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Autore: Sunako_7    06/11/2017    3 recensioni
Una raccolta di flash-fic e one-shot per raccontare momenti, avventure e problemi di questi due giovani ragazzi alle prese con una relazione a distanza. KuroTsukki
#1 - One touch: perché saper murare è un'arte
#2 - Our hands (1): le mani sono importanti
#3 - Our hands (2)
#4 - Our hands (3)
#5 - I think what you think: non siamo poi così lontani
#6 - Our hands (4)
#7 - Non importa quanto sono lunghe le tue gambe, se scappi io ti seguirò
#8 - Just this time
#9 - On my own
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kei Tsukishima, Tetsurou Kuroo
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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vittoria

I think what you think

 

 

 

Tsukishima era esausto in ogni senso possibile.
Appena rincasato aveva parlato brevemente con la madre, per poi lasciare ad Akiteru il compito di raccontarle nei particolari la partita con la Shiratorizawa, visto che era andato a vederla nonostante il suo divieto.
Salì le scale lentamente, pensando di saltare la cena e rotolare direttamente tra le coperte per almeno dieci ore non-stop di sonno, d’altronde non era mai stato un amante sfegatato del cibo, molto meglio dormire. Posò il borsone vicino la scrivania e si andò a sedere nel suo punto preferito della stanza: a terra, sul cuscino morbido, poggiando la schiena contro il letto.
Forse era a causa dell’altezza, o forse non c’era davvero un motivo particolare, ma in quella posizione stava comodissimo: le gambe allungate davanti a sé o a volte ripiegate, la schiena contro qualcosa di solido e la nuca poggiata sul materasso.
Si tolse gli occhiali e sospirò mentre si stropicciava le palpebre. Nonostante la stanchezza non sarebbe mai riuscito ad addormentarsi subito, aveva ancora troppa adrenalina in corpo e non ci era proprio abituato. Nella mente continuavano a scorrere fotogrammi sparsi della finale contro la Shiratorizawa, i festeggiamenti coi compagni, il tifo con cui erano stati accolti a scuola e, non da ultimo, c’era il dolore sordo alle dita fasciate a ricordargli che non era stato tutto un sogno.
Nonostante ogni pronostico fosse stato contro di loro, quando persino la sua mente logica catalogava la loro vittoria sotto la voce di improbabile e  miracolo, la Karasuno si era presa con la forza la finale e il diritto di accedere alle nazionali. La fame e il gioco di squadra dei corvi erano stati più potente di qualsiasi altra cosa.
Sentì il cellulare vibrare nella tasca della felpa per l’ennesima volta di quella giornata, ma solo ora, nella solitudine della sua stanza, si concesse di rispondere alla chiamata senza nemmeno leggere il nome sul display,
sicuro che solo una persona potesse cercarlo con tutta quell’insistenza.

“Tsuuuukkiiiiiii!!! Finalmente mi rispondi!”
Ecco, l’urlo eccitato di Kuroo gli aveva trapanato un timpano. Sospirò prima di replicare col suo tono invece pacato, persino un filo irritato:
“Smettila di strillare o ti chiudo il telefono in faccia.”

“Eeehh, sempre apatico come al solito?” sbuffò il capitano e Tsukishima si immaginò alla perfezione la sua faccia delusa, ma non rispose perché l’altro continuò “Dopo averti visto esultare in quel modo, festeggiare coi tuoi compagni e tutto il resto, pensavo di trovarti almeno un po’ entusiasta, o hai forse esaurito le energie?”
“Ah? – borbottò Kei, aggrottando la fronte – E dove mi avresti visto?”
Kuroo non rispose subito e lui se lo vide, con quel mezzo sorriso che si allargava e le spalle che si facevano più dritte in un moto di orgoglio.

“In televisione ovviamente” sparò con la voce altisonante, sicura, di chi stava facendo una mega rivelazione in grado di mettere al tappeto chiunque.
“Non dire stupidaggini, la partita era trasmessa solo sulla tv locale e poi a quell’ora eri a scuola” replicò Tsukishima, affatto impressionato.
Il silenzio che udì dall’altra parte del telefono gli fece capire di averci azzeccato in pieno. Si poggiò una mano contro la fronte e si chiese cosa diavolo ci fosse che non andava in lui; qualcosa doveva esserci, o non si spiegava come potesse provare tutto quell’interesse verso Kuroo. Non era la prima volta che se lo domandava e, come tutte le altre, anche stavolta non gli arrivò nessuna risposta dalla sua mente logica e geniale, in grado di farlo brillare tanto a scuola quanto sul campo.

