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Autore: Manto    21/11/2017    1 recensioni
❤ Seconda classificata al contest ‘È nell’aria profumo d’autunno’ indetto da Emanuela.Emy79 sul forum di Efp
«In me c’è qualcosa che va oltre la riconoscenza, la semplice ammirazione: è quasi un inno alla vita, a tutto ciò che gli eroi come te ci permettono di compiere con la loro veglia.
E a questo non c’è un riconoscimento adeguato se non continuare a sorridere, a sperare.»
{Dedicata a Angie96. Sì, ancora, e chissà per quante altre volte}
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Zombieman
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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II ● L’Amore Danzerà nel Buio, e nella Luce
(Ascoltami)





A volte lei ricorda l’alba che spuntò dalle ceneri del suo pianto,
e quanto a lungo avesse creduto di non poterla rivedere.



I suoi passi erano lenti: aspettavano che il fruscio delle foglie ridiventasse un esile sussurro, quindi smuovevano nuovamente il silenzio. Era sola su quel sentiero di pietra e statue, nel cimitero appena al di fuori della piccola cittadina dovera nata; una cascata di riccioli neri su una veste rossa, vivida quasi quanto le chiome degli alberi che accompagnavano la strada e il suo cammino. Guardandola con poca attenzione, in molti avrebbero potuto dire che fosse sbagliata per quel luogo, smarrita nel vento del primo mattino; quando sarebbe bastato solo uno sguardo dei suoi grandi occhi per comprendere che, invece, era necessario che fosse lì.
L’esitazione si prese il suo respiro per un istante; poi la ragazza sospirò con risolutezza e fece un passo in avanti, fino a essere abbracciata dai rami più bassi della sentinella frondosa.
«Non avresti mai voluto vedermi qui; e per tale motivo, ti chiedo scusa. Ma… ma avevo bisogno di venire a trovarti… ora che inizio a non avere più paura di vederti così
Una pausa; le sue gambe la condussero fino a sfiorare la tomba, quindi la fecero sedere al suolo, in modo che gli occhi incontrassero lo sguardo dolce che vinceva la briglia del freddo medaglione. Evitò di fissare le scritte che adornavano il marmo, il simbolo di una vita soffiata via in un giorno come quello, solo immerso nel bollore della distruzione; e dedicò l’attenzione al volume che reggeva contro il petto. «Te lo ricordi? L’avevamo comprato assieme. Un libro dalle pagine bianche, da dividere tra me e te: una notte nelle tue mani, un pomeriggio nella mia borsa. Avevamo deciso che avremmo scritto tutto ciò che accadeva e provavamo quando eravamo separati: pensieri, situazioni, semplici parole… qualunque cosa volevamo, che il giorno o un’ora dopo sarebbe stata mostrata all’altra parte.
Guarda… la prima pagina è stata tua.»

La mora sorrise dolcemente mentre le dita scorrevano sui tratti rossi, sbiaditi appena dagli anni. “Umiko mi sta costringendo a scrivere e io non so da cosa diavolo cominciare. Che faccio?
Mi sa che mi metterò a dormire.”

Quella pazza non ha il minimo rispetto del sonno degli altri, così alle cinque di mattina posso ritrovarmi anche duecento messaggi. Aumentano le volte che vorrei averla qui con me anche di notte, per bloccarle le mani nelle mie e dirle che so che mi ama e non c’è bisogno di così tante parole.
Anche se io la amerò sempre più di lei.”


A queste pagine posso dirlo, a Umiko di certo no: adoro le sue curve. Adoro ancora di più il fatto che le ami anche lei.”
Una goccia cadde sulla pagina, sporcandone un angolo; anche se il cielo era sereno, forse versava al posto suo le ultime lacrime.

Tocca a me, ora! E neanche io so cosa dire, ma almeno ci provo, mio adorato Tomomi.”
Ho intenzione di cucirmi un pupazzo che abbia le tue sembianze. Così magari i messaggi li mando a lui e ti lascio dormire in pace ** sinceramente, potrei pure mollarti per la tua copia morbida e coccolona, ora che ci penso.
Ma poi chi mi canterà una ninnananna quando gli esami si avvicineranno e la mia ansia salirà? Mi tocca tenerti.”

