I think what you think
Tsukishima
era esausto in ogni senso possibile.
Appena
rincasato aveva parlato brevemente con la madre, per poi lasciare ad
Akiteru il
compito di raccontarle nei particolari la partita con la Shiratorizawa,
visto
che era andato a vederla nonostante il suo divieto.
Salì
le scale lentamente, pensando di saltare la cena e rotolare
direttamente tra le
coperte per almeno dieci ore non-stop di sonno, d’altronde
non era mai stato un
amante sfegatato del cibo, molto meglio dormire. Posò il
borsone vicino la
scrivania e si andò a sedere nel suo punto preferito della
stanza: a terra, sul
cuscino morbido, poggiando la schiena contro il letto.
Forse
era a causa dell’altezza, o forse non c’era davvero
un motivo particolare, ma
in quella posizione stava comodissimo: le gambe allungate davanti a
sé o a
volte ripiegate, la schiena contro qualcosa di solido e la nuca
poggiata sul
materasso.
Si
tolse gli occhiali e sospirò mentre si stropicciava le
palpebre. Nonostante la
stanchezza non sarebbe mai riuscito ad addormentarsi subito, aveva
ancora
troppa adrenalina in corpo e non ci era proprio abituato. Nella mente
continuavano a scorrere fotogrammi sparsi della finale contro la
Shiratorizawa,
i festeggiamenti coi compagni, il tifo con cui erano stati accolti a
scuola e,
non da ultimo, c’era il dolore sordo alle dita fasciate a
ricordargli che non
era stato tutto un sogno.
Nonostante
ogni pronostico fosse stato contro di loro, quando persino la sua mente
logica catalogava
la loro vittoria sotto la voce di improbabile
e
miracolo, la Karasuno si era presa con la forza
la finale e il
diritto di accedere alle nazionali. La fame e il gioco di squadra dei
corvi erano
stati più potente di qualsiasi altra cosa.
Sentì
il cellulare vibrare nella tasca della felpa per l’ennesima
volta di quella
giornata, ma solo ora, nella solitudine della sua stanza, si concesse
di
rispondere alla chiamata senza nemmeno leggere il nome sul display,
sicuro che
solo una persona potesse cercarlo con tutta quell’insistenza.
“Tsuuuukkiiiiiii!!!
Finalmente mi rispondi!”
Ecco,
l’urlo eccitato di Kuroo gli aveva trapanato un timpano.
Sospirò prima di replicare
col suo tono invece pacato, persino un filo irritato:
“Smettila
di strillare o ti chiudo il telefono in faccia.”
“Eeehh,
sempre apatico
come al solito?”
sbuffò il capitano e Tsukishima si
immaginò alla perfezione la sua faccia delusa, ma non
rispose perché l’altro
continuò “Dopo averti
visto esultare in
quel modo, festeggiare coi tuoi compagni e tutto il resto, pensavo di
trovarti
almeno un po’ entusiasta, o hai forse esaurito le
energie?”
“Ah?
– borbottò Kei, aggrottando la fronte –
E dove mi avresti visto?”
Kuroo
non rispose subito e lui se lo vide, con quel mezzo sorriso che si
allargava e
le spalle che si facevano più dritte in un moto di orgoglio.
“In
televisione
ovviamente”
sparò con la voce altisonante, sicura,
di chi stava facendo una mega rivelazione in grado di mettere al
tappeto
chiunque.
“Non
dire stupidaggini, la partita era trasmessa solo sulla tv locale e poi
a
quell’ora eri a scuola” replicò
Tsukishima, affatto impressionato.
Il
silenzio che udì dall’altra parte del telefono gli
fece capire di averci
azzeccato in pieno. Si poggiò una mano contro la fronte e si
chiese cosa
diavolo ci fosse che non andava in lui; qualcosa doveva esserci, o non
si
spiegava come potesse provare tutto quell’interesse verso
Kuroo. Non era la
prima volta che se lo domandava e, come tutte le altre, anche stavolta
non gli
arrivò nessuna risposta dalla sua mente logica e geniale, in
grado di farlo
brillare tanto a scuola quanto sul campo.
“Beh,
era lo schermo di
un tablet, vale lo stesso? –
ridacchiò Tetsurou – Ho
visto la partita in streaming sul sito
della tv locale e sì, ero a scuola. Però con una
scusa ho passato la mattinata
in infermeria, così ho potuto vedere tutto il match. Siete
stati grandiosi,
siete passati alle nazionali e così ci potremo finalmente
affrontare
ufficialmente!”