“Beh, era lo schermo di un tablet, vale lo stesso? – ridacchiò Tetsurou – Ho visto la partita in streaming sul sito della tv locale e sì, ero a scuola. Però con una scusa ho passato la mattinata in infermeria, così ho potuto vedere tutto il match. Siete stati grandiosi, siete passati alle nazionali e così ci potremo finalmente affrontare ufficialmente!”
Tsukishima rimase interdetto qualche istante, cosa che gli accadeva fin troppo spesso con Kuroo e a cui non riusciva ancora ad abituarsi, perché solitamente era lui a lasciare gli altri senza parole. Però l’idea che il ragazzo avesse saltato le lezioni e unicamente per guardare la partita, per guardare lui, non lo lasciava indifferente come sarebbe piaciuto al suo animo razionale e votato alla placidità.
“Tch… dovrete prima passare le selezioni anche voi, non correre con la fantasia” lo punzecchiò.
Kuroo fece una risata profonda, dicendosi certo che quella primavera ci sarebbe stata la mitica battaglia dei cassonetti dopo tanti anni, e Tsukishima gli rispose a tono.
Presero poi a parlare della partita più nei dettagli, dei punti di forza e degli sbagli di entrambe le squadre e, alla fine, il capitano della Nekoma concluse dicendo che ovviamente lui avrebbe murato Ushijima molto meglio. Kei sbuffò soltanto, perché non poteva negare quell’affermazione: aveva ancora moltissimo da imparare e, in fondo, tutto quello che sapeva sui muri glielo aveva insegnato proprio Kuroo. Era un gattaccio irritante che lo faceva esasperare, facendogli mettere in questione tutte le sue certezze, ma sotto rete sapeva il fatto suo e per questo lo ammirava.
Rimasero quindi in silenzio e il primo a riprendere la parola fu Tetsurou, con voce più calma di quando era preso a discutere del match.

“Sei a casa?”
“Sì, sono in camera mia.”
“Bene.”
 Tsukishima rimase perplesso, ma non gli domandò che intendesse con quel bene e subito dopo lo sentì continuare. “Sei seduto sul cuscino, con la schiena contro il letto e la nuca poggiata sul materasso, vero?”
Kei trasalì e alzò di scatto la testa, guardandosi attorno, quasi aspettandosi di trovarlo acquattato in un angolo, ma la stanza era vuota, non c’era nessuno oltre lui. Aprì la bocca per parlare, ma la richiuse di scatto un istante dopo, capendo da solo come l’altro avesse fatto a indovinare.
Kuroo era un attento osservatore, non mancava mai di notare ogni dettaglio, tanto in campo quanto al di fuori. Gli era bastato entrare nella sua camera e averlo visto in quella posizione un’unica volta, per capire che era la sua preferita.
Forse Tsukishima gliene aveva addirittura parlato durante una delle loro telefonate serali, quando ogni tanto la lingua si lasciava sfuggire qualche rivelazione un po’ più azzardata. In quei giorni in cui lo scambio di messaggi pareva non bastare, nelle sere in cui un sottile filo di malinconia li avvolgeva, sentire la voce dell’altro pareva alleviare il peso che gravava sul petto, per farli illudere che, se era così facile sentire la voce dell’altro, allora anche vedersi non poteva essere tanto difficile. Un’illusione, una stupida presa in giro, eppure a volte persino il calcolatore e razionale centrale della Karasuno ne avvertiva il bisogno.
Non si erano mai confessati quella debolezza reciproca ad alta voce, nemmeno Kuroo che era quello con meno inibizioni lo aveva fatto. Forse non ne avevano nemmeno bisogno perché, esattamente come in campo, anche al di fuori parevano essere sulla stessa lunghezza d’onda a dispetto dei caratteri profondamente diversi; provavano gli stessi sentimenti, covavano gli stessi desideri. Tsukishima era certo che adesso Tetsurou stesse con gli occhi chiusi tentando di immaginarlo, per sentirlo più vicino, come se fosse stato lì al suo fianco e decise di fare lo stesso.
Abbassò le palpebre, gli occhiali ancora abbandonati sul pavimento, e pensò ai suoi capelli neri, ribelli, alla bocca sempre tesa in un ghigno sardonico, ma capace anche di addolcirsi in forme più morbide e affettuose. Gli occhi erano strani, penetranti, color nocciola ma screziati di pagliuzze dorate e verdi, a volte sembravano duri come pietre, quasi a voler ricordare che il capitano della Nekoma non era solo battutine e sorrisi, c’era molto di più in lui. Questo ormai Tsukishima lo aveva imparato piuttosto bene, c’era un mondo intero nascosto dietro a quello sguardo e lui aveva appena iniziato a esplorarlo.
“Tu sei seduto sul letto invece, poggiato al muro ma col cuscino dietro la schiena” disse infine, dopo quel viaggio nella propria mente; la sua non era una domanda, bensì una certezza.
Sentì Kuroo ridere e visualizzò anche il modo che aveva di storcere le labbra o come si animavano i suoi occhi in quei frangenti e si sentì irritato, perché quel giorno lui, a differenza sua, aveva potuto vederlo anche se solo da uno schermo.

