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Autore: Manto    21/11/2017    2 recensioni
❤ Seconda classificata al contest ‘È nell’aria profumo d’autunno’ indetto da Emanuela.Emy79 sul forum di Efp
«In me c’è qualcosa che va oltre la riconoscenza, la semplice ammirazione: è quasi un inno alla vita, a tutto ciò che gli eroi come te ci permettono di compiere con la loro veglia.
E a questo non c’è un riconoscimento adeguato se non continuare a sorridere, a sperare.»
{Dedicata a Angie96. Sì, ancora, e chissà per quante altre volte}
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Zombieman
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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NOTE IMPORTANTI: Dei personaggi trattati qui, mi appartiene solo l’OC Umiko.
La fic è stata scritta senza alcun scopo di lucro.
Detto questo, volevo avvertire voi lettori che benché la raccolta possa essere considerata un seguito della mini-long “
Just… Stay”, non è necessario aver letto quest’ultima, dato che tutti i riferimenti verranno spiegati.
Le
prime due shot presentano fatti che si svolgono negli anni precedenti alle vicende raccontate nell’opera originale (rispettivamente, quindici e dieci anni la prima, due la seconda).


~ Partecipante al contest ‘È nell’aria profumo d’autunno’ indetto da Emanuela.Emy79 sul forum di Efp ~



Una Poesia (Anche per Te)




I ● Dove Vivono i Miei Demoni
(Salvami)





A volte lui ricorda quando l’innocenza proteggeva il cuore,
ma il buio era sempre più fitto.



Era autunno la prima volta che lo percepì: un sentore sconosciuto, pungente e allo stesso tempo inafferrabile, vinse la protezione delle pareti del laboratorio semibuio e accarezzò i macchinari con delicatezza, fluttuando quasi fosse una creatura fatta d’aria; e per quanto rapido, tanto bastò al bambino per dimenticare il dolore soffuso – sempre lo stesso, ogni volta che ritornava ad aprire gli occhi dopo il Grande Buio: perdita, smarrimento, vuoto – e iniziare a respirare di nuovo. «Che cos’è?», chiese con voce esitante, alzandosi sul lettino. «Che cos’è?»
L’uomo che gli dava le spalle si voltò, distogliendo l’attenzione dai molteplici schermi davanti a lui e dai parametri che presentavano, osservandolo con intensità. Tutti sapevano che il Dottore non doveva essere disturbato durante il proprio lavoro; ma il piccolo aveva bisogno di sapere, non avrebbe potuto trattenersi oltre.
«Non dovresti muoverti così velocemente, rischi solo di peggiorare il dolore. Cerca di riposare, invece.»
«Ma non lo sentite anche voi?»
La mano che giunse ad accarezzargli il capo era fredda e sfuggente, non sarebbe mai riuscita a calmarlo e né, forse, ne aveva la reale intenzione. «Cosa dovrei sentire?»
«Questo profumo; è la prima volta che lo percepisco, e credo che provenga da fuori. È… è bello. Piacevole.»
Sempre più rapito dalla fascinazione e dall’attesa di una spiegazione, non notò l’espressione dell’altro adombrarsi.
«Torna a distenderti, Numero Sessantasei. È solo la tua immaginazione, sei troppo stanco per pensare lucidamente.»
Il bimbo avrebbe voluto replicare che stava benissimo, decisamente meglio di prima; ma il tono della risposta era stato così glaciale che rimase in silenzio, a obbedire e rinchiudere dentro sé stesso la sensazione di euforia che gli aveva dato così tanta forza.
«Ecco, così. Chiudi gli occhi e presto ti sentirai meglio.»
Non sorrise; e ancor meno trovò motivi per farlo quando sentì il braccio pizzicare e con la coda dell’occhio intravide l’ombra di un ago scivolare sotto la pelle. Un rombo improvviso gli impedì di cadere subito nel dormiveglia che seguiva immancabilmente la puntura, e lo stesso fece il suono leggero che lo raggiunse qualche istante dopo; così che, mentre alzava lo sguardo cremisi al soffitto –
quel rumore proviene dall’alto, ogni volta; è un suono diverso dai tremiti del suolo, scuote le mura per un istante ma non crea devastazione… e spesso giunge anche questo dolce mormorio. Cos’è? Cos’è? –, riuscì a udire l’uomo mormorare: «Ed ecco un altro motivo per cui si odia l’autunno: tuoni e pioggia, e ancora pioggia.»
Allora si chiama pioggia… è un nome gentile
, si trovò a pensare, mentre socchiudeva gli occhi e intrappolava la parola nella mente.
Inverno, quando il freddo è più intenso;
Primavera, e tutto ha un profumo fresco;
Estate, il tempo in cui la luce è più forte e riesco a vederla anch’io… e infine c’è l’Autunno, quando la pioggia non ha fine e squarcia anche questo profondo silenzio. Fino a ora, è stata la cosa più viva che abbia mai sentito; sembra così… così…

