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Autore: JanineRyan    01/11/2017    2 recensioni
Non sono tanto brava nelle intro, ma proverò comunque...
E se il viaggio verso il Monte Fato fosse stato differente? E se la compagnia fosse stata di undici membri e non nove?
Insieme agli originari membri della Compagnia dell'Anello ne faranno parte anche due guerriere elfiche: Estryd e Alhena, figlie di Elrond di Gran Burrone.
Genere: Avventura, Drammatico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aragorn, Boromir, Legolas, Nuovo personaggio, Thranduil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E rieccomi qui, prima di quando pensassi, con un nuovo capitolo!
Buona lettura e buon halloween!


La strada, se tale poteva definirsi, che conduceva fino al Monte Fato attraverso l’altopiano di Gorgoroth, era pericolosa; non solo per la minaccia degli orchi che disseminavano l’intera regione, ma anche per la difficoltà del percorso che attraversava Mordor fino a condurre alla montagna infuocata. 
Migliaia erano gli orchi che si stavano armando, pronti per affrontare la guerra e, a controllare tutto, c’era il grande occhio. Spostandosi da un lato all’altro del proprio esercito, osservava le sue truppe. Presto, i grandi cancelli, si sarebbero spalancati e gli orchi avrebbero marciato verso Minas Tirith con l’unico scopo quello di uccidere ogni uomo, donna o bambino che avrebbero incrociato nel loro cammino.
La guerra ormai incombeva sui popoli liberi.
Estryd e Frodo osservavano ogni cosa nascosti dietro alcune pietre a poche miglia dal Monte Fato; nell’altopiano diversi fuochi  erano stati accesi e degli accampamenti erano stati sistemati in punti strategici. Diversi grugniti rimbombavano nella vallata, raggiungendo l’elfa e lo hobbit. Finché la via non si sarebbe liberata, non avrebbero potuto continuare il loro cammino fino alla meta finale, il Monte Fato. Sedendosi sul terreno scuro e freddo, l’elfa guardò il portatore; era preoccupata per lui, molto in effetti.
Di Frodo; lo hobbit felice, spiritoso e di compagnia che aveva conosciuto a Gran Burrone, non era rimasto più nulla. Un guscio vuoto; ossessionato dai suoi pensieri, ossessionato dall’Anello.
“Frodo?” lo chiamò lei, sussurrando e chinandosi verso l’amico.
Lentamente lo hobbit voltò il capo, incrociando gli occhi verdi dell’elfa. La guardava, ma pareva non vederla nemmeno. 
“Penso che presto la via sarà libera e potremmo proseguire... guarda laggiù; il Monte Fato è vicinissimo.... al massimo un giorno di cammino da noi.” sussurrò, sperando di ricevere un qualunque segno di vita, un qualunque indizio che Frodo c’era ancora. Ma, non ottenendo risposta, Estryd continuò: “Penso che dovresti toglierti l’Anello dal collo, anche solo per qualche ora... almeno mentre siamo qui in attesa di proseguire. Non ti fa bene… sta avvelenando la tua mente.”
La bruna attese alcuni minuti, Frodo non si mosse. Allora, insistendo, ordinò allo hobbit: “Togliti l’anello, Frodo! Ora!”
Senza attendere una risposta, con uno scatto felino, Estryd afferrò la catena legata al collo del portatore e gliela strappò con forza.
La reazione di Frodo, questa volta, fu immediata; infervorato dall’ira, dapprima urlò e poi si scagliò contro l’elfa... contro colei che gli aveva rubato il suo prezioso Anello.
Spaventata, Estryd schivò l’amico ed indietreggiò, cercando di calmare il portatore. Ma, Frodo sembrava un folle; guardava la mano nella quale l’elfa stringeva la catena con il suo Anello come se volesse strapparglieli. Il suo capo penzolava, seguendo i movimenti della collana, seguendo attentament l’Unico.
“Frodo...” Estryd chiamò il suo nome con tono di supplica, per la prima volta spaventata dall’amico.
Poi, improvvisamente, proprio com’era iniziato, l’attimo di follia svanì e, lo sguardo di Frodo, divenne vitreo. Ormai privato di energia, il portatore si accasciò a terra; tremante e ansimante per lo sforzo fatto.
La bruna lo raggiunse e, prendendo con delicatezza tra le mani il suo capo, lo adagiò in grembo.
