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Autore: _MartyK_    18/11/2017    3 recensioni
Myung Jae è una ragazzina nordcoreana di sedici anni che abita vicino al confine tra Corea del Nord e Corea del Sud. Stanca della sua vita misera e monotona, una notte decide di fare l'impossibile, sfidando il caso e rischiando la vita: oltrepassare il confine per andare al sud.
Jimin è sudcoreano, ha diciassette anni appena compiuti e una passione sfrenata per la danza classica e quella moderna.
Il loro sarà un amore travolgente: riusciranno a superare le difficoltà o avranno la meglio le barriere politiche?
Dal capitolo 1:
Non era brava ad immaginare, anche perchè non conosceva il vero significato del termine. Tutto ciò che poteva immaginare ce l'aveva a pochi chilometri da casa e non poteva accedervi per uno stupido capriccio lungo più di sessant'anni.
[...]
Stava per addormentarsi se il fischio del treno non l'avesse fatta sobbalzare per lo spavento.
Sentì le rotaie muoversi sotto i suoi piedi e vide la ferrovia, le panchine e gli alberi circostanti muoversi all'indietro rispetto a lei e capì.
Il suo sogno era appena iniziato.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Min Yoongi/ Suga, Nuovo personaggio, Park Jimin, Un po' tutti
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Vedere il cellulare a terra e con lo schermo ridotto in mille pezzi fu un durissimo colpo per il cuore di Myung Jae, in quell'esatto istante capì che era la fine, che non c'era più niente da fare.
Si voltò verso colui che doveva essere suo padre e gli rivolse uno sguardo feroce, quasi assassino.
Urlò, si sgolò, le vene pulsavano e sbattevano contro la pelle del collo - ebbe il timore che potessero fuoriuscire -, la gola bruciava ma non abbastanza da farle intendere cos'era la vera morte.

Lo prese per le spalle e lo scosse un paio di volte con le mani tremanti, sapeva a quali conseguenze stesse andando incontro con quel gesto, gli disse che le aveva rovinato la vita, che niente aveva più senso. Ed era incredibile come un minuscolo oggetto quale era il cellulare potesse essere così importante, una vitale importanza. Ignorò il ceffone alla guancia, ignorò il fatto che la parte colpita si stesse gonfiando e continuò ad urlargli tutto l'odio che provava nei suoi confronti.
Gli disse che sì, quello era l'aggeggio con cui si sentiva con Jimin e che a causa sua e di tutti quelli che non l'avevano sostenuta ora non poteva più aver nulla a che fare con lui.
Le loro vite si sarebbero separate per sempre.

Eppure non era questo il per sempre che si erano promessi, perciò decise di combattere.
Combattere per il suo amore, combattere per tutto ciò che dava un senso alla sua inutile vita.

Il padre abbandonò la stanza sbattendo la porta, era stanco di sentire i piagnistei e le urla insopportabili della figlia. Min Seo sussultò quando la porta emise uno strano cigolio, di questo passo tutta la casa sarebbe crollata, doveva smetterla di usare tutta quella violenza. Si alzò a fatica da terra e provò ad avvicinarsi alla sorella, che prontamente saltò all'indietro con uno scatto felino.
Ringhiò a bassa voce contro di lei.

- Non avvicinarti- sibilò a denti stretti.

- Myung, giuro che posso spiegarti...-

- Non avvicinarti, traditrice!- ripetè l'altra. La più grande deglutì e sbattè le palpebre, leggermente sorpresa dalla reazione di Myung.

- Mi fidavo di te- esordì dopo una manciata di secondi passati in un silenzio tombale.
Si sedette affranta sul letto e abbassò il capo, lasciando che i capelli le andassero davanti agli occhi e nascondessero le sue debolezze.

- Ho sempre pensato che fossi una persona diversa dalle altre, con sogni e speranze da raggiungere. Mi sbagliavo, sei solo una normale nordcoreana. No, che dico, sei peggio. Sei così attaccata alle radici di questa fottuta terra da non permettere a tua sorella di fare ciò che lei vuole- biascicò singhiozzando.
Min Seo, al contrario, era di ghiaccio.

- Quello che vuoi è sbagliato- si limitò a rispondere.
A quel punto Myung alzò lo sguardo e lo puntò dritto negli occhi dell'altra. Sperò di incenerirla.

