II
● L’Amore Danzerà nel Buio, e nella Luce
(Ascoltami)
A
volte lei ricorda l’alba che spuntò dalle ceneri
del suo pianto,
e
quanto a lungo avesse creduto di non poterla rivedere.
I
suoi passi erano lenti: aspettavano che il fruscio delle foglie
ridiventasse un esile sussurro, quindi smuovevano nuovamente il
silenzio. Era sola su quel sentiero di pietra e statue, nel cimitero
appena al di fuori della piccola cittadina dov’era
nata; una cascata di riccioli neri su una veste rossa, vivida quasi
quanto le chiome degli alberi che accompagnavano la strada e il suo
cammino. Guardandola con poca attenzione, in molti avrebbero potuto
dire che fosse sbagliata per
quel luogo, smarrita nel vento del primo mattino; quando sarebbe
bastato solo uno sguardo dei suoi grandi occhi per comprendere che,
invece, era necessario che fosse lì.
L’esitazione
si prese il suo respiro per un istante; poi la ragazza
sospirò con
risolutezza e fece un passo in avanti, fino a essere abbracciata dai
rami più bassi della sentinella frondosa.
«Non
avresti mai voluto vedermi qui; e per tale motivo, ti chiedo scusa.
Ma… ma avevo bisogno di venire a trovarti… ora
che inizio a non
avere più paura di vederti così.»
Una
pausa; le sue gambe la condussero fino a sfiorare la tomba, quindi la
fecero sedere al suolo, in modo che gli occhi incontrassero lo
sguardo dolce che vinceva la briglia del freddo medaglione.
Evitò di
fissare le scritte che adornavano il marmo, il simbolo di una vita
soffiata via in un giorno come quello, solo immerso nel bollore della
distruzione; e dedicò l’attenzione al volume che
reggeva contro il
petto. «Te
lo ricordi? L’avevamo comprato assieme. Un libro dalle pagine
bianche, da dividere tra me e te: una notte nelle tue mani, un
pomeriggio nella mia borsa. Avevamo deciso che avremmo scritto tutto
ciò che accadeva e provavamo quando eravamo separati:
pensieri,
situazioni, semplici parole… qualunque cosa volevamo, che il
giorno
o un’ora dopo sarebbe stata mostrata all’altra
parte.
Guarda…
la prima pagina è stata tua.»
La
mora sorrise dolcemente mentre le dita scorrevano sui tratti rossi,
sbiaditi appena dagli anni. “Umiko
mi sta costringendo a scrivere e io non so da cosa diavolo
cominciare. Che faccio?
Mi
sa che mi metterò a dormire.”
“Quella
pazza non ha il minimo rispetto del sonno degli altri, così
alle
cinque di mattina posso ritrovarmi anche duecento messaggi. Aumentano
le volte che vorrei averla qui con me anche di notte, per bloccarle
le mani nelle mie e dirle che so che mi ama e non
c’è bisogno di
così tante parole.
Anche
se io la amerò sempre più di lei.”
“A
queste pagine posso dirlo, a Umiko di certo no: adoro le sue curve.
Adoro ancora di più il fatto che le ami anche lei.”
Una
goccia cadde sulla pagina, sporcandone un angolo; anche se il cielo
era sereno, forse versava al posto suo le ultime lacrime.
“Tocca
a me, ora! E neanche io so cosa dire, ma almeno ci provo, mio adorato
Tomomi.”
“Ho
intenzione di cucirmi un pupazzo che abbia le tue sembianze.
Così
magari i messaggi li mando a lui e ti lascio dormire in pace **
sinceramente, potrei pure mollarti per la tua copia morbida e
coccolona, ora che ci penso.
Ma
poi chi mi canterà una ninnananna quando gli esami si
avvicineranno
e la mia ansia salirà? Mi tocca tenerti.”
“Tomomi
che gioca con le foglie è qualcosa di indescrivibile.
Avere
quasi vent’anni, essere il doppio di me e risultare ancora
adorabili come bambini: solo lui può riuscirci.
È
solo una delle sue splendide qualità.”
Una
dopo l’altra, ogni pagina viene mostrata e letta, lasciando
che le
ore giocassero liberamente fino a quando, improvvisamente, il colore
dell’inchiostro mutò.
