Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: BabaYagaIsBack    14/11/2017    1 recensioni
Re Salomone: colto, magnanimo, bello, curioso, umano.
Alchimista.
In una fredda notte, in quella che ora chiameremmo Gerusalemme, stringe tra le braccia il corpo di Levi, come se fosse il tesoro più grande che potesse mai avere. Lo stringe e giura che non lascerà alla morte, il privilegio di portarsi via l'unico e vero amico che ha. Chiama a raccolta il coraggio e tutto ciò che ha imparato sulle leggi che governano quel mondo sporcato dal sangue ed una sorta di magia e, per la prima volta, riporta in vita un uomo. Il primo di sette. Il primo tra le chimere.
Muovendosi lungo la linea del tempo, Salomone diventa padrone di quell'arte, abbandona un corpo per infilarsi in un altro e restare vivo, in eterno. E continuare a proteggere le sue fedeli creature; finchè un giorno, una delle sue morti, sembra essere l'ultima. Le chimere restano sole in un mondo di ombre che dà loro la caccia e tutto quello che possono fare, è fingersi umani, ancora. Ma se Salomone non fosse realmente morto?
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



Capitolo Quindicesimo
A mali estremi, estremi rimedi

 

"Together we would stand our ground and fight " 

On your side, The veronicas

 

Levi sorrise. Lo fece con una genuinità inaspettata persino per se stesso.
La domanda di Noah, seppur già posta, in quel momento suonò diversa - la sua voce sembrò diversa - e per una qualche ragione la Chimera fu certa nascondesse un significato più ampio. L'Hagufah non gli stava semplicemente chiedendo un nome, lo stava supplicando di raccontargli chi fosse per lui, cosa li legasse. Lo capì dal suo sguardo, dalla fermezza con cui aveva nuovamente deciso di aprir bocca e dire: chi sei, tu?

La risposta appariva semplice, terribilmente, eppure non lo era affatto.

Lui era Levi, sì, così come era un soldato, ma anche un suddito, un servo e un amico. Oltre a questo però era un rinato, un esperimento, una follia compiuta da un disperato. Qualcuno lo aveva persino chiamato mostro. Ciononostante, era la Chimera del Re, la sua anima gemella nel più platonico dei sensi, suo fratello - e dire tutto ciò pareva ridicolo. Per essere compresa appieno, ognuna di quelle definizioni doveva essere accompagnata da un ricordo, da una sensazione che dubitò il ragazzo potesse sperimentare in quell'istante; e non perché non volesse, quanto più perché pareva non esserne in grado.

Certo, esattamente come lui, Zenas e Alex anche Noah doveva sentire l'Ars risvegliarsi ogni volta che i loro corpi si avvicinavano, ma tutto ciò non bastava. Le parole, aveva imparato nella sua lunga vita, avevano dei limiti e in quel momento, purtroppo, si rese conto essercene molti.

«Nakhaš shelekha» disse, sicuro che in un angolo recondito di sé Salomone avrebbe compreso quella frase. Lui era il suo Nakhaš, la sua creatura più cara - e seppur impercettibilmente, Levi vide il ragazzo vacillare. Le labbra si schiusero appena, ripetendo il nome che gli aveva dato secoli prima, le sopracciglia si corrugarono e, con la coda dell'occhio, scorse sulle sue braccia una lieve pelle d'oca. A quella visione il cuore gli si strinse.
Forse stava capendo. Così mosse un passo, ma subito Noah retrocedette, sopraffatto da una sorta di evidente repulsione.

«No» gli sentì dire, pietrificandolo. «Mi spiace, io... ho fatto una cavolata nel seguirti. Voi...» Il suo sguardo rimbalzò incessantemente da una Chimera all'altra, sempre più confuso. Era chiaro che qualcosa, a un certo punto, si fosse insinuata in lui riportando a galla i dubbi e affogando l'essenza del Re, eppure Levi non riuscì a capirne il motivo. L'incantesimo dell'Ars si era spezzato senza alcuna ragione e di fronte a quella nuova consapevolezza il Generale non seppe che fare, come trattenerlo, persuaderlo. 

