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Autore: Dreamfire98    19/11/2017    1 recensioni
Gael, una bambina di dieci anni, è l'unica superstite al disastro di Valyria. Dopo anni passati in attesa della morte, si rende conto che è sopravvissuta per un motivo. La sua storia è destinata a incrociarsi con quella di molti dei personaggi che conosciamo, dando nuova vita alle antiche arti magiche di Valyria, ormai dimenticate.
Genere: Fantasy, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Daenerys Targaryen, Illyrio Mopatis, Nuovo personaggio, Viserys Targaryen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gael non aveva mai visto la luce del sole così vivida. Intorno a lei, ovunque, fiorivano vite, piene di allegria, di speranza e, come lei aveva imparato ad accettare, destinate a estinguersi inesorabilmente, come lo stoppino di una candela dato in pasto alle fiamme.

Era arrivata a Braavos all’alba. Aveva pensato che potesse essere una buona prima tappa, dato che non aveva ricordi particolarmente dolorosi legati a quel luogo. Per motivi di segretezza, aveva deciso di separarsi da Dreamfire. Nel profondo del suo cuore, sapeva che la sua dragonessa era l’ultima rimasta in vita della sua specie, e poteva percepire la tristezza di lei ogni volta che la guardava negli occhi. In questo erano simili, due creature sfuggite alla loro fine e ritrovatesi in un mondo del quale non potevano fare parte. L’unico modo per sopravvivere era, Gael questo lo aveva capito subito, portare una parte di sé nel presente, lasciare una nuova traccia della magia che così a lungo aveva dominato Essos. Come farlo, però, era tutt’altra cosa.

Le stoffe color porpora, azzurre, gialle e verdi, che insieme a profumi nuovi, a lei ancora sconosciuti, inondavano il mercato nella piazza principale di Braavos, risvegliavano altri ricordi, rimasti assopiti per anni. Un tempo amava esplorare le bancarelle, scoprire nomi di piante esotiche, sempre pronta ad imparare nuove cose, a divorare con gli occhi ogni dettaglio del mondo che la circondava, e che, se voleva dominare, doveva conoscere. Perché un tempo era questo il suo più grande sogno: diventare uno di quei Signori che, in groppa a coloratissimi e immensi draghi, governavano Valyria. Ora invece, tutto quello che provava era un profondo senso di annichilimento, e ogni cosa le ricordava quanto fosse lontana da casa, e quanto fosse impossibile per lei tornarci.

Senza accorgersene, si tuffò anima e mente nel passato. Era un giorno molto simile a quello, e aveva sei anni. Camminava curiosa per lo sterminato mercato che Valyria allestiva ogni giorno, tenendosi stretta al braccio di sua madre, Rohenys. Tra le bancarelle, cariche di oli e essenze provenienti da terre lontane, di stoffe e di splendide corone di fiori, lo sguardo di Gael fu attratto da una piccola bancarella polverosa, il cui bancone iniziava a piegarsi sotto il peso di vecchi tomi impolverati. La bambina lasciò la mano della madre, senza resistere all’impulso di sfiorare le pagine ingiallite dei libri. Un urlo squarciò il cielo. Gael, elettrizzata, alzò gli occhi, pronta a godersi lo spettacolare prodigio di magia mostrato dall’enorme drago verde che, con il suo corpo enorme, oscurava il sole, portando sulla groppa un cavaliere, a malapena distinguibile per la distanza, ma dall’armatura che brillava sotto i raggi del sole grazie al nero acciaio di Valyria di cui era fatta. Bastarono pochi secondi perché il signore dei draghi svanisse all’orizzonte, e lo sguardo della piccola tornò a concentrarsi su un libro, sulla cui copertina riluceva una stupenda incisione in filo argentato di un drago. Il vecchio proprietario della bancarella, notando l’espressione che celava bramosia dipinta sul volto della bambina, si sporse in avanti, puntando i suoi occhi viola, sbiaditi dal tempo, su Gael. Lei, sentendosi osservata, alzò lo sguardo oscuro, puntandolo dritto, senza il minimo accenno di vergogna, negli occhi del vecchio. Intanto Rohenys, bellissima nel suo abito di leggerissima stoffa avorio, che si intonava perfettamente con il colore dei suoi capelli, si era accorta con terrore che la piccola non le stringeva più il braccio. Con il volto stravolto dalla preoccupazione, aveva passato gli ultimi minuti a cercare disperatamente la figlia, cercando invano di farsi spazio tra la calca. Fu quasi per caso che si voltò verso la piccola bancarella polverosa, che, circondata da colori e da vitalità, spariva inghiottita dall’appariscenza delle altre. Non appena notò lo sguardo che il vecchio stregone stava riservando a sua figlia, impallidì, rendendo la sua pelle già chiara della stessa tonalità dell’abito, tanto che, a vederla, si sarebbe potuta scambiare per uno spettro. Capì subito: non avrebbe mai più riavuto la sua bambina dagli occhi scuri. Il suo destino ormai era scritto. Quando Rohenys posò una mano sulla spalla della figlia, la bambina si voltò di scatto, come se fosse appena stata svegliata da un incubo, lo sguardo pieno di terrore. Stranamente docile, Gael accettò la mano che la madre le offriva, e si lasciò condurre fuori dalla piazza del mercato. Quel giorno il vecchio non aveva proferito parola, ma Gael aveva già intuito, seppur remotamente, che si trattava solamente dell’inizio della loro conoscenza. E non sbagliava: da quel giorno avrebbe sentito la voce del vecchio in ogni momento, le sue parole silenziose non l’avrebbero mai abbandonata. Biare naejot rhaenagon ao, riña hen perzys. Felice di averti incontrata, bambina di fuoco”.

