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Autore: _Venise_    05/11/2017    0 recensioni
Le cose sono cambiate, ma è difficile accettarlo. Lo è sempre. Parte tutto con un incontro, surreale ,tanto che il primo pensiero che si ha è: "non può essere proprio lui..." Eppure...
Questa breve storia è partita da una frase molto semplice.
Spero possa essere di gradimento!
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non è possibile... Non può essere lui...Eppure...Stringo le mani al mio ombrello e faccio un ulteriore passo. La pioggia cade velocemente intorno,piccole gocce s'infrangono sulla tela colorata e scivolano giù, a terra. Avanzo a testa bassa,nella vana speranza che non mi noti,sento il cuore in gola e l'aria sembra ad un tratto pesante;nonostante la pioggia fresca. Pian piano mi avvicino,alzo lo sguardo per un secondo,lui è ancora lì,sempre sotto il lampione che insieme ad altri illuminano a trti regolari la strada. In un momento gli sono affianco,deglutisco e lo fisso con la coda dell'occhio. Il colletto del trench coat è alzato a coprirgli il viso che tiene rivolto verso terra,le mani nascoste nelle tasche,i suoi capelli biondi sono zuppi d'acqua e hanno perso la loro forma di riccioli. Mi mordo le labbra e aumento il ritmo dei miei passi,senza voltarmi verso di lui,indietro. Non mi ha rivolto parola o gesto. Svolto velocemente verso sinistra e ancora su,finché non mi trovo davanti al cancello leggermente arrugginito di casa. Cerco di tenere in equilibrio l'ombrello fra il mio corpo e il mio braccio,mentre cerco freneticamente le chiavi nelle tasche;quasi trattengo il respiro,le mie orecchio sono tese per captare eventuali passi. Trovo le chiavi e le infilo nella serratura,in pochi istanti sono in casa. Appena mi chiudo la porta alle spalle esalo un sospiro di sollievo e mi appoggo al legno della porta. Mi accorgo di aver portarto in casa l'ombrello,che ora sta sgocciolando sul pavimento,scuoto la testa rimproverandomi mentalmente e lo porto in bagno posandolo in un sacchettino,non uscirò per rimetterlo a posto. Mi tolgo l'impermeabile e lo appoggio alla lavatrice. Apro l'acqua del lavandino e la lascio scorrere, guardandomi allo specchio vedo le occhiaie che circondano i miei occhi azzurri,visibilmente stanchi e gonfi. Sospiro. Riempito le mani,unite a conca,con l'acqua e mi risciacquo il viso. Salgo al primo piano,tenendomi accuratamente lontano dalle finestre,non voglio sapere se è ancora lì o meno. Mi spoglio e lasciando i vestiti a terra mi infilo nel letto, coprendomi con il piumone. Ora mi sento al sicuro sotto la pesante coperta,tanto che il pensiero di Percival sotto la fioca luce del lampione mi sembra lontano,una fantasia. Raggomitolo il mio corpo,penso che tenendomi stretto nulla potrà farmi male,proprio la stessa familiare sensazione che fino a pochi mesi fa mi accompagnava nel sonno. Chiudo gli occhi ed incredibilmente mi addormento. Nel sonno lo rivedo; sono in strada,lui è ancora lì sotto il lampione,quando gli passo vicino alza la testa di scatto,vedo nei suoi occhi spalancati il suo riflesso, con un gesto veloce mi afferra il braccio stringendolo con forza e in un momento mi sveglio,balzando a sedere. Ho il fiato corto e le coperte umide di sudore. Sospiro,spostandomi al bordo del letto per alzarmi;dalle finestre entra una luce fioca che rischiara la stanza a malapena. Almeno è mattina,ho dormito tutta la notte. Mi tiro in piedi e vado in bagno,mi preparo per poi andare in cucina. Ho lo stomaco chiuso,ma mi costringo a bere almeno un caffè e a sgranocchiare un biscotto. Una volta finito recupero quello che mi serve per uscire,mi metto il cappotto leggero della sera prima ed esco. Attraverso la strada dove l'ho visto quasi correndo,tengo gli occhi fissi davanti a me,l'ansia sta crescendo... Arrivo al parcheggio dove ho lasciato la mia vecchia Panda; apro ed entro,buttando la valigetta sui sedili posteriori. Sto un poco meglio. Metto in moto e m'immetto nel traffico,dirigendomi in stazione dove prenderò il treno. Come ogni mattina mi siedo nel mio posticino al piano superiore della penultima carrozza. Appoggio la testa al finestrino e guarda fuori,il paesaggio scorre veloce illuminato dai pochi raggi di sole che filtrano dalle nuvole che occupano il cielo. Ci fermiamo alla prossima stazione e le persone iniziano a salire; mentre passano tra i corridoi in fila lo rivedo,è dietro ad una donna di mezz'età che sta parlando al telefono. Lui sta procedendo velocemente,guardandosi in giro,i suoi riccioli ondeggiano quando volta il capo. In un momento mi supera,mi sporgo oltre il sedile per cercarlo con lo sguardo,ma qualcuno si scontra