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Autore: Voss    07/11/2017    2 recensioni
Siamo nel 1945, la fine della guerra si avvicina e nell'accerchiata Konigsberg vite, con storie da raccontare e animi sciupati dal dolore combattono o si arrendono al proprio destino. In questo contesto un vecchio soldato perso negli infiniti intrecci della vita cerca inconsciamente la sua strada negli ultimi giorni di resistenza della sua città.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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Figli di Prussia

Capitolo III

 

Appassiva il fiore della vita a Königsberg

 

 

I campi fioriti riflettevano la luce del limpido sole che batteva sulla Prussia Orientale, facendo risplendere di vita la distrutta Insterburg, per poi deviare a est verso Tilsit e a sud verso Lyck e Allenstein, dando infine gioia a Memel a cui i dolci raggi del sole significavano, nel suo estremo nord, caldo e speranza.

La Prussia rinasce in primavera, è sempre stato così, le rigide temperature e i gelidi venti non impediscono ai fiori di nascere e alle piante di crescere forti e maestose nelle foreste oscure e in qualche modo magiche.

Le leggende più antiche su quelle foreste raccontano della storia del duca di Prussia Alberto Federico in un pomeriggio di primavera, mentre romanticamente parlava con la moglie in un immenso campo di fiori bianchi, egli avrebbe predetto la nascita del regno di Prussia e della supremazia luterana sui Re cattolici di Polonia. Quel sogno ora apparteneva al passato anche se i fiori nati da quelle idee hanno mosso la Germania e l'est Europa per più di tre secoli.

 

 

Prime ore del 8 Aprile 1945

 

 

La feritoia pareva umida e inospitale agli spenti occhi di Franz, il fucile era appoggiato sulla pietra e da lontano giungevano i lampi e i tuoni dell'artiglieria sovietica che risparmiava i difensori del forte numero 7 in cambio dell'accanito forte numero 5, l'irriducibile fortificazione che da giorni resisteva all'offensiva russa, alla fine le truppe rosse avevano deciso di circondare il forte e passare oltre, giungendo fino alle feritoie del forte numero 7, ora presidiato dalle sfinite volkssturm e dai reparti più malmessi delle armate che ancora difendevano la città.

I due piani della fortificazione si assestavano al centro di una piazzola scavata dai bombardamenti del 1944, intorno edifici spianati creavano labirinti e coperture per i carri armati abilmente mimetizzati dagli esperti equipaggi. Il bunker era stato costruito per resistere alle esplosioni, anche se le feritoie per la coppia di mitragliatrici e per i soldati bucherellavano la superficie.

La notte lenta e silenziosa per le abitudini del soldato lo portarono a chiudere lentamente gli occhi stanchi e anziani che non vendevano riposo da due giorni, quando alle spalle di Franz dei soldati mezzi ubriachi cominciarono a cantare una triste canzone, risvegliando il vecchio milite dal torpore involontario. Deciso a rimanere vigile per tutto il turno Franz cominciò a pensare ai tempi in cui si offriva volontario per i turni di ronda più lunghi e per le spedizioni più pericolose, nel lontano 1917. Fissò infine la sua mente sulle notti di guardia nelle trincee di Passchendaele, rimanendo a contemplare la strada per due infiniti minuti mentre nei suoi occhi si susseguivano la serie di truculente immagini legate a quelle notti, poi come se avesse girato pagina di un album di vecchie fotografie gli apparve il viso di una ragazza chiaro in mente. La giovane donna era venuta ad accoglierlo al suo ritorno alla fine della guerra nella stazione di Königsberg, quella stazione così gioiosa alla partenza le cui rifiniture sui muri e i capitelli neoclassici bianchissimi risaltavano nella folla estasiata che agitava ogni tipo di fazzoletto e di bandiera in segno di saluto ai combattenti dell'Impero Germanico.

Il ricordo del doloroso ritorno, invece, aveva sempre rappresentato un colpo basso, vedere la sua amata Elen felice e sorridente in mezzo a infiniti volti cupi e abbattuti lo aveva fatto vergognare, ora dopo vent'anni capiva perché quella giovane, semplice ma scaltra donna era divenuta sua moglie, capiva cosa significava non avere una casa in cui tornare, nessuna dolce ragazza ad aspettarlo per fargli ricordare che qualcuno lo amava.