Estryd osservava Frodo; teneva le mani alzate verso il cielo, lo hobbit cercava di scacciare qualcosa... continuava a sussurrare parole senza senso, guardando fantasmi che esistevano solo nella sua mente.
L’elfa era preoccupata, non sapeva cosa fare per dargli sollievo. Prese la borraccia dallo zaino posato accanto alle pietre dietro le quali si nascondevano e, aprendola, la posò sulle sue labbra versando il contenuto; Frodo non bevve. L’acqua scorreva dalla sua bocca serrata, lungo il mento fino a raggiungere le sue vesti, bagnandole.
Sospirò, non sapeva cosa fare; versò dell’acqua nella sua mano per poi passarla sulla fronte di Frodo e sopra i suoi occhi.
Il contatto con il liquido fresco, scatenò una reazione; il portatore si svegliò dallo stato di incoscienza e, tossendo, cerco di alzarsi a sedere. L’elfa lo sboccò, costringendolo ancora sdraiato: “Resta disteso... riposa ancora qualche minuto.”
“Estryd…” chiamò il nome dell’elfa, come se la vedesse per la prima volta dopo molto tempo. “Dove.... dove siamo? Non ricordo nulla... cos’è successo?” domandò, guardandosi intorno e capendo di provarsi a Mordor, nel regno nemico.
La principessa inarcò le sopracciglia.
“Non ricordi? Non ricordi nulla? Frodo... qual’è il tuo ultimo ricordo?” chiese infine iniziando a intuire cos’era accaduto.
Lo hobbit rimase alcuni secondi in silenzio. Estryd intuì che stava cercando di recuperare i suoi ultimi ricordi e, a giudicare dall’espresione impaziente sul volto di Frodo, dovevano essere molto confusi.
“Stavamo percorrendo la via… quella per il passaggio sotto la montagna che ci aveva suggerito Smeagol.” rispose, ma non pareva convinto. La sua fronte era aggrottata nel tentativo di riportare alla mente un ricordo passato. Ma, anche questo, faceva fatica a tenerselo stretto, pareva che gli scivolasse dalle mani come fumo. “E’ davvero accaduto tutto? Nel senso… è realmente accaduto? Non è solo nella mia mente?”
“Frodo è accaduto… ma è passata una settimana da quel giorno...”
“Una settimana?” fece eco Frodo, incredulo.
Estryd annuì con un lieve cenno di capo.
“Siamo stati catturati da Sverker e poi mio fratello ci ha salvati... hanno combattuto e ha vinto… ricordi?” insisté lei. “Ricordi?”
Il portatore scosse il capo; poi, un pensiero avanzò nella sua mente. Sam. Dov’era Sam?
Di scatto si mise seduto, un giramento di testa gli impedì di alzarsi in piedi.
“Sam?” chiese all’elfa guardandola negli occhi, preoccupato per l’amico.
“Non angosciarti, sta bene.”
“Dove... dov’è adesso?” chiese subito Frodo, il tono della voce più forte; chiaramente in pena per l’amico.
“È rimasto indietro.... mio fratello... Elrohir è stato ferito durante lo scontro con Sverker... una spada con la lama avvelenata…”
“È grave? Starà bene?”
Estryd abbassò il capo, non era certa che sarebbe stato bene; il veleno di Morgoth era letale se non curato tempestivamente nel modo giusto.
“Estryd? Sta bene?” insistè Frodo, posando una mano sulla spalla dell’amica e guardandola con attenzione.
“Non lo so.” ammise lei con un filo di voce, mentre cercava di trattenere le lacrime. “Sam si sta occupando di lui… cercava delle erbe… dice di sapere cosa fare…”
“Aragorn mi aveva curato quando sono stato attaccato a Colle Vento. Sam si era occupato delle erbe… non preoccuparti; sa ciò che fa.” tentò di tranquillizzare l’elfa.
Ricadde il silenzio tra i due.
Lo hobbit non sapeva che fare o cosa dire; era per causa sua se tante persone erano morte e, alcune, stavano perdendo la vita in quel momento. I popoli della Terra di Mezzo si battevano coraggiosamente per la libertà, per la pace… questa era la guerra… non avevano alternative. Per avere la pace avrebbero dato ogni cosa, perfino la vita. Tutto per dare a lui un’occasione di distruggere l’Anello del potere.