con me,alzo lo sguardo e sussurro frettolosamente uno "scusi",ormai l'ho perso. Ritorno a sedermi in modo composto sugli squallidi sedili blu. Ancora una volta,non può essere lui. Chiudo gli occhi e in un secondo vedo i suoi,di un marrone chiaro,ambrato; lo vedo sorridere,da quelle labbra nasce una risata,tutto il viso segue quel movimento: le guance vengono spinte verso l'alto,il naso ricoperto da lentiggini si arriccia appena e vicini ai suoi occhi appaiono piccole rughe. Riapro gli occhi. Voglio rivederlo,mi devo alzare per cercarlo! Eppure non riesco a muovere un muscolo,è come se il mio corpo fosse congelato,trovo solo la forza per stringere forte i pugni. Arriva la mia fermata e a quel punto scendo le scale,poi scendo dal treno e con mille pensieri per la testa mi dirigo mecccanicamente in ufficio. Mi siedo alla mia scrivania ed inizio a lavorare,lavoro senza sosta;lavorare tiene occupati i miei pensieri e la mia attenzione è tutta rivolta al monitor. "Ehi,è ora di pranzo,fai una pausa" a parlarmi è stata una mia collega,Acacia. Un metro e cinquantotto di pura esuberanza,coronato da una chioma mora. "Allora!?" mi incalza "Su,staccati! Andiamo in mensa" sospiro e mi allontano dalla mia postazione;lei mi è davanti e sta parlando di qualcosa che non ho ben capito. Capisco bene le occhiate fugaci che gli altri colleghi si scambiano,sento anche i loro commenti... "Non vorrei essere nella sua situazione...","Dev'essere così difficile". Mi sento tirare per un lembo della camicia,è Acacia che quasi mi trascina "forza,muoversi" dice. Cerca di nasconderlo ma vedo il suo sguardo compassionevole,prova pena per me. Arrrivati nella sala ci sediamo ad un tavolo e pranziamo. Lei inizia a parlare e parola dopo parola mi perdo nuovamente nei miei pensieri... Il ragazzo che ho visto non poteva essere Percival...Eppure aveva tutto di lui: il viso,i capelli,il portamento... "Quindi? Mi hai capita?" la donna mora davanti a me mi guarda,io sbatto le palpebre un paio di volte "Eh...Scusa..." scuote la testa e sospirando mette una mano sulla mia "Ti devi far aiutare...E' una cosa complicata.." la interrompo subito "Sì,grazie Acacia" abbozzo un sorriso. Mi fa piacere che si preoccupi per me,ma non è un problema. Non è un problema. Mi alzo e salgo in ufficio. Il monitor è ancora acceso,mentre prendo posto sento gli impiegati vociare. Inspiro profondamente,va tutto bene,smetteranno. Le voci diventano velocemente tutto quello che sento,non seguo più le parole scritte al computer. Prendo il mio viso fra le mani. Lui non mi ha abbandonato,l'ho visto: era in strada,sul treno e prima di questi giorni era in mezzo alla folla,ancora e ancora. Era Percival. Le voci diventano sempre più forti,arrivano ad assordarmi. Stringo forte gli occhi,mordendomi le labbra,qualcuno mi sta parlando,sento la voce più vicina. Non riesco a concentrarmi su nulla se non sui pensieri che mi vorticano nella mente,veloci,uno dietro all'altro,si sovrappongono. All'improvviso qualcosa si posa sulla mia spalla. Mi alzo di scatto e non capisco cosa sia successo,vedo la mia sedia a terra,Acacia mi è davanti,una mano ancora porotesa verso di me,immobile. Ora è calato il silenzio. Sulle mie guance sento scorrere delle lacrime. In un secondo afferro le mie cose,mi fiondo in segreteria e prendo il resto del giorno libero. Acacia deve aver ragione... Recupero dal portafogli il bigliettino che mi avevano dato all'ospedale quel giorno. Lo guardo senza dire una parola. Mi serve aiuto... E' passato del tempo e ora sono davanti a quel marmo freddo,inginocchiandomi lascio i fiori sulla lastra, guardo i crisantemi e mi perdo nei loro mille petali,ripensando ai mesi passati. La voce di Acacia mi riporta alla realtà,ancora una volta. E' una buona amica. "Andiamo,Lawrence..." la sua voce è un sussurro,io annuisco leggermente e mi alzo. La ragazza si è incamminata verso l'uscita,io rivolgo un'ultima occhiata alla lapide che riporta il nome di Percival. Le pareti della stanza dello psicologo sono dipinte con un giallo tenue e solitamente il muro è ciò che guardo mentre parlo. L'uomo è davanti a me "Allora,come ti senti oggi? Cose ne pensi dei mesi in cui sei venuto qui?" mi stringo nelle spalle "Sto meglio..." ho sentito a malapena la mia stessa voce. Cosa ne penso di questi mesi? Non ne sono sicuro. E' stato difficile anche solo comprendere che probabilmente tutte quelle volte in cui ho visto Percival,lui non era davvero lì. Forse,mi ha detto,era solo un meccanismo per far fronte al lutto. Non è raro,ha aggiunto. Sospiro,una cosa so che è reale: la solitudine che mi ha lasciato.
  
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