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Autore: _Joanna_    15/11/2017    0 recensioni
Piccola fan fiction dedicata a Merope Gaunt.
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Dal testo del primo capitolo:
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"Un debole rumore di zoccoli, attutito dalle foglie umide sparse sull’acciottolato, annunciò l’arrivo di una carrozza.
Merope, come ogni giorno, si nascose dietro la rozza staccionata che delimitava la proprietà dei Gaunt.
Pochi attimi dopo, una bella carrozza scura risalì il lento pendio. Il tettuccio era stato tirato su, ma le tendine erano aperte e il profilo di un giovane dai lucidi capelli neri fece capolino.
Merope, estasiata dalla sua bellezza, lo guardò passare, beandosi di quei lineamenti precisi ed eleganti, di quegli occhi grigi e profondi che mai si erano posati su di lei.
“Un giorno” pensò Merope “Un giorno gli andrò a parlare”."
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Merope Gaunt, Orfin Gaunt, Orvoloson Gaunt, Tom Riddle Sr.
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Orfani'
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Capitolo II




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Merope Gaunt non era quella che si poteva definire una bellezza.
Aveva lunghi capelli lisci e sottili, di un colore cinereo e spento. Gli occhi erano di un'anonima sfumatura marrone e guardavano in direzioni diverse. Aveva ereditato l'ossatura rigida e la mascella pronunciata del padre, e il naso sottile e spigoloso della madre. Era magra e gracile, non molto alta, ma proporzionata, e avrebbe potuto avere un aspetto quasi slanciato se non fosse stato per le sofferenze subite. Nella sua breve vita, infatti, aveva sopportato ogni genere di sopruso: era stata umiliata e insultata, terrorizzata dal padre, vessata dal fratello, ed era ormai completamente assoggettata ai loro capricci. Troppo debole per riuscire a fare altro che sopravvivere in quella casa, troppo spaventata dal mondo esterno per fuggire, la sua misera esistenza si riduceva a un lento, doloroso appassire. Tutte queste fatiche, sia fisiche che mentali, l'avevano provata, schiacciandola con il loro peso invisibile, donandole una postura ingobbita e un'aria sconfitta.
Ma c'era qualcosa, nel suo aspetto, che a Merope piaceva. Le sue mani, nonostante i continui lavori pesanti, erano morbide e lisce, le dita lunghe e affusolate.
Meccanicamente, portò le belle mani al petto, stringendo con le sue perfette dita l'unico oggetto a lei caro: il medaglione di sua madre, Mira. In verità, non era esattamente appartenuto a lei: si trattava di un cimelio di famiglia, tramandato di generazione in generazione.
Merope non ricordava molto di sua madre.
Sapeva che era stata una strega brillante e avrebbe potuto fare carriera al Ministero: alcuni alti funzionari le avevano proposto un impiego non appena era diventata maggiorenne, ma il padre glielo aveva impedito. I Gaunt erano i discendenti del nobile Salazar Serpeverde e non si sarebbero mai abbassati al livello di Mezzosangue e Sanguemarcio, non avrebbero mai preso ordini da nessuno e non avrebbero mai mischiato il loro purissimo sangue con "gli inferiori".
Come da tradizione, dunque, Mira Gaunt, aveva dunque sposato suo cugino Marvolo e gli aveva dato degli eredi, così che la gloriosa stirpe di Serpeverde potesse proseguire.
Era morta quando Merope aveva solo cinque anni e suo padre amava ricordarle che la colpa era stata sua: la sua scarsa attitudine alla magia, già evidente a quella tenera età, aveva provocato un dolore e un'umiliazione insopportabili per sua madre, uccidendola.
Forse, nel profondo del suo cuore, Merope sapeva che quello che diceva suo padre non poteva essere vero, ma ci credeva comunque.
Finì di strappare alcune erbacce, più per avere qualcosa da fare che per un reale necessità: il cortile di fronte alla casa, infatti, era completamente incolto, invaso dalle ortiche e dalle bardane; il vialetto era sporco, le pietre irregolari, rotte e consunte. La casa poi, era malmessa e sudicia, mancavano parecchie tegole del tetto e alcune finestre erano state riparate alla bella e meglio con delle assi di legno marcio e muffito.