- E allora lasciami sbagliare, lasciami rischiare, lasciami vivere! Se non vuoi farlo tu, lascia che lo faccia io! Perchè qui mi sento morta. Morta dentro, è una tortura e lo sai anche tu-

- Ci sono abituata- Min Seo parlava a monosillabi, era irriconoscibile.
Myung Jae si chiese davvero se fosse sua sorella o se l'avessero rimpiazzata con un qualche clone, qualcosa del genere.

Forse non l'aveva mai conosciuta, forse la sua era sempre stata una maschera. E se le cose stavano in quel modo, allora Go Min Seo era solo una patetica esibizionista.

- Se sono morta dentro tanto vale che lo sia anche fuori- furono le ultime parole della minore, prima che si infilasse sotto le fresche coperte del materasso e si rannicchiasse su se stessa, nella speranza di addormentarsi e crollare nel mondo dei sogni.

Lì dove ogni cosa è possibile, insomma.

















































* * *












































 Era passata un'intera settimana da quando Myung Jae aveva definitivamente perso i contatti con Jimin, la sua vita era ritornata grigia e monotona: la mattina si alzava presto per andare a scuola, passeggiava a braccetto con la compagna di banco mentre si avviavano verso l'ingresso dell'istituto e fissava sempre i suoi piedi per controllare che facesse gli stessi passi allo stesso momento dell'altra ragazza; si sorbiva discorsi non particolarmente interessanti da parte degli insegnanti e per ammazzare il tempo si proponeva volontaria per pulire i bagni e riordinare le classi, a casa non ci voleva proprio tornare.
Tuttavia dopo una certa ora era costretta, insomma, il coprifuoco era inevitabile.

A casa la madre non faceva altro che lamentarsi, Min Seo si rinchiudeva in camera perchè doveva studiare per alcuni esami e il padre tornava verso le otto o le nove con la solita manciata di cioccolatini, come se volesse essere perdonato per il suo mestiere poco fruttuoso.
La notte era l'unico momento in cui Myung poteva perdersi nei suoi pensieri, nella sua disperazione.

Ogni giorno era sempre la stessa storia, si chiedeva cosa stesse facendo Jimin, se fosse preoccupato per lei e se avesse capito che c'era qualcosa che non andava.
La notte, però, era anche l'unico momento in cui la mente di Myung macchinava alla ricerca di un piano per incontrare il ragazzo, almeno per dirgli ciò che era davvero successo.
Non poteva lasciare che si perdessero così, senza neanche un saluto. Dopotutto l'avevano promesso.






Durante l'ennesima notte insonne di una noiosa domenica di Marzo, Myung mise un piede fuori dalle coperte e toccò il pavimento, rabbrividendo per il freddo.
Fece attenzione a non far emettere alcun cigolio al materasso del letto e proseguì nel suo intento, per poi alzarsi completamente. Non si curò di vestirsi per l'occasione, la voglia di vederlo e spiegargli era troppo intensa.

Percorse in vestaglia il corridoio che separava le stanze da letto dal salottino e si fiondò alla porta d'ingresso, facendola scattare e uscendo di corsa verso l'esterno. I piedi si muovevano autonomamente, non era lei a controllarli.
Sapeva dove andare e non aveva affatto paura di affrontare il vento gelido o i pazzi ubriachi che circolavano alle due di notte.
Si ricordò di avere qualche spicciolo e pensò bene di utilizzarli per telefonare nelle cabine telefoniche. Per fortuna non richiedevano chissà quanti soldi, data la povertà che circolava in giro.

Inserì tre monete e pigiò energicamente i tasti del telefono, portandosi poi all'orecchio la cornetta. Sbattè nervosamente un piede a terra e alzò gli occhi al cielo, mordendosi il labbro inferiore.

- Rispondi, rispondi...- mormorò con voce flebile, un po' perchè non voleva essere colta in flagrante, un po' perchè aveva ancora residui della scorsa sfuriata col padre.
Il telefono squillò parecchie volte, così tante che Myung perse il conto. Il battito cardiaco era accelerato di gran lunga e le lacrime erano pronte a sgorgare, comprendendo che era tutto finito.
Ma proprio nel momento in cui stava per riporre la cornetta al suo posto, la voce di Jimin rimbombò ovattata nel telefono.

- Jimin! Oddio Jimin!- esclamò lei, tappandosi successivamente la bocca.

