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Autore: DaisyCorbyn    04/11/2017    1 recensioni
[19 anni dopo] [Next generation]
Alwys ha passato i primi 11 anni della sua vita a nascondersi per la sua natura da lupo mannaro, fino a quando un giorno Ted Remus Lupin bussò alla sua porta per dirle di essere idonea per frequentare Hogwarts. Alwys così inizierà una nuova vita con i suoi amici Albus e Rose, nonostante una presenza oscura cercherà di impossessarsi del Mondo Magico.
Dal Capitolo 2:
«Mi chiamo Ted Remus Lupin, sono un professore della Scuola di magia e stregoneria di Hogwarts. Quando un bambino con poteri magici compie 11 anni, riceve una lettera dalla scuola per poter essere ammesso. Non sempre, però, il bambino ha i genitori anch’essi dei maghi e, quando ciò accade, viene inviato un professore per spiegare alla famiglia la situazione. Tu sei stata ritenuta idonea per frequentare Hogwarts e io sono il professore che risponderà a tutte le tue domande» finì con un sorriso e si sistemò l’impermeabile.
I genitori guardarono la figlia annuendo e sorrisero dolcemente come se stessero cercando di convincerla con lo sguardo.
«No» fu l’unica parola che Alwys disse dopo essersi ripresa dal quel fiume di informazioni.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Nuovo personaggio, Teddy Lupin
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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19
Ricordi di famiglia

 
 
«Hagrid ha detto che il Professor Draconem nasconde qualcosa nella foresta proibita» Albus sbatté entrambe le mani sul tavolo per attirare l’attenzione delle due ragazze.
«E quindi? Non possiamo andarci e di certo non possiamo seguirlo 24 ore su 24» controbatté Rose scocciata, riprendendo a leggere il libro che aveva in mano.
«Davvero pensi che non mi sia venuta un’idea?» chiese il cugino poggiando i pugni sui fianchi.
«Le tue idee sono pessime» snocciolò alzando di più il libro.
Albus sbuffò, prese la bacchetta e dopo aver recitato Wingardium Leviosa fece cadere il libro per terra. Rose scattò in piedi, ma il cugino alzò un dito per farle capire che di lì a poco avrebbe spiegato tutto.
«Dobbiamo usare la Mappa del Malandrino» spiegò lui con l’aria di uno che era cosciente della fantastica idea che aveva avuto.
Nello stesso momento in cui lo aveva detto James si era avvicinato a loro soffocandosi nella sua stessa saliva, Rose spalancò gli occhi e Alwys lo guardò perplessa.
«Perché non ci ho pensato prima?» Rose si diede una palmata sulla fronte dandosi mentalmente della stupida.
«È una mappa di Hogwarts che segna gli spostamenti di tutte le persone, così potremmo vedere cosa fa il professore durante la giornata» spiegò il ragazzino girandosi verso Alwys e battendo il pugno sul palmo della mano. «L’ultimo proprietario è…»
Tutti i loro occhi si incollarono a quelli di James che deglutì.
«Ho molto da fare ultimamente» disse cercando di essere il più convincente possibile.
«Tu hai sempre un sacco da fare» controbatté il fratello alzando gli occhi al cielo.
«Pronto? Devi semplicemente andare nel tuo dormitorio e prenderla» disse la rossa alzando il sopracciglio come se la reazione di James l’avesse insospettita. «Piuttosto è strano che questa idea non sia venuta a te.»
Il maggiore si allentò il colletto come se ad un tratto gli mancasse l’aria.
«Va bene, ci penso io» rispose facendo rilassare lo sguardo dei tre.
«Perfetto, allora ci vediamo sta sera dopo il coprifuoco davanti alla biblioteca.»
Alwys, Rose ed Albus si guardarono con uno strano luccichio negli occhi e misero una mano sopra l’altra.
«Decreto segreto!»
Quando si lasciarono, James incominciò a torturarsi le unghie all’idea di dover chiedere a Damien dove fosse la mappa: cosa avrebbe detto? Come avrebbe reagito? Sfortunatamente, però, non ebbe il tempo di trovare la soluzione a quelle domande perché si era presentato il momento perfetto: un’ora buca. Dopo averlo realizzato, prese un bel respiro e si incamminò verso la piccola casetta che passo dopo passo diventava sempre più grande, mentre dentro di sé cercava qualche spiegazione.
«Terra chiama Potter!» una mano mulatta davanti ai suoi occhi lo fece risvegliare dai suoi pensieri.
«Rou! Che c’è?»
