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Autore: Chainblack    17/11/2017    0 recensioni
In fuga dalla disperazione dilagante della Hope's Peak Academy, sedici talentuosi studenti vengono rapiti e rinchiusi in una località sconosciuta, costretti a partecipare ad un nuova edizione del Gioco al Massacro senza conoscerne il motivo.
Ciò che sanno è che, per scappare da lì, dovranno uccidere un compagno senza farsi scoprire.
Guardandosi le spalle e facendo di tutto per sopravvivere, i sedici ragazzi tenteranno di scoprire la verità sul loro imprigionamento sapendo che non tutti potrebbero giungere illesi fino alla fine.
Ambientata nell'universo narrativo di Danganronpa, questa storia si svolge tra i primi due capitoli della saga.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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La prima tappa delle indagini risultò essere il ristorante, per svariati motivi.
Era il punto di interesse più vicino all'area del piazzale e, tra l'altro, il più sospetto.
June, Pearl e Pierce vi si erano recati rapidamente ed avevano iniziato a scandagliare la zona nella disperata speranza di trovare qualcosa.
Pearl lanciò occhiate rapide ad ogni angolo: il luogo era rimasto perfettamente uguale a come lo avevano lasciato prima del processo di Vivian e Lawrence.
Il tavolo principale era ancora apparecchiato, e i piatti sporchi erano rimasti lì ad emanare uno spiacevole odore di avanzi.
La cucina, allo stesso modo, era stata lasciata in disordine; la pressione costante delle indagini aveva avuto il suo peso.
Pearl guardò il pentolone di risotto, ancora sul tavolo, con una certa malinconia.
Il piano di Karol prevedeva che tutti contribuissero ad un progetto di riappacificazione, ma tutto era stato mandato alle ortiche da ben più di un incidente nel giro di una sola, singola giornata.
L'Ultimate Ninja sospirò, pensando a come le cose sarebbero potute andare diversamente e di come il suo operato gastronomico non aveva aiutato più di tanto.
Scacciò via il pensiero, cosciente che non la avrebbe aiutata a carpire la verità.
La sua attenzione, però, non si scostò dal tavolo: notò che June vi si era avvicinata portando con sé alcuni contenitori in plastica probabilmente presi dalla cucina.
La bionda li osservò meglio: erano delle scatolette in materiale traslucido che erano conservate in uno degli scaffali vicino al frigorifero.
Pearl li aveva già notati durante le proprie peripezie in cucina, e il vederli in mano all'arciera le provocò una certa curiosità.
June passò a riempirne due con una buona quantità di risotto; nel primo venne inserita una porzione proveniente dalla grossa pentola in metallo, nel secondo andò parte del cibo rimasto all'interno dell'unico piatto ancora mezzo pieno.
- Cosa stai facendo? - chiese Pearl.
- Mi sembra ovvio - le rispose l'altra senza nemmeno guardarla negli occhi - Raccolgo prove -
La ninja intuì perfettamente dove volesse andare a parare.
- Chiaro. Mi sembra una mossa sensata - continuò - Quindi sospetti di me? -
- Non iniziamo a fare giochetti mentali, Pearl. Per quel che ne so, chiunque avrebbe potuto avvelenare il piatto di Hillary. E sì: anche tu -
- Un ragionamento democratico - annuì lei - Avevo il timore che, in quanto cuoca, i sospetti fossero diretti principalmente su di me -
- Non sbagli, Pearl - rispose June, inviperita - Ma ciò non toglie che la verità verrà a galla in tribunale -
Finito di versare il contenuto nelle scatole, l'arciera si voltò di spalle e si recò altrove, lasciando Pearl da sola con un volto alquanto irritato.
Scosse il capo, realizzando che non aveva senso prendersela per delle accuse simili.
Lei stessa sembrò non riuscire a smettere di dubitare di alcuni membri specifici della classe, per quanto improbabili potessero sembrare le proprie supposizioni.