Tomomi che gioca con le foglie è qualcosa di indescrivibile.
Avere quasi vent’anni, essere il doppio di me e risultare ancora adorabili come bambini: solo lui può riuscirci.
È solo una delle sue splendide qualità.”

Una dopo l’altra, ogni pagina viene mostrata e letta, lasciando che le ore giocassero liberamente fino a quando, improvvisamente, il colore dell’inchiostro mutò.
Sono passati quattro anni da quando ho smesso di parlarti, almeno su questa carta; ma negli ultimi mesi non ho fatto altro che pensare alle stesse pagine bianche che ora sto fissando.
Questa primavera ho fatto nuovamente una follia – una necessaria follia, come tu dicevi quando parlavi della mia assenza di paura nell’affrontare gli ostacoli che mi bloccavano la strada.
Non avevi del tutto ragione: ho impiegato tutto questo tempo ad accettare completamente la tua sorte, e di paura ne ho avuta molta; ma da quando ho rivisto in me la ragazza che avevi conosciuto, allora è ritornato il bisogno di cedere parte dei miei pensieri al nostro prezioso libro.
Mentre ti scrivo la Città K sta ancora levando un grido di dolore: siamo stati attaccati da alcuni mostri, e anch’io ho dovuto riscoprirmi coraggiosa. Sì, ho trovato un incubo ad attendermi, simile a quello che ti ha portato via da me; ho lottato, per entrambi, e anche se alla fine sono stata salvata da un vero eroe, ti ho difeso con ogni forza possibile, anche con quelle che non sapevo di avere. È stata la prima volta che ti ho sentito veramente al mio fianco: ho tolto l’ultimo velo dal mio volto, ho avuto la percezione del tuo tocco sul cuore, e la ferita che lo segnava ha arrestato definitivamente la sua emorragia.
Mi mancherai sempre, Tomomi, e anche se dovessi perdere la memoria, di te non mi potrei dimenticare; ma sono ormai certa di poter riprendere a camminare senza sentire la tua assenza.
Dicevi che la Vita sia come il mare: a volte ti toglie ciò che ti appartiene, ma poi, con i suoi tempi e modi, te lo restituisce.
Dicevi anche che gli errori e le colpe a volte ritornano non per colpirti nuovamente, ma per essere risolti e perdonati; beh, ho deciso che tutte le tue parole diventeranno vere, voglio prendermele, stringerle, e trasformarle in qualcosa di concreto.
Ecco cosa ti prometto ora, nel cuore dell’autunno, quando la terra e il cielo si toccano e il mondo riscopre la propria bellezza.
Ora più che mai, davvero, tu sei qui, con me.”



Il mattino era già divenuto pomeriggio quando la ragazza ritornò nel tumulto della Città K. Le strade e la gente incrociarono i suoi pensieri senza sfiorarli, li lasciarono proseguire senza curarsene; e quando la sera venne sconvolta da un improvviso acquazzone solo lei rimase a vagare tra le vie con un sorriso, aspettando con calma che le stelle tornassero a illuminare il suo cammino.
Solamente un’ombra le rimase accanto abbastanza da farle percepire il proprio calore; ma quando la giovane si voltò per incontrarla, questa era ormai svanita tra le luci dei palazzi e i riflessi della pioggia di settembre, dietro il lucore della luna che andava liberandosi dalle nubi.




◦◦




A volte lei ricorda come il passato tornò a lambire il suo futuro,
e come una mano coraggiosa giunse a difenderlo.



Interrompiamo i programmi per un annuncio dell’Associazione Eroi: i residenti della Città V sono invitati a non abbandonare le proprie abitazioni per nessun motivo.
Ripeto, i residenti della Città V sono invitati a non abbandonare le proprie abitazioni: un Essere Misterioso ha attaccato la zona industriale. Nonostante il livello di calamità fosse inizialmente stimato a Tigre, l’Associazione ha ritenuto opportuno alzarlo a Demone.

