Capitolo primo
DUBLINO, IRLANDA
GIORNI NOSTRI
DUBLINO, IRLANDA
GIORNI NOSTRI
A clouded dream on an earthly night
Hangs upon the crescent moon
A voiceless song in an ageless light
Sings at the coming dawn
Birds in flight are calling there
Where the heart moves the stones
It's there that my heart is calling
All for the love of you
Loreena McKennitt,
“The Mystic’s Dream”
Mi destai di soprassalto da un
incubo spaventoso. Avevo sognato i verdi campi di Erin nuovamente coperti di
cadaveri, di sangue, con Morrigan, terribile Signora delle Battaglie, che
tornata alla vita e assetata di stragi si aggirava come una furia per le
pianure dell’Isola di Smeraldo alla ricerca di corpi da abbattere e vite da
spezzare.
Trasalii al gracchiare dei corvi
fuori dalla finestra; i corvi, un tempo messaggeri della Sanguinaria, la sua
voce fra i mortali, i suoi figli prediletti che si cibavano di carogne…
Sbuffai, scotendo la testa:
quelli che avevo sognato non erano che gli orrori di un tempo passato, e mai
più si sarebbero ripetuti. I fey
erano stati cacciati dall’Europa secoli addietro, e quelli di noi che, come me,
avevano scelto segretamente di restare si erano ormai talmente mischiati e
confusi con gli umani da rendere quasi impossibile riconoscere la differenza. L’epoca
dei sidhe, dei Figli di Danu, e delle
loro guerre fratricide era finita da un pezzo. Ora le corti fey si trovavano tutte in America, la
grande America, la nuova Terra Promessa disposta ad accogliere chiunque (o
quasi), ma erano l’ombra di se stesse; niente più duelli all’ultimo sangue,
niente più giochi di potere, niente più magia… o almeno così mi era stato
riferito; d’altro canto, non avevo notizie del mondo fatato da molto,
moltissimo tempo… e sinceramente nemmeno ci tenevo. Sapevo di Meredith,
Principessa degli Elfi Americani, che forse sarebbe salita al trono… Sapevo
anche dei suoi “Merry Men”, guardie del corpo e amanti che avevano il compito
d'ingravidarla, così che Andais, la Regina della Corte Unseelie,
potesse abdicare in suo favore… La qual cosa, conoscendo Andais, mi pareva
alquanto inverosimile, ma in ogni caso non erano affari miei: io vivevo in
Europa, fra gli umani, e stavo bene dove stavo.
Chi sono io? vi starete chiedendo
a questo punto. Ebbene, ho avuto molte identità. L’attuale è quella di Serena O’Flaherty,
insegnante di Storia alla Jonathan Swift Upper School di Dublino, ventisette
anni, single, molto amante degli animali e poco delle persone. Un tempo, però,
ero conosciuta come Blàthnaid dal Seno di Perla, nata la notte di Samhain del
412 d.C. (vent’anni prima che San Patrizio cominciasse la sua Evangelizzazione)
in una radura nei pressi di Kilkenny. Mia madre, Niamh la Splendente, era una sidhe Seelie, ovvero apparteneva
all’alta nobiltà del mondo fatato, mentre mio padre, Oisin MacCool, era il figlio
in parte fey del più noto Finn
MacCool, celeberrimo eroe delle leggende irlandesi.
Blàthnaid la druida, Blàthnaid la
regina…
Gettai le gambe oltre il bordo
del letto e mi alzai, stiracchiandomi; avvolsi il mio corpo nudo (a noi fey piace dormire senza vestiti, forse
perché anticamente ci faceva sentire più vicini alla Dea) in una vestaglia di
seta blu pavone, e mi accostai alla finestra. Era uno splendido mattino di
primavera, e il sole brillava alto nel cielo facendo presagire una giornata
luminosa e priva di nubi.
Sospirai, e mi costrinsi a
distendere i nervi; non c’era motivo di tutta quella tensione… Era stato solo un sogno, un brutto sogno.