Tsukishima
rimase interdetto qualche istante, cosa che gli accadeva fin troppo
spesso con
Kuroo e a cui non riusciva ancora ad abituarsi, perché
solitamente era lui a
lasciare gli altri senza parole. Però l’idea che
il ragazzo avesse saltato le
lezioni e unicamente per guardare la partita, per guardare lui, non lo lasciava indifferente come
sarebbe piaciuto al suo
animo razionale e votato alla placidità.
“Tch…
dovrete prima passare le selezioni anche voi, non correre con la
fantasia” lo
punzecchiò.
Kuroo
fece una risata profonda, dicendosi certo che quella primavera ci
sarebbe stata
la mitica battaglia dei cassonetti dopo tanti anni, e Tsukishima gli
rispose a
tono.
Presero
poi a parlare della partita più nei dettagli, dei punti di
forza e degli sbagli
di entrambe le squadre e, alla fine, il capitano della Nekoma concluse
dicendo che
ovviamente lui avrebbe murato Ushijima molto meglio. Kei
sbuffò soltanto,
perché non poteva negare quell’affermazione: aveva
ancora moltissimo da
imparare e, in fondo, tutto quello che sapeva sui muri glielo aveva
insegnato
proprio Kuroo. Era un gattaccio irritante che lo faceva esasperare,
facendogli
mettere in questione tutte le sue certezze, ma sotto rete sapeva il
fatto suo e
per questo lo ammirava.
Rimasero
quindi in silenzio e il primo a riprendere la parola fu Tetsurou, con
voce più
calma di quando era preso a discutere del match.
“Sei a
casa?”
“Sì,
sono in camera mia.”
“Bene.”
Tsukishima rimase perplesso,
ma non gli
domandò che intendesse con quel bene e subito dopo lo
sentì continuare. “Sei
seduto sul cuscino, con la schiena
contro il letto e la nuca poggiata sul materasso, vero?”
Kei
trasalì e alzò di scatto la testa, guardandosi
attorno, quasi aspettandosi di
trovarlo acquattato in un angolo, ma la stanza era vuota, non
c’era nessuno
oltre lui. Aprì la bocca per parlare, ma la richiuse di
scatto un istante dopo,
capendo da solo come l’altro avesse fatto a indovinare.
Kuroo
era un attento osservatore, non mancava mai di notare ogni dettaglio,
tanto in
campo quanto al di fuori. Gli era bastato entrare nella sua camera e
averlo visto
in quella posizione un’unica volta, per capire che era la sua
preferita.
Forse
Tsukishima gliene aveva addirittura parlato durante una delle loro
telefonate
serali, quando ogni tanto la lingua si lasciava sfuggire qualche
rivelazione un
po’ più azzardata. In quei giorni in cui lo
scambio di messaggi pareva non
bastare, nelle sere in cui un sottile filo di malinconia li avvolgeva,
sentire
la voce dell’altro pareva alleviare il peso che gravava sul
petto, per farli
illudere che, se era così facile sentire la voce
dell’altro, allora anche
vedersi non poteva essere tanto difficile. Un’illusione, una
stupida presa in
giro, eppure a volte persino il calcolatore e razionale centrale della
Karasuno
ne avvertiva il bisogno.
Non
si erano mai confessati quella debolezza reciproca ad alta voce,
nemmeno Kuroo
che era quello con meno inibizioni lo aveva fatto. Forse non ne avevano
nemmeno
bisogno perché, esattamente come in campo, anche al di fuori
parevano essere
sulla stessa lunghezza d’onda a dispetto dei caratteri
profondamente diversi; provavano
gli stessi sentimenti, covavano gli stessi desideri. Tsukishima era
certo che adesso
Tetsurou stesse con gli occhi chiusi tentando di immaginarlo, per
sentirlo più
vicino, come se fosse stato lì al suo fianco e decise di
fare lo stesso.
Abbassò
le palpebre, gli occhiali ancora abbandonati sul pavimento, e
pensò ai suoi
capelli neri, ribelli, alla bocca sempre tesa in un ghigno sardonico,
ma capace
anche di addolcirsi in forme più morbide e affettuose. Gli
occhi erano strani,
penetranti, color nocciola ma screziati di pagliuzze dorate e verdi, a
volte
sembravano duri come pietre, quasi a voler ricordare che il capitano
della
Nekoma non era solo battutine e sorrisi, c’era molto di
più in lui. Questo
ormai Tsukishima lo aveva imparato piuttosto bene, c’era un
mondo intero
nascosto dietro a quello sguardo e lui aveva appena iniziato a
esplorarlo.