Papà
.
La tazza che teneva in mano si rovesciò sui libri, cospargendo le pagine di tè e tramutando il colore delle parole in rosso sanguigno.
Gli occhi spalancati, fissi sullo schermo divenuto improvvisamente confuso e muto, la ragazza si alzò dal tavolo e indietreggiò fino alla porta della cucina, vi sbatté contro la schiena.
Per quanto la sua mente cercasse un modo per calmarsi, lo sguardo non accennava ad abbandonare le immagini che rimbalzavano in tutta la stanza, al quale se ne aggiungevano altre,
troppe, tratte dai propri ricordi. Di nuovo. Perché?
Non c’è mai pace per me? Ma non ancora, non ancora; è troppo. È troppo.

Invitiamo i civili a non avvicinarsi per nessun motivo alla zona; cercate velocemente un rifugio sicuro. 
Alcuni eroi stanno già giungendo sul posto.”

Potrebbe essere troppo tardi.
Fu il suo corpo a rispondere per lei: la spinse a vestirsi il più in fretta possibile, ad afferrare le poche cose che le sarebbero potute servire e a lasciare la casa, incurante del gelo che la nevicata fuori stagione aveva appena portato sulla zona. La sua folle corsa risuonava nelle strade deserte, il respiro non riusciva a condensarsi in nubi di tensione perché lei era già corsa avanti; così che raggiunse il centro urbano in pochi minuti, e qui si fermò.
Con un grande sforzo ignorò i giganteschi schermi che ripetevano l’annuncio d’emergenza e mostravano sempre le stesse immagini di devastazione, quindi si guardò attorno. Nessun mezzo pubblico sarebbe partito per la Città V con quelle ultime notizie; ma lei non poteva raggiungerla in breve tempo con le sue sole forze, doveva ottenere anche un minimo aiuto – e in fretta.

«Si fermi, per favore!»
Quasi avesse intuito il suo obbiettivo, la macchina che le passò accanto non l’ascoltò e proseguì senza nemmeno rallentare; e così fece la seconda, e poi un’altra ancora, fino a quando la disperazione non la portò a mettersi in mezzo alla strada.
Il camioncino che inchiodò a meno di un metro dai suoi piedi attrasse l’attenzione di non poche persone, e in molti lanciarono dure parole contro la sconsideratezza della ragazza; ma questa aveva già spalancato la portiera del mezzo e si era catapultata su di esso, quasi gettandosi sull’attonita guidatrice.

«Devo arrivare alla Città V!», gridò, «La prego, ci devo arrivare! Mio padre è nella zona industriale, devo andare da lui!»
«Sei pazza, per caso?»
«La prego, non posso farcela da sola perché potrei non arrivare in tempo, ma non posso nemmeno lasciare mio padre da solo. Devo andare da lui… la posso pagare, con tutto quello che ho. Per favore, mi porti là… non ho altro aiuto!»

Una breve esitazione, quindi lo sguardo della donna si chinò sulle mani tremanti della mora. «Io in quella città non ci metto piede. Il massimo che posso fare è lasciarti poco fuori da essa.»
La giovane sorrise debolmente, annuendo. «Lei mi sta salvando», mormorò, prima di sistemarsi sul sedile e attendere che il viaggio più tormentato della sua vita avesse inizio.


«No, non voglio i tuoi soldi, in fondo non ho fatto molto. Solo… buona fortuna.»
La donna non la guardò negli occhi quando pronunciò quelle parole; nonostante questo, la ragazza la ringraziò con un abbraccio caloroso. «Ha fatto molto, invece», le sussurrò, prima di lanciarsi giù dal mezzo e affrontare la vista della Città V.
«E ora… ora tocca a me», sussurrò, stringendo i pugni per darsi energia, e poi lasciando che solo il vento facesse sentire la sua voce.
Una sorta di sesto senso – no, era amore fi
gliale: il legame impossibile da trattenere e domare, non importa il pericolo e l’ostacolo – la condusse al suo interno, tra le vie percorse unicamente dall’eco delle voci terrorizzate o dei telegiornali che non facevano altro che aumentare la tensione, mentre la sua testa registrava tutte le informazioni che poteva.
Non si sa ancora l’entità delle vittime.
Alcuni operai e lavoratori sono riusciti a rifugiarsi in una fabbrica, e stanno ancora resistendo.
Sembra che l’Essere sia un vampiro, o qualcosa di simile.
Gli eroi che sono stati inviati hanno mandato una richiesta di soccorso quasi immediatamente: l’avversario è un osso duro. Ce la faranno a salvare tutti?