Nel bel mezzo del sue elucubrazioni, Pierce fece capolino al suo fianco. Sembrava essere appena uscito dalla cucina.
- Hai finito, Pierce? -
- Sì... ho dato un'occhiata complessiva - rispose, incerto - Non credo ci sia nulla di utile -
- Ne sei certo? - disse lei, omettendo che avrebbe ricontrollato a propria volta in qualunque caso - Abbiamo poco tempo, non possiamo permetterci il lusso di ispezionare un luogo per più di una volta -
- Ne sono sicuro. Inoltre... -
Esitò per un momento. Pearl lo notò più che subito.
- Inoltre? -
- Beh, se non sbaglio, Hillary non si è mai avvicinata troppo alla cucina. E' stata tutto il tempo seduta ai tavoli, quindi è vagamente improbabile che... -
Pearl lo fermò sul posto.
- Pierce, in cucina ci potrebbe essere qualcosa con cui IO potrei averla uccisa; è più che comprensibile - disse lei - Non vi è necessità di fare inutili giri di parole solo perché sono coinvolta, e non sono abbastanza stupida da non rendermene conto -
Lui indietreggiò, inquieto.
- S-scusa, Pearl... non intendevo... -
- Lo so, lo so... - sospirò lei - E' una situazione assurda, e sono un po' provata. A volte ho come l'impressione che tutte le prove portino a me, in qualche modo... -
- Beh, è accaduto alcune volte... m-ma io non voglio farmi condizionare da elementi s-senza fondamento... -
Lei fece un sorriso storto.
- Da come lo dici, sembra quasi che tu non voglia semplicemente inimicarti la sottoscritta perché mi ritieni spaventosa - disse - Ho ragione? -
L'assenza di un responso fu tutto ciò di cui Pearl Crowngale aveva bisogno.
Pierce abbassò lo sguardo con mortificazione, incapace di reggere il confronto di sguardi e sentendosi estremamente colpevole.
Lei gli rifilò una pacca amichevole sulla spalla e passò avanti.
- Tranquillo. Te lo ho detto, no? Certe cose le capisco al volo - lo rassicurò - Ed è normale dubitare di tutti, in questo posto -
- Dici... che la fiducia è da ingenui...? -
L'improvviso quesito di Pierce la fece tentennare per un attimo.
Si trattava di una domanda che Pearl si era posta non poche volte, in quel mese.
- Ascoltami, non dico che fidarsi del prossimo è sbagliato in sé, ma qui è diverso... - rispose, stringendo i pugni - Ho paura del giorno in cui tutti noi dovremo dare ragione a Michael, sai? Temo il momento in cui potremmo renderci conto che avremmo fatto meglio a rimanere costantemente in guardia, ventiquattro ore al giorno. Quel giorno in cui potremmo dover realizzare che degli esseri umani possono tramutarsi in mostri, che dei compagni possano attentare alla tua vita per avere salva la propria -
- Q-questo è il mondo in cui ci troviamo... dico bene? -
- Già, Pierce... è lo schifo di mondo in cui siamo stati scaraventati - ammise lei - E, piano piano, molti di noi hanno iniziato a cedere. Non parlo solo di Alvin, Hayley e Rickard. Judith, Karol, Kevin... ho potuto vedere come tutti stanno mostrando evidenti segni che la tensione sta avendo il sopravvento -
Pierce deglutì.
- Anche... anche tu, Pearl? -
Lei tentò di sorridere.
- Sono umana anche io, no? -
Lui parve come scusarsi per la domanda.
- Ma, se devo essere sincera... - continuò la ninja - Chi mi preoccupa di più è... -
Un rumore improvviso le impedì di terminare la frase; la porta della dispensa era stata spalancata, stridendo a contatto con il pavimento.
I due si voltarono appena in tempo per vedere l'Ultimate Archer entrare e sparire oltre il deposito alimentare.
Pearl incrociò le braccia.
