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Autore: Vegeta_Sutcliffe    08/11/2017    2 recensioni
La sfidò. Quella relazione era una lotta perenne, due poli opposti che si erano intestarditi a volersi avvicinare, ma che erano impossibilitati dalla loro natura. Lei tornò vicino a lui e si sedette suelle sue gambe.
“Non lo farai se ti tengo la bocca occupata.” Esclamò sorridente e vittoriosa lei, prima di adagiare le sue carnose e morbide labbra su quelle sottili di lui, che non aveva voglia di lasciarla vincere. Andava contro il piacere fisico, andava contro la sua voglia di toccarle le coscie da sotto la gonna della divisa, ma volgerle contro le sue parole, farla cadere in contraddizione e farla avvedere dell’incoerenza tra il suo ruolo istituzionale e il suo volere individuale era decisamente meglio, fosse solo per il fatto che la sua convinzione di perfezione si sarebbe infranta contro uno specchio.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Freezer, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: AU, Lemon, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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"Il cambiamento è il risultato finale di tutto il percorso di apprendimento"
Leo Buscaglia
 
 
“Che le è preso Brief?” Inquisì la vecchia donna.
La ragazza non sapeva che rispondere. Guardava quell'infausto numero scritto in rosso su quel foglio di carta, esattamente sopra il suo nome.
Stentava a crederci, non riteneva possibile distrarre il suo genio, non riteneva possibile prendere un brutto voto a scuola. Il foglio bianco era abbellito da innumerevoli segni rossi.
“Questo compito era stato programmato da una settimana e avrebbe dovuto premurarsi di studiare, viste le sue carenze in materia. Perché non ha aperto libro?” Incalzava quella.
Non sapeva davvero che rispondere. Quella domanda aveva una risposta breve e semplice, e lei la conosceva, eppure dirla le avrebbe compromesso a vita la reputazione. Doveva inventarsi qualcosa, qualcosa di molto convincente e giustificatorio.
“Io non ho potuto perché…”
‘Due giorni solo per noi. Possiamo andare a mare in montagna o a fare shopping…’ gli aveva leccato la guancia e aveva saggiato delicatamente la sua pelle. Non capiva più niente se le parlava con quel tono e la stuzzicava così.
‘Mi dici sempre che odi le femmine impazzite che fanno compere.’
Sudava freddo e stringeva gli occhi. Si convinceva che lo faceva per pensare ad altro, per concentrare la sua mente su un pensiero che non fosse la lingua del ragazzo. Umiliante sarebbe stato ammettere che strizzava gli occhi per godere di quel clandestino e poco pudico tocco, ma le piaceva, le piaceva tanto.
‘Sì, ma non lo odierei tanto, se ti comprassi qualcosa di carino da mettere solo per me…’
La sua mano, benchè ostacolata dal tessuto liscio della gonna della divisa, godeva del piacevole contatto con il sedere di lei. Succedeva sempre più spesso. Lui la toccava sempre più smaliziato, sempre più audace e lei sempre più spesso lo lasciava indugiare sul suo corpo per poi levare la sua mano come scottata e stringerla nella propria.
‘Smettila, amore.’
Quelle parole erano state dette la prima volta, come fossero un perentorio ordine, per poi divenire delle sommesse suppliche.
‘Perché? Non dici di amarmi?’
Era un fottutissimo bastardo. Perché doveva usare i propri sentimenti per palesarle la stramba contraddizione tra le sue parole e i suoi fatti?
Era stata sempre una ragazza innocente e solare, innamorata dell’amore, dell’idea del principe azzurro, dal cuore nobile e dall’animo gentile. Era sempre stata pudica nei pensieri e innocente nelle azioni. Ma, da quando aveva conosciuto Vegeta, tutto era cambiato, lei era cambiata. Il bianco cavallo dei suoi sogni era stato rimpiazzato da una macchina sportiva e completamente nera, il principe perfetto dalla perfetta bellezza di un bastardo. I suoi vestiti erano cambiati. I suoi capelli erano cambiati. I suoi atteggiamenti e i suoi vizi e le sue virtù erano cambiate. Non avrebbe mai pensato di abbandonare quei graziosi vestitini rosa per indossare jeans stretti e magliette provocanti. Non avrebbe mai pensato di sciogliere la sua amata treccia o la infantile codina, per portare capelli lisci e fluenti sulla schiena. Non avrebbe mai pensato di ampliare il suo fine lessico con termini volgari e scurrili. Non avrebbe mai pensato di intraprendere una viziosa abitudine infruttuosa, dispendiosa e nociva, quale fumare, lei che per due anni era stata presidente dell’associazione antifumo della sua vecchia scuola.
Vegeta le aveva imposto tanti piccoli cambiamenti nella sua vita, anzi Vegeta si era imposto come cambiamento e non cedere alle sue esplicite richieste era un fragile appiglio al suo infantile passato. Era l’ultimo labile tentativo per rimanere aggrappata a quello che era,  per non corrompere anche la Bulma pura e ingenua di prima e per non condannarsi del tutto.
Ma era una tentativo sempre più labile e lei era sempre meno convinta nel provarci.