E papà… qualcuno è con lui?
La ragazza socchiuse gli occhi, sentì il cuore aumentare i battiti. Entrambe le volte in cui era stata attaccata da un mostro, qualcuno era al suo fianco: ma la prima era finita nel disastro, mentre la seconda l’aveva messa a dura prova.
Le sue mani ustionate, le braccia e i fianchi segnati da minute cicatrici – ancora poteva sentire su di sé i tentacoli del mostro che l’aveva torturata – parlavano da sé; ma non c’era mai stato un limite alla crudeltà degli Esseri Misteriosi, quindi l’uomo avrebbe potuto vivere una situazione ancora peggiore alla sua.

Qualunque cosa stia accadendo… ti prego, resisti. Anche se sto facendo la cosa più stupida del mondo, sono pronta ad accettare ogni tuo rimprovero; perché so bene cosa vuol dire subire tutto questo, e non oso immaginare come sia affrontarlo senza nessuno.
Alla fine, furono propri gli ultimi suoni che avrebbe voluto sentire – rumore di crolli, schianti, grida – a condurla verso la zona interessata; ma quando vi giunse, ciò che vide non era quello che si sarebbe aspettata, così che frenò tutti i suoi pensieri.
Quindi è tutto finito?
Sorpresa, la mora osservò i numerosi capannelli di uomini fuori dalle fabbriche, molte di queste completamente sventrate o distrutte; l’agitazione era nell’aria, ma bastò avvicinarsi un po’ di più agli operai per comprendere che sì, era tutto finito: o almeno, tale era il problema “mostro”, mentre doveva ancora essere portato a termine il compito più triste e doloroso.
«Papà…», mormorò la giovane avanzando lentamente, scossa dai tremiti mentre osservava il bruttissimo spettacolo davanti a lei: l’attacco alla Città K non era stato parimenti violento, benché avesse comportato ingenti danni e vittime, e questo la destabilizzò. Alcune mani provarono a fermarla e le voci si confusero in una cacofonia di domande, ma solo quando un paio di braccia la strinsero si bloccò.
Il volto che vide non era quello di suo padre, ma lo sguardo che lo sconosciuto le lanciò era pieno della risolutezza di non lasciarla andare. «Probabilmente stai cercando qualcuno… ma non è il posto adatto a te, non in questo momento.»
Lei scosse il capo, faticando a trovare le parole. «Devo sapere, invece», rispose infine in un sussurro, lanciando uno sguardo poco più avanti a sé, dove teli e tessuti non riuscivano a nascondere completamente i corpi e la strada di sangue che li abbandonava, «sono venuta per questo. Io devo sapere dov’è mio padre!»
«… Umiko?»
La voce rispose al suo grido facendola sobbalzare, prima di attirare la sua attenzione alla propria destra, da dove una figura avanzava velocemente verso di lei. Le macchie scarlatte che imbrattavano i capelli pallidi e la tuta di lavoro non riuscivano a celare il luccichio degli occhi viola, che osservavano la giovane con stupore. «Bambina… ma perché sei venuta?»

Appena la presa sul suo corpo si allentò la ragazza si precipitò verso l’uomo, facendo tuttavia molta attenzione nello stringerlo, notando come si tenesse il braccio sinistro.
«Che cos’è accaduto? È molto grave?» chiese, cercando di scoprire l’entità della ferita.
«Niente che ti debba preoccupare», le rispose l’altro con gentilezza, «solo un graffio. Tu, piuttosto», e nel dire questo indurì appena il tono, «non dovresti essere nella Città K?»
Lei chinò il capo, arrossendo un poco. «Quando alla tv hanno detto quello che stava accadendo qui… beh, non ho pensato ad altro, se non a che dovevo venire da te. Perdonami… nemmeno la mamma sa di quel che ho fatto.»
«Vuoi dire che sei venuta qui da sola e senza dire nulla a nessuno?»

