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Autore: Sospiri_amore    18/11/2017    0 recensioni
TERZO LIBRO DI UNA TRILOGIA
Elena se ne è andata via da New Heaven appena finite le scuole superiori, da ragazza ha lasciato gli USA per l'Europa. Tutte le persone a cui ha voluto bene l'hanno tradita, umiliata e usata.
Dopo quattordici anni, ormai adulta, Elena incontrerà di nuovo le persone che più ha amato e odiato nella sua vita, si confronterà con loro rivivendo ricordi dolorosi.
Torneranno James, Jo, Nik, Adrian, Lucas, Kate, Stephanie, Rebecca più altri personaggi che complicheranno e ingarbuglieranno la vita di Elena.
Come mai Elena è tornata in America?
Chi è il padre di suo figlio?
Elena riuscirà a staccarsi dal passato?
Chi si sposerà?
Riusciranno i vecchi amici a trovare l'armonia di un tempo?
Elena riuscirà ad amare ancora?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Crollare






... continua dal capitolo precedente...

 

Kate fissa Jo.

Jo fissa Kate.

Sembra uno scontro a fuoco tra due pistoleri come nei vecchi film western. 

Nessuno abbassa gli occhi.

Nessuno cede il passo.

 

Le mie gambe vacillano.

 

«È da settimane che rimandi il nostro incontro, da quando Elena è tornata sono cambiate parecchie cose. Cosa diavolo ti è successo?», chiede Jo all'amica.

«Niente. Ho solo cambiato idea, tutto qui. Non ti voglio come testimone, non mi sembra un dramma», dice Kate cercando di riprendere possesso del marciapiede che Jo pare occupare con il suo corpo.

«Siamo stati amici per anni. Abbiamo passato momenti in cui ci sentivamo poco, visti gli impegni di entrambi, ma gli ostacoli che la vita ci parava davanti li abbiamo superati insieme, sempre. Possibile che mi annunci questa tua decisione con una lettera? Non pensi che sarebbe stato meglio dirmelo di persona?». Jo sventola un foglio.

«Non volevo disturbarti», dice asciutta Kate con un sorrisetto stampato in volto.

 

Jo mi guarda schifato.

So benissimo che pensi che sia colpa mia, il cambiamento di Kate nei suoi confronti deve essere coinciso con il mio ravvicinamento alla mia amica.

Come posso dargli torto.

Se fossi stata zitta non avrei compromesso nulla tra di loro, ma per ristabilire un rapporto con Kate non potevo fare altrimenti.

 

«M-mi dispiace». Parlo rivolto a Jo cercando di non dare segni di cedimento.

«Non ti devi scusare di nulla. Non è colpa tua». Kate mi prende a braccetto pronta ad attraversare la strada per andare a prendere la metropolitana. Non ha voglia di ascoltare Jo. È convinta, niente potrebbe smuoverla dalle sue convinzioni.

 

Le mie gambe sono fragili, sembrano cannucce. Le muovo rapide, ma ho la certezza che presto cederanno sotto al mio peso. Il sapore dolciastro del biscotto alla marmellata mangiato prima mi ritorna in bocca.

 

«Che diavolo è successo? Cosa?». Jo mi blocca per le spalle, i suoi occhi neri come la notte paiono infuocati.

«Hei. Lasciala stare!». Kate prova a staccare le mani di Jo dal mio corpo, ma con scarsi risultati.

 

Vengo scossa.

 

«Che cosa hai detto a Kate? Cosa?». Jo mi prende per un braccio mentre con l'altro allontana Kate che come fosse una tigre infuriata lotta come una matta.

 

Vengo strattonata.

 

Jo non molla la presa. Mi cinge la vita avvicinandomi a sé come se cercasse di guardarmi negli occhi per capire che cosa stia accadendo. Faceva sempre così quando da ragazzi qualcosa mi turbava, allora bastava un suo sguardo per farmi sentire a casa, eppure, adesso, ho davanti un estraneo, un uomo disperato, che non capisce cosa stia succedendo. 

 

Vengo smossa.

 

«Lasciala andare, brutto idiota!», urla Kate sferrando un calcio negli stinchi a Jo.

Jo mi lascia di colpo prendendosi il polpaccio tra le mani e saltellando per l'improvviso dolore.