La voce prese vita in un soffio, lacerandosi appena tra la prigione dei denti e gli artigli di un
involontaria caduta nell’incoscienza.
«Libera; sì, lei sembra libera.»
Probabilmente dovette mormorarlo con molta più forza di quanto creduto,
e qualcuno dovette ascoltarlo; perché, come a voler realizzare un suo sogno segreto, fu proprio quel tamburellare ininterotto la prima cosa che lui sentì quando l’altalena tra sonno e veglia lo riportò da quest’ultima.
Forse una porta era stata lasciata aperta per sbaglio, oppure il mondo esterno, l’oltre e il diverso, aveva trovato un modo per vincere le barriere; e il suo corpo non si lasciò raggiungere passivamente da questi ma dimezzò la strada, avanzando verso il muro da cui penetravano la notte e quel sentore di qualche ora prima, che andava spargendosi sulle sue mani con la forma di fredde gocce.

Strinse ognuna di loro con forza, proteggendole come un tesoro fino a quando la luce del timido mattino glielo permise; e a suo modo provò a ribellarsi quando, silenziosamente ma con fermezza, un paio di mani lo circondarono e lo sollevarono dal pavimento.
«Ci mancava solo questa infiltrazione… e tu hai davvero dormito qui, a giudicare da come sei bagnato.»
Il piccolo non rispose, le dita serrate sugli abiti fradici nel tentativo di trattenerli; fissò la parete ancora percorsa da rivoli d’acqua, sentieri effimeri che si snodavano sulla pietra come serpenti, fino a quando non venne portato troppo lontano per poterla vedere.
Per anni il muro trattenne la traccia della pioggia; e per tutto quel tempo esso divenne il suo rifugio, e un modo per provare ad alleviare la costante assenza dentro di sé.




◦◦




A volte lui ricorda quando la voce era libera,
e faceva da scudo contro una disperata illusione.



«Un altro fallimento?»
«Di questo passo come potremo farcela?»
«Non si mette bene…»

Che cosa dovrei fare?
Che cosa sarei disposto a dare per smettere di avere sotto gli occhi, questi occhi incapaci di chiudersi, la stessa visione per giorni?

«“Immortali”… che ironia.»
Perché nessuno si rialza mai?
Perché li riesco a ricordare tutti?

«Non dovremmo più perdere tempo con loro; sono tutti spacciati.»
Non è vero: non siamo solo giocattoli nelle vostre mani.
Noi… noi…

«Calmatevi, tutti quanti. Finché anche solo uno degli esperimenti resterà in vita non potremo permetterci di arrenderci; e comunque, è tutto nella norma…
ce ne sono ancora tanti.»
Solo una voce, un’imposizione dal tono neutro – quasi annoiato –, per portare la calma; e la bruciante sensazione di amarezza che si mischiava a una stilla di pulsioni ancora più profonde, le quali assumevano sia la forma del livore che quella della ribellione.
«È… è tutto finito?»
La mano che raggiunse quella del ragazzino riportò sotto controllo le emozioni quasi immediatamente, nonostante la presa fragile, fin troppo facile da spezzare o perdere. Lei era così: capace di una sensibilità che quasi feriva e allo stesso tempo portatrice di una resistenza impensabile, che solo davanti a
quegli eventi si allentava. Come biasimarla.
«Sì; è tutto finito.»
«Sei arrabbiato? Non mentire, lo sento da come serri le dita che sei pronto a scattare.»
Un sospiro.
«Se lo fossi veramente l’avrei già fatto, non credi?»
Una pausa, che aveva il sapore dell’urgenza di una domanda e allo stesso tempo della paura della risposta. «A chi è toccata?»
«Al Numero Dieci.» Una pausa. «Lei aveva una risata contagiosa.»
Un movimento, un assenso nella penombra. «E i capelli più morbidi che abbia mai toccato.»

Ed era solo un altro numero.
«Due giorni fa ha chiuso gli occhi anche il Numero Ventinove… parlava bene, quasi quanto te. Stanno iniziando a essere in troppi quelli che se ne vanno; troppi… e troppo presto.»

Lui non riuscì ad annuire, il groppo allo stomaco che spandeva il suo acido fino in gola. Avrebbe dovuto dire qualcosa, in fondo era sempre la sua la voce che alleviava la tensione e cercava di addossarsi tutto il peso di quello che accadeva intorno a loro, tenendo celati i lati più crudeli.
«Una volta proprio il Numero Ventinove mi ha raccontato una storia sull’autunno», riprese invece la compagna, «ha usato termini che non avevo mai sentito prima, come “albero” e “foglie”, e per quanto nemmeno lui stesso sapesse bene di cosa stesse parlando, era una bella fiaba… anche se un po’ triste.»
Un debole sorriso, una carezza gentile. «Dovresti stare lontana da racconti del genere, ti rovinano l’umore.»
«Tanto la tristezza arriverebbe comunque; quindi, che differenza può fare?»
Le sue mani si mossero da sole: afferrarono la vita dello scricciolo dagli occhi rossi,
come i suoi, e premettero il corpo pallido contro quello del loro proprietario. «Ricordati sempre che sono io la differenza; in mezzo a tutto quello di cui hai paura, c’è la mia mano pronta a raggiungerti.»
Un assenso lieve, quindi una smorfia che avrebbe voluto essere più serena. «Guarda che puoi stringermi ancora di più; tu non mi fai mai male, anche se mi abbracci forte.»
«Va bene.»
Una pausa. «Sai… se non ti volessi bene, ti invidierei fino a odiarti. Sei speciale, tu: e presto tutti se ne accorgeranno.»
«Non stiamo esagerando, ora?»
«Credimi, perché sarà così: un giorno…» Un sospiro. «… Un giorno il mondo conoscerà il tuo nome, anche se non so in che modo. Ma vedrai, qualunque cosa questo significhi… ce la farai.»



