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Autore: Anil    04/11/2017    2 recensioni
Immaginavo che non mi avesse riconosciuto nello Shock della situazione, ma questo non mi ha liberato dalla violenta fitta allo stomaco che ho provato. Cosa credevo? Che sarei diventato il suo salvatore e che sarebbe corsa da me a ringraziarmi?
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Sana Kurata/Rossana Smith, Un po' tutti | Coppie: Sana/Akito
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Entro nella palestra e lo trovo ad allenarsi, la tuta che indossa gli lascia scoperto il petto e non posso che ammirare la sua bellezza. Chiariamo questo punto, è sempre stato un bel ragazzo, ma nelle sembianze di un uomo è come dire…imbarazzante. Non parlo solo dei muscoli asciutti e guizzanti, ma anche del viso. Quegli occhi ambrati che mi hanno sempre incantata ora sembrano ancora più magnetici. Mi chiedo quante donne siano rimaste incastrate fra quelle iridi. Troppe sicuramente, perché anche se ce ne fosse stata solo una (e dubito fortemente) per me è comunque troppo.
“Scusami” la voce di una ragazza mi riscuote totalmente dai miei pensieri. La guardo sicuramente con aria confusa perché mi specifica irritata che le sto ostruendo il passaggio. “Oh prego” le dico spostandomi per farla passare. Che tipa, di certo non l’ho fatto apposta! Guardo l’orologio: sono le 20.00. Avanzo con una punta di orgoglio per la mia puntualità, Akito mi nota e mi fa un cenno con la testa, spero che non si sia accorto del mio sguardo imbambolato di prima. Sferra un calcio talmente potente al sacco che quello si apre riversando sul pavimento un mare di sabbia.
Metto le mani sui fianchi assumendo un’area di rimprovero.
“Non si rompono le cose degli altri” sussurro e lui mi guarda con un ghigno. Mi costringe ad aiutarlo a sistemare il casino che ha fatto. Lo osservo di sottecchi mentre è chinato a raccogliere la sabbia con una paletta, un lento dejà vu si fa largo nella testa: sono tornata dal girare La Casa Nel Bosco ed un Akito più alto e mansueto mi aiuta a raccogliere l’acqua del vaso che ho rovesciato. Sorrido, il mio Akito probabilmente non esiste più, sì di questo almeno sono certa, un mio Akito è esistito, in quel tempo in cui dipendevamo l’uno dall’altra, in cui continuavamo a salvarci dai terribili problemi che ai normali ragazzi non accadono.
“Perché ridi Kurata?”
Gli faccio una linguaccia e lui straluna gli occhi irritato. Mi spinge sulla sabbia e cado come una pera cotta. Bene ora sono tutta sporca maledetto! Mio malgrado rido ancora, perché mi sento bene. Disegno un angelo di sabbia muovendo su e giù le braccia.
“Non abbassare la guardia Kurata e vai a farti una doccia negli spogliatoi, non puoi combattere così, e smettila con quelle braccia, stai lanciando sabbia ovunque” il suo tono non è arrabbiato, è piuttosto divertito anche se non sorride.
Mi alzo e corro a lavarmi. Mi faccio una doccia e come accade sempre quando sento scorrere l’acqua calda sulla pelle mi sento più lucida. Equilibrio. Se solo riuscissi a trovare un equilibrio fra il mio cuore e la mia testa potrei continuare a stare accanto ad Akito. Potrei persino diventare abbastanza forte da sopportare il fatto che non gli freghi niente di me. Sicuramente mi causerebbe dolore vederlo vivere una vita parallela alla mia. Devo solo decidere cosa sarebbe peggio: tornare a vivere senza vederlo mai più o vivere con lui nella mia vita, ma senza che sia mio. La prima l’ho già provata e devo dire che non ha sortito risultati apprezzabili, anzi proprio nessun risultato. Potrei anche tentare: ed equilibrio sia! Infondo, quante volte si può essere distrutti dalla stessa persona?
 
