continuò a non staccare gli occhi dagli schermi, osservando gli ignari candidati:

“Allucinazioni.”


*


Certo, sarebbe stato fin troppo semplice. 
Certo, si era aspettata qualche “sorpresa”.

Eppure, quando cominciò a sentirsi quasi stordita, la testa farsi improvvisamente pesante e le gambe instabili Berenice riuscì solo a dirsi di respirare normalmente, mentre allungava istintivamente una mano per toccare la prete fredda e ruvida, cercando di restare in piedi. 

La testa le girava leggermente, dandole la fastidiosa sensazione di essere sul punto di cadere da un momento all’altro… in quel momento camminare era l’ultima delle sue possibilità. 

La Grifondoro deglutì, quasi dimenticandosi momentaneamente di essere nel bel mezzo di una prova e per di più insieme ad altre persone: improvvisamente i compagni sparirono, lasciando il posto solo alle vertigini e alla sua vista leggermente annebbiata. 



Quanti metri erano? Sicuramente meno di cinquanta… non era difficile, doveva solo camminare, fare qualche passo avanti. 

Ma c’era qualcosa di strano, lo sapeva. Bastava lanciare uno sguardo ai suoi compagni, mentre Berenice faticava visibilmente a reggersi in piedi e Theodore sembrava quasi in un momentaneo stato di trance, come se faticasse a muoversi. 

“Theo…”
La bionda fece per avvicinarsi al ragazzo e prenderlo per un braccio, invitarlo a camminare… ma la reazione del Corvonero la destabilizzò, ritrovandosi a barcollare quando il ragazzo la respinse con un gesto brusco, allontanandola da sè con una spinta. 

“Che cosa…”

La bionda deglutì, puntando gli occhi chiari su Alethea. Fece per chiedersi se anche lei fosse cosciente o meno quando una voce attirò la sua attenzione:

“Zavannah?”

Una voce familiare in modo quasi doloroso, che non avrebbe dovuto sentire in quel momento. Anzi, una voce che non avrebbe mai più dovuto sentire in alcun modo. 
La Tassorosso rimase quasi paralizzata nel sentirsi chiamare, dicendosi che probabilmente lo aveva solo immaginato… ma voltandosi si ritrovò proprio davanti la familiare figura di Jared, che teneva gli occhi fissi su di lei.

“Jared…”

Strabuzzò gli occhi e mosse qualche passo per raggiungerlo, allontanandosi così dalla sua destinazione, ma il volto del ragazzo si tese in una smorfia mentre la guardava con disapprovazione. 


“Ti sei consolata rapidamente.”
“Come? No! Come puoi dirlo?”

“Oh, ti prego. Non ci hai messo molto ad andare avanti senza di me. Ora muori dalla voglia di iniziare la tua nuova vita dall’altra parte della barriera.”

Zavannah sbattè le palpebre, quasi a volersi assicurare che fosse reale… in un angolo della sua testa una voce le suggerì che non lo era, che non poteva essere davvero lì, ma decise di non darle retta: sembrava davvero reale, aveva la sensazione che sarebbe persino riuscita a toccarlo, se solo avesse allungato una mano. 

“No, io… mi andava benissimo la mia vecchia vita, Jared, lo sai. Sarei stata felice di vivere così per sempre, con te.”
“Allora mi dispiace di averti rovinato i piani morendo, Zavannah. Ma come fai a startene qui, mettendoti alla prova, sorridendo… non pensi mai al fatto che io non ho potuto avere la tua stessa opportunità? A quanto questo sia ingiusto?”


La ragazza si bloccò, sentendo improvvisamente la gola secca mentre guardava l’ex fidanzato osservarla con gli occhi pieni di disapprovazione. E in quel momento, per la prima volta, si chiese se non fosse così… aveva sempre pensato di doverlo rendere fiero di lei passando il Processo. Ma forse non avrebbe nemmeno dovuto prendervi parte, non senza di lui…

“Io… mi dispiace. Lo so che è ingiusto, Jared. Vorrei che fossi qui con me.” 
“Sono qui con te, Zavannah. Sei tu che mi hai lasciato indietro, ormai.”