Qual'era il modo migliore per affrontare la sconfitta? Morire sul campo di battaglia o essere umiliato e vivere da debole? Vent'anni fa non avrebbe esitato a rispondere, ma ora l'età gli giocava brutti scherzi e non era più sicuro della risposta.

 

 

Mentre i pensieri viaggiavano gli occhi continuavano a muoversi stancamente sulla strada, poi i suoi sensi addestrati da anni di notti simili a quella percepirono qualcosa.

Una piccola figura scura si muoveva vicino a una delle macerie alla sua destra, era invisibile e si fermava ogni cinque secondi per mimetizzarsi nuovamente nel buio della notte, Franz non esitò, prese il fischietto riposto sopra al piccolo mobile di legno alla sua destra e soffiò per qualche secondo, poi ripreso agilmente tra le mani il fucile sparò alla figura nella notte.

Due fari si accesero dal piano sottostante e cominciarono a illuminare le dozzine di soldati sovietici che strisciando seguivano il loro ufficiale, sanguinante e dolorante dopo i colpi della volkssturm. Una mitragliatrice dal piano appena superiore a quello di Franz cominciò a vomitare fuoco e altri proiettili cominciarono a fuoriuscire dalle feritoie del forte.

Figure nella notte aprirono il fuoco verso la loro direzione, mentre un'esplosione si abbatté sulla parte destra della facciata, l'aria cominciò a sibilare e presto tutto fu sotto un bombardamento di schegge e proiettili.

 

Due Obici da 203mm aprirono il fuoco dal fondo della strada e le esplosioni si ridussero ad un sibilo stordito mentre una folla di soldati sovietici usciva dalle case e dai vicoli protetta dal fuoco di mitragliatrici Maxim in un disperato assalto. Dopo una quindicina di minuti decine di corpi giacevano già a terra davanti al forte assediato, mentre la sparatoria cominciava a perdere intensità.

Dalle strade laterali al forte due Panzer IV mimetizzati sotto blocchi di cemento si unirono alla macabra sinfonia di morte. A quel punto l'attacco sovietico si fermò, ma nella trincea di macerie di fronte al forte decine di fucili si innalzarono verso il suddetto rimanendo tuttavia silenti, facendo rivivere in Franz una sensazione da tempo dimenticata.

 

Dopo quasi due ore di assedio un proiettile di uno degli obici russi colpì nettamente la facciata provocando un cedimento di una parte della struttura, esponendo l'ala destra del bunker, l'aria si fece pesante e calò un oppressivo silenzio.

La struttura era costruita sulle macerie di una piccola fabbrica di scarpe, i muri erano stati rinforzati per poter resistere ai bombardieri e alle artiglierie di lunga gittata, ma l'incessante bombardamento dell'artiglieria perdurava da giorni e come la Germania ogni bomba ampliava quelle che all'inizio dello scontro non erano altro che piccoli graffi.

Ulric toccò all'improvviso la spalla di Franz, il quale sussultò e si girò di scatto scrutando il compagno con gli occhi sbarrati, poi lo riconobbe e rilassò i muscoli.

«Ulric, ti ricordi l'estate del '18? La stessa cenere della vittoria, lo stesso tremore nelle mani, la stessa sete, la stessa disperazione.»

Ulric si limitò ad annuire finendo tristemente ad osservare il pavimento. Indossava una divisa stropicciata e aveva recuperato solo un vecchio Kar98 dal deposito prima di raggiungere il compagno per il cambio della guardia.

Il silenzio si ruppe all'improvviso, dapprima solo il suono dei fischietti di linea, poi i soldati uscirono dalle trincee e si udì un grido, «Urra!!», provenire dalle dozzine di gruppi di fanti rossi.

Le mitragliatrici ricominciarono a fare fuoco, le feritoie scoppiettarono ancora e in basso nel foro creato dalle detonazioni, un plotone di fucileria delle forze di terra della Luftwaffe cominciò anch'esso a scaricare armonicamente le cartucce dei fucili semi automatici.

 

 

Volendo abbattere il nemico, dobbiamo commisurare il nostro sforzo alla sua capacità di resistenza; questa si esprime mediante un prodotto i cui fattori inseparabili sono: la grandezza dei mezzi disponibili e la forza della volontà.”

 

Karl von Clausewitz, 1832, tratto dal libro 'Vom Kriege'

 

 

Nella zona più protetta della città, dove settecento anni prima era sorta la prima fortificazione dei cavalieri teutonici, dove allora sorgeva il Palazzo Reale, si trovava la sede centrale di tutte le difese della città, dalla quale fermamente Otto Lasch, comandante in capo di tutte le forze di Königsberg, si opponeva alla moltitudine sovietica con disperata volontà, conscio della reale situazione della città e dello stato delle sue truppe.

