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Autore: Sospiri_amore    19/11/2017    0 recensioni
TERZO LIBRO DI UNA TRILOGIA
Elena se ne è andata via da New Heaven appena finite le scuole superiori, da ragazza ha lasciato gli USA per l'Europa. Tutte le persone a cui ha voluto bene l'hanno tradita, umiliata e usata.
Dopo quattordici anni, ormai adulta, Elena incontrerà di nuovo le persone che più ha amato e odiato nella sua vita, si confronterà con loro rivivendo ricordi dolorosi.
Torneranno James, Jo, Nik, Adrian, Lucas, Kate, Stephanie, Rebecca più altri personaggi che complicheranno e ingarbuglieranno la vita di Elena.
Come mai Elena è tornata in America?
Chi è il padre di suo figlio?
Elena riuscirà a staccarsi dal passato?
Chi si sposerà?
Riusciranno i vecchi amici a trovare l'armonia di un tempo?
Elena riuscirà ad amare ancora?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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OGGI:
Cassetti vuoti





Sento le parole di Nik rimbombare nel cervello: Te lo giuro, Elena. Questo ultimo favore e poi da me non avrai più notizie.

 

Ultimo favore.

Certo, come no.

 

Mi pare di cadere sempre nello stesso errore, possibile che non riesca a dire di no?

Possibile che ogni volta finisca in qualche guaio?

 

La piccola infermeria è al diciannovesimo piano, esattamente un piano sotto lo studio legale. Ne possono usufruire una serie di uffici convenzionati del palazzo, una comodità non da poco che mi ha evitato lungaggini in ospedale.

 

Le gambe stanno meglio, non tremano più. Tampono come riesco il poco sangue che fuoriesce dalla ferita che mi sono procurata quando mi sono tolta la flebo. 

Devo andarmene da lì il prima possibile, devo raggiungere la scrivania di Caroline senza dare troppo nell'occhio.

Mi lego i capelli in uno chignon alto, mi allaccio il cappotto cercando di togliere tutti i pelucchi per apparire meno trasandata. Borsa a tracolla. Sorriso smagliante.

 

Socchiudo la porta e sbircio.

Nessuno passa per il corridoio.

 

Cerco di orientarmi come meglio posso. Un cartello appeso alla parete indica la direzione da prendere per gli ascensori. La seguo evitando di incrociare gli sguardi delle persone che incontro sul mio percorso.

Io non so chi siano.

Loro non hanno idea di chi sia. Io.

Fin qui le cose sono facili.

 

Ascensore.

 

Schiaccio il pulsante con la freccia verso l'alto per salire.

Aspetto qualche secondo.

 

Trattengo il fiato.

 

Sento voci conosciute alle mie spalle lungo il corridoio che porta nella mia direzione

È Kate che parla con l'infermiera.

 

Mi guardo a destra e a sinistra in cerca di una via di fuga.

 

La porta vicino a me indica le scale che vanno da piano a piano. 

Mi tuffo sull'uscio chiudendolo più velocemente possibile alle spalle.

 

Ho il fiatone.

 

Senza indugi corro per i gradini fino alla porta che mi permetterà di accedere al piano dello studio legale.

 

Mi concentro.

Inspiro.

Spingo la porta.

 

La luce bianca che viene dalle vetrate colpisce i pavimenti lucidi di marmo. Stagisti, avvocati e clienti si muovono tra gli uffici e da una scrivania all'altra dell'ufficio McArthur, Martin e Spencer. La segretaria all'ingresso, addetta all'accoglienza, mi saluta con un cenno della testa.

 

«Devo prendere una cosa nell'ufficio di Nik», dico con scioltezza come fosse la cosa più naturale del mondo.

«Prego, faccia pure», mi dice la donna con gentilezza continuando a scartabellare su un foglio.

 

Mi stacco dal bancone incrociando le dita.

Non devo incontrare Jo, Rebecca o James. 

Devo riuscire a raggiungere la scrivania di Caroline il prima possibile.