“Tu
sei seduto sul letto invece, poggiato al muro ma col cuscino dietro la
schiena”
disse infine, dopo quel viaggio nella propria mente; la sua non era una
domanda,
bensì una certezza.
Sentì
Kuroo ridere e visualizzò anche il modo che aveva di
storcere le labbra o come
si animavano i suoi occhi in quei frangenti e si sentì
irritato, perché quel
giorno lui, a differenza sua, aveva potuto vederlo anche se solo da uno
schermo.
“Hai
indovinato Tsukki,
quando ci vediamo ti darò un premio –
rise ancora un
istante, poi si fece più serio – Come
stanno le tue dita?”
“Niente
di grave, un paio di giorni di riposo e il mignolo mi
tornerà a posto” affermò
Tsukishima con un mezzo sorriso sul viso. Immaginava che volesse fargli
quella
domanda fin dall’inizio, ma avesse aspettato per tentare di
non fargli capire
la sua preoccupazione, come se non fosse stata evidente nella sua voce.
Missione
fallita, stupido gatto.
“Bene,
mi fa piacere,
devi essere in forma per il nostro scontro” rispose Kuroo
con tono più leggero, ma non riuscì a mantenerlo
e tornò serio “Sai…
in realtà ero preoccupato, sul serio.
All’inizio per la gravità
dell’infortunio, alla tv non dicevano nulla, ma poi
mi sono calmato e mi sono detto che stavi bene. Però devo
confessarti che hai quasi rischiato di trovarmi
all’uscita del palazzetto – fece una
risatina nervosa – Dopo, mentre
ancora non tornavi in campo,
ho iniziato a pensare e a temere che il tuo amore per la pallavolo
sarebbe
morto velocemente come era nato. Ti ho visto quando hai murato quella
schiacciata di Ushijima, il modo in cui hai esultato; hai persino
urlato,
proprio tu. Hai sperimentato finalmente quello di cui ti aveva parlato
Bokuto,
e hai continuato a giocare con uno spirito diverso per tutta la
partita. Era
impossibile staccarti gli occhi di dosso, eri fantastico…
bellissimo, e ho
avuto paura che l’infortunio ti avrebbe fatto cambiare di
nuovo idea, ma sono
stato uno stupido. Appena ti ho visto rientrare in campo, ho capito
quanto
fossi stato scemo a riporre così poca fiducia nel tuo amore
per la pallavolo o
nella tua tenacia. Ti voglio vedere così dal vivo, Tsukki,
voglio vedere i tuoi
occhi infiammarsi e guardarti saltare con tutte le tue energie, voglio
che mi
guardi a quel modo, voglio… ti voglio…”
La
sua voce già bassa si perse in un mormorio indistinguibile e
Tsukishima non gli
domandò di ripetere le ultime parole. Respirava velocemente,
il battito era un
po’ accelerato e non poté nemmeno fare a meno di
coprirsi la faccia con la mano
libera perché, davvero, come avrebbe dovuto ribattere a quel
discorso
sconcertante?
“Hai
ragione: sei uno stupido – borbottò, stette in
silenzio qualche attimo poi
aggiunse – non ho alcuna intenzione di perdere, hai
capito?”
Perdere
faceva schifo e, anche se era consapevole di avere ancora molto da
imparare,
voleva fare del suo meglio per non sentirsi più impotente o
schiacciato dalla
potenza di qualcun altro, quel giorno con Ushijima era stato solo
l’inizio.
Nemmeno fuori dal campo di pallavolo voleva perdere e sperava che Kuroo
riuscisse a capire quel sottinteso, perché non sarebbe mai
riuscito a dirglielo
chiaramente. Intuì il sorriso nelle sue parole quando gli
rispose e si sentì
sollevato, ma anche un po’ sciocco: in fondo erano sulla
stessa lunghezza
d’onda, uno pensava ciò che pensava
l’altro, era impossibile che una
dichiarazione tanto importante andasse persa. Era difficile abituarsi a
una
simile consapevolezza, una di quelle con la potenza di un terremoto, in
grado
di scardinare una vita nelle sue fondamenta.
