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Autore: Applepagly    12/11/2017    3 recensioni
Il riposo è solo un pretesto per nascondere un segreto, una festa è l’occasione per svelarlo. La battaglia è finita ma non è mai finita davvero, e il male non è fuori ma dentro le mura... inizia la ricerca di ciò in cui è difficile credere. Inizia la ricerca del bello.
Genere: Commedia, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bloom, Nuovo personaggio, Tecna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Merry-go-round'
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VII
 
You in that dress
My thoughts I confess
Verge on dirty
Oh, come on Eileen
Come On Eileen, Dexys Midnight Runners
 

Tecna digitò l’ultima parola, firmando poi il messaggio.
Sua madre aveva espresso tutto il proprio entusiasmo all’idea che la figlia facesse ritorno due giorni dopo; lei era stata tentata di risponderle che non sarebbe tornata a casa, che sarebbe rimasta ad Alfea, che non aveva nessuna voglia di allontanarsi da lì.
Perché non aveva voluto andare a quella festa?
Il suo buonsenso le aveva detto di evitare di ficcarsi in altri guai, di non comportarsi nuovamente in maniera irresponsabile, di non perdere tempo dietro a quelle sciocchezze. Aveva riso della proposta di Stella ma, in verità, era stata sorpresa dall’aver ricevuto un invito.
Era stata sorpresa, perché non avrebbe pensato che potessero volerla in un posto del genere. E, proprio per l’assurdità della faccenda, aveva declinato.
Eppure, forse, avrebbe dovuto rifletterci con più attenzione. Perché ora una parte di lei le domandava insistentemente di infilarsi in un vestito e chiedere a Bloom e alla principessa di poter andare con loro, a discapito dell’orgoglio.
Si alzò, sporgendosi appena oltre la porta della sua stanza per osservare la frenetica corsa di quelle due. Erano in un ritardo mostruoso.
Sentiva Stella inveire contro il rossetto che, a detta sua, aveva deciso di sbavarsi proprio ad opera completa; l’altra, invece, saltellava su un piede solo e chiedeva ad uno stivale di saltare fuori.
«Come avete fatto a ridurvi all’ultimo minuto?» domandò loro Tecna.
Avevano iniziato a prepararsi due ore prima e ancora non erano pronte… ma questo non avrebbe dovuto sorprenderla troppo. Impiegavano sempre una ragguardevole quantità di tempo, quando c’erano di mezzo quelle feste.
La fata si lasciò andare ad un impercettibile sospiro, guardando fuori dall’ampia finestra che dava sul cortile della scuola. Il cielo era buio e coperto, quasi come se fosse stato sul punto di nevicare, anche se si trattava di un fenomeno piuttosto raro, per Magix.
Zenith, al contrario, era spesso investito di fredde correnti che portavano con sé candidi fiocchi. Perfino d’estate, il pianeta sembrava non voler concedere un attimo di tregua da quella rigida routine di temperature basse.
Ricordava bene le lamentele di Brandon quando, qualche mese prima, si era trovato faccia a faccia con il gelo che pervadeva la città di notte. Sospirò, di nuovo.
Sembravano trascorsi appena due giorni, da allora.
Spesso Tecna si scopriva a ripercorrere quei momenti e si domandava se la sua malinconia fosse dovuta a ciò che pensava. Ma le giornate erano volate e, con esse, anche quello strano sentimento che era riuscita a debellare.
Ora provava solo una sorta di nostalgia per quegli sprazzi di confusione che l’avevano aiutata a maturare.
Quando erano usciti tutti insieme, lui era stato giustamente troppo impegnato con la sua fidanzata, per considerarla. In quei casi si era riscoperta distante, ma ancora troppo assorta per poter seriamente prendere in considerazione i timidi tentativi di Timmy di avvicinarla.
Un po’ si sentiva in colpa per aver deciso di non essere lì con lui, alla festa. Forse si sarebbe indispettito, o offeso; o non si sarebbe minimamente scomposto.
Poco importava. Se per un attimo aveva contemplato la possibilità di cambiare idea, ora Tecna si dava della completa sciocca.
Aveva ben di meglio, da fare. Lei ed Aisha avrebbero dovuto consultare alcuni libri che contenevano informazioni preziose; li aveva scovati proprio la principessa il giorno prima.