 

Con passo deciso cammino a testa bassa mentre sbircio la rubrica dal mio telefonino.

Devo sentire Nik per capire cosa cercare, devo capire come muovermi.

 

Il cellulare squilla.

Dopo nemmeno un secondo Nik risponde: «Dove sei?».

«A cinque metri dal scrivania di Caroline. Che cosa devo cercare?», gli chiedo.

«Qualche indizio. La mia Caroline non mi tradirebbe mai. Mai. Deve aver lasciato un segno del suo passaggio, sa benissimo che la cercherei e qualunque cosa sia successa non rinuncerebbe mai a farmelo sapere», mi dice deciso.

«Ok. Appena trovo qualcosa ti faccio sapere». Butto giù, sono alla scrivania di Caroline.

 

Gli stagisti neanche mi calcolano, sono troppo presi a correre da un ufficio all'altro. Ne approfitto per sedermi e iniziare ad aprire i cassetti.

 

I primi due sono pieni di fascicoli dell'ufficio.

Un'altra con cancelleria varia.

Gli altri sono tutti vuoti.

Vuoti.

Non c'è nulla di nulla.

 

Sembra che Caroline non sia mai passata di lì.

 

Il piano del tavolo è ordinato e pulito.

Niente che possa darmi informazioni utili.

Computer.

Blocco appunti.

Matite e penne in un contenitore.

 

Intonso.

Lindo.

 

Non so che fare.

 

Prendo il cellulare.

 

«Nik. Nik.», dico appena lo sento rispondere al telefono, «Non c'è niente, nulla. Ho guardato dappertutto». Parlo a bassa voce, nonostante non mi abbia vista ancora nessuno non voglio dare troppo nell'occhio.

 

Nik tace.

 

«Nik, che devo fare? Maledizione parla!», gli ringhio cercando di non alzare troppo il volume della voce.

«A-apri il secondo cassetto a sinistra. Il mobiletto sotto il computer», mi dice serio.

«Ma non c'è nulla, ho già guardato», gli rispondo scocciata.

«Fallo e basta», mi risponde secco.

 

Apro il cassetto.

Vuoto.

Come dicevo io.

 

Nik parla veloce: «Appoggia la mano sotto il cassetto. Nella parte che non si vede».

Scettica faccio quello che mi dice. 

La mano scivola alla cieca sul ripiano inferiore del cassetto muovendosi lentamente in cerca di non so cosa. 

 

Destra.

Niente.

Centro.

Niente.

Sinistra.

 

Uno scricchiolio.

Un sacchettino di plastica è attaccato lì sotto.

 

Mi abbasso per guardare.

Una piccola busta di plastica, attaccata con dello scotch di carta, avvolge un paio di chiavi.

Con attenzione le stacco.

 

«Nik. Ci sono delle chiavi, le ho prese e...».

 

Una voce mi interrompe.

 

«Che cosa hai preso Elena?». Charlie Spencer il collega e migliore amico di Nik mi guarda divertito da dietro la scrivania. Vicino a lui c'è James.

 

Con un gesto rapido infilo il pacchettino con le chiavi dentro la manica e sorridendo cerco di accampare qualche scusa credibile che possa giustificare il fatto che stessi a carponi dietro la scrivania di Caroline.

 

«Matite. Le matite dell'ufficio legale. Nik è molto affezionato a queste». Con un movimento secco ne estraggo un paio dal portapenne sulla scrivania di Caroline e le infilo in borsa. «Oggi vado a trovarlo. Mi ha detto che non riesce a lavorare senza queste matite».

 

Charlie ride mentre James mi guarda stranito.

 

«Adesso devo andare. H-ho un appuntamento». Infilo il cellulare in tasca e cercando di allontanarmi il più presto da quel posto mi lancio nel corridoio diretta agli ascensori.

Il cuore batte forte. 

 

Un passo.

Una mano mi ferma bloccandomi per un braccio.