- Myung Jae! Piccola, che succede? Perchè mi chiami da qui? Dio, stavo dando di matto perchè non ti sentivo...- il castano blaterò qualcosa a proposito di quanto le mancasse, ma prima che potesse andare oltre, Myung lo bloccò e gli spiegò la situazione.

- Jimin, papà mi ha sorpresa mentre usavo il cellulare e lo ha lanciato dalla finestra. Anzi, credo sia stata Min Seo ad avvertirlo. Sai che significa? Non potremo avere contatti, ci siamo persi- disse, le lacrime scesero copiose sul viso.

- Ci siamo persi- ripetè tirando su col naso.

- Non ci siamo persi... sto arrivando- annunciò l'altro.

- C-che cosa?-

- Hai capito bene, sto venendo da te-

- Ma... Jimin! E' notte, può essere pericoloso-

- Cos'è, tu puoi metterti in pericolo e io no? E' per una giusta causa- ridacchiò l'altro.
E Myung rise a sua volta, quel ragazzo aveva il coraggio di rendere divertente anche la più complicata delle situazioni.

Lo amava così tanto che non riusciva neanche a spiegarlo. Si salutarono dandosi appuntamento al solito posto e la ragazza riprese a correre.
Poco importava se batteva i denti per il freddo e se i piedi erano così congelati da far male.

Poco importava se serviva morire pur di rivederlo.









Raggiunse il confine con un bel po' di ritardo, il treno ci mise parecchio per farsi vedere e i viaggi notturni non erano poi così confortevoli.
Giunse alle casette blu con i capelli stravolti dal vento, le labbra viola e una stanchezza che non aveva paragoni. Dovette appoggiarsi ad una parete di quelle case se non voleva crollare a terra priva di sensi.

Si mise a carponi e notò che Jimin non era ancora arrivato, sapeva per certo che fosse tardi per cui si preoccupò. Non si curò delle conseguenze delle sue azioni e uscì allo scoperto, le guardie si accorsero dei movimenti bruschi provenienti da dietro e si voltarono nella sua direzione, tutti i fucili furono puntati contro di lei.
Myung d'altra parte alzò le braccia in segno di innocenza e abbassò di poco lo sguardo, compiendo piccoli passi verso quello che riconobbe essere il signor Hope.

Lui fu l'unico a mettere subito giù l'arma e così fecero gli altri.

- Ajusshi, è una cosa seria. Per caso avete visto un ragazzo castano dall'altra parte del confine? Sono in ritardo e penso che lo sia anche lui- borbottò preoccupata.
Hope aveva uno sguardo distaccato, quasi inumano.

- Non è mio dovere dirle chi vedo e chi non vedo al confine e poi si tratta di un sudcoreano, posso parlare solo a proposito dei nostri connazionali- proferì con voce ferma, sicura.
Myung incominciò a lamentarsi e battibeccò con la guardia, tanto che alcune si avvicinarono ai due litiganti e cercarono di allontanare la corvina.

Per loro sfortuna fu più veloce e con un balzo riuscì a sorpassarli e ad atterrare dall'altro lato. Cadde a terra e si slogò la caviglia, faceva male. Si alzò a fatica e continuò ad avanzare verso le guardie del Sud, consapevole che le altre non potevano far niente in quanto si trattava di un territorio non a loro appartenente.
Si sentì prendere per il colletto della vestaglia e si voltò verso Yoongi.
Sì, era proprio lui e le rivolse una smorfia di disappunto e uno sguardo a dir poco maligno.

- Yoongi, ti prego...- fece lei, il labbro inferiore che tremava. Il ragazzo non s'intenerì.

- Lo sai quanto tengo a Jimin, sai che l'ultima cosa che vorrei è fargli del male- continuò, ormai stava perdendo le speranze.

- Non ti conosco, so soltanto che devi stare lontana dalla nostra nazione- rispose lui con fare autoritario.

Myung si chiese come avesse fatto a convivere con Jimin. Lui, che era così diverso, così insensibile rispetto al più piccolo. Lui, che pur di onorare la patria e proteggerla, aveva appena fatto finta di non conoscerla.
'A mali estremi, estremi rimedi' si disse e gli morse la mano con cui la tratteneva, Yoongi urlò dal dolore e la lasciò andare.
Myung ne approfittò per inoltrarsi nella foresta e nel frattempo vide il castano in lontananza. Sorrise e invocò il suo nome, alzando un braccio e salutandolo.
Jimin ricambiò il saluto ma la sua espressione cambiò velocemente quando si accorse che una guardia dietro di lei impugnò il fucile e lo puntò contro la ragazza.