‘Si, ma ancora non mi sento pronta…’
Bugia anche quella. Si sentiva pronta, ma non era pronta ad ammetterlo.
Vegeta, allora, le aveva carezzato i capelli con la mano libera e aveva sottomesso la sua nuca a casti baci. Lei si era svincolata a malincuore dalle sue braccia e aveva guardato lui, contrariato e quasi incazzato.
‘Scusa, ma devo tornare in classe.’ Fece per aprire la porta, ma lui, più lesto, la attirò nuovamente a se.
‘Tu non te ne vai finchè non lo dico io.’ Scordatosi del precedente rifiuto, si impossessò violentemente della bocca della ragazza, mentre con la mano le teneva il mento verso sé.
Sarebbe stata felice di passare l’ora nel bagno con Vegeta, ma l’insegnante non sarebbe stata dello stesso avviso. Con poca forza e con poca voglia cercò di allontanarsi dal ragazzo, ma quello più forte, aumentava l’intensità della presa.
‘Ti lascio andare solo se accetti la proposta- l’aveva ricattata tra i baci- e non faremo niente, se non vuoi farlo.’ e lei si era dichiarata felicemente sconfitta.
‘E a i miei genitori che dico?’ Quel piccolo, detestabile dettaglio era apparso per rovinarle la felicità di un irrealizzabile progetto.
‘Gli dici che non possono più comandarti, perché ora ci sono io a farlo.’ Dichiarò impassibile e spaventosamente serio.
‘Ma tu ci credi davvero quando dici certe cose?’Domandò lei, più curiosa che offesa.
‘Vai in classe.’ Ordinò, sciogliendola dall’abbraccio e schioccando le dita.
Bulma si ricordò della spaventosa professoressa di letteratura italiana, meglio non farla alterare troppo.
Gli regalò un veloce bacio sulle labbra e corse fuori dal bagno, seguita dalle mordaci parole di lui.
‘Visto che ti comando io adesso?’
Girò la testa e gli offrì la visuale del suo dito medio alzato contro di lui e un’espressione molto irritata.

“…sono andata a trovare mia nonna, che sta male.”
Bugia,  bugia, bugia!
Ed era preoccupante che non era la sola nel corso di pochi giorni. Lei, che era sempre stata sincera, si era ritrovata a mentire parecchie volte.
Ma poteva confessare che Vegeta l’aveva sedotta, l’aveva persuasa, fino a farle completamente perdere il senno della ragione e dimenticare il suo dovere di studio?
“Brief, gli insegnanti non credono mai alle scuse degli studenti. Ma apprezzano molto l’originalità di alcune e qualche volta in nome dello spirito salace del ragazzo lo perdonano.” Sciorinò veloce e poi riprese.
“Siamo quasi a fine anno e lei rischia il debito. I miei colleghi decantano spesso la sua intelligenza e voglio metterla alla prova.”
Bulma ingoiò un groppo si saliva. Maledetti insegnanti pettegoli.
“Domani la interrogo, si faccia trovare preparata e passerà l’estate tranquilla.”
La campanella era suonata provvidenziale, impedendo alla professoressa di continuare il suo monologo circa l’importanza della sua materia, le reputazione della scuola, il prestigio dei professori e la vergogna di alunni distratti. Veloce sistemò le sue cose e corse fuori dalla classe fino ad arrivare all’aula di fronte, entrare trafelata e cercare nervosamente la sua amica.
“Chichi! Chichi! Dove sei?”
La vide mettere i libri nello zaino con cura e delicatezza, per timore di sgualcirli.
“Ehi Bulma.” La salutò cordiale e allegra. Nella sua voce tuttavia era palese una nota di stanchezza.
“Mi devi raccontare nei dettagli come è andata con Vegeta questo fine settimana. Me lo merito in fondo.”
La mora detestava Vegeta. Troppo spaccone. Troppo arrogante. Troppo montato. Troppo presuntuoso, eppure l’aveva coperta pur di farle passare del tempo sola con lui.
“Già te lo meriti. Perché non parlarne oggi? Tra un caffè, una fetta di dolce e le tue ripetizioni di latino?”
Aveva congiunto le mani e inumidito gli occhi, come un cucciolo. Era essenziale non farsi lasciare debiti, non voleva deludere i suoi genitori, non avrebbe potuto ferire così il proprio ego.
“Non posso. Oggi devo uscire con Goku. - Disse dispiaciuta, ma non troppo- perché non chiedi aiuto a Vegeta? Sarà molto più utile di me.”
Il volto di Bulma si illuminò istantaneamente “Si, sarebbe bello- per poi rabbuiarsi subito- peccato che non sia facile da convincere.”
Chichì le regalò un’amichevole pacca sulla spalla e le sorrise complice e divertita.
“La seduzione delle donne è un’arma eccezionale, cara. Ci vediamo domani.”
Seduzione delle donne? Aveva forse voglia di scherzare?
Vegeta sapeva essere tanto passionale e voglioso, quanto indifferente e quasi apatico. Quasi non aveva importanza come Bulma si acconciasse o si vestisse, perché solo lui decideva quando e come darle attenzione. Era l’ennesimo modo e per sentirsi grande e per farla sentire piccola.