«Merope, sbrigati stupida creatura!» sibilò suo padre dall'interno.
Merope sollevò lo sguardo al cielo, per gran parte coperto dalla profonda macchia alberata che strangolava la casa, e si maledisse per essere stata tanto sbadata: era quasi ora di pranzo e lei non aveva ancora preparato nulla; suo padre gliel'avrebbe fatta pagare.
Fece cadere a terra le erbacce che aveva raccolto e rientrò in casa, affrettandosi subito ai fornelli.
Suo fratello Morfin entrò in cucina proprio in quel momento, ma non si trattenne: salutò suo padre, seduto sulla vecchia poltrona davanti al camino, e uscì in cortile, a godersi la bella giornata estiva.
Dopo qualche minuto, Merope udì chiaramente Morfin sibilare «Non sei il benvenuto».
Tese le orecchie e vide suo padre fare lo stesso; la risposta dello sconosciuto, non si fece attendere
«Ehm… buongiorno. Sono del Ministero della Magia…»
Merope si bloccò nell'atto di tagliare a metà una carota, terrorizzata; sapeva che cosa voleva quell'uomo da suo fratello.
Intanto, la conversazione di fuori proseguiva, anche se Merope non riusciva a distinguerne le parole, finché non si udì un rumore sordo, seguito da un gemito.
Suo padre, che aveva deciso di intervenire, richiamò Morfin.
«Il Ministero?» lo sentì chiedere, non senza una chiara nota di disgusto nella voce.
Merope si costrinse a tornare al suo lavoro, benché sprazzi di quella conversazione le giungessero di quando in quando alle orecchie.
«Dovevi segnalare la tua presenza!» ruggì aggressivo suo padre a un certo punto, aggiungendo poco dopo «Ficcanaso. Intrusi. Babbani e feccia».
Poco dopo, suo fratello rientrò in casa, sbattendosi la porta alle spalle ed escludendo così del tutto le parole che suo padre e il funzionario del Ministero si stavano scambiando all'esterno.
Si sedette pesantemente sulla poltrona vicino al fuoco ed estrasse dal pastrano un lunga vipera, cominciando a cantare una delle sue filastrocche preferite: “Soffia, soffia, serpentello, striscia, striscia e va', fa' il bravino con zio Morfin o sulla porta t'inchioderà”.
A Merope, quella canzoncina faceva venire i brividi, così si mise a trafficare con alcune padelle, sforzandosi di non ascoltare e sperando che lo sconosciuto di fuori se ne andasse in fretta.
Ovviamente, non accadde.
La porta di ingresso si aprì di nuovo e suo padre entrò in cucina insieme a un ometto basso e grassoccio con occhiali molto spessi; indossava una redingote e delle ghette, sopra un costume da bagno intero a righe. L'uomo le rivolse uno sguardo interrogativo, quasi apprensivo. Suo padre lo notò e disse «Merope, mia figlia»
«Buongiorno» la salutò lo sconosciuto, ma Merope lo ignorò, tornando a occuparsi delle sue faccende.
«Bene, signor Gaunt» cominciò l'uomo «per arrivare subito al punto, abbiamo ragione di credere che suo figlio Morfin abbia eseguito una magia davanti a un Babbano ieri notte».
Merope sentì il sangue gelarsi nelle vene. Agitata, con le mani prese da un tremito incontrollabile, fece cadere una pentola.
«Raccoglila!» le ordinò suo padre, aggiungendo «Te ne stai lì a pulire per terra come una sporca Babbana, a che cosa ti serve la bacchetta, inutile sacco di sterco?»
«Signor Gaunt, la prego!» intervenne l'uomo, indignato, mentre Merope sentiva le guance imporporarsi. Nessuno aveva mai preso le sue difese, né tanto meno aveva mai osato contraddire suo padre.
Fece per raccogliere la pentola, ma quella le scivolò di mano. Merope estrasse la bacchetta di tasca con mano tremante, la puntò e borbottò un incantesimo: la pentola sfrecciò sul pavimento, colpì la parete di fronte e si spaccò in due.