Trattenne a stento le lacrime; ancora non riusciva a capacitarsi della morte di Gandalf, Moria era stata una sua decisione...
“Ci pensi mai, Frodo?”
L’elfa, che aveva imparato a capire quando l’amico si perdeva nei suoi pensieri, cercò di distrarlo e, osservando la reazione del portatore, soddisfatta, capì immediatamente che era riuscita nel suo intento.
Lo hobbit guardò la principessa con attenzione. Estryd sorrise; per la prima volta, dopo giorni, sembrava che Frodo fosse realmente interessato alla conversazione.
“Pensare? A cosa?” domandò.
“A casa... alla tua vita prima di tutto questo...” rispose con dolcezza la bruna, accennando al paesaggio attorno a loro; a Mordor, che altro non era che una landa desolata, dove perfino degli arbusti faticavano a crescere, e agli orchi che si stavano preparando alla guerra a poche miglia da loro.
Frodo sorrise al pensiero di casa sua… la Contea… era sempre nel suo cuore: le colline verdi, il profumo degli alberi da frutto ed i campi coltivati… corrugò la fronte, cercando di ricordare altri dettagli… intravide il villaggio e la taverna dove trascorreva intere serate con gli amici a ridere, cantare e bere una birra fresca…
“Sì... anche se i ricordi si fanno sempre più sbiaditi... anche se mi sto dimenticando alcune cose...”
Estryd, per la prima volta, provò una gran pena per Frodo. Per lei, i ricordi erano la sua forza, le davano le motivazioni per proseguire.
“E tu?” chiese lo hobbit. “Pensi mai a casa? Alla tua famiglia? A...” le guance gli divennero rosse. “A Boromir?”
Sentire il nome del guerriero fece sorridere l’elfa che, istintivamente, si sfiorò il ventre.
“Ogni secondo di ogni giorno...” ammise sincera, chinando il capo.
Frodo guardò la pancia di Estryd; aveva dimostrato di possedere un gran coraggio quando aveva deciso di proseguire il viaggio nel suo stato. Estryd era diventata un’amica e una fedele compagna nel periodo più difficile della sua vita.
“Boromir sarà un bravissimo padre... si vede quanto ti ama.” concluse Frodo, porgendo all’elfa la borraccia.
Estryd guardò lo hobbit e, mostrandogli la catena che portava al collo, aggiunse: “Ogni giorno spero che sia ancora vivo... spero di rivederlo presto, appena questo incubo sarà finito… a volte ancora non ci credo; sembra ancora tutto così assurdo...” respirò a fondo. “Siamo nella tana del nemico, così vicini ad essere scoperti e, allo stesso tempo, così vicini alla vittoria, alla distruzione dell’Unico...”
“Entrambi sapevamo che sarebbe stato un compito arduo.”
Estryd annuì: “Sono felice che tu mi abbia permesso di rimanere al tuo fianco.”
“Ti devo ogni cosa. Da solo avrei fallito… senza te, Sam e anche tuo fratello… mi sarei fatto corrompere dal potere… dalla voce che, come miele, mi sussurra… mi istiga…”
“Sei più forte di quanto tu creda: ci siamo fatti forza reciprocamente.” concluse l’elfa. “Riposiamoci qualche ora e aspettiamo. Presto gli orchi abbandoneranno Mordor… dobbiamo recuperare le forze.”
Mentre Frodo si stendeva supino, Estryd lo osservava riposare. Meritava un po’ di pace senza l’Anello al collo… osservò lo strumento di Sauron con attenzione; sembrava innocuo, posato sul terreno… ma, nella sua lega, custodiva il male. Migliaia di vite erano state stroncate per quel piccolo oggetto… chiuse gli occhi e, posando la schiena contro la roccia, pensò a Boromir nella speranza di trovare ancora un po’ forza nel suo cuore…
Era spaventata, anzi terrorizzata e, come se non bastasse, perennemente preoccupata: per Boromir, per sua sorella Alhena, per la sua famiglia… Elladan, Arwen, suo padre e i suoi nonni... preoccupata per Elrohir... respirò a fondo cercando di trattenere le lacrime... non se lo sarebbe mai perdonato se fosse accaduto qualcosa al fratello.
Passarono alcune ore quando i due, sussultarono udendo un forte boato in lontananza. Scattarono in piedi e, spiando da dietro il loro nascondiglio, videro le armate di Sauron muoversi. Si stavano radunando in gruppi ordinati e, tra urla d’incitazione, iniziarono la loro marcia verso i grandi cancelli neri.