Uscì dall’appartamento, elargendo un generico saluto a quelle due povere stolte che stavano impazzendo per dei vestiti.
Si fermò esattamente di fronte alla soglia che recava i nomi di Mirta e altre due ragazze che non conosceva. In alto, su una targhetta verde, in un’elegante e slanciata grafia c’era anche quello della principessa.
Bussò, ma non ottenne risposta. Riprovò, scocciata.
Dopo qualche istante, pensò che le inquiline dovessero essere già partite. Eppure, era certa di aver raccomandato ad Aisha di non farsi aspettare…
Forse si era solo attardata a cena. Scese per le scale, quasi correndo, senza curarsi di quei volti che le sorridevano e la salutavano; spalancò le porte della sala grande, ma vi trovò solo un gruppetto di studentesse del primo anno e il corpo insegnanti.
Dove si era cacciata, la principessa?
«Qualcosa non va, cara Tecna?» furtiva e silenziosa, la preside Faragonda era comparsa alle sue spalle.
La domanda era stata rivolta in tono cordiale, ma era carica di sottintesi. Tecna non era stupida e comprese subito il significato velato dal sorriso educato della donna.
«Hai dimenticato qualcosa qui, Tecna?» fece l’anziana, incalzandola.
«No, io…» dove altro poteva essere, Aisha? «Credo di averla dimenticata in biblioteca. Si tratta di un libro. Con permesso…»
Si defilò, cercando di mantenere la sua solita area imperturbabile. Si sarebbe realmente recata in biblioteca, con o senza la principessa.
Come immaginava – come al solito, più che altro – era deserta. Curiosamente, perfino la signorina Barbatea pareva essersi dileguata.
Si diresse verso il leggio dorato, chiamando una serie di libri che non avevano nulla a che vedere con le sue ricerche; di poi, fece il nome dei volumi a cui era effettivamente interessata.
In questo modo, avrebbe potuto eludere Faragonda se mai avesse deciso di analizzare la memoria tattile di ogni tomo. Per un attimo valutò la possibilità di starsi semplicemente facendo troppe paranoie.
Ma Tecna era così; con la mente lavorava e giungeva laddove nessun altro ne aveva la facoltà. Agire e pensare come un vero criminale; e, forse, la fredda razionalità e la caparbietà con cui elaborava quelle strategie avrebbero fatto di lei un serio pericolo pubblico, se mai avesse deciso di imbroccare una strada diversa.
Iniziò, tuffandosi a capofitto tra le braccia delle pagine sottili di quei testi che contenevano la verità.
 
Appena mise piede nella sala, Bloom fu investita da un frizzante motivetto vagamente somigliante a quello che sulla Terra era “Jingle Bell”.
Basita, si guardò indietro. Eppure, prima di varcare la soglia era stata certa di non aver sentito nulla…
«Incanto di dissimulazione acustica» spiegò Stella. «Musa e quell’altra del terzo anno ci sanno davvero fare»
Bloom annuì, sorridendo.
Lo stanzone era gremito di gente.
«Te lo avevo detto, no? Niente imbucati, almeno per un po’» rise la bionda, piroettando sulle piastrelle che risplendevano come nuove.
Quindi questi hanno tutti ricevuto l’invito regolarmente?
Lei la seguì, scrutando ammirata il lungo e duro lavoro di restauro per il quale si erano impegnati per oltre un mese. Prima che la festa iniziasse, gli ultimi ritocchi dovevano essere stati quei festoni dorati che ornavano le finestre e, beh, le prelibatezze con cui erano state imbandite due tavolate.
Bloom vi si avvicinò, riconoscendo qualche pietanza che aveva per la prima volta assaggiato alla mensa scolastica. C’erano anche dei tortini di zucca, la firma di Flora.
La cercò tra tutte le fate riunitesi attorno all’albero per ammirarlo. La sua amica era lì, con un ampio sorriso ad illuminare i suoi tratti ambrati.
Pareva leggera, nel suo abito verde mela. Di tanto in tanto diceva qualcosa ad Helia, che non l’abbandonava mai.
La videro, e le fecero cenno di raggiungerli.
«Dovresti farti vedere da Musa… sei molto rock, vestita così» rise Flora. «Da quando è qui non si è allontanata dalla console un attimo»
Le indicò il punto preciso in cui la fata della musica, sorseggiando di tanto in tanto uno strano intruglio verde, dava il meglio di sé. Ondeggiava il capo a tempo, lasciando danzare i suoi bei capelli scuri.