 
POV AKITO
 
Sana esce dagli spogliatoi con i capelli umidi raccolti scompostamente sulla testa. È tutta rossa per via dell’acqua calda e il naso le cola. Immagino quanto sarebbe bello vederla uscire dalla doccia in casa nostra e venire a sdraiarsi accanto a me con solo l’asciugamano addosso.
“Hayama che fai dormi?” mi chiede mettendosi sotto il mio mento per farsi sentire. Il profumo dei suoi capelli e del suo corpo si alza in volute sino al mio naso e mi sento stordito ed inebriato. Mi ci vuole parecchia forza di volontà per riuscire a concentrarmi. Alzo le mani, un angolino del mio cervello mi incita a toccarle il viso e invece le metto le mani attorno al collo stando attento a non ferirla. Con il pollice accarezzo il segno rosso che le è rimasto al centro della gola. La pelle è morbida e liscia proprio come la immaginavo. Sento il suo cuore che pulsa sempre più veloce, le guardo gli occhi per accertarmi che non abbia paura e mi maledico mille volte per averlo fatto. Perché mi guardi così adesso? Perché hai paura di me? Tolgo subito le mani.
“Scusa” mormoro “Non voglio farti del male”. C’è stato un tempo in cui abbracciarci e prenderci per mano per noi ha significato salvezza, e ora non c’è più alcun noi.
Lei in tutta risposta mi prende le mani e le rimette attorno al suo collo, c’è ancora qualcosa nei suoi occhi, paura e qualcos’altro che non riesco a cogliere. Il suo cuore batte ancora più forte contro i miei palmi. Kami, ti vorrei prendere qui e adesso, ma tu hai ancora paura di me.
“Se ti metto le mani al collo tu devi cercare di toglierle Kurata, siamo qui per questo” dico lentamente.
Sana mi sposta le mani verso il basso e fa un passo indietro, annuisco e le ordino di invertire i ruoli. Mi mette le piccole mani calde attorno alla gola e cerco di controllarmi in modo che non si accorga del mio stato pietoso. Fortunatamente per me sono sempre stato bravo a dissimulare le mie emozioni. Non che con lei sia difficile, tonta com’è.
“Non sei convincente Kurata, ho detto rabbia!” le urlo e lei stringe la presa, le mostro il movimento da fare per liberarsi e continuiamo a ripeterlo finché non mi sento soddisfatto, o meglio finché riesco a sopportare di toccarla.
Ci sediamo a terra per distendere i muscoli, come dopo ogni lezione. Adoro vederla rilassarsi accanto a me.
“Kurata c’è una cosa importante che devo sapere.”
Sana spalanca gli occhi e annuisce per farmi continuare.
“Ricordi qualcosa di quell’uomo? Io non sono riuscita a vederlo in faccia, forse tu…”
Gli occhi le si riempiono di lacrime, ma se li asciuga rapidamente, si alza in piedi e comincia ad infierire sul pungiball appeso sopra la sua testa. I suoi colpi sono precisi e abbastanza forti da far rimbalzare il pungiball. Ha fatto davvero tanti progressi.
Dopo qualche minuto torna a sedersi, scuote la testa in segno di diniego. Non riuscirò a trovarlo mai se lei non ricorderà qualche indizio.
“Mi dispiace” mormora “che tu mi abbia visto in quella circostanza.”
Sbuffo innervosito.
“Stai scherzando spero!” Il mio tono è un po’ troppo concitato, ma davvero non capisco come faccia a formulare simili assurdità.
Sana mi guarda e muove leggermente la testa per dire di no.
“Insomma, avrei voluto che ci fossimo rivisti in circostanze normali…”
Normali come, se mi hai evitato come la peste? Compleanni, fidanzamenti, festeggiamenti, tutti gli eventi dei nostri amici li hai evitati con stupide scuse per quattro lunghi anni!
Alzo il sopracciglio sinistro e assumo un’aria scettica.
“Normali tipo?” le chiedo.
E’ diventata tutta rossa capendo la piega che ha dato al discorso.
“Non importa” dico, non voglio che ci sia imbarazzo, e non voglio litigare: se non dovesse venire più al dojo potrei impazzire…
Sana fa un sonoro starnuto e subito si stringe la gola per arginare il dolore che le ha provocato alla ferita.
“Vai ad asciugarti i capelli stupida!” le urlo spingendola negli spogliatoi.
Sospiro rasserenato quando esce dagli spogliatoi completamente coperta da una larghissima felpa. Posa il borsone davanti a me e comincia a cercare qualcosa al suo interno.
“Siediti dai” mi dice facendo cenno con la mano.
Ora sono davvero curioso. Mi siedo ed attendo pazientemente che trovi qualcosa nel disordine che riesce a creare anche in una borsa. Finalmente cinque minuti – e parecchie imprecazioni- dopo tira fuori una scatola di plastica blu. Si accomoda a gambe incrociate davanti a me e spinge la scatolina davanti alle mie gambe.
“Cos’è Kurata?” chiedo sfiorando la scatolina.
“Un pensierino. Visto che non accetti di essere pagato, volevo ringraziarti così.”
Improvvisamente mi sento un undicenne a cui è stato regalato un dinosauro con una sciarpetta, il più bel regalo mai ricevuto. Calmati Akito, è un pensierino. Per ringraziarti, nulla di più. Apro la scatolina e dentro c’è del sushi. Si è ricordata che lo adoro. E adoro lei. E adorerei mangiarlo con lei, anzi, su di lei.
“Hai sorriso!” urla (un orribile suono gutturale) Sana. Effettivamente mi accorgo che le mie labbra si sono incurvate in un raro sorriso.
“Grazie” mormoro senza guardarla.
“Sai, non sapevo se il tuo preferito fosse ancora l’hosomaki così ho preso un po’ di tutto.”
Stavolta alzo gli occhi su di lei, è protesa verso di me come una bambina che aspetti di essere apprezzata per una buona azione. Non so se essere felice del suo gesto o lasciare che il dolore che sento nello stomaco si irradi a tutto il resto del corpo. Quella fottuta paura di perderla ancora. “Si è ancora il mio preferito.”
“Mangia dai!” mi incoraggia.
“Solo se mangi anche tu!”
“E va bene, ne prendo solo uno.” Quando si tratta di cibo non ci vuole molto a convincerla, è proprio lei. La mia Sana.
“Fai solldend ancofa!” dice Sana con la bocca piena di sushi.
“Non si parla con la bocca piena!” Le premo le mani sulle guance e per poco non mi sputa addosso tutto il cibo. Ingoia e comincia a ridere come una matta, la testa all’indietro e le guance arrossate. Bella. Da. Morire.
Mio malgrado si alza per andare via. Mi sorride e mi lascia con il mio sushi, che ora non mi sembra più tanto invitante.
 
