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Autore: mari05    06/11/2017    0 recensioni
Vi propongo una sfida.
Come avrete notato, non sto pubblicando molte ff, soprattutto perché:
1)non ho molta ispirazione,
2)un terribile pensiero mi attanaglia: che cosa pubblicare qui?
E qui arriviamo al bello.
Questa ff è nata come un libro, tanti anni fa. Dopo quasi due anni di indecisione, mi sono decisa e ho detto: "e se la pubblicassi su efp? Se qualcuno mi darebbe qualche critica costruttiva, potrei correggermi e avere il coraggio di pubblicarlo come libro!"
Quindi, questa è la vostra sfida.
Recensite, recensite a più non posso, e, quando la storia sarà finita e io avrò raggiunto il mio scopo, potrete forse vederla in cartaceo.
Buona fortuna!
DAL TESTO
"Il Righa è un potente amuleto in grado di fare tutto ciò che il proprietario di quest’ultimo desidera. Ha una forma triangolare, con la quale si dice si possa vedere il mondo. Di solito, viene tramandato da generazione in generazione al fine scopo di apprendere le arti magiche senza sforzi e pericoli. Bensì, il Righa anni orsono venne usato anche per combattere, poiché è in grado di creare qualsiasi cosa il proprietario desideri."
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2



Wren salutò Carter, quella mattina, e si diresse all’ufficio della professoressa Breakwell con la sua lettera.
Camminava lentamente, quasi assaporando il pavimento di marmo splendidamente lucidato, dentro il quale si poteva specchiare.
Superò velocemente la segreteria e si diresse all’ufficio della vicepreside.
I muri erano abbelliti da quadri rappresentanti tutti i presidi del King’s.
Il King’s era un collegio per poveri mortali nell’epoca ottocentesca, che ancor prima era un convento di soli amanuensi risalente all’epoca tardo-medievale. Poi successivamente era stato ristrutturato e fatto diventare il King’s, quando oramai erano entrate in vigore le auto, poco prima della prima guerra mondiale.
Wren osservò attentamente il quadro del signor Patten, un uomo dai gettonati baffetti color cenere e dai capelli che formavano una zazzera incolta.
Wren rifletté prima di bussare alla porta in legno laccato della signorina Breakwell.
E se non avesse accettato la sua richiesta? E se avesse voluto la firma di un genitore anziché di una tutrice legale?
Be’, semplicemente Wren non poteva farlo firmare ai genitori perché non aveva la più pallida idea di chi fossero e di dove si trovassero.
Ma sì, avrebbe accettato. Dopo l’accaduto alla signorina Baron, la Breakwell aveva fatto di tutto per allontanarla dal gruppo classe, trovando ragioni inutili e arrampicandosi sugli specchi.
Bussò, e il rumore della sua mano risuonò come un gong sulla porta.
Poco dopo aprì la signorina Breakwell.
La signorina Abby Breakwell inizialmente era solo un membro della Triade, la comunità che favoriva la magia, e poi era stata dichiarata vicepreside dopo la morte improvvisa del mago che la precedeva.
Aveva i capelli neri acconciati in una crocchia e gli occhi profondi come due pozzi di notte. Si ostinava ad indossare camicette e minigonne attillate e a portare quel paio di occhiali con l’estremità appuntita, credendo di essere così sexy e focosa.
La Breakwell era sola come un cane.
–Wren!    Disse con tono allarmato mascherato da un sorriso forzato. Credette di non essere vista, ma Wren notò che aveva chiuso la porta senza chiuderla a chiave come sempre per avere un passaggio in caso d’incendio o esplosione.
–Allora… Che cosa vuoi dirmi?
Wren le porse la lettera. –Volevo chiedere dei corsi privati anziché con un gruppo classe.
La Breakwell maneggiò per un po’ la lettera, la guardò per un instante, e a Wren sembrò di vedere gli ingranaggi del suo cervello che si muovevano.
–Wren, cara. – disse, appoggiandosi alla poltrona di velluto dietro di lei. Sembrava nervosa, –Lo sai che questo non si può fare, vero?
–Lo so. Solo volevo avere un po’ più di tempo per… per pensare all’accaduto dell’anno scorso.
–Senti, io lo so che a te dispiace di tutto questo e non vorresti abbandonare così gli studi (e i tuoi amici) ma credo che il modo migliore per integrare una ragazzina in difficoltà sia…
–Ragazzina in  difficoltà? Ho sedici anni, diamine, e non sono per niente in difficoltà.
–Wren, lasciami finire. Quello che stavo dicendo è…
–No. – la interruppe di nuovo Wren, con un improvviso mal di stomaco, –io le ho semplicemente detto che o ottengo lo studio privato oppure niente. Capisce? Non mi serve sapere cosa è meglio per me, perché ne sono completamente consenziente. Ora mi dica, posso?
La Breakwell la osservò per due minuti buoni, e poi subito disse: –Va bene. Se credi che l’allontanamento da tutti sia la cosa giusta semplicemente perché potresti compiere uno sbaglio, fa come ti pare. Sappi solamente che non è la scelta giusta.
–Non mi importa.
E se ne uscì facendo sbattere la porta.
Mentre camminava verso le Torri Angeliche, ebbe una gran voglia di andare a fare visita a Carter, visto che si sarebbero incontrati solo all’ora di pranzo e lei aveva un forte bisogno di qualcuno.
Lo trovò sul Prato Verde, immerso nella lettura di Noi Siamo Infinito di Stephen Chbosky.
–Lo sai che Sam e Charlie si separano? – disse Wren venendogli in contro.
Carter alzò il capo, ancora assorto nei suoi pensieri, –Lo spoiler me l’ha già fatto Sue. E tu lo sai che Augustus muore?
Wren abbozzò un sorriso. Era ormai da tempo che entrambi si tartassavano di spoiler su libri che avevano già letto, e la cosa bella era che nessuno si arrabbiava per questo, anzi, rideva.
–Com’è andata con la Breakwell?   Disse Carter esortandola a sedersi.
Wren si sistemò. L’erba era fredda e umida sotto di lei.
–Bene, credo. Inizialmente non voleva che io lo facessi, ma poi ha detto “va bene” e io me ne sono andata. Devo solo parlarne alla Harvey.
Notando che man mano il sorriso di Carter si era spento, Wren gli mise un braccio attorno alle spalle e gli disse: –Non ti preoccupare, Cart. È tutto a posto. Ci vedremo in altri momenti, no?
Cercò di fargli tornare il sorriso sulle labbra, ma lui aveva gli occhi da una parte completamente diversa. “Chissà a cosa starà pensando”, si chiese lei.
La speranza che in qualche modo Carter fosse innamorato di lei ormai si era fatta spenta ed era sbiadita col tempo. Tra i due c’erano sempre stati corteggiamenti, ma mai seri. Anche se Wren aveva sperato che fossero così.
–Va be’, – disse lui, spezzando così la tensione, –ci vedremo, no? E poi questa cosa l’anno prossimo sarà finita, credo.
“Certo”, pensò Wren, mentre cercava di rilassarsi. Carter le aveva appena messo un braccio attorno alla vita, e lei soffocava a stento una risatina.