Raggiunsi il bagno annesso alla
mia camera, e là mi guardai allo specchio; millecinquecentonovantasette anni
erano passati lasciandomi l’aspetto di una venticinquenne, e mi ero spesso
chiesta il perché. Certo, mio padre, Oisin MacCool, aveva vissuto per più di
due secoli prima di morire, per via del suo sangue fey; ma alla fine anche lui era morto, ed era morto di vecchiaia. Perché dunque io non
invecchiavo e non morivo? Sapevo di essere nata mortale perché questo era stato
il motivo per cui mia madre aveva dovuto abbandonarmi, appena nata, alla cure
di Dubhdara il Saggio, druido di Kilkenny. Un mortale, infatti, almeno
all’epoca, non poteva vivere fra gli immortali; era proibito. Quindi dovevo
aver acquisito l’immortalità in seguito, in un tempo successivo a quello della
mia nascita… Già, ma quando? Avevo cominciato ad accorgermi di questa cosa solo
dopo aver definitivamente abbandonato Faerie, e adesso non avevo nessuno a cui
chiedere spiegazioni… Tanto più che l’unico, probabilmente, in grado in
fornirmi il vero motivo era colui per via del quale avevo scelto l’esilio… Il
mio antico sposo, Kerak di Sangue e Fiamma, re dei Goblin.
Tolsi la vestaglia, mi raccolsi i
capelli in un chignon, ed entrai nella cabina della doccia; lasciai che l’acqua
mi accarezzasse dolcemente il corpo mentre rimuovevo il glamour, ovvero l’incantesimo di camuffamento che normalmente usavo
per rendermi più umana, permettendo così alla mia pelle sidhe di respirare, anche se per pochi minuti. Proprio mentre mi
rilassavo in questo modo, sentii un gran trambusto al piano di sotto della
vecchia fattoria fuori città in cui vivevo assieme a un’anziana domestica
polacca, Maria, e a un giardiniere con antenati Pixie, Seamus, oltre
che a una quantità non ben definita di animali: cani, gatti, conigli,
tartarughe e persino un cavallo di nome Finn. Dopotutto, ero stata una druida;
riuscivo a relazionarmi meglio con gli animali e le piante, che con le persone.
Allarmata, uscii velocemente
dalla doccia e mi avvolsi in un telo da bagno; poi andai fuori dalla stanza,
corsi in cima alle scale e da lì urlai: -Maria, che succede?-.
Nessuna risposta.
Cominciai a preoccuparmi.
Tonai frettolosamente in camera,
indossai un paio di shorts da ginnastica, una t-shirt e, completamente
dimentica di non aver ripristinato il glamour
sul mio corpo, afferrai la mia spada (che tenevo nascosta nel doppiofondo di un
baule per la biancheria ai piedi del letto) e tornai in cima alle scale,
cominciando a scenderle pian piano, senza far rumore, la schiena aderente al
muro, la spada dritta di fronte a me…
Mi pareva d’essere tornata indietro
di un migliaio d’anni, all’epoca delle Invasioni Vichinghe.
Arrivata all’ultimo gradino,
intravidi un’ombra che si muoveva nella mia direzione da dietro la rampa delle
scale.
Presi un bel respiro e, con un balzo veloce, scavalcai il corrimano e atterrai di fronte…
Presi un bel respiro e, con un balzo veloce, scavalcai il corrimano e atterrai di fronte…
… alla mia domestica, la quale
per lo spavento gridò, imprecando coloritamente nella sua lingua natale, e
buttò in aria il vassoio della colazione che atterrò sul pavimento in un
terribile fracasso di stoviglie rotte.
Maria si fece il Segno della
Croce e si gettò ai miei piedi singhiozzando disperatamente.
“Oh, Dea…” pensai. “Adesso sono
nella merda”.
Posai la spada e m’inginocchiai
accanto a lei, cercando di consolarla, ma lei si allontanò da me spaventata,
andando a rifugiarsi in un angolo.
-Lei b-brilla… Come angelo…- e si
fece nuovamente il Segno della Croce.
A quel punto fui io ad imprecare
coloritamente nella mia lingua natale, e proprio mentre menzionavo con poca
finezza certe parti di animale e certi dèi solo da me ricordati, sentii una
risata argentina alle mie spalle e un inaspettato, stordente, sensuale profumo
d’uva matura, completamente fuori stagione, che invase l’aria avvolgendosi
attorno a me come un velo irrorato d' essenze fruttate.
Deglutii, perché conoscevo bene
quell’aroma settembrino: era l’annunciatore di Sinead dagli Occhi di Sole, la
mia splendida, nobile ed immortale per
nascita sorellastra Seelie, una delle antiche dee del Raccolto.
Mi voltai con un groppo alla
gola, perché erano passati quasi quattrocento anni dall’ultima volta che
l’avevo vista e non riuscivo a immaginare cosa potesse esserci di tanto
importante da spingerla, all’improvviso, a lasciare il suo comodo posto di
principessa e cortigiana Seelie nell’accogliente America per venire a trovare me, la sorella semi-barbarica che aveva
sempre disprezzato, nell’ostile, insidiosa Europa, dalla quale era stata
bandita oltre tre secoli prima.