“Si muovono!” esclamò Frodo, emozionato spostando lo sguardo verso l’amica.
Estryd annuì; i nervi a fior di pelle.
Posò una mano sulla spalla di Frodo: “Dovremo muoverci velocemente, celati dall’oscurità. L’altopiano sarà libero da qualunque intralcio ma, il grande occhio di Sauron, osserva ogni cosa. Riusciremo ad attraversarlo solo essendo prudenti.” fece una pausa e, guardando oltre il loro nascondiglio, continuò: “Tra qualche ora gli orchi saranno in marcia verso Gondor… e, con buone probabilità, Sauron sarà distratto dalla guerra… guarderà verso Minas Tirith e, allora, procederemo verso il Monte Fato da est… sperando di passare inosservati.” concluse.
Afferrando lo zaino e le armi che aveva posato accanto alla roccia dietro la quale si nascondevano, iniziò a prepararsi.
Dopo aver lasciato la fortezza di Sverker, viaggiavano con un solo zaino che conteneva cibo e acqua sufficienti per, al massimo, tre giorni. Estryd era preoccupata per questo; non sapeva come avrebbero fatto a sopravvivere per il viaggio di ritorno con provviste così scarse… l’unica probabilità che avevano era raggiungere Gondor…
“Permettimi di aiutarti.” disse Frodo, cercando di prendere lo zaino che l’elfa si era caricata in spalla.
“Porti già un grande peso, amico mio.” rispose lei, abbozzando un timido sorriso mentre gli porgeva la catena con l’Anello.
Esso penzolò mezz’aria per alcuni secondi; Frodo lo guardò, riluttante nel riprenderlo.
“Frodo, se non lo farai te, nessun altro potrà farlo.” sorrise, posando sulla mano dello hobbit l’Unico. “Ho fiducia in te.”


Il garrito dei gabbiani svegliò Alhena che, stroppicciandosi gli occhi, si alzò a sedere. Il paesaggio che scoprì era incantevole; il sole stava sorgendo all’orizzonte, tingendo il mare di rosa e facendo sparire l’oscurità della notte. L’elfa raggiunse e si sporse oltre il parapetto, erano ancorati vicino alla foce del fiume; guardò verso poppa e vide i compagni discutere.
Elladan, appena si accorse che la sorella era sveglia, la salutò con un cenno della mano.
Prima di raggiungerli, l’elfa si guardò attorno; la costa era rigogliosa e la foresta era cresciuta, arrivando fino ai villaggi disabitati che erano stati edificati lungo le coste. Ognuno di essi aveva almeno un molo che custodiva ancora piccole imbarcazioni di pescatori, ormai logorate dal tempo.
Gondor, salvo la capitale Minas Tirith, era diventata una regione fantasma.
Con passo sicuro, Alhena si avvicinò ai compagni e, posando una mano sul braccio del fratello, ascoltò i discorsi degli amici.
Aragorn si era allontanato e, guardando il mare davanti a loro, lo studiava attentamente. Poi, irrompendo nei loro discorsi, disse: “Boromir ha ragione; i corsari di Umbar non sono ancora stati qui... avrebbero bruciato ogni cosa al loro passaggio.”
Il Capitano annuì mentre raggiungeva l’amico vicino al timone: “Che proponi di fare? Li aspettiamo qui?”
Aragorn, che aveva ideato un piano, non era più certo della sua buona riuscita. Era incerto sul da farsi; magari avrebbero atteso invano per ore mentre la guerra si stava consumando a Minas Tirith.
Elladan interruppe i pensieri dell’uomo e, affiancandolo, esclamò: “Non angosciarti... riesco a sentire l’acqua che urta le loro barche...”
“Ne conto circa cinquanta e saranno qui tra al massimo un’ora.” si intromise Legolas, raggiungendo gli amici.
Estraendo la spada dalla fodera, Aragorn guardò i suoi compagni.
“Amici miei, non posso chiedervi di restare al mio fianco, non questa volta. Abbiamo scarse possibilità di vittoria e…”
“Aragorn, siamo arrivati fin qui perché crediamo in te.” lo interruppe Legolas.
Con occhi inumiditi da lacrime di commozione, Aragorn ringraziò gli amici; non avrebbe potuto trovarsi con compagni migliori.