Forse avrebbe voluto scuotere il capo e dirgli che si sbagliava che non era così, che sentiva tremendamente la sua mancanza, praticamente in ogni momento. 
Ma non ci riuscì, improvvisamente incapace di parlare mentre vacillava, faticando a vedere chiaramente persino al figura di Jared. 

Che cosa le stava succedendo?



“Theodore… vieni, devi camminare…”
“No.”

Theodore scosse il capo, sottraendo bruscamente il braccio dalla presa di Alethea, che sbuffò e si voltò verso Berenice, avvicinandosi alla ragazza per aiutarla a rimettersi in piedi:

“Andiamo… non è reale, Berenice.”

Forse in una situazione diversa Alethea avrebbe semplicemente ignorato la voce di sua sorella chiamarla e dirle di ascoltarla per correre infondo al corridoio, ma disgraziatamente quella era una prova da affrontare collettivamente… senza di loro, non sarebbe potuta andare da nessuna parte. 

La Grifondoro, che si era lasciata scivolare sul pavimento e teneva il capo chino e le braccia strette intorno alle ginocchia, si lasciò aiutare a rialzarsi senza smettere di tremare, mormorando qualcosa di incomprensibile mentre Alethea quasi la spingeva di peso, intimando nuovamente a Theodore di camminare. 

Non aveva idea di cosa stesse provando o vedendo il ragazzo, ma doveva assolutamente farlo rinsavire rapidamente. 



Non ricordava di aver mai visto quelle persone, ma nel momento stesso in cui posò gli occhi sui loro volti li riconobbe. Come avrebbe potuto non riuscirci?

“Mamma?”
“Ciao Theodore.”

Il Corvonero strabuzzò gli occhi, deglutendo mentre osservava i suoi genitori, di cui non possedeva alcun ricordo. 

“Perché… Perché non mi avete voluto?”
“Non avevamo i mezzi e il tempo per badare ad un bambino, specialmente trattandosi di un ragazzino capriccioso come eri tu. Averti è stato solo un errore, probabilmente.”

Theodore scosse debolmente il capo, senza riuscire a staccare gli occhi dai volti dei suoi genitori, le loro espressioni fredde, disinteressate. 

“No. Vi sbagliate.”
“Davvero? Perché, c’è stato forse qualcuno che ti ha voluto che può dire il contrario?”



“Theodore… muoviti, dannazione! Non mi farò buttare fuori per colpa tua. Non è reale, sono allucinazioni.”

Alethea, dopo aver trascinato Berenice fino in fondo ed essere tornata indietro, si avvicinò nuovamente a Theodore, cercando di spingerlo verso il fondo del corridoio. 

Cercando di ignorare, al contempo, i continui richiami e le parole gelide di sua sorella. 

“Lasciami.”

Theodore cercò di divincolarsi e per un attimo Alethea si chiese chi stesse vedendo il ragazzo al posto suo, ma decise che avrebbe avuto tempo per chiederglielo una volta fuori da lì. Doveva solo pensare a portarli tutti fino in fondo. 

“Leta, perché non mi ascolti? Guardami in faccia!”
“Lasciami stare!”

La Corvonero si voltò, quasi urlando quelle parole in direzione della sorella, o del suo ologramma costruito dalla sua stessa mente, prima di riprendere a spingere Theodore, mentre pochi passi più indietro Zavannah continuava a vedere e sentire Jared da una parte e la situazione reale dall’altra, rendendosi conto di dover fare qualcosa. Di dover camminare. 


Solo pochi passi. 
Doveva andare avanti. 


“Un grosso sbaglio.”
“Abbiamo fatto bene a liberarci di te… saresti stato solo un peso, siamo stati meglio in questi anni.”
“Non potrai mai superarlo, Theodore… Chi crede davvero in te?”


“Cammina, avanti… sei quasi arrivato.”