“Hai indovinato Tsukki, quando ci vediamo ti darò un premio – rise ancora un istante, poi si fece più serio – Come stanno le tue dita?”
“Niente di grave, un paio di giorni di riposo e il mignolo mi tornerà a posto” affermò Tsukishima con un mezzo sorriso sul viso. Immaginava che volesse fargli quella domanda fin dall’inizio, ma avesse aspettato per tentare di non fargli capire la sua preoccupazione, come se non fosse stata evidente nella sua voce.
Missione fallita, stupido gatto.

“Bene, mi fa piacere, devi essere in forma per il nostro scontro” rispose Kuroo con tono più leggero, ma non riuscì a mantenerlo e tornò serio “Sai… in realtà ero preoccupato, sul serio. All’inizio per la gravità dell’infortunio, alla tv non dicevano nulla, ma poi mi sono calmato e mi sono detto che stavi bene. Però devo confessarti che hai quasi rischiato di trovarmi all’uscita del palazzetto – fece una risatina nervosa – Dopo, mentre ancora non tornavi in campo, ho iniziato a pensare e a temere che il tuo amore per la pallavolo sarebbe morto velocemente come era nato. Ti ho visto quando hai murato quella schiacciata di Ushijima, il modo in cui hai esultato; hai persino urlato, proprio tu. Hai sperimentato finalmente quello di cui ti aveva parlato Bokuto, e hai continuato a giocare con uno spirito diverso per tutta la partita. Era impossibile staccarti gli occhi di dosso, eri fantastico… bellissimo, e ho avuto paura che l’infortunio ti avrebbe fatto cambiare di nuovo idea, ma sono stato uno stupido. Appena ti ho visto rientrare in campo, ho capito quanto fossi stato scemo a riporre così poca fiducia nel tuo amore per la pallavolo o nella tua tenacia. Ti voglio vedere così dal vivo, Tsukki, voglio vedere i tuoi occhi infiammarsi e guardarti saltare con tutte le tue energie, voglio che mi guardi a quel modo, voglio… ti voglio…”
La sua voce già bassa si perse in un mormorio indistinguibile e Tsukishima non gli domandò di ripetere le ultime parole. Respirava velocemente, il battito era un po’ accelerato e non poté nemmeno fare a meno di coprirsi la faccia con la mano libera perché, davvero, come avrebbe dovuto ribattere a quel discorso sconcertante?
“Hai ragione: sei uno stupido – borbottò, stette in silenzio qualche attimo poi aggiunse – non ho alcuna intenzione di perdere, hai capito?”
Perdere faceva schifo e, anche se era consapevole di avere ancora molto da imparare, voleva fare del suo meglio per non sentirsi più impotente o schiacciato dalla potenza di qualcun altro, quel giorno con Ushijima era stato solo l’inizio. Nemmeno fuori dal campo di pallavolo voleva perdere e sperava che Kuroo riuscisse a capire quel sottinteso, perché non sarebbe mai riuscito a dirglielo chiaramente. Intuì il sorriso nelle sue parole quando gli rispose e si sentì sollevato, ma anche un po’ sciocco: in fondo erano sulla stessa lunghezza d’onda, uno pensava ciò che pensava l’altro, era impossibile che una dichiarazione tanto importante andasse persa. Era difficile abituarsi a una simile consapevolezza, una di quelle con la potenza di un terremoto, in grado di scardinare una vita nelle sue fondamenta.