Scese le scale, s’incamminò verso il parcheggio della scuola e lo vide salire sulla macchina e sistemarsi la cravatta, mentre lei pensava un modo per convincerlo. Lo raggiunse silenziosa e si sedette al posto del passeggero senza che lui avesse il tempo di poterle dire qualcosa.
Quella macchina sapeva di buono, sapeva di lui, sapeva di loro due e della loro fuga del week end. Bulma aveva accavallato sensuale le gambe, stando ben attenta affinchè  l’orlo della gonna si sollevasse più del solito.
“Mi sono perso il momento in cui ti ho detto di salire.”
Lei sorrise di circostanza e, audace, si coricò con la testa sulle ginocchia di lui e con la mano gli carezzava il basso ventre, perché anche l’uomo più duro del mondo non sarebbe potuto restare indifferente a certe attenzioni.
Ma all’uomo più duro del mondo, forse piaceva di più fare il duro, perché era abituato che quell'atteggiamento piaceva e aveva i suoi risultati. Vegeta le bloccò la mano e ringhiò feroce e sensuale.
“Quando te lo dico io.” Abbassò la testa e , ubriacandosi del suo odore di femmina, le ficcò irruente la lingua in bocca. Era un bacio impetuoso e violento. Lui decideva il ritmo, lui decideva la velocità. Vorace le addentò le morbide labbra, affondando i denti e facendola gemere di voluto dolore. Era sceso sul collo, mordendolo e baciandolo. Il suo passaggio era reso noto da succhiotti viola e morsi dai contorni rossi. La foga di lui la faceva impazzire, ma in quella posizione si sentiva completamente indifesa e sottomessa e non le piaceva per niente. E lui diventava sempre più veloce, sempre più violento, sempre più letale per lei e le piaceva immensamente.
La ragione stava incominciando a cedere all’estasi.  Doveva chiedergli aiuto per studiare, per non prendere un brutto voto in latino e invece si stava nuovamente distraendo. Era un circolo vizioso quella relazione.
“Vegeta, mi fai male.” Cercò di dire ferma, ma fu tradita da un suo stesso gemito d’approvazione.
“E ti piace.” Le sue mani si erano intrufolate sotto la camicia della divisa e avevano iniziato a stringerle il seno, sotto la stoffa del reggiseno.
“Ascoltami, ti devo parlare. E’ una cosa importante.” Gli afferrò il polso per bloccarlo e portò la mano del ragazzo all’altezza del loro viso.
“Ho preso tre nel compito di latino...”
“L’ho sempre detto che sei un’idiota.”  le sussurrò sulle labbra in un tono misto di nervosismo e derisione.
“Ehi!” Gli morse l’indice con quanta più forza potesse, ma lui non le badò minimamente.
Tentò di alzarsi, ma lui con una leggera pressione della mano la buttava indietro sulle sue ginocchia.
“Fammi alzare. Sento qualcosa di duro che mi preme e temo che non sia il cambio.” Ammise preoccupata che la situazione fosse degenerata davvero in fretta, ma finchè era salvabile, doveva salvarla.
“Prima mi istighi e poi ti tiri indietro? Non ti facevo così codarda.”
Non era codarda e glielo avrebbe dimostrato. Lei non aveva paura di niente, nemmeno di lui.
“Ho preso tre nel compito, perché questo fine settimana non ho potuto studiare. E tu sai benissimo perché non ho potuto farlo.”
“Non sei mai stata così contenta di prendere tre.” Insinuò.
“Anche se fosse, sarei ancora più contenta se non mi lasciassero la materia. Anzi saresti. Perché se io passo l’estate a studiare, tu ti dovrai dimenticare di me.Tu sei bravo in latino, aiutami a studiare.”
l problema era che Vegeta non concedeva nemmeno il beneficio del dubbio. Non ci rifletteva, non prometteva che avrebbe cambiato idea, ma era assolutamente convinto del suo no categorico.
“Che ti costa?” Era frustrante. Più andavano avanti, più capiva che il concetto di coppia come lo intendeva lei, quel percorso fatto di compromessi e cessioni, era totalmente estraneo al modus pensandi di Vegeta e, se l’accettava, lo intendevo univoco e unidirezionale.
“Mi costa tanti sacrifici. Devo rinunciare a qualcosa che mi piace fare per occuparmi di un caso disperato.”
Ma in una relazione avrebbero dovuto essere in due e in due si sarebbero presi oneri e onore. Lei sfoderò i suoi soliti occhioni dolci, occhi che avrebbero fatto tenerezza al più spietato dei tiranni e gli baciò la mano ancora stretta nella sua.
“Su andiamo fallo per me.”
“E tu che farai per me?” domandò allusivo.
Che poi Vegeta pareva davvero avere una visione distorta della realtà se pensava che quello in credito fosse lui.
“Sopportarti.”
“Sopporterai anche il debito in latino.”