 

-Valar Morghulis!- Gael fu strappata dai suoi ricordi da una squillante voce giovanile. Aveva i capelli ricci e castani, e i suoi occhi color nocciola dalla forma a mandorla erano colmi di dolcezza.

La bambina ci mise un po' prima di rispondere, tirando un respiro di sollievo. -Valar zaltis drakarys!-. Conosceva bene quel saluto. Tutti i valyriani se lo scambiavano per strada.

-Ao māzigon hen tolmiot, ȳdra daor ao?- Vedendo lo sguardo spaesato di Gael, il ragazzo riformulò la domanda e continuò a parlare, questa volta in una lingua che alla bambina ricordò i vecchi marinai provenienti da Westros con cui aveva condiviso pane e vino speziato nelle locande intorno ai porti dell’Impero. -Vieni da lontano, non è vero? Si vede dalla tua risposta, non avevo mai sentito niente del genere. La formula comunemente usata è Valar Dohaeris, Tutti gli uomini devono servire.- Notando la confusione aumentare nello sguardo spaventato della bambina, il ragazzo si spiegò meglio. -Tu hai detto che tutti gli uomini devono bruciare nel fuoco di drago. Non preoccuparti, so quanto l’Alto Valyriano possa essere difficile, specie se non sei di qui… a proposito, da dove vieni? Sei di Westros, forse? Vieni dalla Barriera? Per questo i tuoi capelli sono così bianchi?- Sentendosi porre tutte queste domande, Gael ebbe un capogiro, e dovette appoggiarsi con una mano contro il caldo muro di pietra color terra per non cadere. -Scusa, troppe domande-, continuò il ragazzo, sorridendo con aria furba -Mi chiamo Symiryo, comunque-. Detto ciò le porse la mano. La bambina rimase qualche secondo immobile, cercando di capire cosa significasse quel gesto e di interpretare al meglio quel lungo discorso in una lingua a lei in parte sconosciuta. La mano tesa era simbolo di resa? Oppure era una provocazione? Un gesto di stizza? Gael non lo sapeva.

-Vaoreznuni, eman... naejot jikagon. Scusami, io… devo andare- riuscì a mormorare, prima di correre via.

Corse fino a non avere più fiato in corpo e, in un angolo di una buia via sporca e non asfaltata di Braavos, Gael si lasciò cadere a terra, scossa dai singhiozzi. Era la prima volta che si rendeva veramente conto di quanto tempo fosse passato in quel mondo che ormai non le apparteneva più. Non capiva. Perché proprio lei era sopravvissuta al Disastro, alla morte della sua famiglia, del suo popolo? L’unica ragione che la aveva spinta a salire sulla scogliera era attendere la morte. E la aveva aspettata. Per quattrocento anni non si era mossa, in silenziosa e paziente attesa. Per quattrocento anni aveva trattato ogni secondo come se dovesse essere l’ultimo di un’esistenza ormai priva di senso, a dire addio a tutto quello che era stata. E invece, le forze non l’avevano abbandonata, il suo corpo e il suo volto erano rimasti quelli di una bambina, gli stessi che aveva quando Valyria era ancora padrona del mondo. Tranne gli occhi. I suoi occhi erano un pozzo di infinita tristezza, carichi di rimpianti e sensi di colpa: gli occhi di una bambina che aveva visto secoli di morte, aveva visto i pochi cadaveri sopravvissuti al fuoco del Disastro disperdersi galleggiando verso il largo per mai tornare, e avevano visto uomini impazzire e morire, dilaniati dal morbo grigio. Eppure, allo stesso tempo, non erano occhi morti. Erano vivi, e assetati di vendetta. “Perzys Ānogār”, mormorò, come se fosse una preghiera. Fuoco e sangue.

   
 
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