- ...lei -
- C-come? -
- Seguimi, Pierce. Andiamo a vedere -
Trascinandosi dietro il sarto, la ragazza corse a controllare il magazzino con una certa ansia nel cuore.
Trovò June intenta a fare una minuziosa scansione degli scaffali, scavando ininterrottamente tra le scorte di cibo impilate lungo la parete.
- Avete intenzione di restare lì impalati o volete aiutarmi? - disse loro, avendo notato la loro presenza.
- S-sì, vado subito...! - rispose prontamente Pierce, lanciando un'occhiata complice a Pearl come per pregarla di assecondare la situazione.
La bionda intuì che, almeno per il momento, era necessaria una collaborazione silenziosa per evitare problemi.
Passò a controllare i mobili sul lato destro, lasciando il resto ai due compagni.
Esaminò con cura ogni possibile anfratto, ogni scatolone e provvista; non vi trovò che cibo e scorte di vario tipo, ma nulla che destasse sospetti.
La ricerca andò avanti per diverso tempo, fino a che la voce di June Harrier non li richiamò entrambi all'improvviso.
- Hey...! Ho trovato qualcosa! -
Pearl e Pierce accorsero seduta stante, grati che quegli sforzi apparentemente infruttuosi potessero almeno dare loro uno stralcio di pista.
L'arciera indicò loro un oggetto fuori posto, posizionato sul pavimento. Sembrava essere una boccetta in plastica bianca, e sporgeva appena fuori da sotto lo scaffale.
June si chinò a raccoglierla e la avvertì al tatto: era abbastanza morbida e piccola.
Osservandola più da vicino, i tre si resero conto di cosa si trattava: era un flacone vuoto.
Dei segni di colla piuttosto vecchi erano bene evidenti sul contorno del contenitore, segno che vi era probabilmente un'etichetta, poi rimossa.
A giudicare dall'aspetto e dalla conformazione, Pearl poté confermarne con sicurezza l'identità.
- E' un medicinale - asserì - Dunque... è completamente vuoto. Il coperchio è posizionato male, e l'etichetta manca... -
- Ma che ci faceva qui in dispensa? - si domandò Pierce.
Il ragazzo si voltò verso Pearl in cerca di una risposta, ma quest'ultima non fu in grado di fornire una spiegazione plausibile.
Fu quando interpellò June che notò che quest'ultima stava fissando la boccetta con sguardo furioso.
Le gote di Harrier erano divenute rosse, ed una vena rigonfia era ben visibile sul collo; Pierce Lesdar fece d'istinto un passo indietro.
- J-June...? -
- Questo è un medicinale... no...? - mormorò lei - Non c'è dubbio. Vero, Pearl? -
- Sì, ne sono sicura... - rispose lei, inquieta - Ti ha fatto venire in mente qualcosa? -
L'altra fece una smorfia rabbiosa.
- Oh, sì. Senz'altro! - ringhiò - Immagino ricorderete che le uniche medicine di TUTTA la scuola erano in infermeria. Ma qualcuno... QUALCUNO le ha sequestrate tutte... e adesso che una di noi è morta avvelenata, una di quelle "medicine" compare in dispensa...! -
Le pupille di Pearl si contrassero; la deduzione di June non era errata, ma qualcosa nei suoi modi le fece capire che quella situazione non stava per finire bene.
June Harrier corse fuori dalla dispensa stringendo la boccetta tra le mani.
Gli altri due si ritrovarono spiazzati per alcuni istanti, assistendo a tutta la furia delle sue movenze.
- Pierce! FERMIAMOLA! - gli urlò lei, rincorrendo June appena oltre la dispensa.
Ancora tentennante, Pierce dovette combattere duramente ogni riluttante fibra del proprio corpo paralizzato dal terrore prima di unirsi a sua volta alla corsa.
Non sapeva di cosa avere più paura: di ciò che sarebbe potuto accadere, o del solo rivedere quel volto iracondo e paonazzo ancora una volta.