«Perdonami se ho dubitato di te. Tu sei… sei semplicemente perfetto: per aspetto, risposta agli impulsi, resistenza, sei molto più di quanto mi sarei aspettato quando ho iniziato gli esperimenti. Eccellente.»
Il giovane non alzò lo sguardo dal suolo per tutto il tempo che l’altro parlò; gli occhi non vedevano nulla, non potevano né volevano.
Tutte le mie promesse… tutto ciò che portava a te…

«L’unica cosa che mi rattrista…»
Le mani tremavano; ma di certo non avrebbero fatto scivolare al suolo il tesoro che cullavano dolcemente.
Non ti meritavi tutto ciò, non ti doveva accadere nulla di questo.
Porta via anche me. Portami con te.

«… è che probabilmente sarai
l’unico
Non lasciarmi qui.
«Tuttavia, non ho così tanti motivi per rammaricarmi… in fondo, tu potresti essere il mio capolavoro.»

Non posso vivere per tutti voi: non riesco a farlo da solo.
Ti prego, aiutami.

«Non piangere per loro, ora che stai per diventare un dio.»
La stoffa che proteggeva il volto candido, finalmente sereno ma immobile, frusciò sotto le dita quando il giovane l’accarezzò.
«Vi sbagliate», sussurrò, «e anche tu ti sbagliavi, amica mia.
Non sarò mai un dio, non potrò essere nemmeno un uomo; sarò una maledizione, invece… sarò solo Morte.»





A volte lui ricorda la resa.
Ricorda i sussurri e le preghiere di quella notte lontana, davanti al muro che anni prima gli aveva fatto capire che la libertà era più vicina di quanto pensasse, ma aveva un prezzo; ricorda la sensazione dell’ignoto, e tutti gli sguardi che solo lui poteva scorgere.
«Il mondo conoscerà il tuo nome», sussurrava una voce nella sua mente, «e da quel momento, tutto sarà nelle tue mani.
Nessuno deve decidere per noi, sai? No, nessuno deve farlo.
Sbaglia, cadi, rialzati.
Erra, corri, osserva.
Urla, sorridi… vivi.
Il destino non è mai una strada tracciata: lo imparerai.»

E fu così facile fare a pezzi le proprie catene, come una fiera che sente il richiamo della propria natura e nessuno vi si può più opporre; e fu così necessario distruggere tutti i simboli della prigionia, lasciare dietro di sé la stessa rovina che aveva provato fin in fondo all’anima.
«Il mondo conoscerà il tuo nome; e sarà con te.»
Sul far dell’alba e appena dopo il buio più intenso, la luna e le stelle di un freddo autunno si prepararono a lasciare la volta solo dopo aver fissato lo sguardo lucente su nuove lacrime; e fu allora che l’uomo nacque, e iniziò a camminare su un sentiero creato dalle proprie mani.





ANGOLO DI MANTO


Salve a tutti! Benvenuti nell’ennesimo sclero della sottoscritta su Opm, ergo fuggite finché siete in tempo spero che tutto quello che avete letto e leggerete vi possa piacere *offre cuoricini*
Nonostante per un (brevissimo) tempo avessi considerato di non riprendere più in mano personaggi già apparsi in
Just…Stay, alla fine una notevole dose di fangirling ha completamente rovesciato i piani: quindi eccoci qui, con una storia tesa a dare il via a quella che ormai è diventata un’OTP.
Insomma, quando le idee proprio non riescono ad abbandonarti e rimangono sulla punta delle dita, insoddisfatte e tese, l’unico modo per trovare un po’ di pace è dare loro un’opportunità per liberarsi, qualunque sia la strada che vogliono prendere.
Detto questo, sono decisamente felice di aver reso protagonista uno dei personaggi di ONE che più amo (e che già molti lettori del webcomic avranno riconosciuto, credo), ma allo stesso tempo sto ancora navigando in un mare di feels per quello che ho dovuto trattare.
Dato che della ““favolosa”” infanzia del nostro eroe immortale non si sa molto, mi sono tenuta sul vago, basandomi su quello che già sappiamo e tirandolo fino allo sfinimento.
Sperando di non aver fatto cavolate, come sempre.

   
 
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