Bulma sorrise di un sorriso tirato, di uno di quelli che avrebbe voluto manifestare come ringhio rumoroso e che sarebbe scomparso, solo per lasciare spazio ad insulti ad alta voce, perché Vegeta, proprio perché egoista e cinico, conosceva perfettamente il bisogno di minacciare l’egoismo altrui per averla vinta. Vegeta era davvero un bravo ricattatore.
“Che vuoi che faccia?” E Bulma era l’unica che aveva qualcosa da perdere. L’unica cosa che non tollerava era il fallimento.
Lui sorrise diabolico e infilò il dito medio nella sua bocca e, spostatosi al suo orecchio, le leccò il lobo.
Bulma, infuriata e nervosa, lo morse, senza però riuscire ad avere il sazio di avergli fatto male.
“No!” Aveva rifiutato decisa la sua proposta e lui ora si stava davvero alterando. Vegeta non veniva rifiutato.
“Dici che mi ami, ma l’intimità con la persona che ami ti fa paura. Sei contraddittoria e sei una bambina viziata che usa parole solo perché vanno di moda.”
Stavano assieme da due mesi. Un’eternità per lui e un niente per lei, per questo sembrava paradossale che ad avere una visione chiara del sentimento che li legava e una certa sicurezza nell’ esprimerlo era Bulma.
Era troppo frettolosa, troppo superficiale forse, eppure si atteggiava da persona profonda e ostentava ideali così elevati da non poter trovare casi paradigmatici nel reale. Forse era proprio la sua eccessiva astrattezza a farla essere superficiale, perché le dava l’arroganza della conoscenza, priva dell’esperienza.
L’amore era romantico, l’amore era puro, l’amore era eterno, l’amore era perfetto. Il corpo no.
“Io ti amo, sei tu che non rispetti il fatto di non sentirmi pronta.”
“Sai quanta voglia avevo di scoparti in questi due giorni?”
La ragazza non rispose e lui poté continuare il suo discorso.
“Davvero tanta. Tu giravi nuda, ti buttavi addosso a me e hai preteso che io non facessi niente, ne ho insistito per farlo.. Secondo te questo è non interessarmi a te e a tutte le tue stronzate paranoiche?”
Lei boccheggiava, in cerca di una risposta che non trovava, persa nell’eccitazione e nella brama di lui, ma l’esitazione e la paura rimanevano.
“E’ una cosa che fa schifo.” Non sapeva se facesse schifo o meno, ma sapeva che non era un argomento esente da tabù e da obiezioni contrarie. Sesso finalizzato alla procreazione.
“Non dire cazzate. Non hai mai provato.” Vegeta odiava Bulma, perché giudicava, ma pareva incapace di riflettere.
“Nemmeno tu, se è per questo.”
“Certo che l’ho provato.”
Una fitta allo stomaco la colse d’improvviso. Un senso di fastidio e di disagio che non voleva riuscire a spiegare, che non voleva riuscire a chiamare con nessun nome che conoscesse. Sapeva che aveva avuto altre prima di lei, ma non conosceva il numero, né la natura esatte della relazione e iniziò a sentirsi stupida e inadeguata.
“Non in quel senso, idiota. L’hai sempre ricevuto, ma mai l’hai fatto.”
Lui sospirò esasperato. Odiava i bambini e fare da baby-sitter lo stava indisponendo non poco. Che poi era paradossale che lei odiasse essere definita tale, ma non riusciva a comportarsi da adulto.
Vegeta si avvicinò nuovamente al suo volto, il suo respiro caldo le solleticava l’orecchio, procurandole piacevoli brividi di freddo.
“Ti piace la mia carne quando mi mordi? Ti piace l’odore della mia pelle quando mi annusi il collo?”
Sì, Sì! Le piaceva!
Perché in fondo un rapporto fisico coinvolgeva solo la sfera fisica ed estetica. Nessun giudizio di valore, solo la soddisfazione dei sensi, solo questione di piacere.
Nascose il volto di lato, per non farsi vedere con le guance arrossate per colpa sua, ma anche girata riusciva a percepire quel sorrisetto bastardo che mai lasciava il volto del ragazzo.
“E ti è piaciuto ieri quando mi hai visto nudo?” Ricordò con malizia.
Le era piaciuto?
Rimembrava i suoi tentativi di girarsi, quando lui le aveva mostrato il suo essere maschio e ricordava la vanità di tali tentativi, allorché lei, senza accorgersene, tornava a contemplarlo. Non ne aveva mai visto uno prima di allora e, dopo il primo imbarazzo, si era ritrovata affascinata e calamitata dalla possanza di quel muscolo proibito.
“Bene è come unire due cose che ti piacciono, quindi non ti potrebbe mai fare schifo.”
Un sospiro rassegnato le uscì dalle labbra. Odiava perdere, ma in quel frangente forse non le importava minimamente vincere. Era tanto tentata, quanto spaventata di dire si.
“Fai una prova. Se non ti piace…”
Se non le piaceva? La piantava? Continuava a stare con lei, scegliendo un’altra come trastullo sessuale?
“…non ti piace.”
Non sapeva ancora cosa avrebbe fatto, ma perché fasciarsi la testa prima del previsto? E perché prestare attenzione ad assurdi pensieri?