 
 
 
 

“Oggi lavoriamo sulle leve articolari” le annuncio, so già che sarà un suicidio per me, ma a lei tutto questo serve davvero.
“Cosa?” mi chiede, la voce è migliorata ma è ancora molto bassa.
“Non ti sento se sei così lontana Kurata.” Mi si avvicina gonfiando le guance e pestando i piedi.
“Cosa sono le leve auricolari?”
Le do un buffetto sulla testa e incastrando la mia gamba dietro la sua la spingo per terra, accompagnando la sua caduta con l’altro braccio per evitare che si faccia male. Con l’altra mano fingo di darle un pugno sul naso.
“Questa è una leva ARTICOLARE Kurata” indugio qualche secondo prima di aiutala ad alzarsi beandomi del contatto con il suo corpo.
“Bene, allora metti la tua gamba qui, dietro la mia e spingimi all’indietro” Sana incastra la gamba come le ho detto. La sua piccola mano al centro del mio petto mi spinge blandamente.
“Mettici grinta Kurata, hai la forza di un moscerino.” Mi spinge più forte, mi lascio cadere e lei mi dà un pugno leggero sulla bocca. Sono tentato di baciarle la mano, e invece la spingo via.
“Kurata devi farmi del male o non ci siamo proprio.”
“In che senso?” mi sussurra.
“Cerca di farmi male, male fisico, altrimenti non funziona” ripeto.
Sana cerca di farmi cadere, ma stavolta non la lascio fare. Le prendo il polso e lo giro in modo che tutto il braccio sia dietro la sua schiena “vedi cosa succede ad essere rammolliti?” le dico.
Sana mi sferra una gomitata nella costola, niente che possa ferirmi, ma sono contento che abbia capito lo spirito. La lascio andare.
“Bene riprova, rammollita.” Sana si avventa su di me cercando di farmi cadere con tanta foga che cadiamo davvero. Me la ritrovo addosso, la sposto veloce e la incastro sotto di me. I suoi polsi sono imprigionati nella mia mano.
Sono dieci maledetti anni che sogno di averla così sotto di me e mai, neanche per un istante, ho pensato che trattenersi dal baciarla potesse essere così difficile. O meglio, non ho mai pensato che fosse necessario trattenermi. Sento con precisione i suoi fianchi stretti fra le mie ginocchia, le sue cosce contro i miei polpacci, i suoi seni appoggiati al petto. Le guardo la bocca socchiusa, da quando sono così dannatamente piene quelle labbra? La lascio andare e mi alzo.  
 