Theodore sbattè le palpebre, smettendo per un attimo di sentire le voci dei genitori e riuscendo invece a mettere a fuoco la figura di Alethea, che camminava davanti a lui, tenendolo stretto per un braccio.


Quasi arrivato.
Certo, la prova. 
Doveva arrivare infondo. 


“Ok…”

Annuì, deglutendo a fatica e parlando con una voce che nemmeno somigliava alla sua. Non doveva ascoltarli… non erano reali. Come potevano esserlo? Lui non li ricordava nemmeno… era solo un brutto scherzo che la sua stessa mente gli stava giocando. 


Doveva solo andare avanti e ignorare quelle dolorose insinuazioni.


*


“Hai buttato la collana! Perché l’hai fatto?”

Le parole di Lindsey la colpirono più dolorosamente di una pugnalata, portandola a scuotere debolmente il capo mentre gli occhi le si inumidivano, cercando di avvicinarsi alla sorellina, che la stava guardando con gli occhi carichi di risentimento, un’espressione molto diversa dai caldi sorrisi che era solita rivolgerle:

“Mi dispiace, non volevo… ma ho dovuto.”
“No invece! Potevi restare a casa con noi invece di venire qui. Pensi solo a te stessa, non ti interessa che cosa succederà a noi… Vuoi solo avere una vita più comoda, senza averci tra i piedi!”

“Non è così… io voglio che tu abbia il meglio. Che tutti voi lo abbiate. E per questo che me ne devo andare, non capisci?”
“Sei tu che non capisci! Dovevi restare a casa… ma ora spero che tu ce la faccia, così non dovrò più vivere con te.”

Lindsey guardò la sorella maggiore con rabbia prima di girare sui tacchi e allontanarsi di corsa, ignorando i richiami imploranti di Lilian che avrebbe voluto raggiungerla, ma sembrava che le gambe non rispondessero più correttamente ai suoi comandi: si ritrovò a boccheggiare, cercando inutilmente un po’ d’aria, mentre si appoggiava contro il muro. 




“Dopo tutto quello che abbiamo fatto per te ci ripaghi così? Andandotene a cercare fortuna altrove? Avevamo bisogno di te, così come tu avevi bisogno di noi.”

Alastair sentì un tuffo al cuore alle parole della nonna, guardando la donna con affetto prima di cercare di avvicinarlesi, parlando con un tono implorante che di rado gli si poteva sentire usare:

“Avete fatto così tanto… non voglio più essere un peso per voi. Non dovete più prendervi cura di me.”
“Sei tu che dovresti prenderti cura di noi Alastair ormai, invece te ne sei andato alla prima occasione. È così che ci ringrazi?”

“Nonna…”


Il Serpeverde scosse il capo, cercando di avvicinarlesi ma senza grandi risultati: anche se muoveva dei passi, sembrava che la donna restasse sempre alla stessa distanza, guardandolo come non aveva mai fatto prima. 

“Vi voglio bene, ma devo trovare la mia strada, senza più gravare su di voi… Non lo capisci?”
“No Alastair, non capisco perché tu te ne sia andato.”



“Al, andiamo.”

Alastair quasi sobbalzò quando sentì una mano stringergli il braccio, e ci mise qualche secondo a riconoscere la fonte della voce: Kieran era in piedi accanto a lui, spingendolo verso il fondo del corridoio mente cercava di ignorare la voce di suo padre, che lo stava accusando molto poco velatamente di aver causato la morte prematura della madre. 

No, non voleva affatto tornare da suo padre, voleva ricominciare e vivere lontano da lui… e per farlo, doveva uscire da lì alla svelta.

 “Avanti, muovetevi! Vieni, Lilian.”

“Aspetta… Lindsey!”
“Lindsey non è qui, Lilian. Adesso dobbiamo uscire.”


Sul fondo del corridoio c’erano quattro impronte di mani illuminate e il Serpeverde ordinò a Lilian di toccarne una mentre anche Alastair li raggiungeva, innaturalmente pallido e quasi tremante.