“Sono
passati quattro anni da quando ho smesso di parlarti, almeno su
questa carta; ma negli ultimi mesi non ho fatto altro che pensare
alle stesse pagine bianche che ora sto fissando.
Questa
primavera ho fatto nuovamente una follia – una necessaria
follia,
come tu dicevi quando parlavi della mia assenza di paura
nell’affrontare gli ostacoli che mi bloccavano la strada.
Non
avevi del tutto ragione: ho impiegato tutto questo tempo ad accettare
completamente la tua sorte, e di paura ne ho avuta molta; ma da
quando ho rivisto in me la ragazza che avevi conosciuto, allora
è
ritornato il bisogno di cedere parte dei miei pensieri al nostro
prezioso libro.
Mentre
ti scrivo la Città K sta ancora levando un grido di dolore:
siamo
stati attaccati da alcuni mostri, e anch’io ho dovuto
riscoprirmi
coraggiosa. Sì, ho trovato un incubo ad attendermi, simile a
quello
che ti ha portato via da me; ho lottato, per entrambi, e anche se
alla fine sono stata salvata da un vero eroe, ti ho difeso con ogni
forza possibile, anche con quelle che non sapevo di avere. È
stata
la prima volta che ti ho sentito veramente al mio fianco: ho tolto
l’ultimo velo dal mio volto, ho avuto la percezione del tuo
tocco
sul cuore, e la ferita che lo segnava ha arrestato definitivamente la
sua emorragia.
Mi
mancherai sempre, Tomomi, e anche se dovessi perdere la memoria, di
te non mi potrei dimenticare; ma sono ormai certa di poter riprendere
a camminare senza sentire la tua assenza.
Dicevi
che la Vita sia come il mare: a volte ti toglie ciò che ti
appartiene, ma poi, con i suoi tempi e modi, te lo restituisce.
Dicevi
anche che gli errori e le colpe a volte ritornano non per colpirti
nuovamente, ma per essere risolti e perdonati; beh, ho deciso che
tutte le tue parole diventeranno vere, voglio prendermele,
stringerle, e trasformarle in qualcosa di concreto.
Ecco
cosa ti prometto ora, nel cuore dell’autunno, quando la terra
e il
cielo si toccano e il mondo riscopre la propria bellezza.
Ora
più che mai, davvero, tu sei qui, con me.”
Il
mattino era già divenuto pomeriggio quando la ragazza
ritornò nel
tumulto della Città K. Le strade e la gente incrociarono i
suoi
pensieri senza sfiorarli, li lasciarono proseguire senza curarsene; e
quando la sera venne sconvolta da un improvviso acquazzone solo lei
rimase a vagare tra le vie con un sorriso, aspettando con calma che
le stelle tornassero a illuminare il suo cammino.
Solamente
un’ombra le rimase accanto abbastanza da farle percepire il
proprio
calore; ma quando la giovane si voltò per incontrarla,
questa era
ormai svanita tra le luci dei palazzi e i riflessi della pioggia di
settembre, dietro il lucore della luna che andava liberandosi dalle
nubi.
A
volte lei ricorda come il passato tornò a lambire il suo
futuro,
e
come una mano coraggiosa giunse a difenderlo.
“Interrompiamo
i programmi per un annuncio dell’Associazione Eroi:
i residenti della Città V sono invitati a non abbandonare le
proprie
abitazioni per nessun motivo.
Ripeto,
i residenti della Città V sono invitati a non abbandonare le
proprie
abitazioni: un Essere Misterioso ha attaccato la zona industriale.
Nonostante il livello di calamità fosse inizialmente stimato
a
Tigre, l’Associazione ha ritenuto opportuno alzarlo a Demone.”
Papà.
La
tazza che teneva in mano si rovesciò sui libri, cospargendo
le
pagine di tè e tramutando il colore delle parole in rosso
sanguigno.
Gli
occhi spalancati, fissi sullo schermo divenuto improvvisamente
confuso e muto, la ragazza si alzò dal tavolo e
indietreggiò fino
alla porta della cucina, vi sbatté contro la schiena.