Morfin si abbandonò a una risata folle, mentre suo padre strillava «Aggiustala, inutile melma, aggiustala!»
Merope avanzò, barcollante, ma prima che potesse alzare la bacchetta, il funzionario aveva già levato la sua, ordinando «Reparo»: la pentola si aggiustò all’istante.
«Per fortuna c’è qui questo simpaticone del Ministero!» esclamò suo padre, con un evidente tono sarcastico «Forse mi libererà di te, forse non gli darà fastidio una fetida Maganò…».
Merope prese la pentola e la ripose tremando sulla mensola, restando poi ferma, la schiena contro la parete tra la finestra sudicia e il fornello.
Se ne fosse stata capace, se solo fosse stata davvero una strega e non un'inutile Maganò, sarebbe sprofondata nella pietra e sarebbe sparita.
«Signor Gaunt,» ricominciò l'uomo «come ho già detto, la ragione della mia visita…»
«Ti ho già sentito!» sbottò suo padre «E allora? Morfin ha dato a un Babbano quello che si meritava… e allora?»
«Morfin ha infranto la legge magica» ribattè l'altro severo.
«Morfin ha infranto la legge magica» lo scimmiottò suo padre, in tono pomposo e cantilenante. Morfin ridacchiò di nuovo.
«Ha dato a uno schifoso Babbano una bella lezione, è illegale adesso?» chiese poi, ritrovando il suo usuale tono sprezzante.
«Sì, temo di sì» disse l'altro, estraendo da una tasca interna un piccolo rotolo di pergamena.
«Che cos’è quella, allora, la sua condanna?» chiese suo padre. La sua voce adesso era rabbiosa e Merope si accorse di stare tremando con ancora più violenza
«È un mandato di comparizione al Ministero per un’udienza…» cominciò il funzionario, srotolando la pergamena.
«Un’udienza? Un’udienza? Chi ti credi di essere, a convocare mio figlio da qualche parte?»
lo interruppe suo padre, furioso.
«Sono Bob Ogden, Capo della Squadra Speciale Magica» ribatté l'altro.
«E credi che noi siamo feccia, vero?» urlò suo padre, avanzando verso quello che si era appena identificato come il capo della Squadra Speciale Magica e puntandogli l'indice contro il petto «Feccia che corre quando il Ministero glielo ordina? Ma lo sai con chi stai parlando, tu, schifoso piccolo Mezzobabbano, eh?»
«Ero convinto di parlare col signor Gaunt» rispose quello, cauto ma determinato
«Giusto!» ruggì suo padre, sventolandogli davanti l'anello dei Peverell, l'altro cimelio di famiglia. «Lo vedi questo? Lo vedi questo? Lo sai cos’è? Lo sai da dove viene? Sono secoli che è in famiglia, ecco quanto passato abbiamo, e siamo sempre stati Purosangue! Lo sai quanto mi hanno offerto per questo, col blasone dei Peverell inciso sulla pietra?» sbraitò suo padre, paonazzo in volto.
«Non ne ho proprio idea» rispose l'altro, per nulla impressionato «ed è del tutto irrilevante, signor Gaunt. Suo figlio ha commesso…»
Ma suo padre non lo stava ascoltando; con un ululato di rabbia, era infatti corso verso di lei, ancora schiacciata contro il freddo e sudicio muro di pietra. Merope rimase immobile mentre suo padre la afferrava per la catena del medaglione, trascinandola fino al funzionario del Ministero, al centro della stanza.
«Lo vedi questo?» strillò, agitando verso di lui il pesante medaglione d’oro, incurante dei gemiti strozzati di Merope. Il signor Ogden invece, sembrò notarli e si affrettò a rispondere «Lo vedo, lo vedo!»
«È di Serpeverde!» continuò suo padre «Di Salazar Serpeverde! Noi siamo i suoi ultimi discendenti ancora in vita, che cos’hai da dire, eh?»
«Signor Gaunt, sua figlia!» fece Ogden allarmato.
Suo padre la lasciò finalmente andare e Merope barcollò all'indietro, massaggiandosi il collo e cercando di ritrovare il respiro.