Senza nessuna logica e nessuna finalità pratica i due iniziano ad insultarsi in alternanza aumentando, parola dopo parola, il tono della voce.

 

«Cretina».

«Sfigato».

«Perdente».

«Venduto».

 

Il mio stomaco si contorce.

Vedo doppio.

 

«Invasata».

«Lecchino».

«Nullità».

«Prepotente».

 

Il mio stomaco sobbalza.

Sto male.

Sto male.

 

«Sai cosa ti dico doppi occhi, che se vuoi Elena come amica, tienitela. Ti abbandonerà come ha fatto in passato e...».

Kate interrompe Jo malamente: «Come mi hai osato chiamare? Ripetilo se hai il coraggio. Sei un vigliacco, uno schifoso e...».

 

Io non vedo più.

Non capisco più nulla.

Sono piegata in avanti vomitando quel poco che ho nello stomaco.

Tremo.

Mi accascio.

Sento freddo.

Alla fine c'è il buio.

 

Sono svenuta.

 

Buio.

Buio.

L'immagine di mia madre che cucina è davanti a me. Riconosco i mobili che avevamo a Milano, le piastrelle marroni e la grande porta finestra. Il volto di mamma è confuso, è un'immagine sfuocata, come se non la ricordassi più. Il colore dei suoi capelli mi pare più chiaro di come fosse in realtà, ma non sono certa. Provo a raggiungerla, ma non riesco, sono seduta su una sedia dietro a un tavolo. Ho fame, la tavola è imbandita, eppure tutto ciò che provo a mangiare ha un sapore nauseabondo. 

Mi sento stanca, affaticata.

Chiudo gli occhi.

Buio.

Buio.

 

«Elena? Elena? Mi senti». La voce di Kate arriva da lontano come se parlasse attraverso un lungo tubo che distorce i suoni.

«Elena, apri gli occhi se riesci». Una voce sconosciuta mi chiama.

 

Apro a fatica gli occhi.

La mia bocca pare sabbia del deserto.

 

«D-dove sono?», chiedo con un filo di voce.

«Sei svenuta in strada. Jo ed io ti abbiamo portata qui nella piccola infermeria dello studio legale. Sei disidratata, per questo sei stata male», mi dice Kate.

 

Sento la mano indolenzita, un piccolo tubo immette liquidi nel mio corpo, goccia dopo goccia.

 

«S-scusate. Non volevo», dico io.

«Non ti preoccupare. Avevo la macchina a due passi, ho preferito portarti qui piuttosto che in ospedale. Niente scartoffie o lungaggini, l'infermiera dello studio legale ti ha assistita subito». Jo indica una signora vestita con un camice bianco che gentilmente mi misura la pressione.

«Ci hai fatto prendere un colpo. Non avevo notato che hai l'aria così sbattuta, se stavi male potevi dirmelo, potevamo andare un altro giorno da Alice», mi dice Kate con premura mentre mi accarezza.

«Alice? La mia Alice? L'hai trovato il vestito per la cerimonia?». La voce squillante ed energica di Rebecca spunta da dietro una tenda che divide la stanza. Con un gesto rapido viene smossa mostrandomi una Rebecca perfettamente truccata in tailleur blu. Vicino a lei c'è James.

«Sì. Grazie Rebecca per averci passato il contatto. È stata gentilissima e molto utile», le risponde Kate.

 

Ho la testa rintronata.

Vorrei dire molte cose, ma l'unica cosa che mi viene naturale da fare è piangere.

 

Kate mi asciuga gli occhi con un fazzoletto di carta mentre tutti gli altri sono ammutoliti.

 

Mi sento uno straccio.

Mi sento uno schifo.

Mi vergogno della mia debolezza.

 

«Non ti preoccupare vedrai che tra poco starai meglio. Il mio consiglio è: riposo, liquidi e un buon libro. Senza contare un massaggio al centro benessere e una seduta dal parrucchiere. Non hai idea di quanto faccia bene curar...».

Rebecca viene interrotta da Jo. «Forse è meglio se la lasciamo stare», dice mentre mi sposta un paio di ciocche dal volto fermandosi qualche secondo a fissarmi negli occhi.

 

Non riesco a guardarlo.

Abbasso la testa.