- Myung Jae abbassati!- urlò più forte che potè, la ragazza non riuscì a sentirlo.
Si voltò in direzione opposta e vide Yoongi sparare contro di lei. Un colpo, un enorme botto e cadde in ginocchio.

Il petto bruciava, aveva gli occhi sgranati e faceva fatica a respirare. Si portò alla parte destra del petto una mano tremante e osservò come il sangue avesse già raggiunto ogni minimo lembo di stoffa della parte superiore della vestaglia.
Sbiancò all'istante, il petto continuava a bruciare e Jimin era sempre più vicino a lei.

Ebbe dei conati di vomito, abbassò la testa e tossì un paio di volte sputando sangue. Nonostante il dolore la sua mente pensava, persa nel suo mondo.
Fu come rivivere qualsiasi scorcio di vita a flash.

Sbattè le palpebre e vide il sorriso di Jimin, la sua mano che accarezzava apprensiva la sua guancia. Percepì il calore del termosifone e il sangue che infiammava le gote per l'imbarazzo.
Chiuse gli occhi, un altro flash ad attraversarle la mente: lei che stringeva saldamente le mani attorno alle corde dell'altalena e il ragazzo che rideva spingendola verso l'alto. Ed era bellissimo sentire la brezza leggera in corpo e la sensazione di vuoto in pancia.

Ogni flash si susseguì alla velocità della luce, tanto che a Myung girava la testa: il suo primo bacio, la lezione di ballo, l'uscita con gli amici, la sua prima volta.
Tutti seguirono con precisione l'ordine cronologico, fino a che non sentì un dolore lacinante al cuore e fu costretta a stendersi a terra.

- Myung Jae!- Jimin urlò disperato contro di lei.
Le tirò un paio di deboli schiaffi per evitare che perdesse conoscenza e imprecò in modi incomprensibili. Borbottava mugolii e si lasciava sfuggire urla demoniache.
La ragazza aprì gli occhi e si sforzò di sorridere, la tosse era incessante.

- Ji-Jimin... sei qui-

Il castano osservò il petto pieno di sangue e scoppiò a piangere come un bambino.
Non sapeva cosa fare, Myung era in condizioni così gravi che nemmeno l'ambulanza avrebbe fatto in tempo, e di certo non poteva perderlo facendo telefonate inutili. Passò una mano sulla sua spalla destra e scese più in basso, poco prima del seno. Si accorse che vi era presente un foro e sussultò, Myung invece si lamentò.

- F-fa male lì. Non toccarmi- mugolò. Jimin tirò su col naso e singhiozzò.

- Perchè lo hai fatto? Perchè?! Gli autobus e le metro di notte fanno ritardo, dovevi solo aspettare qualche minuto in più- urlò tra le lacrime.
Myung abbassò un po' gli occhi, aveva sonno.

- Anch'io ho fatto ritardo, pensavo fosse colpa mia...- bisbigliò.

- Oh, Myung!- esclamò l'altro e nascose il viso nell'incavo del collo della ragazza, incurante del fatto che si sarebbe sporcato di sangue.
Portò le braccia della corvina attorno alle sue spalle e cercò di alzarle il busto da terra, consapevole che quelli erano gli ultimi istanti della sua breve vita.
La sua schiena faceva su e giù, Myung ebbe la forza di massaggiargliela.

- N-non piangere...- disse, lamentandosi l'attimo dopo.

- Ti avevo detto anch'io la stessa cosa- rispose prontamente, riferendosi al loro primo incontro sul confine.

Myung tossì più forte, sgranò gli occhi e fu pervasa dagli attacchi d'asma. Il ragazzo le accarezzò una guancia e si scostò per guardarla in faccia.
Anche lui era terrorizzato.

- Che-che succede? Cosa senti?- provò a chiederle, dandosi mentalmente dello stupido.
Era così preoccupato e così impreparato che diceva le prime cose che il suo cervello elaborava. Myung Jae continuava a tossire, un filo di sangue fuoriuscì dalla bocca.

- Il cuore... fa male- sibilò a scatti.