«Allora!» riprese suo padre «Non osare parlarci come se fossimo polvere sulle tue scarpe! Generazioni di Purosangue, tutti maghi… è più di quanto tu possa dire di te, non ne dubito!»  concluse, sputando per terra, ai piedi del funzionario. Morfin, sulla sua poltrona, si stava divertendo un mondo.
«Signor Gaunt» insistette l'uomo «Temo che né i suoi antenati né i miei abbiano nulla a che fare con la questione. Sono qui a causa di Morfin. Di Morfin e del Babbano che ha avvicinato ieri notte. Siamo a conoscenza» e diede un’occhiata alla pergamena, «del fatto che Morfin ha eseguito una fattura o una stregoneria sul detto Babbano, provocandogli un’eruzione di assai dolorosa orticaria».
Morfin ridacchiò più forte, mentre Merope continuò a tacere, il volto tra le mani, terrorizzata.
«Taci, ragazzo» sibilò suo padre e suo fratello obbedì.
«E allora? Immagino che tu abbia ripulito la faccia sporca del Babbano e anche la sua memoria».
«Non è questo il punto, signor Gaunt. È stato un attacco privo di movente su un indifeso…».
«Già, ho capito che eri un leccababbani dal momento che ti ho visto» lo interruppe suo padre beffardo, sputando di nuovo per terra.
«Questa discussione non ci porta da nessuna parte» ribadì Ogden deciso. «È chiaro dall’atteggiamento di suo figlio che non prova alcun rimorso per le proprie azioni. Morfin si presenterà a un’udienza il quattordici settembre per rispondere dell’accusa di aver usato la magia davanti a un Babbano e di aver provocato dolore e disagio allo stesso Babba…»  stava continuando, ma si interruppe.
Un tintinnio e un rumore di zoccoli di cavalli e alte voci ridenti entrarono dalla finestra aperta.
Suo padre rimase immobile, in ascolto, gli occhi spalancati.
Morfin sibilò e rivolse il viso ai suoni con aria avida.
Merope alzò la testa, totalmente nel panico.
«Mio Dio, che orrore!» esclamò una voce di ragazza «Tuo padre non potrebbe far radere al suolo quella baracca, Tom?».
Merope percepì un moto di vergogna a quelle parole. Sapeva perfettamente chi era la ragazza e a chi si stava rivolgendo.
«Non è nostra» rispose la giovane voce maschile che Merope tanto amava ascoltare.
«Tutto ciò che si trova dall’altra parte della valle appartiene a noi, ma quella casa è di un vecchio vagabondo chiamato Gaunt e dei suoi figli. Il maschio è pazzo, dovresti sentire le storie che raccontano al villaggio…»
La ragazza rise, mentre il tintinnio e il tonfo degli zoccoli si facevano sempre più sonori. Morfin fece per alzarsi dalla poltrona.
«Stai seduto» sibilò suo padre minaccioso.
«Tom» disse ancora la ragazza «Forse mi sbaglio… ma qualcuno ha inchiodato un serpente a quella porta?»
«Santo cielo, hai ragione!» esclamò Tom Riddle. «Sarà stato il figlio, te l’ho detto che non è a posto. Non guardarlo, Cecilia, tesoro».
«Tesoro» sussurrò suo fratello, lanciandole un'occhiata velenosa «L’ha chiamata “tesoro”, quindi non ti vorrebbe comunque».
«Che cosa?» chiese suo padre brusco, lo sguardo prima su Morfin, poi su di lei «Che cos’hai detto, Morfin?»
«Lo sai, a lei piace guardare quel Babbano» rispose suo fratello con espressione malvagia,  continuando a fissarla. «Sta sempre in giardino quando lui passa, lo spia attraverso la siepe, non è vero? E ieri sera…»
Merope scosse il capo a scatti, supplichevole, ma suo fratello continuò, spietato: «Si è spenzolata dalla finestra aspettando che lui tornasse a casa a cavallo!».
«Si spenzolava dalla finestra per guardare un Babbano?» ripeté suo padre piano.