La finestra era spalancata e il generale appariva ritto e con le mani incrociate dietro la schiena, il suo volto era bianco pallido e il sudore calava lentamente dal collo, gli incendi sparsi per la città illuminavano i suoi occhi di ardenti fiamme.

Era in attesa, contava i minuti e i secondi, il dispaccio sarebbe arrivato di li a poco, lui conosceva il suono delle bombe e riusciva a calcolare la distanza a cui atterravano, si era infatti già rivestito perché sapeva che il forte numero 7 era stato attaccato, pensò che forse era tardi per aiutarli e per contrattaccare sul forte 5. Scosse leggermente la testa a quel pensiero, non era più contemplato l'attacco, lui resisteva solo per poter dire di non aver ceduto fino alla fine, avrebbe preferito morire in Russia, lasciare una città tedesca in mano al nemico e arrendersi con essa era un destino infausto, indegno, ma Otto era realista, le sua mente si posò sui volti dei suoi soldati logori, ebbe un sussulto e poi un cedimento d'animo.

Bussò un soldato a cui il generale rispose brevemente di entrare, il soldato entro nella stanza con un foglio nella mano destra, l'unica rimastagli.

«Herr General, sono qui per portarle un dispaccio dal fronte»

Otto si girò e accennò ad un sorriso, il suo volto era turbato ma la sicurezza dei movimenti ispirava fiducia e trasmetteva sollievo al soldato.

Il generale lesse il dispaccio, il comandante in seconda chiedeva di poter retrocedere alla fortezza, le strade erano ormai invase dalle truppe sovietiche e il 36esimo reggimento corazzato panzer aveva solo 6 mezzi ancora utilizzabili. Era ormai mezzogiorno dell'8 Aprile. Otto distolse lo sguardo dal foglio e fissò l'ultimo dei pezzi d'artiglieria della città, un sdkfz 138 “Grille”, che con forza inesauribile si muoveva per le vie schivando la contro-artiglieria sovietica e cercando al tempo stesso di supportare la prima linea, al comando Ilian Reibnek, un artigliere nato che si guadagnò la Croce di Cavaliere con fronde di quercia nella battaglia di Leningrado per aver distrutto 22 corazzati nemici con il suo semovente “Bison” permettendo alle truppe tedesche di accerchiare la città, un risultato incredibile per un'artiglieria creata per il supporto della fanteria. Ora quel giovane ufficiale teneva le redini di ciò che un tempo fu un battaglione d'artiglieria semovente che vide la Francia e la Russia marciando dietro alle possenti colonne corazzate germaniche, le inarrestabili spade di Tyr, il Dio della Guerra.

 

L'MG42 stava operando la sua macabra canzone, Ulric stava muovendo la canna in maniera impeccabile, era palese la grande esperienza accumulata come mitragliere di MG8 nella Grande Guerra, era dietro ad una mitragliatrice il suo posto, non dentro ad una fabbrica o a marcire in qualche sudicia casa di riposo, era stato contagiato dalla guerra, cresciuto per diventare soldato aveva portato onore alla sua umile famiglia proletaria che da sempre viveva a stretto contatto con il popolo della sua Amburgo, tanto che quando tornò dalla guerra trovò solo due lapidi di due coraggiosi operai in prima linea durante la rivolta Spartachista di Novembre, pochi giorni prima del suo ritorno erano partiti per Kiel. Si rese conto che quei pensieri avrebbero fatto piangere i suoi vecchi genitori e sua moglie che non aveva mai smesso di piangere da quando lui era partito per infilarsi nella sacca di Königsberg, un'altra tomba fondata sul dolore.

Franz teneva i palmi rivolti verso l'alto mentre su di essi il nastro della mitragliatrice scorreva liscio, sotto di loro l'onda sovietica si stava battendo alla baionetta per entrare nel bunker rompendo la difesa tedesca, alla fine i soldati di terra della Luftwaffe vennero sopraffatti, il lieutenant che li comandava si fece esplodere con 4 granate e con grande coraggio davanti alla breccia facendo tremare i muri dell'edificio e portando nella tomba molti giovani reclute sovietiche.