Reouven Davies era un Corvonero come James, si erano conosciuti la prima volta che erano entrati nel treno per Hogwarts, poiché erano capitati nella stessa cabina, e da lì erano rimasti buoni amici, soprattutto perché erano capitati nella stessa Casa. Era molto più basso di James -anche se lui era più alto della media- pelle mulatta, occhi e capelli scuri e un naso sporgente: grazie ai suoi lineamenti delicati e ai suoi modi pacati, aveva un certo successo fra le ragazze.
«Dovrei chiederti io che c’è?» ripeté imitando il tono di James. «Oggi dovevamo studiare insieme Pozioni!»
Il Corvonero sgranò gli occhi facendo intuire la risposta all’amico.
«Ci metto un secondo, sarò subito da te.»
«Ma si può sapere che stai facendo di così importante? E soprattutto…» si girò verso le due casette che si vedevano in lontananza. «Perché stai andando dai custodi?»
James, dopo tutte quelle domande, voleva solo sotterrarsi poiché non trovava nemmeno una risposta convincente.
Pensa, James, pensa.
«Non lo so, è stato Hagrid a chiamarmi» spiegò distogliendo lo sguardo: una cosa che proprio non sapeva fare era mentire guardando negli occhi.
Fortunatamente Rou si limitò ad un sonoro sbuffo.
«Va bene, ma sappi che incomincerò a studiare senza di te, abbiamo un sacco di ingredienti da ricordare e la Lewis ci ha dato della teoria inutile per il potenziamento.»
James pregò mentalmente che la conversazione con Damien fosse veloce e indolore perché, all’udire tutte quelle cose, si ricordò anche del corso di potenziamento di Difesa Contro le Arti Oscure che aveva alle 18.
«Grazie Rou, ci vediamo dopo.»
I due amici si salutarono e James fece la strada il più lentamente possibile, per aspettare che l’amico tornasse dentro la scuola e non lo vedesse entrare dentro la casa di Damien. Arrivato davanti alla porta alzò il pugno in procinto di bussare.
«Ma cosa gli dico?»
Si portò la mano ai capelli sforzandosi di pensare a qualcosa di intelligente, ma in quel momento la sua mente era completamente vuota.
«Stai aspettando un invito scritto?»
Il Corvonero balzò all’indietro premendosi una mano sul cuore che aveva preso a battere all’impazzata per lo spavento: lentamente si girò incontrando due pozze blu che lo scrutavano infastidite. Come sempre.
«Scusami, io…»
Damien lo sorpassò, prese la bacchetta e con un colpo aprì la porta. James rimase fermo sulla soglia indeciso sul da farsi.
«Devo anche inviarti ad entrare?»
Il ragazzo scosse il capo ed entrò dentro il salotto, rimanendo poi fermo come una statua.
Damien non sembrava di buon umore: aveva la mascella contratta, lo sguardo basso e in mano un bicchiere pieno di un liquido marroncino con qualche cubetto di ghiaccio. Si buttò sul divano e malamente si tolse le scarpe per mettere le gambe sopra il tavolino da cui provenne un sinistro scricchiolio.
«Che vuoi?» disse dopo aver preso un sorso.
«Se non è un buon momento passo dopo» rispose il Corvonero la cui voce era diventata incredibilmente stridula.
«Non è costantemente un buon momento» snocciolò lui senza nemmeno guardarlo negli occhi. «Dimmi che vuoi così vai via.»
James si sentì come punto da uno scorpione, strinse nella mano la cravatta e si girò per uscire da quella casa: se Damien non era di buon umore era inutile anche solo provare a chiedergli della mappa. Ma, prima che James poté uscire, la serratura della porta scattò come se si fosse chiusa a chiave.
«James, ti prego, non ti ci mettere pure tu» disse Damien che si era coperto il viso con la mano aperta.
«Infatti me ne stavo andando.»
Il licantropo batté la bacchetta sulla poltroncina accanto al divano per fargli capire che doveva sedersi lì. Silenziosamente James andò dove gli era stato indicato e si sedette stringendo in grembo le mani.
«Dimmi.»
«Mi serve la Mappa del Malandrino» disse tutto d’un fiato.
Si morse il labbro perché non poteva vedere la sua reazione a causa della mano che gli copriva il viso.
Damien rise facendo trasalire il ragazzo.
«No.»
James avrebbe voluto tanto lanciargli una fattura in faccia ma, siccome ormai lo conosceva troppo bene, sorrise e prese un bel respiro.
«Ti prego, ne ho veramente bisogno» disse sforzandosi di mantenere la calma.