I corridoi della scuola erano talmente vasti e lunghi che ogni suono rimbombava con una forte eco, per quanto tenue fosse.
Il continuo ridursi del numero degli studenti, inoltre, aveva fatto in modo che la desolazione di quel posto aumentasse a dismisura ed in modo inquietante.
Judith Flourish tentò di fare uno sforzo di memoria; ricordò i primi giorni passati in quel posto, quando incontrare qualcuno era ancora un evento piacevole e plausibile,
dove l'incrociare qualcuno che giungeva da dietro l'angolo non provocava spavento e ansia.
Un breve momento in cui gli schiamazzi dei compagni più vivaci e rumorosi erano ancora udibili, ma che inevitabilmente era andato perduto a causa delle regole di quel mondo distorto.
Quando Judith riaprì gli occhi, tornando alla realtà, il paesaggio non era cambiato.
Davanti a lei si stendeva il corridoio principale del primo piano, e l'unico rumore percepibile era il mormorio confuso di Kevin Claythorne.
Il compagno, pallido come non mai, si era fermato per alcuni momenti appoggiato ad una parete, confabulando qualcosa di incomprensibile a voce bassissima.
Judith, al contempo incuriosita e preoccupata da quell'atteggiamento, tentò di prestare attenzione a ciò che stava dicendo. 
Le sembrò che Kevin stesse semplicemente elencando nomi di fiori, o almeno così le parve.
- Kevin...? Tutto bene? -
Il ragazzo si bloccò di colpo, muovendo lentamente lo sguardo.
- Sì... ora va molto meglio - sospirò lui - Avevo bisogno di rilassarmi -
- Cosa stavi...? -
Lui si accorse dell'espressione interrogativa di Judith, evidente segno che aveva sentito tutto.
- C-consideralo una sorta di strano antistress! - si giustificò lui - So che può sembrare assurdo, ma ripetere a voce nomi di fiori mi... tranquillizza -
- Kevin, non sono certo qui per giudicarti - sorrise forzatamente lei - Ognuno ha il diritto di scaricare la tensione a modo suo. Mi auguro soltanto che tu sia in buone condizioni per continuare le indagini -
- Lo sono, giuro! Non voglio essere di peso... - annuì più volte lui.
- Promettimi solo di non sforzarti troppo, va bene? Non voglio vederti sopraffatto dalla fatica -
Lui arrossì, voltandosi di spalle.
- Certo, certo... -
A quel punto, Judith avvertì il bisogno di fare il punto della situazione.
- Dunque, gli altri stanno controllando il ristorante e la zona dei dormitori - cominciò - A noi tocca allargare la zona di indagine -
- Ma come? Non abbiamo nessuna pista concreta! - sbuffò lui - Da dove dovremmo iniziare a cercare? Non sappiamo nemmeno che cosa ha provocato la morte -
- E' vero, ma se ci pensi abbiamo alcune informazioni importanti - lo corresse lei - Ascolta bene: se Hillary è stata avvelenata, vuol dire che deve aver assunto qualche sostanza nociva in qualche modo. Quindi, se ripercorriamo gli spostamenti di Hillary nel corso della giornata, potremmo... -
- ...individuare i luoghi possibili dove è accaduto, giusto? -
- Giusto. Ed è per questo motivo che ci troviamo qui -
Kevin si guardò attorno, senza davvero comprendere come mai il corridoio centrale dovesse essere un punto di interesse.
- Intendi... il corridoio? -
- Ti spiego. Prima del processo stavo investigando sugli alibi di tutti, e Pearl mi ha confermato che Hillary ha passato tutta la mattinata al ristorante, in sua compagnia -
Lui si mostrò ancora più confuso.
- Non dovremmo cercare più a fondo al ristorante, allora? -
- No, pensaci bene. Dopo pranzo, Hillary è stata la prima ad uscire dal locale, se ricordo ciò che mi è stato detto -
- Certo, è stato poco prima di... beh, lo sai... - deglutì Kevin.
