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Autore: Chiccagraph    06/11/2017    0 recensioni
Questa storia era originariamente una one shot, ma ho deciso di trasformarla in una raccolta di one shots incentrate tutte sullo stesso tema.
Dalla terza one shot:
Tu sei fermo, immobile, sulla soglia. Solo la guardi. Continui a fissarla non riuscendo a deciderti. Potresti girarti e tornartene in camera, lasciarla affogare da sola in questo mare di rimpianto e alleggerirti la coscienza con il frigo bar della tua stanza; ma l’idea di doverla lasciare da sola a scrostarsi di dosso le ferite che questa giornata le ha inciso sulla pelle non ti permette di muoverti.
Ora sei dietro di lei e senti che ha un buon profumo. Questo è l’inizio di tutti i tuoi problemi.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Addison Montgomery Sheperd, Alex Karev, Altri, Derek Sheperd, Mark Sloan
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione
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I held you in my arms





Quando entri nel bar dell’hotel lei è la prima cosa che vedi: una matassa di capelli rossi sparpagliati sul bancone. Ti guardi intorno cercando un volto conosciuto, ma ciò che trovi sono solo gli occhi del barista che ti sorride cordiale in attesa della tua ordinazione.
L’orologio segna le dieci e quaranta. Sono esattamente due ore e mezza che il tuo turno è finito e, sebbene ti sia ripromesso di riposarti, aspetterai che anche lei sia pronta a farlo.
La stanza è quasi vuota, il pianista accarezza le note di quest’ultima canzone prima di riporre lo spartito; il cameriere sparecchia gli ultimi tavoli dopo aver passato lo straccio sul banco; lei allatta il suo bicchiere di gin.
Tu sei fermo, immobile, sulla soglia. Solo la guardi. Continui a fissarla non riuscendo a deciderti. Potresti girarti e tornartene in camera, lasciarla affogare da sola in questo mare di rimpianto e alleggerirti la coscienza con il frigo bar della tua stanza; ma l’idea di doverla lasciare da sola a scrostarsi di dosso le ferite che questa giornata le ha inciso sulla pelle non ti permette di muoverti.
Ora sei dietro di lei e senti che ha un buon profumo. Questo è l’inizio di tutti i tuoi problemi.
 
«Cosa vuoi?» dice, sbiascicando le parole con la lingua pastosa, incollata al palato.
 
Ti siedi sullo sgabello alla sua sinistra, poggiando il braccio sullo schienale della sua sedia. Hai paura che possa scivolare da un momento all’altro, così ti avvicini il più possibile senza opprimerla con la tua presenza.
 
«Offri da bere anche a me?» le chiedi.
 
«Non ho bisogno di compagnia, ho tutto quello che mi serve proprio su questo bancone» risponde, portandosi alla bocca il bicchiere e ingoiando l’ultimo sorso di solitudine. 
 
«Non è bello bere da soli» le ricordi, poi ti volti verso il cameriere e gli fai cenno con la mano di avvicinarsi. «Uno scotch doppio malto per me, e un…»
 
«Vodka»
 
La guardi con la coda dell’occhio annuendo alla sua richiesta, non sei sicuro se sia in grado di bere ancora per questa sera, ma lei è una Forbes e hai imparato col tempo che l’alcol è iscritto nella cromatina del suo DNA; il suo sangue è costituito dal settanta per cento di alcol e la restante parte di plasma e cellule. Una caratteristica peculiare della sua nobile famiglia. Decidi che non sarà quel bicchiere di troppo a farle rimpiangere la scorpacciata di alcol di questa sera. «E una vodka liscia per la signora»
 
Il cameriere prende nota delle vostre ordinazioni e si dirige nella parte opposta del bancone. Riservatezza e discrezione sono caratteristiche fondamentali per fare il barman in un hotel.
Ti volti verso di lei e la osservi, senza parlare. Con il dito indice della mano destra percorre il bordo liscio del bicchiere. Si muove a tempo con la melodia di sottofondo, e il continuo sfregamento della carne contro il bordo di vetro produce un fischio leggero, generato dall’attrito dei due corpi. La sua testa oscilla pericolosamente verso il piano di legno, poi all’improvviso si accascia e poggia la fronte sul braccio steso, continuando con la mano libera il suo gioco solitario.
 