 

«Tutto bene, Elena?», mi chiede James fissandomi negli occhi. «Sicura tu non mi debba dire nulla».

«N-no. Figuriamoci. Tutto a posto. Ho solo bisogno di riposo. Passo da Nik e poi vado a casa», gli rispondo staccandomi da lui e dirigendomi, a passi veloci, verso gli ascensori.

Non ho il coraggio di guardarlo negli occhi.

 

Vattene, scappa.

Mi ripeto senza voltarmi indietro.

Elena, vai via.

 

Ascensore.

Ascensore.

Scende veloce.

 

Senza neanche rendermene conto sono per strada. Il grande palazzo di vetro è alle mie spalle, imponente e maestoso, mentre sembra spiarmi con centinaia di occhi di vetro. 

 

Compongo il numero di Nik mentre mi incammino sul marciapiede mischiandomi tra i passanti.

 

«Sono fuori, ho preso le chiavi, te le porto a casa?», gli chiedo mentre mi dirigo verso la metropolitana.

«No. Non ci farei nulla con quelle chiavi visto che non posso uscire da qui. Vai a casa di Caroline. Sincerati che stia bene e nel caso non ci fosse entra a casa sua. Mi ha lasciato qualcosa, lo so», mi dice sicuro.

«Ma..».

 

Nik mi interrompe.

 

«Avevamo un patto, in caso di problemi ci saremmo lasciati un messaggio, una cosa che solo io e lei avremmo capito. Secondo cassetto a sinistra. Lo abbiamo sempre saputo che ci saremmo stati l'uno per l'altra e lì, in quel cassetto, c'era il messaggio: le chiavi. Quelle chiavi sono un messaggio per me, per dirmi che devo andare nel suo appartamento. Non so cosa le sia successo, ma evidentemente non si fida della gente che c'è in ufficio», mi spiega Nik.

«Non voglio finire nei guai per una tua fissazione, sia chiaro. Non voglio grane, capito?», gli dico dura.

«Fidati, Elena. Lei deve sapere chi c'è dietro a tutta questa storia. Probabilmente sa più cose di quanto non creda. Ti mando il suo indirizzo via messaggio», mi dice prima di riattaccare il telefono.

 

L'entrata della metropolitana è davanti a me.

Non so che fare.

Stringo il sacchettino che avvolge le due chiavi.

Lo rigiro tra le dita.

 

Se Caroline sa che ad organizzare tutto c'è Andrew potrebbe essere sua complice.

Se Caroline fosse complice vuol dire che l'arresto di Nik è colpa sua.

Se Caroline fosse colpevole dovrei fidarmi del suo messaggio a Nik?

Le chiavi sono una trappola?

 

Penso.

 

E se Caroline fosse una vittima?

Nik né è convinto.

 

Penso.

 

Il vagone che devo prendere per casa di Caroline è appena arrivato.

L'aria smossa dal convoglio mi fa svolazzare alcune ciocche.

Le porte scorrevoli scattano di fronte a me.

 

Devo decidere.

 

Passano secondi e per la testa mi ronzano mille immagini. Dubbi.

 

Il vagone emette un suono acuto, le porte si stanno per chiudere.

Scatto e salto.

Le porte scorrevoli si chiudono come una trappola dietro le mie spalle.

Parto.

 

La decisione è stata presa, andrò nell'appartamento di Caroline.

 

Il vagone è semi deserto, molti pendolari sono ancora al lavoro. Ci sono turisti interessati a raggiungere i locali del quartiere irlandese per farsi una bevuta o adolescenti affaccendati a farsi selfie da spedire agli amici.

 

Nove fermate.

Nove fermate e poi sarò arrivata.

 

Nik mi ha scritto un messaggio dove dice di cercare una vecchia casa vicino al Green Market, in Glover Street, proprio nel quartiere popolare vicino alla fermata della metropolitana.

La troverò facilmente, le insegne luminose mi indicheranno la strada del negozio e quindi l'abitazione di Caroline. Non posso sbagliarmi.