- La abbiamo incontrata di nuovo al laboratorio artistico, poco dopo. Ciò vuol dire che c'è stato un lasso di tempo in cui è potuto accadere qualcosa, e non vi erano testimoni -
Kevin ci pensò su, inizialmente dandole ragione.
Poi, però, considerò che la storia era, almeno in parte incompleta.
Un ricordo fugace fece capolino nella sua mente.
- Mh, no, un momento - la fermò lui - Hillary non era da sola -
- Come? Non lo era? - Judith apparve sfiduciata - Ma chi...? -
- Xavier la ha seguita a ruota. Non credo che l'abbia persa di vista -
Lei si bloccò per un momento.
- Xavier, eh? Capisco... -
La memoria di Kevin ripescò nuovamente un dettaglio importante.
- Siete ancora... ai ferri corti? -
- Non siamo "ai ferri corti"! - strepitò lei - E' una situazione... complicata, ok!? -
- Va bene, va bene! Scusa! - indietreggiò, impaurito - Non credevo fosse un tasto dolente, mi dispiace! -
Lei sbarrò gli occhi, rendendosi conto di aver perso le staffe un'altra volta senza nemmeno rendersene conto.
Si passò una mano sulla fronte, sospirando tristemente.
- No, scusami tu... - disse, tastandosi il fermaglio sulla tempia - A volte reagisco in maniera esagerata, quando mi sento in difficoltà... -
Kevin Claythorne non mancò di notare quel gesto apparentemente inconscio e spontaneo.
La mano sinistra di Judith passò attraverso i petali della finta rosa bianca che teneva tra i capelli, come per assicurarsi che tutto fosse ancora al proprio posto.
Quel fiore, per quanto fittizio, catturò l'attenzione di Kevin. Più che altro, la sua curiosità si indirizzò verso quale significato potesse avere per lei.
- E' davvero un bel fermaglio - commentò.
Lei cadde dalle nuvole.
- Come...? Questo? - arrossì - Ti ringrazio. Ci sono affezionata -
- Lo notai anche la prima volta che ci parlammo. Se non erro, mi dicesti che era vincolato ad un... "ricordo" -
- Hai un'ottima memoria - disse lei, colpita - Sì, è un qualcosa di prezioso, ma non esattamente piacevole... ma quando mi sento in crisi mi basta toccarlo per... stare subito un po' meglio -
I loro sguardi si incrociarono; Kevin stava sorridendo in maniera innocente.
- E' s-solo una tecnica per attenuare lo stress...! - disse lei, alzando le mani in maniera colpevole.
- Non sono certo qui per giudicarti - le disse - Ognuno ha il diritto di scaricare la tensione come meglio crede, giusto? -
Il ritrovarsi impartita la sua stessa lezione le provocò uno strano miscuglio di sensazioni, ma comprese il messaggio.
Judith sorrise a sua volta, annuendo con sincerità.
- Grazie, Kevin -
- No, non devi ringraziarmi. Ho solo... ricambiato la cortesia - le disse - Sai, credo tu sia l'unica con cui possa parlare in questo modo, qui... -
Una frase straordinariamente sincera e schietta; Judith non se l'era aspettato. Non da lui, soprattutto.
- Come mai dici così? -
- E' una sensazione strana, ma alcuni di noi sembrano così... irraggiungibili. Come se appartenessero ad un'altra realtà -
- Perdonami, ma non capisco... - ammise lei.
- Prendi Pearl, ad esempio. E' forte, determinata, sembra essere in grado di fare qualunque cosa. O Xavier; senza di lui i processi sarebbero giunti ad un punto morto. Persino Michael, se ci pensi, ha dimostrato di essere incredibilmente utile e versatile. In confronto a loro mi sento... solo un semplice, normalissimo botanico -
- La trovi una qualità deludente? - rispose retoricamente lei - Non starai davvero sminuendo il tuo talento, spero? -
- Tutti lo chiamano "talento", ma nel momento del bisogno le mie conoscenze in materia sono superflue - sospirò lui - Capisci come mai mi sento a mio agio in presenza tua o di Pierce? E... anche di Rickard... -
L'ultimo nome provocò una fitta non poco dolorosa al cuore di entrambi.