«Da quanto tempo sei qui, Addie?» provi a chiederle, conoscendo già la risposta a causa dei suoi movimenti rallentati.
 
«Non abbastanza»
 
«Non abbastanza… cosa?»
 
«Il tempo. Da non abbastanza tempo»
 
Il cameriere posa sul tavolo le vostre ordinazioni e si allontana un attimo dopo. Lei afferra il bicchiere di vetro e porta la cannuccia alle labbra, senza alzare la testa dal braccio.
Chiude gli occhi e lo assapora: è aspro e pungente. Amaro, come il suo futuro.
 
Tu sorseggi il tuo bicchiere continuando a tenere lo sguardo fisso su di lei. «Dovresti berlo più piano, non è mica un succo di frutta»
 
«Fatti gli affari tuoi» risponde secca.
 
È sempre stata un’ubriaca scontrosa, o forse è una donna scontrosa e basta. Non ama essere contraddetta, non ama essere corretta. Il suo unico timore: essere giudicata.
Il suo lato passivo aggressivo si riaffaccia nel momento in cui apre gli occhi e ti fissa. «Perché sei qui? Non mi sembra di averti invitato»
 
«C’è una festa in atto di cui non ero a conoscenza?»
 
«Sì, sto festeggiando il mio recente divorzio e tu non sei invitato» si tira su, poggiando i gomiti sul tavolo.
 
«Che ne dici se continuiamo a festeggiare di sopra?» le chiedi, rimpiangendo le parole nel momento stesso in cui escono dalla tua bocca. Non voleva essere un invito, ma lei non lo capirà, o fingerà di non capirlo. Delle volte l’ignoranza è la miglior arma per non soffrire.
 
Si volta verso di te e ti guarda con astio. La fiamma dell’odio arde nei suoi occhi opachi. «Non vengo più a letto con te, Mark»
 
«Non ti stavo chiedendo di venire a letto con me» sussurri, stanco di essere additato per quello che non sei mai stato con lei.
 
«Pensi che sia così disperata?»
 
«Penso che tu abbia bisogno di una doccia e di smettere di bere» dici, mentre allontani il bicchiere quasi vuoto dalle sue mani.
 
«Non ho più bisogno di te» dice, sputando fuori le parole come se fossero veleno.
 
Sai che vuole ferirti, vuole offenderti e umiliarti. Farti sentire un miserabile, e sebbene credi di essere ormai immune alle sue offese, la tua corazza cede. Si crepa. C’è una falla nella tua armatura, un buco dove le sue parole trovano la strada per affondare nella tua pelle; pesanti come macigni.  «Puoi continuare a offendermi, ma sappi che non c’è niente che tu possa dire che mi convincerà a lasciarti qui da sola» le menti spudoratamente, sperando che lei non smascheri il tuo doppio gioco.
 
«Guardati, sei qui ad elemosinare la mia compagnia per una scopata… è triste anche per te» le sue parole sono affilate come la lama di un coltello. Scavano in profondità nella tua carne tesa e affondano direttamente nel cuore.
 
Fingi di non sentirla e spostando la sedia ti alzi, muovendoti alle sue spalle. Le prendi il volto tra le mani, portandolo a pochi centimetri dal tuo. «Smettila di essere una tale stronza»
 
Ti guarda a bocca aperta, gli occhi persi nel vuoto e nel momento in cui senti la sua testa poggiare senza resistenza tra le tue mani sai che sei riuscito a convincerla. Anche per questa sera riuscirai a salvarla da sé stessa.
 