Kieran si voltò, studiando il corridoio ma faticando a vedere con chiarezza: erano i suoi occhi ad essere offuscati o era calata una specie di nebbia? 

Mancava meno di un minuto allo scadere del tempo, così il ragazzo si disse che non gli interessava: tutto quello che doveva fare era andare a recuperare l’ultimo componente del suo gruppo.
Kieran strinse i pugni e iniziò a ripercorrere il corridoio a ritroso, raggiungendo quasi di corsa – e cercando di ignorare la voce velenosa del padre – un ragazzo che era seduto sul pavimento, contro il muro, il capo chino.

“Noah. Andiamo, dobbiamo muoverci.”

Il Grifondoro sollevò il capo quasi di scatto sentendo la sua voce, ma di fronte all’occhiata vacua che gli rivolse Kieran  fu certo che non lo stava vedendo realmente: il ragazzo infatti mormorò qualcosa, un nome femminile, e si limitò a scuotere il capo, chinandosi per prenderlo per un braccio:

“Adesso dobbiamo andare, Noah.”
“Non posso andarmene… mia sorella…”

“Credimi, se non ti alzi la rivedrai presto. Ma io non ho nessuna intenzione di rivedere la mia famiglia, quindi muoviti. Se vuoi darti la zappa sui piedi fa pure Noah, ma nelle prove individuali... Non ti permetto di mandare tutto all’aria, oggi.”


*

Che cosa stava succedendo a tutti?
Forse erano nel pieno di una specie di allucinazione collettiva? 
Hailey si passò una mano tremante sul viso, scuotendo debolmente il capo mentre parlava con un filo di voce, tenendo il capo chino per evitare di guardò in faccia i suoi genitori, che come tante volte avevano fatto in passato la stavano quasi “accusando” di essere diversa, di non essere la figlia perfetta che avrebbero tanto voluto.

Una strega. Perché proprio loro avevano dovuto avere una figlia del genere?

“Lasciatemi in pace... non mi importa che cosa pensate, ormai.”
“Certo che ti importa. Ti importava quando abbiamo cercato di non farti andare in quella scuola e ti importa anche ora.”

“No invece! Me ne andrò, e non dovrò più sentirvi insultarmi, finalmente. Non siete la mia famiglia da molto tempo, ormai.”

La Corvonero strinse le mani a pugno, conficcandosi le unghie nella pelle mentre parlava quasi tremando dalla rabbia, guardando i genitori – che ormai erano più che altro un paio di estranei – quasi con odio. 

“Bene, vattene, tanto meglio. Ma sappiamo tutti e tre che non riuscirai a superare quella specie di selezione, Hailey… ti reputi davvero tanto speciale? Non sei speciale, sei solo diversa.”
“Io non sono diversa! Ci sono molte persone come me, solo che voi vi siete sempre rifiutati di vederlo!”

La Corvonero si mosse, superando i genitori quasi di corsa e con gli occhi lucidi, desiderando ardentemente di non doverli più vedere e di non dover più sentire quelle cose. Raggiunse Asterope, che stava procedendo quasi a tentoni, e prendendola sottobraccio la spinse ad avanzare più rapidamente:


“Coraggio, andiamo… dobbiamo uscire da qui. C’è qualcosa che non va.”

La Serpeverde annuì, come se se ne fosse resa conto a sua volta ma faticasse a reagire del tutto di fronte a quella situazione. Ormai erano quasi arrivate infondo al corridoio quando Hailey si voltò, puntando gli occhi su una ragazza bionda che si era praticamente accasciata sul pavimento a qualche metro di distanza, tenendosi la testa tra le mani.

Milo l’aveva raggiunta, leggermente chino sulla ragazza mentre si sforzava di ignorare la voce del padre, che non faceva altro che insultarlo per la sua “natura anormale” da quando aveva messo piede dentro il corridoio.
Suo padre era un Babbano, ovviamente non sarebbe mai potuto entrare lì, Milo lo sapeva… ma sembrava tremendamente reale. Dopotutto aveva già sentito quelle stesse parole una volta, qualche anno prima, quando aveva avuto la pessima idea di rivelare al padre di non essere attratto solo dalla ragazze ma anche dai ragazzi.