Fu diramato quindi l'ordine di evacuare il bunker ormai indifendibile e a pericolo di crollo strutturale, i battaglioni di volksstrum cominciarono a fluire verso le porte secondarie che davano sulla zona difesa dai carri del 36esimo reggimento panzer che con enormi sforzi manteneva un corridoio di salvezza verso la fortezza al centro della città.

Franz e Ulric finirono le munizioni della mitragliatrice, allora Ulric si caricò in spalla la suddetta e si avviarono velocemente.

Eber stava svolgendo diligentemente il suo ruolo, sorpassando l'autorità effettiva di Lotendorf che aveva rinunciato a organizzare tutto il gruppo e si limitava a gestire il primo plotone dei quattro di cui si componeva l'unità, il terzo rimase a tappare il corridoio principale mentre gli altri si organizzavano per portare via i feriti, Eber finì di radunare il secondo e il quarto invitandoli a seguire il primo capitanato da Lotendorf che si stava allontanando verso la fortezza.

Franz e Ulric erano gli ultimi, a cui Eber affidò il compito di portare in salvo l'ultimo soldato in barella, Ulric con estrema fatica riuscì a tenere sulle spalle l'MG afferrando allo stesso tempo una delle estremità della barella bianca.

A quel punto Eber fece per richiamare l'ultimo plotone ma una raffica di PPSH interruppe la sua voce, da una delle due scalinate che portavano all'atrio in cui erano irruppero tre soldati delle truppe shock sovietiche, erano gli unici ad aver superato il blocco della metà del terzo plotone adibita al controllo della seconda scala, che ormai giaceva a terra in una pozza di sangue.

La raffica aveva mancato Eber ma uno dei colpi aveva centrato il fianco di Ulric che ora era inginocchiato dolorante e ansimante per lo sforzo, il lieutenant si girò verso le due volksstrum e poi di nuovo verso i soldati sovietici intenti a ricaricare.

L'Ufficiale tedesco si gettò dietro ad un angolo del muro impugnando lo schmeisser, in una raffica falciò due dei tre soldati rossi, quando un lampo investì la sua mente, il terzo soldato era un'ufficiale, ma quell'espressione, quegli occhi verdi. Riconobbe il terzo soldato, era un maledetto cosacco, si erano già incontrati nell'inverno di quattro anni prima, a Stalingrado.

Il cosacco scaricò il suo PPSH contro la colonna di Eber, poi corse e si riparò sotto una delle due scalinate. Eber lanciò un'altra raffica ma non riuscì a centrare il bersaglio, a quel punto il cosacco uscì per cercare di evitare la colonna, ma quando cominciò a fare fuoco Eber rispose con un'altra scarica di cui un colpo si conficcò nel braccio sinistro del russo. Lo stesso braccio che il cosacco centro ad Eber, i due allora gettarono le armi e sfoderarono le baionette, in pochi secondi gli occhi azzurri di Eber guardavano gli smeraldi brillanti e vivissimi del tartaro, intanto Ulric e Franz si erano allontanati girandosi di tanto in tanto per capire se avessero rivisto il giovane comandante.

I due soldati cominciarono un duello sanguinoso, aprendosi ferite in più punti, finché lo stivale nero di Eber non colpì in pieno petto il russo, allora sempre Eber corse a recuperare lo schmeisser ma il cosacco gli salto nuovamente sulla schiena, all'inizio non sentì nulla, poi un rigagnolo di sangue sgorgò dalla bocca del giovane tedesco, il russo rivoltò Eber assestandogli un colpo che gli ruppe vari capillari nasali, la baionetta gli aveva penetrato il polmone sinistro. Il russo dunque si rialzò con fatica scrutando il volto sanguinante del tedesco, ripreso il PPSH, Karensky ufficiale cosacco, osservò trenta secondi il giovane ufficiale ferito a morte, esitò, non avrebbe mai tentennato nell'uccidere uno degli aggressori di Stalingrado, ma la sua energia pareva essere finita di colpo, non riusciva a premere il grilletto per porre fine alla vita di Eber che osservava il russo con paura crescente, si erano incontrati in una fabbrica di Stalingrado e ora la loro lotta finiva a migliaia di chilometri di distanza, nella città dei cavalieri e dei re.

Si guardarono negli occhi per un minuto intero mentre un plotone di guardie li raggiungeva, cominciò un duello di sguardi, il tedesco ferito a terra si sforzò di tenere fisso lo sguardo sul russo, come fiero di quella fine. Poi i suoi occhi diventarono vuoti e Karensky si girò verso i suoi soldati ordinandogli di fortificare la posizione.