Era impossibile che lui non piacesse a una donna o a una ragazzina.
“Però non qui a scuola.” Gli aveva imposto, corrucciando le labbra, come una bambina “A casa tua!”
Lui la alzò contrariato dalle sue gambe. “Stai dando troppe cose per scontate, oggi. Prima la macchina e ora la casa. Tu sei fumata. Si va da te.”
“Cosa? Ci sono i miei genitori, che succede se entrano nella stanza o sentono strani rumori?”
Maledizione a quel decoro necessario e obbligato che faceva diventare di un non problema un peccato.
“Si entra dall’ingresso secondario, si sta solo nella mia stanza e non ti presento nessuno.” E per quanto fosse una scelta pericolosa, era meglio del perbenismo e di una valorosa pudicizia.
 
“Prima cerchi il verbo principale per analizzarlo. Modo, tempo, diatesi, persona e numero.”
Le consigliò stranamente paziente. Avevano passato più di due ore, piegati sui libri e lei lo aveva fatto impazzire. Non lo ascoltava, non capiva ciò che le diceva, sbagliava declinazioni e coniugazioni di continuo.
Solitamente si sarebbe incazzato, ma gli aveva permesso di urlarle addosso qualunque genere di imprecazione, pur di non perdere quel prezioso aiuto, difficilmente comperato con la sua innocenza.
Lei si reggeva la testa con le mani e stringeva tra le labbra una matita. Era un’imbecille!
Aveva sbagliato tutto, doveva concentrarsi sul latino e non riusciva a non pensare a quello che sarebbe successo dopo. Aveva paura di fare una cosa che voleva fare. In quel preciso istante non capiva i labirinti tortuosi del suo cervello, figuriamoci il latino. Forse se l’avesse fatto prima di studiare, si sarebbe potuta concentrare.
Sputò la matita e gli si sedette addosso, armeggiando con la fibbia della cintura e la cerniera dei pantaloni, in una maniera tanto goffa e davvero poco seducente, da rendere eccessivamente manifesta la sua inesperienza e il suo disagio, facendola diventare un’esperienza quasi nuova anche per lui.
Dovette praticamente occuparsi lui di liberare il suo membro dall’intimo che indossava, per non rischiare che lei strappasse i jeans senza nemmeno riuscire ad aprirli o fargli male senza nemmeno sapere cosa stesse toccando.
“In ginocchio.” Forse voleva essere un consiglio per lei, che ancora stava a cavalcioni su di lui ed era visibilmente disorientata, o forse calamitata?, ma la sua consueta mancanza di affabilità e il suo tono quasi militare lo fecero somigliare ad un ordine e sembrava l’ennesimo indizio che quello che stava facendo era sbagliato.
Bello lui e bella nei: mai nessuno avrebbe potuto pronosticare che un tale tipo d’ incontro tra i due potesse mancare di sensualità e piacere.
Lui attendeva, attendeva da tanto quel momento, ma il suo membro quasi non condivideva le sue attese; lei attendeva un segno decisivo da interpretare e che le avrebbe tolto del tutto la responsabilità della scelta.
Non pareva una cosa così esaltante come lui l’aveva dipinta, ma sentiva meno ribrezzo di quello che avrebbe voluto. Dove stava la verità?
Vegeta mise una mano tra i capelli azzurri di Bulma e avvicinò i loro volti; i loro nasi freddi che si sfioravano. Si impossessò delle sue labbra in un modo estremamente possessivo e famelico, non lasciandole quasi il tempo di respirare, ma lei amava il suo modo di baciare, perché in un certo quel senso la faceva sentire indispensabili, sicuramente più dell’aria che scarseggiava sempre, e perché Vegeta non conosceva dolcezza e a lei piaceva così.
Fece forza per svincolarsi da lui e scivolare ai suoi piedi. Quel bacio era il segno che aveva cercato, l’assoluzione della sua coscienza. Lui allargò le gambe per permettere di stare più comoda e per la prima volta posò la mano sulla testa di una ragazza non per tirarle i capelli e obbligarla alla velocità che voleva lui, ma per accarezzarla e farle sentire protetta.
Bulma si avvicinò, titubante, ma nel momento stesso in cui per la prima volta sfiorò con le labbra il pene di Vegeta, sentì la porta aprirsi e una persona varcare la soglia della camera. Si girò imbarazzata, vergognata intimorita. Le guance bruciavano , ma mai quanto il suo orgoglio e la sua decenza, quella che si vantava sempre di avere.
Un uomo di bassa statura e dalla carnagione chiarissima, quasi bianca, la stava squadrando con due occhi neri profondi, di una profondità agghiacciante e spaventevole, il volto una maschera d’apatia.
Bulma volgeva i suoi occhi prima su di lui e poi su Vegeta che ancora la sovrastava e sembrava infastidito più che imbarazzato. La perforava con quello sguardo tagliente e penetrante e sembrava più arrabbiato con lei che con l’intruso.
“Ti avevo espressamente detto di chiudere la porta a chiave.”