Si spinge con il sedere sulla sedia, spostandosi all’indietro. Capisci che ha bisogno di spazio e per questo molli la tua presa e ti muovi al suo fianco pronto a sorreggerla per quando deciderà di alzarsi.
Poggia una gamba a terra, la sinistra, e si dà uno slancio. Il movimento richiede troppo sforzo e coordinazione, la stessa che ha perso dopo il terzo bicchiere della serata. Crolla tra le tue braccia, mentre tu la afferri saldamente passandole un braccio intorno alla vita; senti il calore della pelle nuda della sua schiena, una riga di carne che ti brucia le falangi e intorpidisce i sensi.
Dopo il primo passo vacilla e sposta il peso del suo corpo completamente su di te. La senti indurirsi, pietrificata dalla paura di cadere.
 
«Sta tranquilla, ti tengo io»
 
Annuisce lievemente e incastrando le testa nell’incavo del tuo collo ti permette di condurla fino agli ascensori. Una volta dentro selezioni il ventiduesimo piano, le porte si chiudono e l’ascensore inizia a salire.
La senti respirare, uno sbuffo leggero sulla pelle del tuo collo. Il brivido è immediato ma cerchi di reprimerlo perché lei si merita di più di questo.
Ti lasci cullare del suo respiro regolare, sembra quasi che stia dormendo. Fingi di non essere completamente schiavo di lei; del calore del suo corpo premuto sul tuo; del profumo inconfondibile della sua pelle. Quel profumo che hai cercato su molte donne durante quei mesi di solitudine a New York. Volevi disperatamente qualcuno che potesse sostituirla, ma nessuna fragranza era equiparabile alla sua. Lei sa di Addison ed è il miglior profumo che tu abbia mai sentito.
Il ding dell’ascensore ti risveglia dai tuoi pensieri. Le porte si aprono e sei pronto a portarla a casa.
Scegli la sua stanza, sai che non ama svegliarsi nel tuo letto. Sai che al mattino fuggirebbe via in fretta e furia senza lasciarti la possibilità di parlare.
Le sfili la borsa dal braccio, continuando a sostenerla, e passi la tessera nel lettore della porta.
Una volta dentro ti senti improvvisamente più leggero. Sai che bene o male questa notte passerà e domani sarà un’altra giornata. Addison è sempre stata brava a metabolizzare la sbornia della sera precedente.
 
La trascini fino al bordo del letto e nel momento in cui ti abbassi sul pavimento per slacciarle il cinturino delle scarpe ti parla: «Mark»
 
Non è una domanda. Il tuo nome ha un suono incredibile pronunciato dalla sua bocca. Ti è sempre piaciuto. Forse per via del suo accento del Connecticut, come continuavi a ripeterle per prenderla in giro, o forse perché qualsiasi suono ha una melodia diversa quando proviene dalle sue labbra.
 
Le afferri con una mano la caviglia mentre con l’altra fai scivolare via la scarpa. «Cosa c’è?» le chiedi, poi afferri l’altro piede e ripeti la stessa azione.
 
«Mi dispiace» dice bruscamente, «non volevo essere così stronza»
 
«Tu ami fare la stronza con me»
 
«Lo so» ammette. Ti guarda, registra lo spazio che c’è tra voi, anche se siete seduti a pochi centimetri di distanza, e poi torna alla sua domanda. «Pensi che un giorno smetterà di fare male?»
 
«Sì, Addison. Non so dirti quando, ma so che succederà» le dici, spostandoti dal pavimento al letto per sederti al suo fianco. «Ora mi vuoi dire perché hai cercato di affogarti nell’alcol?»
 
«Credo di aver bisogno di andare al bagno prima» guarda in basso alle sue mani. «Ho bisogno di farmi una doccia»
 
«Vuoi che venga con te?»
 
«No» il terrore che registri nei suoi occhi ti destabilizza. Il cuore ti precipita nello sterno, come se fosse fatto di piombo.
 
«Ho bisogno di un po’ di tempo da sola, Mark» dice lentamente, come se avesse paura di ferirti.
 
«Certo, ti aspetterò qui»
 
Si alza dal letto impaziente. Starle così vicino è un pericolo per entrambi.
 