- Che cosa?-

- Jimin... ti amo. Non dimenticarlo- concluse e serrò gli occhi, inclinò la testa all'indietro in un gesto secco e le braccia caddero molli verso il terreno, incapaci di abbracciare il ragazzo.
Non sentì nulla, solo una pace pervaderle il corpo. Il pianto e le urla di Jimin sembravano un ricordo lontano, forse mai vissuto.
Un po' come se si trovasse sott'acqua e qualcuno le stesse parlando, ecco.

Jimin la strinse più a sè e le baciò il collo, risalendo fino alla fronte e poi ai capelli. Con una mano le prese il polso e fece una leggera pressione, accorgendosi dell'assenza del battito. Capì che se n'era andata e si arrese alla realtà.
Alzò lo sguardo verso le guardie e notò che Yoongi aveva osservato la scena, così come aveva osservato quella in cui la polizia lo allontanò da lei.

Perchè Yoongi sapeva solo osservare. Non era capace di spiegare le ragioni per cui compiva dei gesti, sapeva farli e basta.
D'altronde gliel'aveva promesso: l'avrebbe protetto anche a costo di rovinargli l'esistenza.
















































* * *

















Una decina di giorni dopo la morte di Myung Jae, Jimin si trovava ancora disteso inerme sotto le lenzuola del letto.
Non aveva più voglia di vivere, non ne trovava il motivo. I suoi genitori si erano praticamente trasferiti a casa sua e la madre si stava riducendo uno straccio per capire cosa attanagliasse la mente del figlio.
Egli, dal canto suo, dopo varie resistenze riuscì a spiegarle cos'era davvero successo in quei mesi.

All'inizio fu vago e discreto, poi si perse nei suoi racconti, nel suo vissuto felice e le parlò della ragazza, di come l'amasse e di quanti bei momenti avesse passato assieme a lei. Non tralasciò nulla, le disse anche della sua cittadinanza e di quanti problemi avessero avuto con le guardie e con le forze dell'ordine.
La madre si rese conto di non conoscere Jimin abbastanza, rimpianse di non aver condiviso le sue stesse gioie.

E quando le disse di com'era morta fu peggio: Jimin ricominciò a piangere e lasciò che il suo essere infantile prevalesse su tutto.
Dette le spalle alla donna e si rannicchiò nel letto.

La stessa cosa valeva per i suoi amici, Jin gli telefonava spesso durante il giorno e gli chiedeva come stava, lui rispondeva dicendo che era una domanda senza senso. Taehyung andava a trovarlo e cercava di incoraggiarlo a riprendersi, ottenendo sempre dissensi. Jungkook invece gli strappava dei flebili sorrisi, improvvisando danze strane e facendo battute squallide sugli Idol e sulle loro passioni.
Nessuno si azzardava a toccare l'argomento, sapevano che era un tasto dolente, eppure Jimin non era affatto sollevato.





Era mattina presto quando decise di smettere di farla tragica e reagire. Si tirò su dal letto e si lamentò per il mal di testa che ne conseguiva, scompigliandosi i capelli e stringendo alcune ciocche fino a sentire dolore. Sospirò e si alzò silenziosamente dal letto, andando verso la cucina e prendendo alcuni post-it da attaccare al frigorifero. Voleva scrivere qualcosa, lasciare un avviso.
Un qualcosa che non fosse nè troppo lungo e nè troppo corto, tre fogliettini gialli bastavano.

Afferrò la penna e scrisse le prime sillabe, lo sguardo era vitreo.


Mamma, papà, scusatemi se non sono stato un buon figlio e scusatemi se non ho seguito sempre i vostri consigli.
Sinceramente non so cosa dire, ho tante cose per la testa e come sapete riguardano soltanto Myung Jae. Non mento quando dico che la amo più della mia stessa vita e non mi interessa il vostro pensiero a riguardo.
Voglio solo che sappiate che vi voglio bene e che non smetterò mai di farlo, neanche dopo questa drastica decisione.
Jimin



Attaccò i foglietti sulla superficie del frigorifero e uscì dall'appartamento, salendo le scale e arrivando fino al tetto.
Aveva maturato quest'idea malsana da molto tempo e anzi, ne era passato così tanto che i ciliegi erano rinati e le foglie si staccavano dagli alberi e viaggiavano leggiadre nel cielo di Seoul. Camminò verso l'estremità del palazzo e chiuse gli occhi, beandosi della brezza leggera che gli accarezzava la pelle e gli muoveva i capelli.