Damien girò il viso verso di lui alzando un sopracciglio ma, prima che poté rispondere con l’ennesimo “no”, qualcosa gli colpì la fronte facendolo imprecare. Prima che James potesse farsi mille domande, Damien si alzò con uno scatto e si avvicinò pericolosamente a lui intrappolandolo nella poltrona.
«Va bene, vieni con me.»
Damien uscì dalla casetta seguito da James e si incamminarono in silenzio lungo la collina. Il ragazzino preferì cogliere l’occasione senza protestare: lanciò un’occhiata verso la casetta come se si aspettasse di vedere un’ombra nascondersi. Ma non c’era nessuno.
Appena misero piede nel freddo marmo del corridoio abbandonando l’erba, il Corvonero si rese conto che molti studenti li guardavano bisbigliando. Istintivamente avvampò e si allontanò leggermente da Damien, come se fossero due semplici estranei che casualmente stavano andando verso lo stesso posto. Arrivati al settimo piano, completamente deserto, James si avvicinò a Damien che sembrava non essersi accorto di nulla. Fatto ciò che doveva fare, spuntò un portone ed il Corvonero ebbe un fremito di gioia che però si spense appena lo aprirono: al posto della stanza piena di aggeggi vi era una distesa di spighe secche e non curate, il cielo completamente grigio perché coperto da imponenti nuvole, e fra quell’erba incolta si innalzava una vecchia casa di legno che pendeva leggermente verso destra come se stesse per cadere a causa dell’eccessiva altezza. Il portone si chiuse con un tonfo e istintivamente James si aggrappò al cappotto di Damien, che era visibilmente preoccupato. Bacchetta alla mano e con decisione avanzarono verso la casa. Per aprire la porta bastò poggiarci sopra la mano, facendo notare ai due che non era chiusa a chiave. All’interno, ogni mobile era mal ridotto, anche le toppe che avrebbero dovuto coprire i buchi del piccolo divano erano scucite e pendevano verso il basso, la polvere si era impadronita di ogni cosa e un fastidioso odore di bruciato arrivò alle loro narici.
«Conosci questo posto?» il lupo scosse la testa continuando a guardare la stanza con la bocca schiusa. «Perché la stanza delle necessità ci ha condotto qui?»
«Non ne ho idea, io ho pensato alla mappa» spiegò gironzolando fra i mobili in cerca di ciò per cui erano lì. «Deve averci qualcosa a che fare.»
«Allora ci conviene cercare» rispose James stringendo di più la bacchetta. «Io vado di qua.»
«Non ti allontanare troppo, rimani nella mia visuale.»
Il ragazzo non badò molto a quelle parole, avanzò verso il salotto e si guardò intorno alla ricerca di qualche foto, ma tutte le cornici o erano rotte o vuote. Vide uno strano orologio, come quello a casa della nonna Molly, con molte lancette e al posto delle ore dei luoghi come «Scuola» o «Lavoro», solo che lì le lancette erano spezzate a metà e tutte puntavano su «Casa». Si avvicinò alla scala e salì il primo gradino facendolo scricchiolare come se il legno fosse marcio.
«Dove stai andando?» chiese Damien riaffiorando da quella che doveva essere la cucina.
«Di sopra?» rispose ironico James.
«Vengo con te.»
Salirono le scale che sembrarono infinite: ogni volta che si fermavano su un piano le porte erano bloccate e nemmeno i calci di Damien o gli incantesimi riuscirono ad aprirle. Damien cominciava a indispettirsi, si guardava intorno con le sopracciglia aggrottate e stava incollato a James che invece sembrava più incuriosito che spaventato. Arrivarono all’ultimo piano dove vi erano due stanze: una era bloccata come le altre, invece la serratura dell’altra scattò aprendosi. James avanzò per primo con la bacchetta prontamente alta davanti a sé e analizzò la stanza: era leggermente piccola e completamente vuota, ma vi erano i segni di alcuni mobili che erano stati lì e che dovevano essere stati tolti da poco, sembravano essere due letti, due comodini e un armadio molto ampio. Vi erano solo due piccole finestre che però bastavano ad illuminare tutta la camera. James si rilassò notando che non c’era nessuno e cercò di analizzare ogni piccolo particolare per capire se il fatto che fosse l’unica ad essersi aperta avesse a che fare con la mappa.
Ad un tratto, però, un rumore catturò l’attenzione dei due che si girarono verso la porta: Damien gli fece segno di stare in silenzio portandosi un dito alle labbra e avanzò con la bacchetta stretta nella mano. James era troppo lontano dalla porta e non poté evitarlo: appena Damien uscì dalla stanza, essa si chiuse con un tonfo facendo scattare la serratura come se si fosse chiusa a chiave. James si lanciò su di essa battendo i pugni e sentì che anche Damien lo stava facendo.