 

Giocherello senza sosta con le chiavi trovate allo studio legale, le giro tra le dita come fossi in preda a una trance o fossi ipnotizzata. I miei occhi sono vuoti. Quello che sento dentro traspare fuori. 

Il dondolio della metropolitana è l'unica cosa reale, è l'unica cosa che mi fa restare in contatto con la realtà.

 

Nove fermate sono passate.

Nove fermate e sono arrivata.

 

Esco dalla fermata trovandomi su una strada piuttosto trafficata. Un cartello indica il Green Market a soli cento metri da dove sono io. Seguo le indicazioni camminando sul marciapiede che costeggia tutti gli edifici della zona.

La strada è leggermente in salita. In lontananza riconosco l'insegna del supermercato. È il mio faro, il mio punto di riferimento, la mia meta.

Raggiungo il negozio in poco tempo, lì vicino noto una vecchia casa dall'aria trascurata con un basso recinto in legno grezzo e un microscopico giardino con un paio di cespugli.

 

Ho le chiavi in mano.

Sulla porta d'ingresso della casa di Caroline ci sono due serrature che potrebbero corrispondere alle chiavi che stringo, almeno credo.

Mi avvicino e suono il campanello sperando di trovarla in casa.

Suono ancora.

Aspetto.

Suono.

Aspetto.

Faccio una lunga scampanellata.

 

Niente, nessuna risposta.

 

Indietreggio un passo per guardare le finestre, non ci sono luci accese o altri segni che possano suggerirmi che c'è qualcuno in casa.

 

Prendo un respiro profondo.

 

Provo a girare la maniglia.

La porta è chiusa.

 

Estraggo le chiavi dal sacchetto.

Prima infilo quella piccola nella serratura in basso, poi uso quella grande per la serratura superiore.

Entrambe scattano.

La porta è aperta.

 

«C'è qualcuno? Caroline? Posso entrare? Sono Elena», dico ad alta voce mentre mi richiudo la porta alle spalle.

 

L'aria nella stanza sa di chiuso, non è un odore insopportabile, ma si capisce che la casa non viene abitata da qualche giorno. Le imposte sono serrate e fanno filtrare un po' di luce dall'esterno. A parte il ronzio del frigorifero non c'è altro rumore per la casa. La posta giace sul pavimento d'ingresso proprio vicino all'uscio d'entrata, la spia rossa della TV è accesa e il telecomando è abbandonato sul divano. 

Non sembra che la casa sia stata abbandonata per sempre, è come se si trovasse sospesa, immobile, in attesa che la padrona ritorni a viverla.

Faccio un paio di passi, il pavimento il legno scricchiola.

 

Trattengo il fiato.

 

Una cosa colpisce la mia attenzione, una sedia del tavolo della grande stanza, che funge da cucina e sala, si trova di fronte a me, proprio davanti l'ingresso. Quella sedia è fuori posto, non dovrebbe essere lì. Aguzzo la vista, mi sembra ci sia qualcosa appoggiato sopra.

Allungo la mano.

Provo a prenderla e...

 

...il cellulare squilla.

Salto sul posto emettendo un urletto isterico.

 

È Nik.

 

«Cavoli, mi fai prendere un infarto», gli dico a bassa voce.

«Dove sei?», mi chiede.

«Sono da Caroline, a casa sua».

«Lei c'è? Come sta?», mi chiede ansioso.

«No, non c'è. Però c'è qualcosa di strano, molto strano», gli dico mentre prendo una spessa busta bianca appoggiata sulla sedia fuori posto.

«Deve essere il suo messaggio per me», dice Nik tutto eccitato.

«Aspetta, controllo di cosa si tratta e poi ti dico», rispondo a Nik mentre con la luce dello schermo illumino la lettera che ho tra le mani.

 

Con un pennarello nero c'è scritto: Per L'avvocato Nicholas Martin.

 

Apro la busta.

Basta che legga poche righe per sentirmi mancare.

Poche righe e tutto inizia ad avere senso.