«È vero?» chiese suo padre, muovendo qualche passo verso di lei «Di nuovo? Credevo di avertelo detto,» proseguì, continuando ad avanzare «Che mai avrei tollerato, mai ti avrei permesso di infangare il buon nome della famiglia! Mia figlia, discendente Purosangue di Salazar Serpeverde, che si spenzola davanti a un sudicio Babbano con le vene sporche! In che modo potrei mai accettarlo?».
Merope scosse freneticamente la testa, schiacciandosi contro la parete, incapace di emettere alcun suono.
«Ma io l’ho preso, padre!» ridacchiò Morfin. «L’ho beccato mentre passava, e non era più così carino con tutte le bolle dell’orticaria, vero Merope?»
«Tu, disgustosa piccola Maganò, sudicia traditrice del tuo sangue!» ruggì suo padre, avventandosi su di lei e stringendole le mani al collo.
«No!» urlò il funzionario del Ministero, prima di alzare la bacchetta e gridare  «Relascio!»
Suo padre fu scagliato all’indietro, lontano da lei.
Con un ruggito di rabbia, Morfin balzò su dalla poltrona e corse verso Ogden, brandendo il pugnale insanguinato e sparando maledizioni con la bacchetta.
L'uomo scappò via, mentre Merope ritrovò la voce e cominciò a urlare terrorizzata.
«Sta' zitta, patetica creatura, taci!» sibilò suo padre, rialzandosi «È solo colpa tua, questa volta la pagherai cara» la minacciò.
Suo fratello ridacchiava istericamente.
«CRUCIO!» ruggì suo padre.
Mille e mille spilli acuminati si conficcarono nella sua pelle, tra le ossa e i muscoli, straziando il suo copro già provato.
Merope gridò, di dolore, di disperazione.
Urlò e si dimenò, mentre l'inconfondibile sapore del sangue le invadeva la bocca e la gola.
Quell'agonia parve durare ore ed ebbe fine solo quando la porta d'ingresso venne abbattuta con fragore.
Ogden e dieci o più altri maghi, altri funzionari ministeriali, irruppero nella casa e trascinarono via a forza Morfin e suo padre.
Merope tentò di rialzarsi, ma le gambe e le braccia sembravano non appartenerle più. Era debole e dolorante, scossa da tremiti incontrollabili e aveva il viso e le mani sporchi di sangue, terra e polvere. La catena del medaglione aveva scavato un profondo solco sul suo petto, là dove il peso del suo gracile corpo l'aveva schiacciata contro la pelle.
«Figliola,» sentì mormorare al suo orecchio. Bob Ogden era chino su di lei e aveva il viso contratto in un'espressione preoccupata, quasi paterna.
«Vieni cara, andiamo al San Mungo» continuò, ma Merope lo interruppe subito, scuotendo il capo e bisbigliando, con voce incerta «Sto bene, non mi serve aiuto».
L'uomo rimase a guardarla per qualche secondo, quindi annuì e si alzò in piedi, affrettandosi a seguire il resto della sua squadra.
Merope si sollevò a fatica da terra, ancora tremante.
Il silenzio cadde su di lei e Merope si rese conto di essere sola.
Per la prima volta, in quella casa buia e tetra, c'era solo lei.
Per la prima volta in tutta la sua patetica esistenza, non c'era nessuno a darle ordini, nessuno a umiliarla.
Per la prima volta, Merope era libera.
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Angolo Autrice

E dopo mesi eccomi di nuovo qui. ad aggiornare questa storia che era nata come una one shot e che invece (rullo di tamburi) ha un seguito!
Come i lettori più attenti avranno notato, gran parte dei dialoghi e degli inframmezzi sono presi direttamente dal libro, qui lo dico, non appartengono a me ma a J. K. Rowling, genio indiscusso.
Si tratta di un capitolo di transizione e ovviamente la scena del pensatoio era un passaggio obbligato. Dal prossimo capitolo leggerete solo cose scritte da me medesima, quindi la qualità scenderà inevitabilmente XD

E niente, direi che per ora è tutto e vi aspetto numerosi nelle recensioni!!

A presto,

_Jo
  
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