«Alohomora» disse il licantropo senza però ottenere risultati.
«Che succede?» chiese James come se stesse per avere un attacco di panico.
«Tranquillo, troverò un modo» disse Damien a denti stretti battendo il pugno sulla porta. «Non ti lascio lì.»
Era rimasto chiuso là dentro senza sapere il perché né chi fosse stato. Il panico incominciò a prendere possesso di lui e corse alla finestra per provare ad aprirla, ma fallì miseramente nell’intento. Il paesaggio non era cambiato, nemmeno la stanza aveva subito variazioni: chi era stato allora? Un fantasma? Un poltergeist? Sperò tanto che fosse l’ultima opzione, perché sapeva come scacciarli.
Un rumore attirò l’attenzione di James che si girò di scatto puntando la bacchetta contro l’artefice: due occhietti castani lo guardarono dolcemente.
«Cosa ci fai qui?» chiese il ragazzo senza però abbassare la bacchetta.
«Cosa ci fai tu qui?» controbatté l’uomo alzando gli angoli della bocca.
«Sto cercando la Mappa del Malandrino» spiegò non sciogliendo i tratti del viso tesi. «Tu non dovresti essere qui, dovresti essere a casa.»
L’uomo sorrise amaramente e lasciò vagare lo sguardo nella stanza: «Io sono a casa.»
James lo guardò confuso.
«Tu non eri nemmeno nato, quindi non conosci questo posto… io sono nato e cresciuto qui.»
Il ragazzo, però, non cambiò la sua espressione perché mille domande gli balenavano nella mente e ne pescò a caso una: «Perché sei qui?»
«Hai proprio gli occhi di tua madre» si avvicinò per accarezzare dolcemente la sua guancia ignorando la domanda. «Quanto mi manca.»
«Ma se vi sentite ogni giorno» James si allontanò leggermente: quella situazione era davvero strana «Zio George mi stai spaventando.»
Chi era in verità? Qualcuno gli stava facendo uno scherzo? Se fosse così, sarebbe davvero di cattivo gusto. L’uomo bloccò la sua mano e spalancò gli occhi, poi lentamente si girò verso destra. James sul momento non capì, poi spalancò la bocca e indicò lo zio col dito.
«Non è possibile.»
«Eppure eccomi qui» allargò le braccia come per sottolineare il concetto.
«Devo far venire Zio George qui, non hai idea di quanto sarebbe felice, potremmo venire a fare la cena di Natale qui e…»
James sorrise come un bambino a cui avevano appena regalato l’oggetto dei suoi sogni, ma Fred lo zittì mettendogli un dito sulle labbra.
«Nessuno deve sapere che sono qui.»
L’espressione del ragazzo si sciolse in puro dolore.
«Perché?»
«È complicato» snocciolò spostandosi verso la finestra per guardare la distesa di spighe che ondeggiavano pigramente.
«Rendilo semplice, allora» controbatté il ragazzino incrociando le braccia al petto.
Fred abbozzò un sorriso senza però staccare lo sguardo dalla finestra: «Non starò qui per sempre, solo fino a quando non avrò realizzato il mio proposito.»
«E quale sarebbe?»
«Non posso dirtelo» James storse il naso infastidito. «Però tu puoi aiutarmi… Facciamo così: tu risolvi un mio indovinello e io ti darò la Mappa del Malandrino.»
«Un indovinello?» chiese alzando un sopracciglio. «Ci sto.»
Fred lo guardò con aria di sufficienza come se la sicurezza di James gli rimembrasse dei ricordi.
«Ecco a te» una piccola pergamena si materializzò sul palmo aperto di Fred che la porse al nipote.
James la prese meravigliandosi del fatto che fosse tangibile e la aprì per leggerne il contenuto: storse il naso come se la sua speranza di riavere la mappa si fosse sciolta al sole. Fred sorrise soddisfatto e poi spostò di nuovo lo sguardo verso la finestra.
«Ci credi se ti dico che il tuo amico sta scalando la casa a mani nude?»
«Cosa?»
James corse alla finestra per guardare ciò che stava succedendo: Damien si stava arrampicando per arrivare, molto probabilmente, alla finestra dove si trovava James.
«È pazzo.»
«Ti sei trovato un bell’amico» controbatté Fred mettendosi a ridere «Ricorda» si avvicinò a lui toccandogli la punta del naso con il dito «Solo se lo risolverai potrai avere la Mappa del Malandrino.»
 
   
 
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