- Intendi dire che...? -
- E' perché siete più... "normali" - spiegò lui - E' strano da dire, ma nonostante il vostro innegabile talento, sembrate comunque "comuni". Non emanate un'aura spaventosamente autorevole, anzi. Spesso i vostri difetti vengono a galla, vi capita di fare errori. Capisci cosa intendo? Mi sento meglio perché... sono così anch'io -
A Judith venne quasi da ridere.
- Quindi ci reputi più accoglienti perché siamo goffi? - scherzò lei.
- B-beh... è davvero brutto da dire in questi termini, ma... - si grattò il capo - Non è forse meglio essere goffi in compagnia...? -
- Sai, Kevin, credo che il tuo modo di vedere la cosa non sia sbagliato. Ma dovresti abbattere queste barriere immaginarie che ti separano dai membri più in risalto -
Lui guardò verso il soffitto con aria triste, ponderando attentamente su quelle ultime parole.
- Ci sto provando, ma... - socchiuse gli occhi - E' più complicato di quanto sembri... -
Il tono della sua voce si era fatto più basso e mesto.
Lei gli diede una lieve scrollata alle spalle.
- Fatti forza, Kevin -
- Sì, non è il momento di adagiarci, dopotutto - annuì - Dunque? Dov'è che dobbiamo andare? -
Lei si portò un dito al mento, contemplando ogni possibilità.
- Beh, i posti in cui è stata Hillary oggi sono davvero pochi. Se consideriamo che è stata portata in camera sua da Karol e Rickard appena un paio di minuti dopo il ritrovamento di Lawrence e Vivian... -
- Allora non ci resta che controllare proprio la sua stanza, giusto? -
- Giusto -
Detto ciò, ripercorsero la strada fatta fino a quel momento al contrario.
Judith, però, non riusciva a togliersi dalla mente quell'ultima conversazione, ripensando al proprio rapporto con gli altri membri del gruppo.
Ripensò a Pearl, Michael, Karol. E, infine, a Xavier.
Si strinse nelle spalle; quelle barriere immaginarie potevano essere più concrete di quanto non si aspettasse.



Michael si asciugò una copiosa quantità di sudore dalla fronte; il lavoro stava procedendo in maniera continuativa e stabile, ma la sua espressione tradiva insicurezza.
Karol lo sentì borbottare più e più volte, lamentandosi del poco tempo a disposizione.
Tutto sommato, notò come gestiva contemporaneamente diverse fialette e alambicchi vari, destreggiandosi così bene da dimostrare automaticamente di sapere ciò che stava facendo.
Nonostante ciò, l'insegnante non riuscì a fare a meno di pensare che la situazione stesse sfuggendo loro di mano.
- Uff... quanto tempo abbiamo, ancora? - chiese il chimico.
Karol controllò l'orario sul monitor del portone blindato.
- Abbiamo circa venti minuti scarsi -
- Magnifico... - ironizzò l'altro - Speriamo che almeno gli altri non stiano girando in tondo inutilmente -
- Me lo auguro. Sembra un'impresa inaudita trovare indizi per questo caso... -
Nonostante la sfiducia, Karol dovette ricredersi nel momento in cui vide tornare verso di loro il primo gruppo di ricerca.
Scorse la figura di June Harrier dirigersi rapidamente verso di loro con alcuni strumenti in mano, non perfettamente definibili.
Uno strano senso di sollievo fu ciò che provò Karol nel vederla tornare prima delle aspettative. 
Pearl e Pierce erano appena dietro di lei, correndo a loro volta.
- Sono tornati, Michael - lo avvertì lui.
L'altro si pulì gli occhiali distrattamente.
- Ottimo, speriamo in bene - disse, alzandosi in piedi.