 

«Elena. Elena. Che c'è? Cosa hai trovato?». Sento la voce di Nik urlare dal mio telefonino.

 

Non ho il coraggio di parlare.

 

«Elena, merda. Dimmi che succede», Nik mi urla sempre più forte.

 

Ho paura, ho molta paura ma non posso farlo capire a Nik.

Mento.

Mento a Nik perché è l'unica cosa che possa fare.

Non posso dirgli la verità, la vita di mio figlio potrebbe essere in pericolo.

 

«C'è un biglietto di scuse. Caroline ti chiede scusa perché a quanto pare si è innamorata e se ne è andata via. Tutto qui, Nik. Non c'è nient'altro. Non c'è niente dietro a tutta questa storia», gli dico con la voce impastata e la testa confusa.

 

Nik non risponde subito, passano diversi secondi prima che emetta qualche suono:«Quindi Caroline mi ha abbandonato?».

«Mi dispiace. Sì, Caroline ti ha abbandonato. Addio, Nik», poi chiudo la chiamata con la mano tremante.

 

Nella penombra, con il ronzio del frigorifero a farmi compagnia, immobile come un palo e in balia delle paure più profonde, osservo la vera lettera che Caroline ha scritto per Nik. 

La leggo e i brividi mi paralizzano.

La leggo e il terrore torna ad affacciarsi nel mio cuore.

 

Carissimo Nik,

Prima di adesso non ho mai avuto il coraggio di chiamarti così, nonostante tu abbia insistito per anni. Ho sempre evitato di farlo perché l'ammirazione che avevo per te è sempre stata la benzina che mi ha spinta ad andare avanti.

Credo di averti amato per anni.

Credo di averti amato da sempre.

Mi sono ripetuta milioni di volte che avrei dovuto dirtelo, ma c'era sempre qualcosa che mi frenava: la paura di perderti, la mia insicurezza.

 

Ho sbagliato, ti chiedo scusa.

 

Non perché non ti abbia confessato i miei sentimenti, ma perché io sono la causa della tua rovina. 

Sei in prigione per colpa mia.

Ho creduto alle parole di uno sciacallo, alle sue stupide regole che mi hanno illusa sarei diventata più forte e più attraente. Ho pensato che se fossi cambiata ti avrei conquistato. 

Non ho il coraggio di dirtelo in faccia, proprio non ci riesco.

Per questo ti ho scritto questa lettera.

Andrew è la causa del mio cambiamento.

Andrew mi ha mentito.

Andrew ha mentito a tutti.

Con tutti intendo tutto lo studio McArthur, Martin e Spencer.

Ha mentito a Lucas.

Ha mentito per rovinare tutti voi.

Salti e Bottari sono suoi complici, avevi ragione a non fidarti di loro, l'ho capito troppo tardi.

 

Io non posso far niente per fermarli, ma tu sì.

Sei un ottimo avvocato, il migliore. Nella busta troverai delle chiavette USB con video e registrazioni intime tra me e Andrew. Sono registrazioni che Andrew non immagina siano state fatte, da me non si sarebbe mai aspettato una cosa del genere. Me ne vergogno molto, ti prego, non mi giudicare una poco di buono. Avevo bisogno d'amare e ho creduto alle menzogne di un mostro.

 

Un ultima cosa, guarda bene a chi dare la tua fiducia. Credo ci sia una talpa o un complice all'interno dell'ufficio. Andrew era sempre al corrente di tutto di quello che succedeva da noi.

 

Mi raccomando distruggi Andrew e perdonami, se puoi.

Tua, Caroline.

 

Con gli occhi lucidi e la paura di crollare, scappo dalla casa di Caroline tenendo tra le mani la lettera appena trovata. 

 

L'unica cosa a cui penso è mio figlio.

L'unica persona che voglio salvare è lui.

Questa storia sta diventando sempre più grossa.

Non posso farcela.

Devo andarmene anche io.

Devo andarmene da Boston il prima possibile.

 
   
 
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