 

«Non preoccuparti Elena, hai bisogno solo di idratarti. Potrebbe essere un virus gastrointestinale, ma non hai febbre, oppure... oppure... mia cara, sei incinta? Il vomito e le nausee improvvise sono il primo segnale», mi chiede l'infermiera come se nulla fosse mentre sistema gli strumenti di lavoro.

 

Incinta?

No. Assolutamente no.

 

Kate, Jonathan, Rebecca e James trattengono il fiato.

Hanno gli occhi sbarrati. Non credo si aspettassero un'uscita del genere.

 

«Ho problemi di stomaco ultimamente. Ho mangiato un biscotto dalla dubbia provenienza. L'ho comprato in un chiosco della metropolitana». Nello stesso istante in cui finisco di parlare il mio stomaco brontola sonoramente.

 

Ecco.

Il mio essere dannatamente me stessa spunta sempre nei momenti meno appropriati.

 

Rebecca ride: «Non ti smentisci mai. Stai sempre a pensare al cibo. Non che da te possa aspettarmi nulla di nuovo».

Kate mi abbraccia stretta: «Per fortuna è una stupidata, niente di grave. Mi si è fermato il cuore nel vederti crollare a terra».

Jo mi tiene la mano.

James è uscito dalla stanza, non lo vedo da nessuna parte.

 

Ho il magone.

Seppur mi senta uno schifo, non posso che essere grata a tutti loro.

Nonostante quello successo negli anni passati, le bugie, i complotti e le menzogne, non posso fare a meno di sentirmi a mio agio in mezzo a quello strano gruppo.

 

«Adesso finisci la flebo in pace. Non ti è successo nulla. Passo più tardi», dice l'infermiera uscendo dalla piccola stanza e trascinando con se Kate, Jo e Rebecca che la seguono senza opporsi.

 

Silenzio.

Improvvisamente c'è solo silenzio.

 

Sdraiata sul lettino cerco di controllare i battiti accelerati del mio cuore, le braccia stanche provano a muoversi nonostante la fatica. Le dita sfiorano le labbra secche e tagliuzzate. 

Come ho fatto a ridurmi così?

Se fosse successo con Sebastian?

Non oso immaginare lo spavento del mio piccolo, mi si accappona la pelle a visualizzare una opzione del genere.

 

La porta cigola.

Si apre.

 

Un profumo erbaceo si diffonde nella stanza.

 

James sta entrando con un piccolo vassoio con una tazza fumante di tè e un paio di dolci dall'aria golosa.

Non dice nulla.

Prende una sedia e appoggia il vassoio su un piccolo tavolino di fianco a me. Con calma apre due bustine di zucchero e le mette nella tazza calda per poi mischiare con un ritmo cadenzato il liquido.

James soffia sulla tazza incandescente.

 

«Dovrai aspettare un po', è troppo caldo per berlo ora», mi dice.

«Grazie, non dovevi disturbarti», gli dico con la voce flebile.

James mi osserva con attenzione poi si alza. Sistema la tenda della finestra per filtrare la luce chiara che entra dall'esterno. «Anche Nik è a casa. A quanto pare ha degli esami da fare. Mi ha assicurato per telefono che non è nulla di grave, ma deve stare a riposo per un po'».

 

Trattengo il fiato.

 

«È strano. Non ha mandato nessun certificato medico in ufficio e non ha contattato nessuno. Se non fosse stato per la mia telefonata risulterebbe un fantasma», dice James.

 

Lo stomaco mi si contorce.

 

«La cosa più strana comunque è che anche Caroline è sparita. Ha preso gli arretrati delle ferie che le spettavano. Caroline non ha mai preso un giorno di ferie in vita sua, a meno che non stesse veramente male. Nik manca e Caroline sparisce. Curioso». James si siede sulla sedia di fianco alla brandina e mi porge la tazza di tè.

 

Afferro la tazza nascondendomi dietro essa.

 

«Caso vuole che tu sia arrivata qui mezza svenuta, disidratata e in evidente stato di panico. Jo, Rebecca e Kate non devono essere così attenti per non averlo capito, ma io ti conosco bene. Saranno passati molti anni, ma quella faccia la riconoscerei ovunque». James mi passa il piatto con due ciambelle al cioccolato.

 

Ne afferro una e la mordo.

Con la bocca piena non sono obbligata a rispondere.