Per
quanto la sua mente cercasse un modo per calmarsi, lo sguardo non
accennava ad abbandonare le immagini che rimbalzavano in tutta la
stanza, al quale se ne aggiungevano altre, troppe,
tratte dai propri ricordi. Di
nuovo. Perché?
Non
c’è mai pace per me? Ma
non ancora, non ancora; è troppo. È troppo.
“Invitiamo
i civili a non avvicinarsi per nessun motivo alla zona; cercate
velocemente un rifugio sicuro.
Alcuni
eroi stanno già giungendo sul posto.”
Potrebbe
essere troppo tardi.
Fu
il suo corpo a rispondere per lei: la spinse a vestirsi il
più in
fretta possibile, ad afferrare le poche cose che le sarebbero potute
servire e a lasciare la casa, incurante del gelo che la nevicata
fuori stagione aveva appena portato sulla zona. La sua folle corsa
risuonava nelle strade deserte, il respiro non riusciva a condensarsi
in nubi di tensione perché lei era già corsa
avanti; così che
raggiunse il centro urbano in pochi minuti, e qui si fermò.
Con
un grande sforzo ignorò i giganteschi schermi che ripetevano
l’annuncio d’emergenza e mostravano sempre le
stesse immagini di
devastazione, quindi si guardò attorno. Nessun mezzo
pubblico
sarebbe partito per la Città V con quelle ultime notizie; ma
lei non
poteva raggiungerla in breve tempo con le sue sole forze, doveva
ottenere anche un minimo aiuto – e in fretta.
«Si
fermi, per favore!»
Quasi
avesse intuito il suo obbiettivo, la macchina che le passò
accanto
non l’ascoltò e proseguì senza nemmeno
rallentare; e così fece
la seconda, e poi un’altra ancora, fino a quando la
disperazione
non la portò a mettersi in mezzo alla strada.
Il
camioncino che inchiodò a meno di un metro dai suoi piedi
attrasse
l’attenzione di non poche persone, e in molti lanciarono dure
parole contro la sconsideratezza della ragazza; ma questa aveva
già
spalancato la portiera del mezzo e si era catapultata su di esso,
quasi gettandosi sull’attonita guidatrice.
«Devo
arrivare alla Città V!», gridò,
«La prego, ci devo arrivare! Mio
padre è nella zona industriale, devo andare da
lui!»
«Sei
pazza, per caso?»
«La
prego, non posso farcela da sola perché potrei non arrivare
in
tempo, ma non posso nemmeno lasciare mio padre da solo. Devo andare
da lui… la posso pagare, con tutto quello che ho. Per
favore, mi porti là… non ho altro
aiuto!»
Una
breve esitazione, quindi lo sguardo della donna si chinò
sulle mani
tremanti della mora. «Io
in quella città non ci metto piede. Il massimo che posso
fare è
lasciarti poco fuori da essa.»
La
giovane sorrise debolmente, annuendo. «Lei mi sta
salvando»,
mormorò, prima di sistemarsi sul sedile e attendere che il
viaggio
più tormentato della sua vita avesse inizio.
«No,
non voglio i tuoi soldi, in fondo non ho fatto molto. Solo…
buona fortuna.»
La
donna non la guardò negli occhi quando pronunciò
quelle parole;
nonostante questo, la ragazza la ringraziò con un abbraccio
caloroso. «Ha fatto molto, invece», le
sussurrò, prima di
lanciarsi giù dal mezzo e affrontare la vista della
Città V.
«E
ora… ora tocca a me», sussurrò,
stringendo i pugni per darsi
energia, e poi lasciando che solo il vento facesse sentire la sua
voce.
Una
sorta di sesto senso – no, era amore figliale:
il legame impossibile da trattenere e domare, non importa il pericolo
e l’ostacolo – la condusse al suo interno, tra le
vie percorse
unicamente dall’eco delle voci terrorizzate o dei
telegiornali che
non facevano altro che aumentare la tensione, mentre la sua testa
registrava tutte le informazioni che poteva.
Non
si sa ancora l’entità delle vittime.
Alcuni
operai e lavoratori sono riusciti a rifugiarsi in una fabbrica, e
stanno ancora resistendo.