Ormeggiarono la nave in un piccolo molo nascosto in una baia, confondendola tra altre imbarcazioni. Scesi sulla terra, attraversarono correndo due villaggi e, salendo lungo la scogliera, giunsero in vetta ad una collina che offriva una visuale panoramica sul mare. I tre elfi guardarono l’orizzonte; il blu del mare si estendeva a perdita d’occhio. Alhena era attratta da quell’infinità; le dava una sensazione di calma… nel mare, era certa, avrebbe trovato la sua pace. 
“Le vedo...”
“Eccole!”
Elladan e Legolas parlarono contemporaneamente, il principe di Gran Burrone puntò anche il dito all’orizzonte.
“Bene... ormai ci siamo...” disse Boromir, incrociando lo sguardo del Dunadain. Poi, guardando verso le montagne alle loro spalle, continuò con tono abbattuto: “Ci hanno abbandonati, ancora una volta.”
Aragorn guardò nella sua stessa direzione; nel profondo sperava che avessero deciso di aiutarli. Ci credeva davvero…
“Eccoli!” esclamò Boromir, dopo qualche minuto, additando l’orizzonte, lo stesso punto indicato da Elladan.
I corsari si stavano avvicinando velocemente, agevolati dal vento a loro favorevole.
Alhena guardò Legolas impugnare l’arco ed estrarre una freccia dal fodero; avrebbe tanto voluto parlargli. Aragorn aveva ragione: meritava la verità ma, come molte cose, per ora era meglio tener tutto in sospeso.
“Aspetta, amico mio.” disse Aragorn, intuendo le intenzioni dell’elfo e, posando la mano sull’arco, glielo fece abbassare.
Quando le navi furono abbastanza vicine alla costa, Aragorn avanzò verso il precipizio mostrandosi ai corsari.
L’imbarcazione in testa rallentò l’avanzata; il capitano si avvicinò alla prua e, guardando la costa, comandò ad uno dei suoi uomini di suonare il corno, ordinando alla flotta di fermarsi. A bordo di ogni singola imbarcazione, Alhena contò una ventina di uomini; tutti armati e pronti alla guerra.
“Non potete proseguire. Voi non entrerete a Gondor.” dichiarò risoluto Aragorn, puntando la spada riforgiata contro i corsari.
Subito iniziarono a ridere, divertiti che un uomo e altri quattro guerrieri avanzassero pretese tanto ridicole verso loro; un esercito che contava fino a 200 uomini.
“Chi sei tu per negarci il passaggio?” chiese il capitano della flotta. Un uomo abbastanza alto e robusto di costituzione, con una folta barba nera e vestito con pelli d’animale.
Aragorn si voltò, guardando i suoi compagni; sapeva che agli occhi dei corsari erano ridicoli. Erano in cinque e, anche se tutti valorosi guerrieri, non avrebbero mai potuto fermare l’avanzata della flotta di Umbar.
Legolas si avvicinò ad Aragorn, arco in mano, e fece un cenno all’amico.
“Legolas, Elladan, Alhena... un avvertimento che sfiori le loro orecchie.” sussurrò Aragorn, incrociando i loro sguardi e facendo loro un cenno d’intesa.
Prontamente, i tre elfi alzarono i loro archi verso la nave nemica e, incoccando una freccia ciascuno, presero attentamente la mira e, contemporaneamente, scoccarono.
Le tre frecce tagliarono l’aria producendo dei sibili. Mentre due sfiorarono volutamente il volto di due corsari in piedi ai lati del Capitano, la terza centrò il nostromo al petto che cadde sul ponte, morto.
Elladan e Legolas si voltarono verso Alhena che, con un’alzata di spalle, disse: “Loro non si farebbero tanti scrupoli nell’ucciderci... uno in meno da affrontare.”
Boromir trattenne a stento un sorriso, anche lui, come Alhena, sarebbe andato a segno; conosceva la crudeltà dei corsari di Umbar e nessuno meritava la loro pietà.
“Andatevene fintantoché diamo a voi ancora un’opportunità di resa!” esclamò Aragorn, rivolgendo nuovamente l’attenzione alla flotta e allungando davanti a lui il braccio col quale impugnava la spada di Isildur.
Come se nulla fosse successo, il capitano dei corsari rise nuovamente davanti alle pretese dei cinque e, sputando sul ponte, rise maligno: “Davvero credete di poterci fermare?”