A lezione di scopa c’era solo lei, naturalmente. Si erano ritrovate vicino al padiglione della mensa, visto che intanto si erano stanziati lì dei ragazzi del primo anno che giocavano a calcio.
La signorina Harvey era in classica tenuta da scopa: una tutina simile a quella dei sub (dello stesso tessuto) di colore rossa e marrone, due occhialini da aviatore e uno spesso e pesante mantello nero con lo stemma del King’s (un leone che mangia una stella) appuntato sopra.
La signorina Harvey pareva distante, quel giorno, ma ben presto Wren capì che si sentiva a disagio a stare con lei.
La guardava con occhi quasi chiusi, cercando di ispezionarla e di capire il suo problema.
Però tutte le sensazioni cattive furono scacciate in una sola mossa dalla scopa, che la faceva librare in cielo come fosse una farfalla, dati i colori insoliti della tenuta.
Dopo aver fatto tre giri di prova, la Harley le passò arco e frecce e la indirizzò sul primo bersaglio.
Il combattimento con la scopa era fondamentale per un mago, perché potevi essere attaccato in ogni momento.
Scoccò la freccia, e questa si posizionò al centro del bersaglio.
–Brava! – le gridò la Harvey, e le passò un arco più duro e meno maneggevole.
Wren lo incurvò verso il bersaglio, che questa volta era più lontano. Tirò la freccia, e questa stracciò il bersaglio.
La Harvey la guardò con ammirazione.
Ora le passò un arco quasi inutilizzabile (d’ebano, si presumeva dal colore) e una freccia con la punta d’argento rivestita di cuoio.
Per Wren era quasi impossibile tendere quell’affare in terra, figuriamoci sulla scopa! Cercò in tutti i modi ti incurvarlo, di curvare anche con la scopa, ma niente: era come cercare di ammorbidire il cemento.
Scoccò la freccia, che non superò un metro di distanza.
La Harvey non era delusa. Le diede una pacca sulla spalla, indirizzandola al padiglione della mensa.
–Ci riproverai domani. 

   
 
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