L'Hagufah scosse la testa: «dovete lasciarmi in pace, chiaro?» I suoi piedi si mossero ancora, allontanandolo sempre più. Li stava rifiutando, stava mettendo un muro - e nonostante il tentativo di Zenas di trattenerlo, Nakhaš in quel momento riuscì a pensare solo a una cosa: dovevano fermarsi. Non erano pronti a parlargli, non avevano alcun arma con cui contrastare le sue paure. Salomone era lì, era dentro quel corpo, lo sapeva, però avevano dato per scontato che ne avesse il controllo. 
Fu a quel punto che, seppur riluttante, Levi bloccò il fratello tendendo un braccio, impedendogli di andare oltre sia a parole sia fisicamente; dovevano lasciare a qualcun altro il compito di ricondurre Noah a loro - l'Ars doveva fare il suo corso.

«Sì, scusaci. Forse... hai ragione tu, abbiamo esagerato con questo atteggiamento» si sentì diplomaticamente uscire di bocca prima di piegarsi in una nuova riverenza. «Perdona la nostra irruenza, non accadrà più» e dopo aver abbassato il capo ed essersi portato una mano al petto, la Chimera alzò lo sguardo su di lui. I loro occhi si incontrarono ancora una volta, gli sguardi si unirono senza che le lenti si frapponessero tra loro e, abbozzando un sorriso, il Generale si concesse l'ennesima mossa, conscio di poter mettere in scacco Salomone: «Zeh hayah ta'anug amiti, hamelekhe sheli, ki bishevilekha ani amutt pi meah.»
Le sue labbra si mossero svelte nonostante ogni parola fosse soppesata con estrema cura. Non stava parlando con il corpo che aveva di fronte, bensì con l'essenza che vi si nascondeva tra le carni e, infine, senza smettere di sorridere, si volse verso il punto in cui Alexandria era sparita. I suoi piedi presero a muoversi, fingendo che nulla di ciò che fosse successo avesse realmente avuto luogo. Sapeva che era un rischio, ma al contempo si rendeva conto che non vi erano altre alternative in quel preciso momento. Insistere avrebbe solamente peggiorato la situazione e, alla mercè di quel marciapiede, difficilmente sarebbero riusciti a concludere qualcosa senza attirare attenzioni indesiderate.
Un passo davanti all'altro quindi, con le mani in tasca e il fratello al seguito, Levi procedette verso un piano che di lì a poco avrebbe iniziato a prendere forma - e solo il tempo, a quel punto, gli avrebbe dato ragione.

 

 

 

Nei suoi occhi, Akràv sapeva starsi riflettendo il cielo plumbeo di Vienna, lì dove grosse nuvole solcavano le sue iridi al pari dell'orizzonte, inseguendo la medesima brezza gelida che gli stava sfiorando le caviglie nude, facendolo rabbrividire e tenendolo sveglio - una manna, sotto certi punti di vista. Sì, perché ormai era vigile da più di ventiquattro ore e Morfeo, quella notte, aveva fatto tutto tranne che visitarlo. Non era importato in quale posizione si fosse messo, quante pecore avesse contato, o quante camomille avesse ingurgitato, un'incontenibile agitazione lo aveva lasciato insonne e, se doveva essere onesto, il motivo gli risultava fin troppo ovvio. L'incontro con Noah lo aveva scosso, non poteva negarlo; il suo corpo aveva vibrato con un'intensità tale da lasciarlo quasi senza fiato. Aveva avvertito il calore, la bruciante sensazione dell'hazerikhah farsi strada in lui - ed era stato esattamente come Levi gli aveva promesso, anche se solo in parte. Oltre a quello però, durante la veglia, a tenergli compagnia c'era stata anche la preoccupazione per Alexandria. Più volte, tra una tazza di camomilla e un programma di dubbio intrattenimento, si era spinto sino alla finestra, scostato le tendine bianche, e cercato la figura della sorella lungo la strada, ma lei non era tornata. E chissà quando l'avrebbe fatto - sempre se si fosse decisa a farlo.