Legolas era partito per Gran Burrone da un paio di giorni e Thranduil, nel suo palazzo a Bosco Atro, stava armando il proprio esercito. Secondo le sue spie stanziate a sud, le truppe di Mordor si erano mosse quella mattina prima dell’alba e si stavano dirigendo verso Reame Boscoso.
Rintanato nel proprio studio, Thranduil studiava attentamente una cartina disegnata a mano su della pergamena ingiallita. Sul tavolo erano stati posati tre candelabri per illuminare meglio la stanza. Chino sulla mappa, le mani posate alla scrivania, cercava di capire la via che avrebbero seguito gli orchi per fermarli il prima possibile.
Spazientito, si allontanò e, raggiungendo le ampie finestre, pensò al figlio. Elrond aveva chiesto il suo intervento per far parte ad un concilio. Avrebbe voluto partire lui stesso per Gran Burrone, sperava di avere notizie di Alhena e, magari, vederla... forse era tornata a casa e, l’ipotesi di saperla al sicuro, lo tranquillizzava.
Si accomodò su una grande poltrona ricoperta di pregiata seta bordeaux e chiuse gli occhi, cercando di ricordare il loro ultimo incontro a Pontelagolungo, ormai avvenuto diversi mesi prima. Si domandava se aveva osato troppo nel seguirla, ma aveva bisogno di risposte e solo lei poteva dargliele.
Così, quella notte, l’aveva seguita subito dopo la sua fuga dalla locanda e, seguendo le tracce che aveva lasciato, il Re aveva raggiunto Dale. Thranduil sospettava che Alhena avrebbe cavalcato fino al regno di Rohan, passando a nord del suo regno.
Smontò da cavallo appena arrivò al ponte che conduceva alla fortezza e, lentamente, risalì le vie del paese; dal mercato completamente distrutto durante la battaglia delle cinque armate, fino a raggiungere i livelli superiori.
Nelle strade erano ancora evidenti le tracce della guerra che si era consumata anni prima... nessuno, dopo quegli eventi, ci aveva rimesso piede; gli uomini di Pontelagolungo, piuttosto che ritornare a Dale, avevano preferito ricostruire la città distrutta dal drago grazie all’oro che i nani avevano donato loro. Avevano perso molti amici a Dale e, si vociferava, che quella fortezza fosse maledetta.
Anche per Thranduil percorrere quelle vie era doloroso; aveva perso valorosi guerrieri ed anche il suo fido compagno di cavalcata. Mentre saliva verso il palazzo, si fermò appena udì un rumore provenire da un vicolo laterale, conosceva quel posto molto bene... la strada avrebbe condotto ad una terrazza che si apriva sul precipizio e mostrava, in lontananza, il regno dei nani, Erebor.
Camminò senza far rumore, il lungo manto da viaggio sfiorava la strada; il cuore gli batteva frenetico nel petto. Svoltando l’angolo, la vide; era seduta sulla roccia e gli dava le spalle. Rimase alcuni istanti ad osservarla, i capelli sciolti le ricadevano sulle sue spalle, mossi dal vento.
“Alhena.” la chiamò il re.
La giovane elfa scattò in piedi e, voltandosi, impugnò la propria spada.
“Non hai bisogno di quella...” sussurrò sorridendo l’elfo, accennando all’arma che Alhena stringeva con forza.
“Perché? Perché mi hai seguita?” chiese lei arrabbiata, abbassando la guardia ma senza rifoderare la spada.
“Volevo parlarti. Dobbiamo parlare... non puoi fuggire così!”
Alhena rise, piegandosi di lato per sottrarsi dai magnetici occhi di Thranduil.
“Proprio tu parli di fuggire! Ti sei nascosto per secoli!” esclamò lei, ilare. “Sei davvero ridicolo! Posso comprendere il dolore che hai provato per la morte di Aredhel, ma questo non giustifica nessuna delle crudeltà che hai inflitto a chi ti sta accanto, a chi ti voleva e vuole bene!”
L’espressione sullo sguardo del Re mutò, si fece d’improvviso serio.
Alhena sostenne il suo sguardo: se voleva che lei parasse, non si sarebbe sottratta a tale compito. Avrebbe detto tutto, ogni cosa che pensava di lui!