Poco lontano da lei, in un angolo e con un broncio a metà tra il geloso e l’infastidito, Riven seguiva tutti i suoi movimenti. Bloom non poté far a meno di ridere.
«Se continua a fissarla così gli rotoleranno gli occhi fuori dalle orbite!» considerò. «Perché non la invita a ballare?»
«Sai com’è fatto Riven» intervenne Brandon, sopraggiunto in quello stesso momento. Sorrise, sardonico. «È una vecchia burbera e bisbetica. Ma basta sparlare di lui: Jared e Maria non sono ancora arrivati e in genere sono loro due, a cavarsela meglio con la lista dei suoi difetti»
Risero, restando ad osservare il suo modo di digrignare i denti ancora un po’. Era una scena piuttosto comica.
«Intanto, voi dovete assaggiare questo» disse il ragazzo, avvicinandosi ad uno dei tavoli. Al centro troneggiava un ampio contenitore in vetro; era lo stesso intruglio verde che avevano visto in mano a Musa.
Brandon afferrò il mestolo, iniziando a riempire alcuni bicchieri. Ne porse uno anche a Bloom. «È buono» constatò. «Ma è alcolico!»
Il bruciore raggiunse rapido la gola, insieme alla risata dello Specialista. Tuttavia era davvero squisito.
Aveva un piacevole sapore a metà tra la menta, la mela verde e qualcos’altro di altrettanto fresco. Lo sorseggiò lentamente, godendosi la vista dell’albero tanto premurosamente addobbato da Sem.
Dov’era?
Lo cercò con lo sguardo.
C’erano alcuni Specialisti che ridevano con Looma e con quella fata del terzo anno che aveva lanciato l’incantesimo di dissimulazione acustica; c’era Stella che scambiava quattro chiacchiere con Vera e c’era Brandon che osservava la sua bella fidanzata; c’era Musa, che ora si era gettata in pista e volteggiava cercando di coinvolgere una più impacciata Flora.
Ma nessuna traccia di Sem.
«Sei più carina, oggi. Stai bene, così» era stato Brandon, a dirlo?
Si voltò, sgranando gli occhi. Lui ricambiava il suo sguardo, stranito.
«Ho detto qualcosa di male?» fece, dubbioso. Bloom avvampò.
«No, no… beh…» solo che non era abituata a ricevere simili complimenti. E non da parte del fidanzato della sua migliore amica, soprattutto. «Nel senso… grazie, ma… pensavo che queste cose le dicessi… beh, ecco…»
Come spiegarglielo? Lui lo aveva detto in maniera assolutamente naturale ed innocente, come se fosse stata la cosa più ovvia del mondo.
Era stato un complimento disinteressato… forse lui non avrebbe capito le cause del suo imbarazzo. «Grazie. Però queste belle parole dovresti rivolgerle alla tua fidanzata, ecco… non a me»
Lui rise forte. «No, a lei direi che è favolosa. Che è meravigliosa. Che è splendida, strepitosa, sfavillante… ho già detto “favolosa”?» elencò, senza staccare gli occhi dalla bella biondina.
In quel momento stava ridendo, alla sua maniera forte e sgraziata.
Il suo sorriso era largo, e gli occhi quasi scomparivano in mezzo a tanta ilarità, e metteva in mostra i denti piccoli, bianchi, che brillavano come perline incastonate tra le labbra rosse. Forse, se fosse stata un’altra ragazza, pensò, non li avrebbe nemmeno notati, tutti quei particolari.
«Le sue amiche stanno solo “bene”, per me. Credo faccia loro piacere saperlo, anche se… forse non… dovrei essere io, a dirglielo» concluse.
Lo disse in tono serio; e Bloom capì.
Sorrise debolmente. Anche se Sky non c’era, anche se non era lì a dirle che era carina, a rivolgerle le stesse parole che Brandon avrebbe detto a Stella… anche se Sky non c’era, le cose sarebbero andate bene.
«Non so se Sem verrà» fu quasi una stilettata.
Perché lo aveva tirato in ballo, adesso? «Ah, no?» fece, fingendosi disinteressata.