Silenzio.
«Umiko! Ma che follia è questa? Prova a pensare se tu fossi riuscita a entrare qui quando quel mostro era ancora in vita, e…» Una pausa che sottointendeva il peggiore degli scenari, seguita da un sospiro. «Sono felice che tu ti sia preoccupata per me, ma non fare mai più niente del genere. L’unica cosa che voglio è che tu e la mamma siate al sicuro, intesi? Così non mi aiuti di certo.»
La postura severa dell’uomo si sciolse, e questi abbracciò la figlia il più forte possibile. «Comunque sia, papà non è più in pericolo.
Ora mi faccio fare una fasciatura e poi vieni a casa con me:
dobbiamo cercare qualcosa da dire a tua madre, o non ti verrà risparmiata una sonora ramanzina.»
Lei annuì, quindi sorrise e nello stesso tempo singhiozzò. Si scostò dal genitore il tempo necessario per permettere ai soccorritori di occuparsi del suo “graffio”, e mentre la tensione calava, la voce di chi la circondava si faceva più forte.
«Sono stati in parecchi ad aiutarci, ma se non fosse stato per quel classe S…»
«Quelli che si sono rifugiati nella struttura Cinque hanno detto di averlo visto combattere: una fiera.»
«Beh, se è vero che è immortale, si può permettere di ingaggiare combattimenti più spinti…»
«Quindi era proprio lui?»
«A quanto dicono i ragazzi, sì: è stato
Zombieman a salvarci.»
La giovane voltò il capo di scatto, cercando chi avesse parlato.
Quel nome…

«Eccolo! Sembra che abbia dato una mano a estrarre dei corpi imprigionati sotto le macerie della struttura Sei… e ora il lavoro è tutto nostro.»
Lei seguì l’attenzione generale, e il cuore accelerò i battiti quando i suoi occhi incontrarono la figura che avanzava in silenzio tra la gente, dicendo parole che, alla distanza in cui si trovava, non riuscì a comprendere. Avrebbe saputo riconoscere quegli occhi purpurei ovunque; e si premette una mano sul petto mentre rivedeva l’eroe proteggerla da un altro mostro, un altro incubo, in un pomeriggio freddo quanto quello.
Il suo sguardo non lo abbandonò per tutto il tempo che riuscì a fissarlo; quando poi il classe S si allontanò tra le braccia della città e svanì, la ragazza continuò comunque a sentire la sua presenza, e a versare tutte le lacrime che tratteneva dalla mattina.



«Ti prego… se continui a piangere così mi fai sentire in colpa.»
«Sembra che nessuno di voi due si renda realmente conto di quello che poteva accadere; perché non dovrei piangere?
Se penso a te, a che cosa devi avere provato… e a Umiko che non riflette abbastanza sulle sue azioni…»
«Ma ora siamo qui tutti e due; su, non hai nemmeno toccato cibo…»
«Non trattarmi come una bambina!»
«Non ti calmerai molto presto, vedo.»

Seduta un po’ distante dai genitori, la giovane ascoltava tutta la tensione della giornata liberarsi e impregnare la stanza di strilli e rassicurazioni, singhiozzi e carezze; e sorrideva stringendosi nelle sue stesse braccia, mentre la mente dettava parole intense e sentite come solo quelle di un graziato avrebbero potuto essere.
Questa volta una lettera sola non basterà per ringraziarti; è grazie a te se ho ancora un futuro, voglio che tu lo sappia
.
In me c’è qualcosa che va oltre la riconoscenza, la semplice ammirazione: è quasi un inno alla vita, a tutto ciò che gli eroi come te ci permettono di compiere con la loro veglia.
E a questo non c’è un riconoscimento adeguato se non continuare a sorridere, a sperare.


   
 
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