June era oramai a meno di una decina di metri di distanza.
Fu lì che Karol notò che qualcosa non quadrava: il viso di June non trasmetteva esattamente la stessa vena di ottimismo che aveva provato lui fino a poco prima.
Osservandola meglio e più da vicino, notò che il suo volto non poteva essere più ferocemente arrabbiato.
I suoi passi scalpitanti percorsero quel poco spazio rimasto in un baleno.
Il professore si fece istintivamente da parte, temendo di rimanerne travolto. Si accorse troppo tardi di non essere il bersaglio di quella strana ed improvvisa ira.
- Eccovi qui, finalmente... - bofonchiò Michael, girandosi - Allora, trovato nie-...? -
Una mano gli afferrò violentemente il bavero della camicia, interrompendogli la frase.
Prima ancora di potersene rendere conto, sentì tutta la potenza delle nocche dell'arciera sulla propria faccia.
Un pugno diretto e perfettamente mirato. Il dolore fu rapido ma lancinante, e così repentino da fargli perdere l'equilibrio.
Cadde all'indietro senza nemmeno capire come, quando e perché. La prima cosa che vide, riaperti gli occhi, fu che June Harrier gli era piombata addosso per completare l'opera.
- Brutto... pezzo... DI MERDA! - gli urlò lei, assestandogli un altro pugno, stavolta miracolosamente respinto dal proprio braccio.
- Ma che cazzo...!? Levati di dosso, imbecille! - urlò lui - Qualcuno mi aiuti...! -
Prontamente, Karol e Pearl comparvero alle sue spalle afferrandola per il busto e le braccia, trainandola via. Non prima, però, del momento in cui June riuscì a tirargli un poderoso calcio alla rotula non poco doloroso.
Michael si alzò in piedi a fatica; il naso stava perdendo sangue, e anche la saliva sapeva di ferro.
La vista, vagamente annebbiata, gli permise di vedere un'Ultimate Archer dimenarsi nel tentativo di districarsi dalla presa di Karol e Pearl.
Il disprezzo di Michael venne attenuato solo dalla paura di ricevere un altro dei suoi pugni.
- LASCIATEMI! - urlò lei - Devo dargli quel che si merita! ASSASSINO! -
- June, calmati! - tuonò Pearl - Ti è dato di volta il cervello!? -
Michael sputacchiò per terra.
- Maledetta cretina... - sibilò rabbiosamente - Come ti salta in mente di aggredirmi così!? Volevi uccidermi!? -
- Te lo saresti meritato! - continuò lei - Sei tu il colpevole, AMMETTILO! -
- Ora basta, June! - Karol le afferrò entrambe le spalle - Datti una calmata! Agire in questo modo è inaccettabile! -
Lei inspirò ed espirò più e più volte cercando di recuperare lucidità, ma i suoi occhi erano ancora rossi e furenti.
Alzò la mano destra in modo che tutti potessero vederla: teneva ancora stretta la boccetta rinvenuta in dispensa.
- Guardate qui, guardate! - indicò loro - Un flacone incognito. Ed era in dispensa! -
- J-June... non possiamo dire per certo che sia stato Michael a... - osservò Pierce, tenendosi a debita distanza.
- Come potrebbe NON essere suo!? - sbottò lei - Tutti i medicinali li ha sequestrati LUI! E adesso compare uno di loro nel deposito del CIBO dopo che una di noi è morta AVVELENATA! Adesso ditemi: di quale altra prova avete bisogno!? -
- Idiota! Non puoi di certo chiamarla una prova conclusiva! - a tratti, Michael sembrò quasi più arrabbiato per il torto subito che per le accuse - Come ti viene in mente di colpirmi, razza di primate!? Se hai delle accuse da rivolgermi, fallo in tribunale! -
- Considera questo pugno un assaggio di quello che ti aspetta là sotto, assas-...! -
- JUNE! -
Una terza voce, più forte di qualunque altra, sovrastò quelle dei contendenti.