Aveva sgranato gli occhi, si sentiva scrutata e accusata. E per quanto sapesse che quella posizione era davvero poco dignitosa, non riusciva a comandare al suo corpo di alzarsi e, se non fosse stato per Vegeta, che l’aveva aiutata ad alzarsi tirandole un braccio e facendole anche male, immaginava che sarebbe stata pietrificata  per il resto della sua vita.
“Ti aspettavo di sotto. Mezz’ora fa. Dovevi esserci.” Parlava pacato e atono, non sembrava interessato a lei, e questo la sollevò.
“Dovevo aiutarla con il latino.” Rispose asciutto il ragazzo.
L’uomo si voltò verso la ragazza, che stava giocando nervosamente con l’ultimo bottone della camicia.
“Mi sembra di aver capito che le lingue non sono il tuo forte.”
L’apostrofò crudele e allusivo alla nudità di Vegeta.
Bulma sgranò gli occhi sbigottita e offesa che uno sconosciuto si stesse prendendo gioco di lei e che quello che pensava fosse il suo ragazzo non la difendesse. Si domandava se la cavalleria fosse una sua pretesa esagerata o se Vegeta fosse incapace anche dell’ovvio.
Si girò indecisa se arrabbiarsi preventivamente o nutrire qualche speranza che lui la stesse spalleggiando anche solo con un’espressione irata e accigliata, ma quello che vide fu un ghigno complice. E si incazzò.
Non capiva chi fosse quella persona. Non l’aveva mai vista e non riusciva a ricollegarla in alcuna maniera a nessuno di sua conoscenza, tanto meno al moro al suo fianco.
“Chi cazzo sei tu per parlarmi così? E chi cazzo sei per non bussare?”
Domandò inviperita, mettendosi in posizione di guerra, con le mani sui fianchi, perché si doveva difendere da sola. L’uomo scrollò le spalle indifferente e curvò le labbra scure in un sorriso di divertita esperienza.
“Vegeta, le donne migliori sono quelle che non usano la bocca per parlare. Hai avuto troiette migliori e più belle.”
“Smettila, papà.”
Sarebbe dovuta sentirsi ferita nell'orgoglio per la stoccata alla sua bellezza indubitabile; sarebbe dovuta sentirsi nervosa perché le avevano ricordato per l’ennesima volta che lei sarebbe stata una delle tante per lui e non avrebbe avuto nessun valore speciale. Ma non ci riusciva.
Papà?
“Domandare è lecito, rispondere è cortesia. Sono il padre del ragazzo da cui ti fai sbattere.”
“Smettila, Freezer.” Ringhiò nuovamente Vegeta nella sua direzione.
Quelle parole le gelarono il sangue e le inumidirono gli occhi, perché avevano confermato, l’unica cosa che non avrebbe voluto sentirsi dire.
 
Era sempre stato un tipo taciturno, poco propenso a conversare, ma il silenzio dell’abitacolo le metteva agitazione. Forse perché era pregno anche delle sue parole non dette?
Non aveva parlato. Non aveva scherzato. Non aveva acceso la radio e non aveva cantato. Aveva un bruttissimo senso di nausea e le girava la testa. Arrivarono a casa sua in metà del tempo previsto. Vegeta alla guida era un folle e per di più sembrava molto nervoso.
“Scendi.”
“Mi dispiace.” Era turbata. Era curiosa. Era dispiaciuta. Si sentiva una stupida. Essendo cresciuta in una famiglia amorevole, mai aveva pensato all'eventualità che Vegeta potesse avere quel carattere particolare, per via di una difficile situazione familiare.
“Ci saranno altre occasioni… spero!” L’ammonì col fuoco negli occhi.
“Cosa?” L’intuito le diceva che stavano parlando di argomenti totalmente diversi e per un secondo si stupì delle priorità del ragazzo.
“Io ti ho aiutato col latino. Sta a te mantenere fede al patto.” Maschi! Pensavano sempre e solo a quello.
Bulma poteva convincersi che Vegeta era un lurido pervertito, eppure in quel momento le sembrò solo un cucciolo smarrito, che voleva dissimulare la sua tristezza con un’aria da duro. Se ne voleva convincere.
Se non fosse poi la mancanza di una figura genitoriale di riferimento che lo portava a cercare amore in una ragazza in modo vuoto e caduco e a trattarla peggio di un oggetto.
Vegeta non aveva avuto l’affetto di una famiglia normale, ma nessuno gli avrebbe tolto il suo amore. Sorrise tenera nella sua direzione e gli si avvicinò sensuale. Era bastata solo la pena a invitarla a fare quello che la sua bellezza sapeva le avrebbe permesso di fare.
“Aspetto solo che me lo dica tu.” Proprio come piaceva a lui. Gli soffiò sulle labbra. Proprio come piaceva a lui.
Ricambiava il suo sguardo accattivante con un’aria incredula. Si domandava insistentemente il motivo di quel repentino cambio d’opinione e quell’improvvisa voglia, nonché di quella strana accondiscendenza, che non le sembrava proprio da lei.
Mise in moto la macchina e si fermò in un vicolo abbandonato, il primo che aveva visto. Spostò  il sedile completamente all’indietro e le fece cenno di avvicinarsi, perché le sue domande potevano anche rimanere senza risposta in quel momento. Forse.