“Mairne… andiamo.”

Milo allungò una mano per sfiorarle il braccio, ma la bionda si ritrasse, singhiozzando mentre si teneva la testa tre le mani. Gli parve di sentirla mormorare qualcosa, chiedere di “smetterla”, anche se molto probabilmente non si stava riferendo realmente a lui, ma all’oggetto della sua allucinazione.

“Non abbiamo tempo… alzati.”

Hailey si avvicinò alla bionda, cercando di costringerla ad alzarsi ma senza grandi risultati. 
La Corvonero si rivolse così a Milo, rivolgendogli un cenno:

“Dobbiamo uscire da qui, a qualunque costo… trascinala di peso, se necessario, ma la sua mano dev’essere su quell’impronta tra venti secondi!”


*


“Ti sei stufata di noi, ecco perché te ne sei andata!”
“Non me ne sono andata, insomma… voi siete tutto per me. Lo faccio per voi, per noi!”

“Ci hai lasciati da soli, non ti importa di noi!”

“Rin…”

Nymphea allungò una mano per sfiorar i capelli della sorellina, che però scosse il capo e si ritrasse, guardandola con un’espressione rabbiosa che la ragazza non aveva mai visto sul volto della bambina.

“Per favore, lo sapete che vi voglio bene!”
“Non te ne saresti andata, allora. Noi volevamo stare con te, Nym!”

Nerine scosse il capo mentre accanto a lei Cole annuiva, osservando la sorella maggiore con aria cupa, quasi a volerla rimproverare per essersene andata e averli lasciati da soli.

“Anche io voglio stare con voi… ma vorrei anche aiutare mamma e papà.”

Nymphea scosse il capo, mordendosi il labbro con violenza per impedire alle lacrime di iniziare a rigarle il volto. Le sembrava di essere inginocchiata sul pavimento davanti ai fratellini, ma in realtà era semplicemente accovacciata sul pavimento, in lacrime e tremante mentre mormorava parole sconnesse. 


Phoebus raggiunse il fondo del corridoio barcollando, mentre Erza era già arrivata e teneva una mano sull’impronta illuminata fiocamente, così come Louella. 

Il ragazzo sbattè le palpebre, cominciando a sentire meno l’effetto del gas, così come le voci dei genitori, che lo accusavano di non voler rispettare la sua stessa famiglia rifiutandosi di sposare sua cugina, così come avevano fatto loro anni prima. 

“Dov’è Nymphea?”

La voce di Erza, quasi allarmata nel rendersi conto che mancava una componente del gruppo all’appello, riportò definitivamente il ragazzo alla realtà, accorgendosi a sua volta dell’assenza della Tassorosso: si voltò, individuando la figura della ragazza circa a poco meno della metà del corridoio, rannicchiata sul pavimento. 

“Manca meno di un minuto…”
“Ci penso io.”

Phoebus ripercorse il corridoio a ritroso praticamente di corsa, cercando di inalare il gas il meno possibile mentre si avvicinava alla ragazza, chinandosi leggermente:

“Nymphea? Dobbiamo andare… ce la fai ad alzarti?”

Il Serpeverde allungò una mano per sfiorarle un braccio, ma la ragazza si ritrasse bruscamente, continuando a non guardarlo mentre tremava leggermente, gli occhi chiari vacui e fissi su un punto indefinito davanti a sè mentre mormorava un paio di nomi che il ragazzo non conosceva. 

“D’accordo… temo che dobbiamo andare comunque, quindi facciamo così.”

Pregando affinché la ragazza non lo colpisse Phoebus si chinò per sollevarla e portarla fino alla fine del corridoio, ritrovandosi a ringraziare mentalmente sia l’assenza di una reazione da parte di Nymphea sia il fatto che fosse piuttosto minuta e quindi facile da trasportare. 