Sembra
che l’Essere sia un vampiro, o qualcosa di simile.
Gli
eroi che sono stati inviati hanno mandato una richiesta di soccorso
quasi immediatamente: l’avversario è un osso duro.
Ce la faranno a
salvare tutti?
…
E
papà… qualcuno è con lui?
La
ragazza socchiuse gli occhi, sentì il cuore aumentare i
battiti.
Entrambe le volte in cui era stata attaccata da un mostro, qualcuno
era al suo fianco: ma la prima era finita nel disastro, mentre la
seconda l’aveva messa a dura prova.
Le
sue mani ustionate, le braccia e i fianchi segnati da minute
cicatrici – ancora poteva sentire su di sé i
tentacoli del mostro
che l’aveva torturata – parlavano da sé;
ma non c’era mai
stato un limite alla crudeltà degli Esseri Misteriosi,
quindi l’uomo
avrebbe potuto vivere una situazione ancora peggiore alla sua.
Qualunque
cosa stia accadendo… ti prego, resisti. Anche
se sto facendo la cosa più stupida del mondo, sono pronta ad
accettare ogni tuo rimprovero; perché so bene cosa vuol dire
subire
tutto questo, e non oso immaginare come sia affrontarlo senza
nessuno.
Alla
fine, furono propri gli ultimi suoni che avrebbe voluto sentire
–
rumore di crolli, schianti, grida – a condurla verso la zona
interessata; ma quando vi giunse, ciò che vide non era
quello che si
sarebbe aspettata, così che frenò tutti i suoi
pensieri.
Quindi
è tutto finito?
Sorpresa,
la mora osservò i numerosi capannelli di uomini fuori dalle
fabbriche, molte di queste completamente sventrate o distrutte;
l’agitazione era nell’aria, ma bastò
avvicinarsi un po’ di più
agli operai per comprendere che sì, era tutto finito: o
almeno, tale
era il problema “mostro”, mentre doveva ancora
essere portato a
termine il compito più triste e doloroso.
«Papà…»,
mormorò la giovane avanzando lentamente, scossa dai tremiti
mentre
osservava il bruttissimo spettacolo davanti a lei: l’attacco
alla
Città K non era stato parimenti violento, benché
avesse comportato
ingenti danni e vittime, e questo la destabilizzò. Alcune
mani
provarono a fermarla e le voci si confusero in una cacofonia di
domande, ma solo quando un paio di braccia la strinsero si
bloccò.
Il
volto che vide non era quello di suo padre, ma lo sguardo che lo
sconosciuto le lanciò era pieno della risolutezza di non
lasciarla
andare. «Probabilmente stai cercando qualcuno… ma
non è il posto
adatto a te, non in questo momento.»
Lei
scosse il capo, faticando a trovare le parole. «Devo sapere,
invece», rispose infine in un sussurro, lanciando uno sguardo
poco
più avanti a sé, dove teli e tessuti non
riuscivano a nascondere
completamente i corpi e la strada di sangue che li abbandonava,
«sono
venuta per questo. Io devo sapere dov’è mio
padre!»
«…
Umiko?»
La
voce rispose al suo grido facendola sobbalzare, prima di attirare la
sua attenzione alla propria destra, da dove una figura avanzava
velocemente verso di lei. Le macchie scarlatte che imbrattavano i
capelli pallidi e la tuta di lavoro non riuscivano a celare il
luccichio degli occhi viola, che osservavano la giovane con stupore.
«Bambina… ma perché sei
venuta?»
Appena
la presa sul suo corpo si allentò la ragazza si
precipitò verso
l’uomo, facendo tuttavia molta attenzione nello stringerlo,
notando
come si tenesse il braccio sinistro. «Che
cos’è accaduto? È molto
grave?» chiese, cercando di scoprire
l’entità della ferita.
«Niente
che ti debba preoccupare», le rispose l’altro
con gentilezza, «solo un graffio. Tu, piuttosto», e
nel dire questo
indurì appena il tono, «non dovresti essere nella
Città K?»
Lei
chinò il capo, arrossendo un poco. «Quando
alla tv hanno detto quello che stava accadendo qui…
beh, non ho pensato ad altro, se non a che dovevo venire da te.