Ti muovi verso il mobile bar, accanto alla TV, e attivi la macchinetta per il caffè. Per combattere una pesante sbornia non c’è niente di meglio di una tazza di caffè nero.
Conosci questa stanza come le tue tasche, sai dove sono posizionate tutte le sue cose; sai che sul fondo dell’armadio, nascosta dietro il borsone di pelle, c’è la sua felpa preferita: la felpa del college.
La prendi e la distendi sul letto, posizionando al suo fianco un paio di leggings e calzettoni di lana. Sai che ama indossarla quando qualcosa non va. Hai capito il significato di quella felpa durante l’ultimo anno a New York.
Senza rendertene conto passi con un dito il contorno della scritta in blu, posizionata al centro del petto. Senti il punto in cui la trama cambia cucitura e sorridendo ripensi a quel giorno in cui hai afferrato la sua felpa facendole un buco nella stoffa all’altezza della lettera A di Yale. L’hai fatta riparare il giorno seguente, portandola in un negozio di sartoria sulla Fifth Avenue, da una sarta di abiti da sposa. Continuava a ripeterti che non era il negozio indicato per portare un simile articolo, ma alla fine sei riuscito a convincerla e salvare la felpa. Indossava quella felpa ogni volta che ti fermavi a casa sua dopo il lavoro. L’ha indossata per mesi, consumando il tessuto sui polsini a forza di stringerlo tra le mani, mentre era sdraiata sul divano insieme a te in attesa che Derek tornasse a casa.
Il fischio della moka ti avverte che il caffè è pronto. Ti alzi per versarlo in due tazze e proprio in quel momento Addison esce dal bagno, accompagnata da una nuvola di vapore.
 
«Ti ho preparato una tazza di caffè» dici, rimanendo voltato di schiena, mentre versi il liquido scuro nelle due tazze.
 
Addison si avvicina afferrando la tazza dalle tue mani. «Grazie»
 
Rimane in piedi al tuo fianco stringendo la tazza tra le mani, quasi per assorbirne il calore della bevanda.
La vedi mentre sorride guardando il letto e spostandosi raccoglie i vestiti che hai posizionato con cura sul piumone. Si dirige verso il bagno e con un click sommesso chiude la sicura della porta.
Quando esce dal bagno, con indosso quella felpa, pensi che sia la donna più bella che tu abbia mai visto.
I capelli bagnati le incorniciano il viso, scendono morbidi fino alle spalle, per poi arricciarsi con le punte verso l’alto. La pelle del suo viso è nuda e serica, liscia come una porcellana. È ancora scalza e la pelle dei piedi è arrossata a causa del getto caldo dell’acqua. Ti ricordi delle vostre docce insieme, dell’acqua bollente che arrossava la vostra pelle e vi toglieva il respiro; era il suo modo per sgrassare via il peccato dalla pelle. Per portare via il tocco delle tue mani.
Non sapendo cosa fare accendi la TV e la stanza si riempie del rumore delle voci che vengono dal piccolo schermo. Il canale è impostato sulle previsioni del meteo. Sorridi pensando al suo odio per la pioggia e alla sua testardaggine nel voler comunque vivere nel luogo più umido e bagnato d’America.
Scivoli sul divano e accavalli le gambe, sistemandoti un cuscino dietro la testa.
 
«Mark»
 
Ecco nuovamente la sua voce che ti chiama. Senti i suoi passi che affondano nella moquette sul pavimento, mentre lentamente si avvicina. Improvvisamente sei sopraffatto dal suo odore; quel mix di shampoo e bagnoschiuma che emana la sua pelle e che raggiunge direttamente i tuoi sensi, allertando le tue terminazioni nervose.
Si siede al tuo fianco, arricciando le gambe al petto e nascondendo i piedi sotto al cuscino per tenerli al caldo.
 
«Credo che dovrei ringraziarti»
 
«Per cosa?»
 
«Per esserci».
 
Stringi le labbra insieme, sorridendole. «È un vizio che non riesco a togliermi».
 
Ti sorride, finalmente rilassata, e affonda nei cuscini del divano. «Derek e Meredith sono una coppia».
 
«Lo so».
 
«No, intendo una coppia vera. Per davvero.»
 
Ti giri verso di lei e la osservi mentre si tortura le mani con lo sguardo fisso sul pavimento.
 