 

«Se non fosse che ti conoscessi, mi fidassi ti Nik e fossi assolutamente certo della fedeltà di Caroline per lo studio legale, credo che stia succedendo qualcosa di strano, molto strano», dice James.

 

Mastico e inghiotto un boccone dietro l'altro.

Non guardo James che in silenzio aspetta una mia risposta, una risposta qualsiasi.

 

La lancetta dei secondi ticchetta.

Il cibo nella mia bocca mi da nuova energia.

I sorsi di tè riempiono il silenzio.

 

Non parlo, non ho intenzione di dirgli nulla di Andrew e tantomeno di Nik.

 

«Bene. Ho capito. Farai scena muta. Ricorda però, quando avrai voglia di toglierti il peso che porti dentro sai dove trovarmi», mi dice James prima di uscire dalla piccola infermeria.

 

Sono di nuovo sola.

 

Merda.

Merda.

Merda.

 

Mi stacco la flebo dalla mano, delle piccole gocce di sangue scivolano sul pavimento. Con le gambe ancora deboli mi dirigo verso la mia borsa. Mi aggrappo dove riesco, non perché abbia paura di cadere, ma per precauzione, la flebo e il cibo ingerito mi stanno donando nuova energia. Raggiungo l'appendiabiti e cerco il cellulare nella borsa.

 

Scorro la rubrica.

Chiamo.

 

Dopo due squilli ottengo risposta.

 

«Ciao Elena, hai saputo qualcosa?». Nik pare arrabbiato, frustrato. Lo capisco benissimo, non è il tipo da stare con le mani in mano a ciondolare per casa.

«Caroline non c'è più, non è in ufficio», gli dico con la voce spezzata dalla paura.

«Come non c'è più? Cosa significa?», mi chiede urlando.

«Non lo so. James mi ha detto che è andata in vacanza e non si presenta in ufficio da quando non ci sei tu», dico piangendo.

«Scusa. Scusa. Non dovevo trattarti male, ma questa situazione rasenta il ridicolo. Caroline non lascerebbe mai la sua scrivania, lei è sempre stata vicina a me... perché adesso mi ha fatto una cosa del genere? Prima non si presenta al commissariato e adesso questo». Nik respira affannosamente.

«Non lo so, Nik. Non capisco più nulla».

«Cerca di andare alla sua scrivania. Cerca indizi o cose che potrebbero collegarla a questa storia. Potrebbe essere nei guai... potrebbe essere in pericolo... non mi perdonerei mai se le succedesse qualcosa», dice Nik parlando a raffica.

«E se lei centrasse con tutta questa storia?». Singhiozzo così forte che a malapena respiro.

«No. No. No. Non è possibile. Non Caroline. No. No. Dobbiamo trovarla, lei può aiutarmi, lei sa tutto di me. Lei... lei...», Nik pare confuso come me. 

«Nik io non ho più la forza. Ho paura. Ho paura per me e mio figlio», sussurro tra le lacrime.

«Solo questo, Elena. Solo questo, poi giuro che non ti chiederò più nulla. Non puoi lasciarmi con il fiato sospeso, non puoi lasciarmi senza farmi sapere che fine ha fatto Caroline».

 

Tremo.

Piango.

Vorrei scappare.

 

«Solo questo, Nik. Poi basta. Io non ne voglio sapere più nulla. Capito?», gli dico cercando da lui conferma alla promessa fattomi.

«Te lo giuro, Elena. Questo ultimo favore e poi da me non avrai più notizie», dice serio Nik.

 

Chiudo la chiamata.

 

Con tutta la forza che possiedo cerco di ricompormi. Prendo sotto braccio la giacca, la borsa. Mi lego i capelli in uno chignon mentre mi ripulisco il trucco sciolto dal volto con un paio di fazzolettini umidi.

 

Questa storia è andata avanti troppo a lungo.

Nik non può chiedermi di fare cose fuori dalla mia portata.

Io non sono lui.

Io non sono capace.

Ho un problema più grande da risolvere adesso: Andrew.

Devo smetterla di giocare e devo iniziare a pensare a me stessa.

Devo smetterla di essere una ragazzina di diciassette anni, ho un figlio da proteggere.

Devo scappare.

Scappare è l'unica soluzione.

 

... continua nel prossimo capitolo...

 
   
 
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