Sorseggiò la sua bevanda, prendendo ora a fissare lo stesso punto che stava scrutando lui. Era il gruppetto di Specialisti.
«Non l’ho visto per tutta la mattinata. Però non credo che sia partito, visto che ci sono suo fratello e sua sorella» rifletté.
Sorella?
Si diede della sciocca per non essersi accorta di Alan prima di quel momento. Accanto a lui c’era quella ragazza che aveva visto prima e a cui non aveva saputo dare un nome.
Esile, dai lunghi capelli dello stesso biondo miele del ragazzo e dagli stessi e sottili occhi grigi. I lineamenti, però, richiamavano quelli dei fratelli solo nel sorriso.
Così, quella era la fantomatica sorellina dei due gemelli? Pareva molto più grande dell’età che doveva avere.
«Se vuoi sapere di più, dovresti chiedere a loro» continuò Brandon.
«Che idiozie devo pensare ti abbia raccontato, quell’arpia di Stella?» borbottò, scocciata. Ecco che si ricominciava con quelle insinuazioni fastidiose.
«Niente che nessuno non abbia notato osservandovi insieme almeno dieci minuti!» replicò, con ovvietà. «Beh, io ti lascio»
Lo vide dirigersi verso l’arpia nominata qualche istante prima. Le scoccò un dolce bacio a fior di labbra, che subito si incurvarono in un sorriso soddisfatto.
Bloom non credeva che esistesse qualcuno più complice di quei due.
Beh, comunque… in fondo… anche se avesse chiesto ad Alan… non sarebbe stato nulla di così scandaloso…
Sì, insomma... era cortesia, no? Sem era una sorta di amico, no? Ci si preoccupava per la salute degli amici, no?
Avrebbe solo cercato di fare un po’ di conversazione con Alan, con la sorella e con… Looma, la ragazza del terzo anno e quello Specialista, Aibao.
Sì, insomma.
Conversazione.
Quello che si faceva alle feste.
Sì, insomma.
Bloom non era esattamente il genere di ragazza in grado di farsi avanti in maniera assolutamente disinvolta, in quelle occasioni. Anzi, in nessuna occasione.
Tuttavia, quella volta si sarebbe impegnata; sì. Ripetendolo mentalmente come fosse stato un mantra, decise di avvicinarsi a quei cinque.
Looma le sorrise, sfoggiando i suoi grossi incisivi. «Ed ecco una delle mie modelle preferite!» esclamò, prendendola a braccetto. «Ragazzi, questa è Bloom. Beh, Alan… tu la conosci già»
La ragazza fece le presentazioni, ma Bloom non riuscì a ricordare i nomi di tutti. Riuscì, però, ad intercettare le occhiate tra Aibao ed il fratello di Sem. Le venne spontaneo sorridere.
«E lei è la sorellina dei nostri burberi gemelli. Hedy» timida, impacciata. Abbassò lo sguardo, abbozzando un sorriso.
Bloom si rivide in lei. «Tanto piacere» le tese la mano.
Alan le lanciò un’occhiata torva, indecifrabile. Sembrava sul punto di dire qualcosa, ma si trattenne. «Sem mi ha… parlato molto di te» fece invece la ragazza, sollevando gli occhi.
Davvero?
«Cioè… gli ho estorto informazioni e le ho unite a quelle di Alan» puntualizzò.
«Hey!» sbottò il fratello. «Io non ti ho detto proprio nulla. Mi sono solo limitato a rispondere alle tue domande su questa fata fastidiosa»
Bloom rise, chiedendosi in realtà perché Hedy fosse tanto curiosa di… beh, sapere qualcosa sul suo conto. Sem e Alan avevano accennato qualcosa alla sorella? Perché?
«E non fare quella faccia, lei è fastidiosa. Infatti adesso mi chiederà dov’è Sem, vero? Vero?» sibilò, in sua direzione. «Vedi, Hedy? Guarda la sua espressione. Lei mi chiederà dov’è Sem, lo so. È fastidiosa»
Glielo si leggeva in faccia?
D’altronde, non era mai stata in grado di dire le bugie. Continuava a cercarlo nella sala, aspettandosi di vederlo spuntare ad un tratto e domandandosi perché diamine non ci fosse proprio quando vederlo le avrebbe fatto bene.