“Legolas era un bambino quando ha perso la madre e tu l’hai ignorato! Ti sei curato solo delle ferite del tuo cuore e hai abbandonato un figlio che ti adorava! Avresti dovuto vivere per lui! Avresti dovuto stargli accanto e crescerlo come lei avrebbe fatto!”
La bionda sapeva di star esagerando; Thranduil stava per arrabbiarsi ma, a lei, non importava. Credeva davvero ad ogni singola parola detta e, questo, sarebbe stato un modo per ricordare a se stessa chi aveva realmente davanti.
“Dai! Comportati come fai sempre! Rapiscimi e rinchiudimi nelle segrete del tuo Regno! Comportati da borioso sovrano…imprigionami come hai fatto con Thorin e i suoi compagni... come hai fatto con Sméagol! Dai! Fallo! Schiaffeggiami ancora! Sei solo un mostro!”
“Un mostro?” ripeté lui, pacato.
Alhena non rispose; per la foga le erano venute le lacrime agli occhi e, ad ogni parola, si era avvicinata sempre più a Thranduil, arrivandogli talmente vicino da poter distinguere le varie sfumature dei suoi occhi azzurri.
“Mi consideri un mostro?” chiese, nuovamente.
Alhena distolse lo sguardo; aveva deciso che sarebbe andata via. Non poteva restare con lui ed ascoltare le sue parole… si sarebbe fatta convincere dalla sua voce… avrebbe coperto meglio le proprie tracce.

“Addio, Thranduil.” disse lei voltandosi, risoluta sul da farsi. “Ormai, non abbiamo più nulla da dirci.”
Ma l’elfo, con tono freddo, colmo di dolore, disse: “Se volevi il mostro, eccolo qui... ecco il mostro…”
Alhena si fermò, senza però voltarsi.
“Sei l’unica persona che riesce a farmi perdere il controllo.” continuò Thranduil. “Con te al mio fianco sento che potrei dare il meglio di me ma, allo stesso tempo, potrei diventare ciò che tu odi di più... mi chiami mostro, ebbene voltati e guardami… guardami davvero. Guarda chi sono e giudicami per le mie debolezze!”
Di scatto la principessa si girò, incrociango gli occhi di Thranduil… rimase senza fiato; il lato destro del suo volto era sfregiato e, in alcuni punti, scarnificato… l’occhio era vitreo…
Alhena conosceva la storia del Re e sapeva che era stato ferito durante una battaglia, ormai secoli prima… ma ciò che la bionda ignorava era che il Re celava le proprie ferite con la magia.
“Sono davvero il mostro che tu pensi io sia.” fece una pausa e, mentre la raggiungeva, il suo viso tornò perfetto, come sempre. Le prese le mani e continuò: “Ho imparato a celare al mondo chi io realmente sia... ma non sono solo il mostro… io… io…” chiuse gli occhi e, prendendo fiato, continuò: “Io ti amo. Ti amo così tanto… sei riuscita ad abbattere le mie difese e ora conosci ogni aspetto di me, anche il più terrificante.”

Alhena ricambiò il suo sguardo, non sapeva cosa dire. Farfugliò confusa parole senza senso, distogliendo poi lo sguardo.
Non sapeva cosa fare.
Non sapeva cosa dire.
“Baciami ancora una volta...” chiese con dolcezza l’elfo, chinando il capo leggermente a destra.
Alhena guardò le forti mani del re stringere le proprie; i battiti del suo cuore le rimbombavano nelle orecchie.


Successe velocemente, Aragorn udì dei rumori alle sue spalle e l’aria si fece d’improvviso più fredda. Sorrise, cercando di non farsi vedere. Le foglie degli alberi si mossero, come tirate dal vento, ma non un filo d’aria spirava. In quel momento comprese che avevano una possibilità di vincere la guerra.
Uscirono dal bosco, impugnando le loro armi e, superando i cinque, l’esercito dei morti, in sella ai propri cavalli, si riversarono come un fiume in piena verso la flotta dei corsari.
Dalle imbarcazioni provenivano urla di dolore e suppliche gridate.
“Sono loro! Hanno accettato! Hanno accettato l’accordo!” esclamò entusiasta Alhena, abbracciando, in un moto di gioia, il fratello.
Anche Aragorn sorrise e, guardando il cielo, sussurrò mentre guardava la sconfitta dei propri nemici: “Grazie ai Valar!”

  
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