«Oggi l’ho visto mentre le portava una cioccolata calda. Ho perso un bambino e Meredith era con me nella mia sala operatoria» apre la bocca e inghiotte l’aria per soffocare un singhiozzo. «Ho perso un bambino e lui ha portato una cioccolata a Meredith, capisci?»
 
«Sono una coppia perché le ha portato una cioccolata?» le chiedi, non afferrando il senso del suo discorso.
 
«No, Mark. Sono una coppia perché lui c’era. Perché lui l’ha notata»
 
Il significato nascosto dietro quelle parole ti trapassa i timpani e ti entra direttamente nel cervello. Sai perfettamente quanto sia difficile per lei. Conosci quel sentimento di dolore e odio; lo conosci perché è lo stesso dolore sordo che ti corrodeva l’anima ogni volta che la vedevi con Derek.
 
«Mi sento di aver vissuto in un limbo per tutti questi mesi, ed ora che è finalmente finita mi meriterei anch’io un angolo di paradiso, e, invece, mi ritrovo catapultata all’inferno».
 
I suoi occhi sono lucidi, colmi di lacrime non versate.
 
«Io all’inferno con te ci verrei».
 
«Mark…»
 
«Mettiamola così: il mio concetto di paradiso è fatto di cose per cui si va all’inferno».
 
Ride di gusto tirandoti un cuscino in pieno viso. La afferri per un braccio trascinandola verso di te; in un primo momento cerca di allontanarti, ma poi, una volta a contatto con il tuo corpo, si rilassa, e la sua forma si modella alla tua come un tempo.
Le passi una mano tra i capelli, districandoli con le dita. I tuoi movimenti sono lenti; le tue mani si muovono su di lei come se lo facessi da sempre. Esegui quell’azione in maniere automatica, una memoria muscolare. Lei sbuffa e tira su col naso, nascondendo il viso nel tuo petto.
 
«Non è solo perché tra noi è finita» espira, «è solo che mi chiedo come possa una firma su un foglio di carta cancellare via tutto. Come può resettare la sua vita in così poco tempo ed eliminarmi? Prima ero triste, arrabbiata… ora sono solo delusa».  
 
«Sai qual è l’unica cosa al mondo che non delude mai?»
 
Addison annuisce. «Questa risposta la so» dice lentamente, come se parlasse con un bambino di quattro anni. «La vodka» annuncia gloriosamente e poi scoppia in un sorriso. 
 
Capisci improvvisamente che non era così ubriaca come avevi pensato che fosse, mentre osservi le lacrime che le circondano gli occhi e senti un coltello affondarti nel cuore.
Non sai come aiutarla, o meglio, sai che non puoi aiutarla; almeno non nel modo in cui lei vorrebbe.
Ti alzi e raccogli la coperta di lana dalla poltrona, gliela sistemi sulle gambe e poi ti risiedi accanto a lei.
Imposti la televisione su un film in bianco e nero – uno dei suoi preferiti – e ti rilassi al suo fianco avvolgendole le braccia intorno alle spalle.
 
«Posso essere la tua vodka, Addie. Posso essere qualsiasi cosa tu voglia» 
 
Ti guarda con gratitudine, passandoti una mano sul volto. «Grazie».
 
Verso metà film si addormenta, la sua testa atterra sulla tua spalla. Tu rimani sveglio. Rimani sveglio perché pensi che lei sia la cosa più bella che tu abbia mai visto, lei profuma di buono.
Le scosti una ciocca di capelli dal viso, accarezzandole la guancia. La sua pelle, liscia e setosa, ti incanta, riportandoti indietro nel tempo; a quei giorni in cui ti era permesso toccarla senza dover chiedere l’autorizzazione a nessuno.
Osservi il suo sonno tranquillo e pensi che come sempre corre da te quando ha bisogno di qualcuno. Quando ha bisogno di colmare il vuoto che Derek le ha scavato dentro. Corre da te perché sei il suo migliore amico. Tu sei la risposta a tutti i suoi problemi. E ti chiedi se, in questo marasma di emozioni, abbia perso di vista il fatto che ne sei anche la causa. 




   
 
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