Non che non avesse voglia di restare lì a godersi la festa, certo. Voleva conoscere Hedy, ballare un po’, bere ancora qualche sorso di quello che le aveva fatto assaggiare Brandon e ridere con le sue amiche.
Voleva davvero fare tutte quelle cose ma, in quel momento, avrebbe voluto che Sem fosse lì, o che lei fosse da lui; per questa ragione, quando Alan si decise a spiegarle che il gemello era rimasto nella loro stanza, lei non esitò un attimo.
Quasi si precipitò fuori dalla sala, dicendo a stento a Stella dove stesse andando.
Perché? Perché desiderava vederlo a tutti i costi?
Aveva deciso di provarci, di dargli una possibilità a scapito dei sensi di colpa e dei timori; ma c’era di più?
Doveva vederlo.
Nel buio dell’antro, una strana sensazione l’avvolse.
Forse aveva camminato troppo a lungo, o nella direzione sbagliata; ad un tratto, comunque, le sembrò di essersi persa.
Il soffitto era più alto di come lo ricordava, l’aria più rarefatta e fredda, le ombre più vicine e pericolose; e aveva paura. Come avvertì un fruscio sinistro, percepì le membra paralizzarsi.
Si fermò sul posto, i sensi all’erta e gli occhi sgranati; rigida, pronta ad urlare o a dimenare gambe e braccia se qualcosa l’avesse aggredita.
Quel rumore sinuoso e fastidioso serpeggiò più forte, dandole l’impressione che fosse ad un passo da lei. Era un sibilo, eppure aveva qualcosa di umano.
Rideva, forse, in un rantolo affannato.
Era la stessa che udiva nei suoi sogni.
Era già sul punto di trasformarsi, quando quel… qualsiasi cosa fosse stato parve allontanarsi. Lì per lì pensò che si fosse fermato per scrutarla.
Forse si era acquattato nell’oscurità, osservandola silenziosa. Decise di aspettare una sua mossa ma, dopo una manciata di minuti, non accadde nulla.
Al diavolo.
«Magic Winx!» un fascio di luce investì la galleria; eppure, nessuna traccia di ciò o di chi l’aveva messa in allerta.
Evocò una fiamma abbastanza viva da poter riscaldare ed illuminare l’intero ambiente. La luce definiva i contorni delle pareti in quel punto putride, e di nient’altro.
Che si fosse immaginata tutto? Eppure, era stata certissima di aver udito chiaramente un sibilo, o qualcosa di altrettanto agghiacciante.
Strinse i pugni, guardandosi attorno. Doveva uscire di lì immediatamente e avvisare gli altri, anche se forse l’avrebbero presa per una squilibrata.
Avevano setacciato quei corridoi più volte, e non avevano mai rinvenuto nulla di pericoloso, oltre alle pantegane viola. Almeno, che lei sapesse…
Forse aveva davvero creduto di sentire qualcosa che non c’era stato. Era in preda ai suoi pensieri, alle sue riflessioni…
Sì, senz’altro era stato solo un brutto scherzo della sua mente.
Rise, nervosa, cercando una via d’uscita; quando individuò l’antro che conduceva alla festa, tirò un sospiro di sollievo.
Era l’unico che avessero provveduto ad illuminare. Volò verso la botola che comunicava con i giardini dell’accademia, respirando a pieni polmoni una volta fuori.
Si accasciò al suolo, spossata dall’angoscia che aveva provato in quegli attimi interminabili nelle gallerie. Lasciò scorrere una mano sulla fronte, trovandola fradicia.
Da qualche parte, dentro di sé, una voce le ripeteva di mantenere il controllo.
Il controllo…
Doveva riprendersi e ricordarsi della ragione primaria per cui era lì.
Sem.
Le tende della sua stanza erano ben sigillate; provò a bussare alla finestra, ma non ottenne alcuna risposta. Che stesse dormendo?
Fece un altro paio di tentativi, prima di decidersi a mettere piede nei dormitori. L’accesso era poco più in là, ma le porte erano sbarrate.
Si concesse qualche secondo per osservarle e decretare che non vi era stato applicato alcun sigillo. Impose le mani sul legno lucido, concentrandosi.
Un flebile suono di sblocco le diede il via libera.