Premendosi i palmi sugli occhi, Zenas si lasciò andare a un profondo sospiro.

Restare fermo su quella panchina non lo stava affatto aiutando. I pensieri continuavano ad ammassarsi gli uni sugli altri facendogli pulsare le tempie e, se avesse potuto, se ne sarebbe andato altrove pur di distrarsi - peccato non gli fosse concesso. 
Dopo il disastroso incontro del giorno prima, Nakhaš aveva deciso di adottare un piano tanto banale quanto efficace, seppur dispersivo e noioso. Il compito di Akràv si poteva riassumere in poche e semplici azioni: seguire l'Hagufah, studiare le sue abitudini, capire se in lui si stesse risvegliando qualche ricordo e, nel momento opportuno, tentare un nuovo approccio. In sintesi, gli aveva detto Levi dopo mezz'ora di giri di parole, sarebbe dovuto diventare il suo stalker.

All'inizio aveva dubitato un po' di fronte a quella richiesta, poi però si era ricordato di quante volte lo avesse già fatto prima e, soprattutto, di quanto fosse importante stare accanto a Salomone. Era fondamentale seguirlo, aspettare ed essere pronti a entrare in azione nell'istante in cui un barlume, anche se piccino, si fosse acceso nella sua memoria. Non potevano perdersi un'occasione del genere - ed era stato per quel motivo che Levi aveva scelto di pedinarlo una volta finite le lezioni, appostandosi fuori da quella che aveva scoperto essere casa sua e restando in agguato per tutta la notte. 

La Chimera sbuffò, premendo con maggior forza i palmi. 
Nonostante le motivazioni, doveva ammetterlo, la stanchezza stava iniziando a ghermirlo con sempre più prepotenza e -

«Atah nireah keilu shetsarikhe qafeh.»

Zenas quasi saltò per lo spavento. 
Spalancando gli occhi di fronte a sé, sentì il cuore schizzargli in gola, bloccandogli a metà della trachea un gridolino del tutto inaspettato per un uomo della sua stazza. 
Davanti ai propri occhi, ben più sfatta di quanto si ricordasse e con due tazze di carta tra le mani, realizzò che si trovava, confusa, Alexandria - eppure, in quel frangente, gioire fu l'ultimo dei suoi pensieri.
«Dannazione! Ma sei scema? Ti pare il modo di fare?» 
Scampato il pericolo, e portatosi una mano al petto, Akràv tentò di ritrovare un po' di calma. «Da dove diavolo sei spuntata?»  

Z'èv tese un sorriso. 
A guardarla bene, si rese conto l'uomo, nemmeno lei doveva aver chiuso occhio quella notte. Gli aloni violacei sotto le palpebre inferiori erano evidenti, così come il pallore del viso. I rimasugli del trucco enfatizzavano maggiormente la stanchezza e i capelli arruffati davano l'idea che si fosse appena abbassata il cappuccio. A quanto pareva, non era stato l'unico a rimuginare sugli eventi del giorno prima.
«Da là» staccando un indice dal bicchiere di carta, la ragazza indicò la fine della strada.
«Sì, ma...»
«Ti ho portato il caffè» con una nonchalance invidiabile, Alexandria allungò un braccio nella sua direzione: «Ho pensato potesse farti piacere.»

Afferrando l'offerta della sorella, Zenas corrugò le sopracciglia.
«Come... come sapevi che ero qui?»
Compiendo una mezza piroetta la ragazza gli si sedette accanto: «Non lo sapevo» confessò. «O meglio, non sapevo chi avrei trovato.» La vide stringere entrambe le mani intorno al bicchiere e piegare appena la testa da un lato, lasciando scivolare i capelli sulla spalla. «Però all'albergo mi hanno detto che eri uscito presto, mentre Levi non si era ancora visto, quindi ho provato a immaginare il vostro piano d'azione e... beh, Noah è qui.»