“Bene,
nemmeno io ho
intenzione di perdere…in niente”
affermò Tetsurou per
poi rimanere in silenzio, lasciando che quelle parole si depositassero
su di
loro come polvere antica, impossibile da eliminare. Potevano sentire il
respiro
dell’altro, di quella bocca così vicina al
telefono, ma lontana centinaia di
chilometri, eppure non importava davvero, non quando le loro menti
erano tanto
in sintonia.
Passò
qualche altro istante in quel silenzio denso, troppo pieno di parole
non dette,
il tempo necessario per assorbirle prima che all’improvviso
Kuroo riprendesse
a parlare. Stavolta però tutta la serietà di
prima era stata accantonata,
probabilmente per quando sarebbero stati assieme, e Kei se lo
immaginò
sorridente, scanzonato, con quel ghigno storto che solo lui sembrava in
grado
di fare.
“Piuttosto… lo sai che mi
sono eccitato
vedendoti giocare a quel modo? Spero di non avere problemi quando ci
scontreremo in campo.”
Tsukishima
arrossì e tossicchiò per mascherare
l’imbarazzo, sperando di aver udito male,
ma mentre parlava sapeva già di aver sentito benissimo.
“Tu
cosa?” chiese con voce glaciale, che però parve
non scoraggiare minimamente
Kuroo. Il ragazzo infatti scoppiò a ridere, ovviamente
ignorando il ghiaccio
sottile su cui stava camminando:
“Mi
sono eccitato
Tsukki –
strascicò il suo nomignolo come sempre – mi è venuto duro e per fortuna
l’infermeria
era vuota così me ne sono potuto occupare. Sai,
ho…”
Tsukishima
non voleva sapere cos’altro avesse fatto Kuroo col suo
problema in mezzo alle
gambe e chiuse la chiamata. Posò il cellulare a terra,
vicino agli occhiali, e
sospirò profondamente, ma stavolta non per la stanchezza.
Tra poco si sarebbe
alzato e si sarebbe messo tra le coperte, magari si sarebbe occupato a
sua
volta del problema che stava nascendo tra le sue di gambe.
Perché
se Tetsurou si era eccitato vedendolo giocare, a lui aveva fatto
effetto
sentirsi dire una cosa simile. Si portò una mano sulla
faccia,
stropicciandosela, non capendo se essere felice o meno di trovarsi
così tanto
sulla stessa lunghezza d’onda con Kuroo.
Il
cellulare prese a squillare, ma lui lo ignorò. Lo avrebbe
fatto stare sulla
corda un altro po’ prima di rispondergli, non poteva mica
dargliela vinta tanto
facilmente o l’altro si sarebbe annoiato.
“E
così non riuscivi a staccarmi gli occhi di dosso?
– sussurrò nella stanza vuota
– Bene, continua così gattaccio malefico, continua
a guardarmi, non ti
stancare.”
L’angolino
oscuro:
Ecco la prima one-shot della raccolta. Mi chiedevo cosa avrebbe provato
Kuroo vedendo
Tsukishima durante la partita con la Shiratorizawa, quando il nostro
pulcino ha
finalmente spiccato il volo e iniziato a volare in alto. Quando ho
visto quella
puntata in cui lui mura Ushijima e poi esulta in modo tanto plateale,
grida e
si lascia andare, mi sono emozionata, non lo nascondo… e se
l’ho fatto io,
Kuroo poteva mai rimanere indifferente? A tutto ciò si
aggiunge la questione di
essere sulla stessa lunghezza d’onda, io penso che a dispetto
dei caratteri
diversi loro due siano davvero in sintonia, se così non
fosse credo che sarebbe
addirittura impossibile avere una relazione a distanza alla loro
giovane età. Mischiate
le due cose ed ecco che nasce questa shot XD
Ovviamente
i due sono sulla stessa lunghezza d’onda anche per altro, non
ho potuto fare a
meno di inserire anche qualche accenno di carattere sessuale, che va a
finire in maniera tragicomica, povero Kuroo XD
Piccola
comunicazione di servizio: non so esattamente quando
riuscirò ad aggiornare.
Sto per affrontare un trasloco/trasferimento piuttosto grosso, la mia
testa è
tutta proiettata lì, cercherò di fare del mio
meglio e, se l’aereo non cascherà
come un ferro da stiro, ci sentiremo il prima possibile, se nel
frattempo mi
vorrete lasciare una recensione per farmi sapere cosa ne pensate della
storia mi
farete felice, a presto!