Fece per andarsene, ma all'ultimo si fermo accovacciandosi nuovamente per chiudere gli occhi al suo avversario.

 

Pioveva a dirotto, Franz era al centro di un incrocio con la testa bassa, dietro di lui il piccolo ponte ricamato e perfetto nella sua regale magnificenza conduceva all'entrata della fortezza imperiale di Königsberg, il suo volto diventava ogni minuto più cupo, esplosioni in tutta la città assordavano la sua mente frustrata, ad ogni colpo che rompeva l'aria avrebbe voluto stringersi le mani intorno alla testa.

Alla sua destra il blocco di sacchi di sabbia era stato costruito per essere efficace e non appariscente, i soldati, senza ormai una vera e propria organizzazione, stavano difendendo le tre strade che conducevano alla fortezza, al centro dell'incrocio le volkssturm stavano correndo per trasportare i feriti ammucchiati sotto l'insegna di uno dei negozi d'angolo, Emma stava trattando uno dei feriti la cui voce giungeva sino a Franz con disturbante chiarezza, la piccola infermiera era colma di sangue e si stava mordendo le labbra, al suo fianco Karl teneva fermo il ferito, la sua espressione pareva apatica.

Ulric si avvicinò a Franz che teneva in mano un foglio di carta pallida con su scritti gli ultimi ordini che gli aveva consegnato Eber, il grosso tedesco lo prese per un braccio e lo scosse, era stata diramata la ritirata immediata, la zona della città era isolata, ogni divisione doveva ritirarsi al più presto nella fortezza. Proprio in quel momento Franz si girò nuovamente verso Emma che era seduta con le mani grondanti di sangue e la schiena appoggiata alla facciata del piccolo negozio d'angolo, il suo sguardo fisso scrutava il cadavere del soldato che fino a poco prima stava cercando di salvare.

Franz si rigirò verso Ulric come se rigettasse quell'ennesima esibizione di morte, osservò il compagno con il fianco coperto di bende, poi guardò il cielo, molto in alto volava un aereo da caccia russo, fin da terra si riuscivano a scorgere le stelle rosse sui fianchi della fusoliera.

 

Lungo la via principale che porta alla fortezza l'ultimo carro armato tedesco della città resisteva, circondato da soldati di diverse divisioni, era un Panzer IV modello H, un carro che aveva visto infinite battaglie, dai molti segni sul cannone, che giorni prima attendeva che la sua strada fosse spianata da soldati senza speranza, quella strada dove l'ha portato? L'ha portato nella sua ultima giornata, in un'ora di fitta pioggia, nel tardo pomeriggio dell'8 Aprile 1945 a Königsberg. Il comandante di quel carro era una persona raffinata, aveva ascoltato centinaia di volte i grandi classici, era innamorato della poesia di Mozart, aveva contemplato per ore quella bellissima musica nella sua ultima licenza mesi prima. Era nato a Norimberga in una notte di pioggia, un panciuto bambino, allora senza bandiere, senza stendardi, senza coscienza ma già con una patria.

Stava osservando la strada indicando i bersagli al suo cannoniere, posizionati dietro a delle macerie nel lato sinistro della strada, lui e il suo equipaggio mietevano vittime, come avevano fatto decine e decine di volte, gli occhi gli brillavano, lo sguardo sforzato nel fragore tra l'acciaio del mezzo, ad un tratto la vide. La morte lo guardava da lontano, vide un cacciacarri nemico in fondo alla strada, poi un altro che si affacciava da una stradina, ancora un altro dietro ad un muro crollato di una vecchia macelleria. Ci fu un dolce silenzio dentro al mezzo, l'equipaggio era come in attesa poi il loro capocarro parlò, un'ultima volta

«Addio mia famiglia, miei compagni»

L'esplosione come furiosa fuoriuscì dal carro, impersonificando l'orrore provato nella vita da quei cinque soldati, si levò come se nella sua ultima corsa volesse raggiungere il cielo, alla ricerca di qualcosa, forse la vendetta, o forse la salvezza. Ciò che si sa è che nessuno li rivide mai più, neanche i loro corpi senza vita vennero mai trovati, inghiottiti dalla guerra, dalla morte e dall'odio, come Königsberg, come la Germania, come il popolo tedesco.

 

   
 
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