«Capisco» annuì, dovendo ammettere la prevedibilità delle loro azioni. Come già constatato, quello di Levi era un piano semplice.

«Allora, avete fatto progressi?»

Zenas sussultò un'altra volta. Aveva sentito bene? Non era forse lei quella che ventiquattrore prima aveva sbraitato nel tentativo di persuaderli a lasciar perdere? Perché, allora, gli stava facendo una domanda del genere?
Strabuzzando gli occhi si volse verso di lei, scrutandola come se la stesse notando solo in quel momento. Per qualche secondo rimasero immobili faccia a faccia: lui confuso, lei stranamente calma. Era seria? Si era forse ricreduta? Akràv non seppe dirlo. Dovette mordersi la lingua più e più volte prima di rendersi conto che non si trattava affatto di un sogno e, a quel punto, distogliendo lo sguardo e portandolo ancora una volta sull'edificio lì di fronte, disse: «Il ragazzo è Salomone, Z'èv.» 
E d'innanzi a quel commento Alexandria provò a trattenere una risata. Con la coda dell'occhio il fratello la vide fissarsi la punta degli stivali e tendere un angolo della bocca: «Ho chiesto se c'erano novità, non se Levi fosse riuscito a farti il lavaggio del cervello.»
Quasi sovrastando la voce di lei, Zenas si affrettò ad aggiungere un dettaglio fondamentale, qualcosa in grado di farle rivalutare tutta la questione: «Dice di averlo sognato. Noah, intendo. Dice di aver sognato Levi» si interruppe, tornando al caffè. Passandosi la parola successiva sulla lingua ne assaporò ogni sfaccettatura, ogni sillaba. Ripercorse le lettere come se stesse rievocando i ricordi a essa legati e, infine, in un soffio si lasciò sfuggire: «mett».

Morto.

Le mani di lei furono scosse da un fremito lieve, impercettibile, eppure sufficiente per essere notato dai suoi occhi animali - compiacendolo.

«Esistono una marea di strambi a questo mondo.» 
«Vero» le rispose, faticando a restar serio: «Ma dubito che uno solo di loro possa sapere dove e come, un Generale dell'esercito di Re Salomone, sia stato ferito a morte.»

Alex si volse. D'improvviso quelle parole sembrarono scalfire la sua corazza e l'espressione che le si disegnò in viso non riuscì a nascondere nessuna delle emozioni che in quell'istante le si stavano agitando dentro. Akràv lesse nella piega delle sue labbra la sorpresa, in un occhio lo scetticismo e nell'altro la speranza, nelle rughe della fronte la confusione - e senza pensarci, con il cuore occupato a stringersi in una morsa, la tirò a sé. Abbracciò la Contessa così forte d'arrivare a nasconderla a ridosso del petto, tra i vestiti. L'avvolse come se fosse qualcosa di fragile, fugace, e ne respirò il profumo familiare per essere certo di averla davvero tra le proprie braccia.
«Una sola scintilla magari è innocua, Z'év, ma se seguita da altre è in grado di dar vita a un incendio. Incontrandolo noi abbiamo dato il via a questo fuoco. Parlandogli ne abbiamo alimentato le fiamme. Aspetta con noi, aiutaci e vedrai che il nostro sarà il più maestoso dei falò» e chinando il viso, le posò un bacio tra i capelli - fu quel gesto, inaspettatamente, a farle abbassare le ultime difese; o forse, pensò lui, era tornata da loro perché conscia di essere sul punto di crollare. Volente o nolente, anche Alexandria si conosceva a sufficienza da capire le reazioni dell'Ars.

 


 

Hagufah: corpo
Zeh hayah ta'anug amiti, hamelekhe sheli, ki bishevilekha ani amutt pi meah: è stato un piacere, mio Re, perchè per te io morirei cento volte
Hazerikhahrisveglio
Atah nireah keilu shetsarikhe qafeh: hai la faccia di uno che ha bisogno di caffè
Mett: morto

 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: BabaYagaIsBack