SANA
Diamine Akito allora tu vuoi proprio uccidermi! Tutti quei muscoli devono essere illegali in qualche parte del mondo. La tuta aperta mi lascia vedere il petto e tutti gli addominali mentre è chino su di me e mi intrappola i polsi con una mano. Ha piazzato l’altra mano vicino al mio viso per appoggiarsi senza cadermi addosso. Con tutti i sogni che ho fatto su di lui credevo di sapere come mi sarei sentita ad averlo così sopra di me, ma mi sbagliavo. Non ho mai provato questa scossa lungo la schiena e nemmeno questo formicolio al basso ventre. Alzo gli occhi e…
…Akito mi stava guardando le labbra, è stato un attimo, ma l’ho visto. Se n’è accorto anche il mio stomaco, perché è pieno di farfalle. Si alza velocemente e mi alzo anche io, ha un ghigno sulla faccia.
“Però Kurata, devo dire che hai delle belle labbra, ammettilo hai fatto il botulino!” mi dice beffardo.
“Sei un cretino!” gli dico con quanta voce ho, il che equivale a poco più che un sussurro. È proprio un idiota.
“Ammettilo forza, non avevi due canotti l’ultima volta che ti ho vista, e forse hai fatto anche qualcosa qui” dice mimando la forma del seno e lanciando un’occhiata eloquente nella mia canotta.
“Sono naturali, idiota” gli dico mollandogli una ginocchiata all’inguine, ovviamente la para con facilità. Prima o poi riuscirò a colpirti stai certo Hayama.
Sta ancora ghignando divertito “forza Kurata, riprendi ad allenarti.” Però quanto adoro quando solleva l’angolo della bocca in quel modo!
Non è per niente facile continuare la lezione con lui dopo quel siparietto, mi ha insultato è vero, ma quelle sensazioni che ho provato mi hanno fatto uscire letteralmente di testa. Ogni suo tocco adesso è una scarica elettrica sulla mia pelle.
A fine lezione ci sediamo accanto sul tappetino, come ogni sera. Ed è la parte che adoro di più, è il nostro piccolo momento da (quasi) amici.
“Hayama?”
“Mhm?”
“Sono contenta che tu abbia realizzato il tuo sogno con il karate” lui mi incatena a sé con il suo sguardo, apre la bocca e la richiude. “Già” dice infine distogliendo lo sguardo e mi accorgo di avevo trattenuto il respiro. Espiro piano per non farmi sentire. Akito spinge la tuta all’indietro, lasciando scoperto tutto il busto.
“Ehi che fai?!” chiedo fingendomi contrariata. La verità è che muoio dalla voglia di toccarlo.
“Ho caldo Kurata, hai problemi?” Sapessi il caldo che ho io Hayama!
Prima che possa dar voce ad una qualche risposta pungente, vedo la cicatrice che quasi lo ha ucciso. Mi accorgo che la mia mano la sta accarezzando solo quando lui me la tocca, fermandola sotto la sua.
Ci stiamo guardando negli occhi e credo che potrei morire asfissiata perché i polmoni non si decidono a prendere aria.
“Se vuoi ho anche altre cicatrici” dice spezzando la tensione.
“No grazie” scoppio a ridere e mi allontano da lui sperando che non si sia accorto di quanto tremassero le mie mani.
“Ah Kurata, domani ho una lezione extra, vieni alle 21.00” dice prima che vada via. 
   
 
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