Mancavano circa dieci secondi allo scadere del tempo quando Phoebus si fermò davanti alle due impronte restanti, premendo una mano della ragazza sulla prima e la sua sulla seconda. 

“Tempo.”

Quando la voce dell’esaminatrice giunse alle loro orecchie tirarono un sospiro di sollievo, e Phoebus sorrise quando la porta si aprì, permettendogli di uscire dal corridoio e di respirare finalmente aria pulita. 

Aveva mosso solo un paio di passi quando si chinò, appoggiando con delicatezza Nymphea sul pavimento. Ma la ragazza, invece di iniziare a riprendersi, continuò a non dire nulla se non quei due nomi che aveva già ripetuto più volte e a tremare leggermente, gli occhi chiari ancora lucidi.


“Che cos’ha?”
“Su alcune persone gli effetti incidono di più… passerà, basta aspettare. Non statele troppo addosso, ragazzi.”

Phoebus abbassò lo sguardo sulla ragazza, rivolgendole un’occhiata incerta mentre Nymphea continuava a tremare come una foglia, apparentemente quasi in stato di trance mentre una ragazza bionda e una mora le si avvicinavano quasi di corsa, guardando l’amica con preoccupazione:

“Nym! Che cos’ha?”
“Pare che su di lei le allucinazioni abbiamo sortito un effetto più incisivo… ma dovrebbe stare meglio entro poche ore.”

Phoebus inarcò un sopracciglio, poco convinto per primo delle sue stesse parole mentre, a qualche metro di distanza, Noah si avvicinava a Milo e a Mairne, sinceramente felice di vederli ancora in gara. 
A stupirlo fu però la reazione di Mairne quando lo vide, che era ancora piuttosto pallida: la bionda gli si avvicinò e senza dire niente lo abbracciò di slancio, lasciandolo di stucco:

“Ehy… tutto bene?”
La ragazza si limitò ad annuire mentre il ragazzo ricambiava l’abbraccio, stringendo le braccia intorno al corpo tremante della bionda per cercare di trasmetterle un po’ di calore. 

“Hai visto qualcosa che ti ha turbata? Erano solo allucinazioni Mairne, non è niente.”
“Lo so.”

La ragazza annuì senza accennare a voler sciogliere l’abbraccio, astenendosi dall’informarlo di aver visto proprio lui dirle una serie di cose poco piacevoli da sentire, come che fosse ormai stanco di averla sempre tra i piedi e avrebbe preferito non essere mai diventato suo amico durante quel viaggio sul treno, dieci anni prima. 

Ma l’importate era che fosse tutto finto, no? 
Erano solo allucinazioni che avrebbero semplicemente dovuto dimenticare in fretta, senza darci troppo peso. 

Gli esaminatori dissero esattamente così, prima di consigliare caldamente ai candidati rimasti in gioco di spostarsi in quello che sarebbe stato il loro alloggio per i “giorni seguenti”, una specie di grande cantina piena di stanze e corridoi dove avrebbero vissuto insieme. 

Senza poter immaginare che sarebbe stato proprio quello il luogo della prova successiva. 











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Angolo Autrice:

Buonasera, mi spiace non essere effettivamente riuscita ad aggiornare ieri ma proprio non ho avuto modo di scrivere nulla nel weekend… spero che non ricapiti in futuro, ovviamente.
Il prossimo capitolo arriverà giovedì come sempre, quindi ci sentiremo presto… ma nel frattempo ho una domanda per voi:

Come si comporterebbe il vostro OC in una situazione leggermente “estrema” nei confronti degli altri candidati? (Esempio: razioni di cibo molto limitate, si azzufferebbe di brutto pur di averne un po’ o assumerebbe un atteggiamento più “mite” lasciandosi sopraffare?)

Vi chiedo di cercare di rispondere entro giovedì pomeriggio perché altrimenti scrivere il capitolo risulterebbe un po’ difficoltoso… intanto a preso! 
Signorina Granger 

   
 
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