Inspirò l'aria a pieni polmoni e sorrise sentendo il piacevole odore di primavera, Marzo era al capolinea.
Vide alcuni petali di ciliegio passargli davanti e sussultò per lo spavento, o forse era il venticello che gli provocava la pelle d'oca. Si disse che era il momento di mantenere le promesse che aveva fatto, si sporse verso il basso e osservò con sguardo confuso la strada sottostante.
Era ancora presto e non circolava nessuno.

Deglutì pensando a cosa lo stesse aspettando, nonostante tutto saltò sul gradino che separava il vuoto dal pavimento e drizzò la schiena, mantenendo l'equilibrio con le braccia allargate verso l'esterno.
Chiuse gli occhi, la voce di Myung entrò nelle sue orecchie e se ne uscì dal nulla, così come ci era entrata.

- Prima o poi ci rincontreremo, vero?-

Sorrise alla domanda e rispose.

- Te l'ho detto, una soluzione si sarebbe trovata-

- Sarò io stessa a dirtelo: vieni via con me-

Jimin riaprì gli occhi e guardò l'orizzonte, l'alba aveva colorato di arancio il cielo e il sole illuminava il suo viso stanco.

- Verrò via con te- sussurrò e si sporse in avanti, i piedi si inclinarono verso il basso e il ragazzo piombò nel vuoto per alcuni istanti.
Sembrava stesse volando e gli piaceva. Gli piaceva volare verso la sua destinazione.

Poi non sentì più nulla, di colpo un blackout.
Myung Jae sorrise e gli porse la mano, lui l'afferrò e si alzò da terra correndo nella sua stessa direzione.

Anche se era un sudcoreano, comprese di non aver vissuto affatto fino a quel momento.

Se vivere significava starle accanto per sempre, allora aveva appena iniziato.


***
*si copre gli occhi con le mani ed evita di sbirciare* abbiamo finito? Sul serio? E' terminata?  Oh già, annyeooooong popolo!!  *comincia a correre dalla gente che vuole linciarla*. Sì okay, ma io vi avevo avvisato: era dannatamente angst e senza what if che sanciva l'happy ending. Niente di niente, solo la pura, triste e meschina realtà. Non odiatemi pls >//<  non riesco a credere che abbia terminato davvero, se devo ammetterlo un po' mi manca questa storia, no anzi, mi mancherà postarla e avere ansia, immaginare chi incapperà in questa roba e che concetto si farà di questo abbozzo di fanfic, sul serio. Però così pare che sto parlando come se non dovessi postare più nulla eeeee EEEEEEENGH, SBAGLIATO. Perchè tornerò presto con una storia nuova di zecca (sì, sono un vulcano di idee pazzoidi). Vi spoilero solo che sarà incentrata interamente su Jungkook, quiiiiindi Jungkook biased preparatevi al massacro dei feels u.u perchè vi anticipo che è la roba più nonsense, demenziale, comica (spero), abbastanza (sì vabbe, parecchio) romantica e stramboide che abbia mai scritto.
Ora, tornando al capitolo, ja è l'ultimo. Ovviamente Jimin ha immaginato di parlare con Myung, non è mica la tipa che lo invita al suicidio! Min Seo è simile a Yoongi, come avrete potuto notare, eeeee l'analogia col cellulare e Jimin... l'avete notata vero? .-.''  in un certo senso il cellulare rappresentava lui, dato che i due lovers non potevano vedersi, ovvio che distruggendolo è come se fosse stato distrutto anche Jimin. E poi vabbeeeeè non volevo concludere in modo totalmente angst, quindi sì, stanno felici e contenti in paradiso (ma i suicidi non vanno in parad-----LORO SONO LIBERI. GN.). Che dire, ringrazio infinitamente TUTTI: T O M O M I  che mi ha sostenuta fin qui e ha sclerato con me xD, tenacious_deep_soul 99  la mia cara unnie che faccio piangere continuamente con sta roba (mianhae tesoro -.-''), _ChocolateKookie_  che sclera e mi fa ridere un sacco >.< (anche se è scomparsa da un po'... where are you, girl??), tutte le persone che l'hanno inserita nelle varie categorie del sito *scusatemi, non ce la faccio ad elencarvi tutti cause sto già scrivendo un papiro*  e chi l'ha letta silenziosamente.
Grazie a tutti, spero vi sia piaciuta e vi abbia suscitato qualcosa (qualsiasi cosa lol) e ci rivedremo presto con la prossima storia ;)    Bacioniiiiiiiiii   _MartyK_ <3
   
 
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