“Bene, nemmeno io ho intenzione di perdere…in niente” affermò Tetsurou per poi rimanere in silenzio, lasciando che quelle parole si depositassero su di loro come polvere antica, impossibile da eliminare. Potevano sentire il respiro dell’altro, di quella bocca così vicina al telefono, ma lontana centinaia di chilometri, eppure non importava davvero, non quando le loro menti erano tanto in sintonia.
Passò qualche altro istante in quel silenzio denso, troppo pieno di parole non dette, il tempo necessario per assorbirle prima che all’improvviso Kuroo riprendesse a parlare. Stavolta però tutta la serietà di prima era stata accantonata, probabilmente per quando sarebbero stati assieme, e Kei se lo immaginò sorridente, scanzonato, con quel ghigno storto che solo lui sembrava in grado di fare.
Piuttosto… lo sai che mi sono eccitato vedendoti giocare a quel modo? Spero di non avere problemi quando ci scontreremo in campo.”
Tsukishima arrossì e tossicchiò per mascherare l’imbarazzo, sperando di aver udito male, ma mentre parlava sapeva già di aver sentito benissimo.
“Tu cosa?” chiese con voce glaciale, che però parve non scoraggiare minimamente Kuroo. Il ragazzo infatti scoppiò a ridere, ovviamente ignorando il ghiaccio sottile su cui stava camminando:

“Mi sono eccitato Tsukki – strascicò il suo nomignolo come sempre – mi è venuto duro e per fortuna l’infermeria era vuota così me ne sono potuto occupare. Sai, ho…”
Tsukishima non voleva sapere cos’altro avesse fatto Kuroo col suo problema in mezzo alle gambe e chiuse la chiamata. Posò il cellulare a terra, vicino agli occhiali, e sospirò profondamente, ma stavolta non per la stanchezza. Tra poco si sarebbe alzato e si sarebbe messo tra le coperte, magari si sarebbe occupato a sua volta del problema che stava nascendo tra le sue di gambe.
Perché se Tetsurou si era eccitato vedendolo giocare, a lui aveva fatto effetto sentirsi dire una cosa simile. Si portò una mano sulla faccia, stropicciandosela, non capendo se essere felice o meno di trovarsi così tanto sulla stessa lunghezza d’onda con Kuroo.
Il cellulare prese a squillare, ma lui lo ignorò. Lo avrebbe fatto stare sulla corda un altro po’ prima di rispondergli, non poteva mica dargliela vinta tanto facilmente o l’altro si sarebbe annoiato.
“E così non riuscivi a staccarmi gli occhi di dosso? – sussurrò nella stanza vuota – Bene, continua così gattaccio malefico, continua a guardarmi, non ti stancare.”

 

 

 

 

 

L’angolino oscuro: Ecco la prima one-shot della raccolta. Mi chiedevo cosa avrebbe provato Kuroo vedendo Tsukishima durante la partita con la Shiratorizawa, quando il nostro pulcino ha finalmente spiccato il volo e iniziato a volare in alto. Quando ho visto quella puntata in cui lui mura Ushijima e poi esulta in modo tanto plateale, grida e si lascia andare, mi sono emozionata, non lo nascondo… e se l’ho fatto io, Kuroo poteva mai rimanere indifferente? A tutto ciò si aggiunge la questione di essere sulla stessa lunghezza d’onda, io penso che a dispetto dei caratteri diversi loro due siano davvero in sintonia, se così non fosse credo che sarebbe addirittura impossibile avere una relazione a distanza alla loro giovane età. Mischiate le due cose ed ecco che nasce questa shot XD
Ovviamente i due sono sulla stessa lunghezza d’onda anche per altro, non ho potuto fare a meno di inserire anche qualche accenno di carattere sessuale, che va a finire in maniera tragicomica, povero Kuroo XD
Piccola comunicazione di servizio: non so esattamente quando riuscirò ad aggiornare. Sto per affrontare un trasloco/trasferimento piuttosto grosso, la mia testa è tutta proiettata lì, cercherò di fare del mio meglio e, se l’aereo non cascherà come un ferro da stiro, ci sentiremo il prima possibile, se nel frattempo mi vorrete lasciare una recensione per farmi sapere cosa ne pensate della storia mi farete felice, a presto!

 

   
 
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