Si muoveva con circospezione tra i corridoi, sperando che non piombasse lì qualcuno che non avrebbe dovuto vederla. Se Saladin, Codatorta o chiunque altro del corpo docente l’avesse colta in flagrante, forse le sarebbe toccato lo stesso destino riservato alle Trix l’anno precedente.
«Cosa ci fai, qui?» trasalì all’istante, pensando di essere spacciata. «Perché sei trasformata?»
Impiegò qualche istante a riconoscere Sem in quella voce impastata di sonno. Di nuovo, poté percepire il suo cuore riprendere a battere, rasserenato.
Per oggi basta con i traumi, eh?
«Sem» fu l’unica cosa che riuscì a dire, per lo sgomento.
Lo scrutò, trattenendo un sorriso di fronte a quell’espressione perplessa e addormentata. Navigava nei pantaloni che indossava, più larghi di almeno due taglie e parzialmente nascosti da una maglietta.
L’unica parola che poté trovare per definirlo fu adorabile.
«Sì, è il mio nome» fece, non capendo dove volesse andare a parare. «Perché non sei alla festa?»
«Potrei farti la stessa domanda» replicò, cercando di guadagnare tempo. Insomma, non poteva certo ammettere di aver piantato tutti in asso solo perché aveva una voglia matta di vedere lui!
«Sono malato» rispose lui, con semplicità. Solo allora, Bloom si accorse dei medicinali che stringeva tra le mani. «La ferita si è riaperta e ha fatto infezione»
Lei scosse la testa, scocciata. «Ti avevamo detto di fartela guardare dall’infermiere! Ma, ovviamente, tu non ascolti mai!»
Sem sbuffò, oltrepassandola.
«Dove stai andando?»
«A cercare di prendere sonno» sbuffò. «Risparmiati le ramanzine da mamma apprensiva. C’è già Alan, per quello»
Perché accidenti avevo voglia di vederlo? Mi dimentico sempre di quanto sia tremendamente simpatico…
Lo seguì, intenzionata a dirgliene quattro. Proprio mentre lui stava per abbassare la maniglia della porta, fingendo di non vederla, Bloom scagliò un incantesimo che bloccò la serratura.
Sem stropicciò gli occhi, aspettando che lei si decidesse a rilasciare il sortilegio. Ma lei non lo fece.
«Bloom, voglio andare a dormire»
«Fammi vedere la ferita» disse lei. «Magari posso…»
«Ho già preso queste dall’infermiere» ribatté, stanco. «E poi, francamente…»
«Fammi vedere quella maledetta ferita, Sem» esclamò, stizzita. «Non sono una guaritrice, ma magari posso aiutarti»
Sem sospirò, in segno di resa.
Bloom sbloccò la soglia, seguendo il ragazzo. La stanza che condivideva con il fratello era esattamente come qualche settimana prima; eppure, lei non poté fare a meno di guardarsi attorno come fosse la prima volta.
Non si era accorta, in precedenza, di quel piccolo acquario che fungeva da lampada notturna, o dell’abitudine di Alan di accumulare i suoi vestiti sul fondo del letto.
«C’è un po’ di disordine, come sempre» disse Sem, più per un convenevole che non per un’effettiva preoccupazione. «Ecco,» fece, dandole le spalle e sfilandosi la maglietta. «sei contenta, adesso?»
Bloom deglutì, scrutando i profondi segni che si intravvedevano anche oltre alle bende ormai quasi totalmente impregnate di sangue. Il ragazzo si sedette su uno sgabello, sbuffando. «Qual è la diagnosi, dottore?»
«Se non la pianti, ti incenerisco i capelli» lo minacciò, iniziando a sfilare le strisce di garza. «Che drago hai detto che ti ha azzannato?»
«Drago rosso degli abissi. Uno dei cuccioli nati nel periodo estivo» spiegò. «È per questo che mi detesta tanto. Non ero lì, quando le uova si sono schiuse»
«E… sai se il contatto con i suoi artigli ha qualche effetto particolare, oltre a dilaniare la carne?»
«No… perché?» chiese, facendo per voltarsi a guardarla. «Ahi»
«Scusa» sussurrò Bloom.
Sarebbe stato più difficile di quanto avesse previsto. Il lungo e profondo segno rosso, oltre ad essere più vivo ed infetto che mai, aveva in qualche modo iniziato ad assumere sfumature bluastre lungo i margini.