“In ginocchio.” Quella volta era davvero solo un comando. Voleva vedere quando lei sarebbe tornata infastidita dalle sue maniere, ma diversamente da come si era immaginato,  gli sorrise e, con agilità, si accomodò tra le sue gambe, sotto il volante.
Il suo viso era troppo dolce e comprensivo, troppo accomodante e permissivo. Non era lei e non si riusciva a capacitare di cosa le fosse successo in dieci minuti per renderla in quella maniera.
Dopo che lei l’aveva stupito con un’insospettata agevolezza, reclinò la testa all’indietro pronto a godere delle attenzioni della ragazza, che non tardarono ad arrivare. La sentiva agitata e vagamente preoccupata, ma  sembrava stesse impegnandosi e per essere una mocciosa non se la cavava per niente male. Avrebbe potuto abituarsi a questo. Avrebbe potuto anche aspettare per avere di più. L’afferrò per i capelli e la spinse di più verso lui. Quella volta poteva anche non dovere cedere ad una tenerezza che non tollerava.
Bulma odiava ammetterlo ma Vegeta aveva ragione. Quel contatto non le dispiaceva, anzi l’aveva accesa di un desiderio che tentava di spegnere, perchè al piacere si accostavano i sensi di colpa e dolorose fitte allo stomaco. Pensava ai suoi genitori e alla reazione che avrebbero potuto avere, vedendola in quello situazione. Pensava a Chichi, a lei che era tanto perfetta, a lei che non era così stupida da lasciarsi irretire da un bastardo con voglie assurde e lasciarsi plagiare da lui.
“Ingoia.” Ordinò, cercando di essere ferreo e controllato.
Bulma tentò di liberarsi, di ribellarsi, ma quella mano era più forte e fu costretta a cedere alla sua insistente imposizione.
Finito, si alzò da terra, sbattendo contro lo sterzo, e si mise a cavalcioni sopra di lui. Storceva ancora la bocca e si massaggiava il bernoccolo e lui sembrava trovarlo divertente.
“Sarà la prima e ultima volta.”
Bulma gli riservò un’occhiata omicida, accompagnata da una smorfia schifata, ma in quel momento non poté fare a meno di pensare che era splendido, quando sostituiva al suo ghigno bastardo quel sorriso sinceramente soddisfatto. Il suo volto sembrava essere più luminoso.
La ragazza scosse la testa e lo baciò sulla bocca.
“Amore?” lo chiamò dolcemente, carezzandogli gli addominali.
“Dimmi.” Che lui si riconoscesse in quell’appellativo, per Bulma era un buon segno. Avrebbe preferito che lui dicesse di ricambiarla nei suoi sentimenti, ma apprezzava che, quando stava con lui, non c’era bisogno di nessun enunciato per sentirsi bene.
“So che può essere difficile parlare della morte dei tuoi genitori, ma sappi che per te ci sono sempre.”
La realtà lo colpì come uno schiaffo. Quella stupida stava vagando troppo con la testa, stava facendo cento ipotesi e mille sbagli, ma ca cosa peggiore era sentirsi compatito-
“Tu mi hai tirato un pompino perché ti faccio pena?” Era incazzato, davvero incazzato e Bulma in quel momento capì di averlo visto sempre e solo nervoso. La ributtò di peso sul suo sedile e si girò a guardarla in cagnesco.
“Non sono un trovatello di strada che ha bisogno delle tue cure, né della tua pietà.”
“Non ho pietà di te, ma mi dispiace che sei costretto a vivere con quello stronzo. Mi dispiace che non hai affianco i tuoi genitori e volevo semplicemente ricordarti che io ci sono.”
Si giustificò ferita da quelle parole. Voleva affiancarlo e lui le inveiva contro? Era pazzo!
“Costretto? Sono maggiorenne e decido con la mia testa. Quando vorrò andarmene da quella casa, me ne andrò. Freezer è mio padre.”
Bulma cercò di appiattirsi verso lo sportello del passeggero e scosse la testa, perché non avevano senso quelle parole per lei. Non si poteva scegliere quell’uomo e non si poteva fingere apatia per la morte dei propri genitori, né indifferenza per una situazione che era strana.
“Smettila di fingere pure con me. Io ti voglio solo rendere le cose più semplici. Voglio darti l’amore che quello non ti da.”
“Come puoi volermi rendere migliori le cose, se non sai manco di cosa stai parlando? Stai fantasticando sulle tue congetture, Io non ho bisogno dell’amore. Solo le bambine idiote hanno bisogno dell’amore.”
“Perché stai con me se non hai bisogno d’amore?” Domandò insistente e cieca della realtà in fin dei conti.
“Per divertirmi. Per scopare. Per avere un passatempo, quando mi annoio. Non mi risulta di averti mai chiesto amore.”
Le lacrime minacciavano di rigarle il viso, copiose e dolorose. Le parole di lui la stavano ferendo. Venir messi di fronte alla cruda realtà, totalmente diversa dalle sue aspettative le faceva male.