Perdonami… nemmeno la mamma sa di quel che ho fatto.»
«Vuoi
dire che sei venuta qui da sola e senza dire nulla a nessuno?»
Silenzio.
«Umiko!
Ma che follia è questa? Prova a pensare se tu fossi riuscita
a
entrare qui quando quel mostro era ancora in vita,
e…» Una pausa
che sottointendeva il peggiore degli scenari, seguita da un sospiro.
«Sono felice che tu ti sia preoccupata per me, ma non fare
mai più
niente del genere. L’unica cosa che voglio è che
tu e la mamma
siate al sicuro, intesi? Così non mi aiuti di
certo.»
La
postura severa dell’uomo si sciolse, e questi
abbracciò la figlia
il più forte possibile. «Comunque
sia, papà non è più in pericolo.
Ora
mi faccio fare una fasciatura e poi vieni a casa con me: dobbiamo
cercare qualcosa da dire a tua madre, o non ti verrà risparmiata
una sonora ramanzina.»
Lei
annuì, quindi sorrise e nello stesso tempo
singhiozzò. Si scostò
dal genitore il tempo necessario per permettere ai soccorritori di
occuparsi del suo “graffio”, e mentre la tensione
calava, la voce
di chi la circondava si faceva più forte.
«Sono
stati in parecchi ad aiutarci, ma se non fosse stato per quel classe
S…»
«Quelli
che si sono rifugiati nella struttura Cinque hanno detto di averlo
visto combattere: una fiera.»
«Beh,
se è vero che è immortale, si può
permettere di ingaggiare
combattimenti più spinti…»
«Quindi
era proprio lui?»
«A
quanto dicono i ragazzi, sì: è stato Zombieman
a salvarci.»
La
giovane voltò il capo di scatto, cercando chi avesse parlato.
Quel
nome…
«Eccolo!
Sembra che abbia dato una mano a estrarre dei corpi imprigionati
sotto le macerie della struttura Sei… e ora il lavoro
è tutto
nostro.»
Lei
seguì l’attenzione generale, e il cuore
accelerò i battiti quando
i suoi occhi incontrarono la figura che avanzava in silenzio tra la
gente, dicendo parole che, alla distanza in cui si trovava, non
riuscì a comprendere. Avrebbe saputo riconoscere quegli
occhi
purpurei ovunque; e si premette una mano sul petto mentre rivedeva
l’eroe proteggerla da un altro mostro, un altro incubo, in un
pomeriggio freddo quanto quello. Il
suo sguardo non lo abbandonò per tutto il tempo che
riuscì a
fissarlo; quando poi il classe S si allontanò tra le braccia
della
città e svanì, la ragazza continuò
comunque a sentire la sua
presenza, e a versare tutte le lacrime che tratteneva dalla mattina.
«Ti
prego… se continui a piangere così mi fai sentire
in colpa.»
«Sembra
che nessuno di voi due si renda realmente conto di quello che poteva
accadere; perché non dovrei piangere?
Se
penso a te, a che cosa devi avere provato… e a Umiko che non
riflette abbastanza sulle sue azioni…»
«Ma
ora siamo qui tutti e due; su, non hai nemmeno toccato
cibo…»
«Non
trattarmi come una bambina!»
«Non
ti calmerai molto presto, vedo.»
Seduta
un po’ distante dai genitori, la giovane ascoltava tutta la
tensione della giornata liberarsi e impregnare la stanza di strilli e
rassicurazioni, singhiozzi e carezze; e sorrideva stringendosi nelle
sue stesse braccia, mentre la mente dettava parole intense e sentite
come solo quelle di un graziato avrebbero potuto essere.
Questa
volta una lettera sola non basterà per ringraziarti;
è grazie a te
se ho ancora un futuro, voglio che tu lo sappia.
In
me c’è qualcosa che va oltre la riconoscenza, la
semplice
ammirazione: è quasi un inno alla vita, a tutto
ciò che gli eroi
come te ci permettono di compiere con la loro veglia.
E
a questo non c’è un riconoscimento adeguato se non
continuare a
sorridere, a sperare.