Nel punto in cui si incrociava con altre cicatrici, la pelle si faceva visibilmente più scura e segnata.
«Hai preso anche dell’estratto di ginestra?» gli domandò, iniziando a ripulire la piaga.
«Sì» indicò debolmente una provetta lasciata sul comodino, mordendosi poi le labbra per non gemere in maniera poco virile.
«E come pensavi di usarlo, senza che ci fosse qualcuno a medicarti?» lo prese in giro. «Devi promettermi che domattina ti farai visitare dall’infermiere. Perché non lo hai svegliato?»
Lui non le rispose nemmeno, troppo impegnato a contenersi.
Bloom allungò la mano, afferrando l’estratto di ginestra; come lo versò sulla ferita, parve dare sollievo a Sem. La sostanza viscosa iniziò a sprigionare delle deboli fiamme che ben presto si avvicinarono ai margini del taglio.
Sem non poteva – fortunatamente – assistere al fenomeno, ma riuscì a percepire un piacevole tepore percorrergli la schiena. «Cos’hai fatto?»
«Beh… l’estratto di ginestra disinfetta la ferita. Ma credo che sarà inutile per la pelle bluastra»
«Pelle bluastra?» fece, una lieve sfumatura di sgomento nella voce.
«Già» rispose lei, prendendo le garze pulite che lui aveva tirato fuori da un cassetto. «Così impari a non darmi retta»
Quando Bloom ebbe finito, calò il silenzio.
Non che si aspettasse un’ovazione, ma almeno avrebbe potuto ringraziarla. Invece, Sem sembrava effettivamente intenzionato a dormire.
Si sdraiò su un fianco, digrignando appena i denti dopo un movimento troppo brusco.
«Beh… grazie»
«Non c’è di che, Sem» disse lei, sorpresa.
L’aveva ringraziata?
Si voltò, sciogliendo la trasformazione. Forse era arrivato il momento di tornare alla festa, di fingere di non aver provato quel folle desiderio di poter vedere quei begli occhi grigi che ora la stavano guardando.
Come si accorse di lui, voltò il capo, imbarazzata.
Lui sorrise, in un sospiro divertito.
Non si faceva problemi a mettere le mani sulla schiena di un ragazzo, ma arrossiva fino alla punta dei capelli se il suddetto ragazzo la guardava, se il suddetto ragazzo si malediceva per non riuscire ad allontanare lo sguardo dalle sue gambe morbide, da quella stupida gonna che le nascondeva le cosce.
Si diede dello sciocco per aver formulato quel genere di pensiero su di lei, e si voltò sull’altro fianco; il sonno lo colse poco dopo, con ancora impresso in viso il sorriso ed il ricordo di quel momento in cui, poco prima, lei si era mostrata per com’era davvero.
«Sem?» lo chiamò, piano.
Aveva il respiro leggero, rilassato, il volto sereno.
Come quando abbiamo ballato…
Si rannicchiò accanto a lui, tra il letto e la scrivania, chiudendo gli occhi.
Non aveva voglia di tornare dagli altri, di fingere di divertirsi e di essere felice. Non aveva voglia di allontanarsi da quel momento surreale in cui tutto era sospeso, in cui sembrava che potesse essere notte per sempre.
Distese le gambe, sistemandosi meglio.
L’ultima cosa che percepì prima di addormentarsi fu il riverbero di quel fruscio che aveva sentito nelle gallerie. Il tremore della terra ed una risata che strisciavano con un sibilo nelle ombre di un posto dimenticato da tutti.
 
I was teased by your blouse
Spit out by your mouth
I was loud by your lowered
Seminary soul
Creature Fear, Bon Iver
 
Oh, sì; c’è qualcosa, sotto Redfountain. E non è un simpatico animale da compagnia.
No, Tecna non si aggrega a certa plebaglia; ed è una fortuna, per l’economia delle ricerche! Forse Faragonda ha intuito?
Sem è un allevamenti di draghi-addicted, perciò se le va a cercare. A Bloom non passano le manie di fare la crocerossina, e così si addormenta per terra.
Il prossimo capitolo è decisivo. Almeno, per questa prima parte del catacolo… del calagoto… del catalogo. Grazie a tutti per i commenti, risponderò quanto prima!
Che bella, la domenica!
Al 26 novembre!
7th
  
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