“E tutte le volte che ti ho detto di amarti?”
Un groppo in gola non le permetteva di parlare liberamente e tranquillamente.
“Pensavi davvero che io ricambiassi?”
Tirò su col naso.
“E magari pensavi pure che non te lo dicessi perché sono timido?”
Singhiozzò ad alta voce.
“Tu non ricordi le declinazioni, perché la tua testa è piena di puttanate.”
La guardò nervoso e irritato dalle sue invadenti insinuazioni.
Perché voleva giocare alla buona samaritana e perché doveva ficcare il naso nelle sue faccende?
“Scendi, non voglio che mi bagni i sedili.”
Il suo singhiozzare fu interrotto dal rumore sordo di uno schiaffo che colpiva la carne di lui, dura come la roccia, e che probabilmente faceva male solo a lei. Come tutta quella situazione. Vegeta non accusò il colpo, si sorprese di averlo ricevuto, ma poi rise diabolico e sadico.
“Amore mio- calcò queste parole volutamente e crudelmente, perché era capace di dirle, ma semplicemente non aveva mai voluto farlo- non te la prendere con me se vivi nei tuoi sogni. L’unica colpa che ho avuto io è stata di aver creduto che tu fossi più matura.”
“Rimpiango di non avertelo strappato a morsi.” Ringhiò furiosa contro di lui.
“Puoi provarci ora se vuoi.” La sfidò sfacciatamente.
Bulma scese dalla macchina, sbattendo violentemente la portiera, più volte, perché colpire la sua amata macchina forse era l’unico modo per colpire lui.
“Fallo di nuovo e ti ci chiudo la testa dentro.” Minacciò freddo e spaventosamente serio, ma soprattutto naturale.
Non riusciva più a capire chi era quel ragazzo che parlava e pensava come un automa e che minacciava violenza. Non riusciva a capire se era sempre stato così cattivo e lei troppo stupida da non accorgersene o se era lo sfogo di un momento e lei fosse ancora una volta nel giusto.
“Fatti investire da un camion.” Sapeva solo di non volerlo rivedere mai più.


 
Incassò malamente quel pugno nello stomaco. Aveva sputato saliva e ora boccheggiava in cerca di ossigeno che sembrava non respirare. Gli occhi erano sgranati, mostranti un’espressione di pura sofferenza, le mani a coprire il punto leso, nella vana speranza che avrebbe potuto lenire il dolore.
Il pugno era arrivato improvviso e inaspettato, ma, anche se gliel’avessero detto, non avrebbe potuto fare nulla per evitarlo e non avrebbe evitato di contorcersi sofferente.
“Perché?” Domandò con un filo di voce, perché era affaticata nel parlare, ma con insolenza, perché aveva tanto astio per lui.
“Mi servi viva, ma non illesa.” Conciso. Breve. Impietoso.
“Perché?” Insistette, digrignando i denti.
“E’ un monito per il futuro. Da oggi in poi, se non vuoi morire, sei obbligata a obbedirmi e a non fare niente che io non voglia.”
“Sei solo un sadico di merda, non avevi motivo per farlo!” Urlò esasperata e lacrimante.
Le afferrò i capelli e la costrinse ad appoggiarsi malamente allo schienale della sedia.
“Hai cercato di ammazzarlo. Sembravi così coraggiosa con una pistola in mano e invece sei solo una puttana che ha paura delle conseguenze.”
“E’ una cosa che riguarda me e lui. Gli ho già chiesto scusa, purtroppo. Con te non mi devo giustificare proprio di niente.”
Lui rise mefistofelico.
“E’ una cosa che riguarda pure me. E’ mio figlio.”
E Bulma avrebbe preferito un altro pugno, che sentire la verità di quelle parole. Di nuovo.




Buonasera cari lettori o lettrici, vi sono mancata?
Alla fine ho impiegato davvero tanto tempo per revisionare questo capitolo, perché ne ho praticamente cambiato più di metù e più cambio, più faccio casino xD
Che dire? Che ancora l’azione e le pippe mentali di quelle serie devono arrivare, è una minaccia sia per chi ha già letto sia per chi è nuovo, ma per adesso ho l’esigenza di costruire un background ai personaggi, più che di far evolvere la situazione in quello che sarà poi.
Parlando di questo, ho riscritto la scenetta intima e hot, a proposito secondo voi devo cambiare rating?, cercando di coniugare la sessualità da un punto di vista morale e dal punto di vista psicologico dell’individuo che lo esperisce per la prima volta, o quasi. Ci ho messo tanta attenzione a renderla più plausibile e verosimile, rispetto alla precedente versione, e spero non vi dispiaccia la nota reale dell’inesperienza e della confusione mentale.
Mi rimetto al vostro giudizio, come sempre, perché voglio sapere se sembra fiacco o se sono io che l’ho riletto troppe volte ad essere nauseata e a pensarlo “prevedibile.”
Grazie a tutti quelli che seguono la storia, in qualunque maniera, recensendo, leggendo o inserendola nelle liste, e vi saluto fino al prossimo aggiornamento.
Buona serata! <3
  
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