L'arciera avvertì una mano stringerle il braccio con forza, quasi fino a farle male.
Si voltò di scatto, sorpresa sia dal fragore che dal dolore.
Pearl Crowngale la stava fulminando con un singolo sguardo.
Un momento di fugace terrore le oltrepassò le membra: gli occhi di ghiaccio della ninja la paralizzarono.
- La morte non è un gioco, né il tuo personale strumento di vendetta - mormorò - Sono stata chiara? -
- M-ma lui... - singhiozzò l'altra - Lui ha... -
- Se credi che sia stato lui, dimostralo al processo. Fine della questione -
Il tono perentorio della bionda pose fine alla discussione. Nemmeno Michael ebbe il coraggio di pronunciarsi oltre, in quelle circostanze.
June, abbassata la testa con rassegnazione, si costrinse a soffocare tutta la propria frustrazione; seppellita, ma non archiviata.
Nel mezzo del silenzio che ne seguì, un rumore cigolante fece capolino alle loro spalle; tutti si voltarono.
Xavier osservò il gruppetto formatosi attorno al piazzale mentre usciva dalla stanza numero cinque.
Il suo unico occhio osservò i volti di ognuno, soffermandosi su quello livido di Michael.
Il ragazzo si stava asciugando alcuni rivoli di sangue che gli colavano dal setto nasale; il suo umore era più nero del solito.
- Mi sono perso qualcosa? - chiese.
Nessuno osò rispondere.
Karol si limitò a scuotere il capo.
- E' tutto a posto, Xavier. C'è stato un diverbio -
- Ah, comprendo - disse - Chi ha litigato con la faccia di Mike? -
- Xavier, ti prego... -
Il detective capì che non era il caso di aggiungere altro; principalmente perché Pearl stava iniziando a lanciare occhiatacce anche a lui.
- Cosa ci facevi in camera di Lawrence...? - chiese poi Pierce.
- Oh, beh... stavo tentando di ripercorrere i passi di Hillary - rispose - Karol mi ha detto che è entrata lì per investigare assieme a lui e Rickard -
- Hai avuto fortuna? -
- No, non direi - sbuffò - Dunque... il tempo è agli sgoccioli. Avete rinvenuto qualcosa? -
June tirò su col naso.
- Sì... un paio di cosette... - disse l'arciera con una strana smorfia.
Xavier si chiese nuovamente cosa fosse successo. A giudicare dalla situazione, niente di piacevole.
- Mike, come vanno le analisi? -
- Mah... sono ad un punto morto, ma almeno ho del nuovo materiale. Questo quarto d'ora finale sarà fondamentale -
- Ottimo - si voltò verso l'orologio - A breve dovrebbero arrivare anche Judith e Kevin. A quel punto... -
Come una sola persona, tutti i presenti guardarono verso il centro del piazzale: il corpo di Hillary era stato posto sotto una coperta.
Pierce tentò in tutti i modi di volgere lo sguardo altrove; al contrario, June incanalò tutta la propria rabbia in quel singolo momento.
Michael, pulendosi il viso, tornò al proprio lavoro tentando di non lasciarsi distrarre da pensieri superflui. 
La mente di Karol, incapace di lasciarsi alle spalle l'accaduto, continuò a concentrarsi su quella piccola trapunta che ricopriva il cadavere.
La voce strozzata di Hillary continuava a risuonare nel suo cervello, senza volerne sapere di andare via.
Xavier, infine, notò che Pearl aveva assunto un'aria del tutto diversa dal solito. Il suo sguardo, seppure ancora freddo ed imperscrutabile, sembrava segnato da qualcosa di enigmatico e misterioso. Un pensiero che le stava dando qualche grattacapo, ma impossibile da intuire.
Si chiese se potesse esistere davvero qualcosa in grado di turbarla seriamente o se fosse, banalmente, una propria errata impressione.
- A quel punto... si scende - mormorò a bassa voce.
Il processo era sempre più incombente.

   
 
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