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Autore: JanineRyan    22/11/2017    2 recensioni
Non sono tanto brava nelle intro, ma proverò comunque...
E se il viaggio verso il Monte Fato fosse stato differente? E se la compagnia fosse stata di undici membri e non nove?
Insieme agli originari membri della Compagnia dell'Anello ne faranno parte anche due guerriere elfiche: Estryd e Alhena, figlie di Elrond di Gran Burrone.
Genere: Avventura, Drammatico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aragorn, Boromir, Legolas, Nuovo personaggio, Thranduil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mi scuso per il ritardo... ecco qui il terzultimo capitolo, spero vi piaccia!
Non ho avuto modo di inserire un flashback, ma rimedio col prossimo!
***


Frodo cercava di resistere, ma ogni passo che faceva era più difficile rispetto al precedente. Anche il più piccolo movimento, per il portatore, era diventato doloroso. Tentava di non pensare al male che sentiva… ogni muscolo gli doleva… cercava di ricordare casa sua, la Contea, e i suoi amici, perfino i parenti… ma nulla era rimasto, nemmeno un ricordo era restato nella sua mente. Erano tutti svaniti, tutti perduti. Ogni tentativo era vano; i suoi pensieri erano neri e, ogni ricordo che cercava di riposare alla luce, era solo ombra...
Aprì la bocca e, solo in quel momento, si accorse che anche parlare gli era ormai impossibile, aveva dimenticato come parlare, come formulare frasi o suoni... nella sua testa c’era solo nebbia.
Tremava, aveva freddo, nonostante l’aria fosse quasi soffocante. L’unico sollievo, l’unica cosa che sentiva era la propria mano sinistra che stringeva quella di Estryd; così calda e vera, così reale.
Guardandola riusciva a vedere quanto fosse bella, delicata, candida... l’opposto di Mordor, l’opposto di quello che ormai c’era dentro di lui.
Più la distanza dalla montagna diminuiva, più peggiorava la sensazione di oppressione che sentiva nel petto. Gradualmente, iniziò anche a non distingueva la via che percorreva e, le parole che l’elfa gli diceva, per distarlo dal peso dell’Anello, erano un ronzio indistinguibile nella sua testa.
Aveva bisogno di riposarsi, di fermarsi… ma, nonostante cercasse di parlare, dalle sue labbra non usciva nemmeno una parola, nemmeno un suono. Annaspava nel tentativo di ricordare le ragioni che l’avevano condotto in quel luogo, a Mordor... ma non ricordava nemmeno questo. L’Anello, caldo contro il suo petto, si muoveva ad ogni passo... il suo Anello... il suo prezioso Anello.
“Frodo...”
La voce di Estryd giunse remota alle orecchie del portatore; batté le palpebre un paio di volte senza svegliarsi dal torpore. Quasi si scontrò contro la bruna quando questa, senza alcun preavviso, arrestò il suo cammino.
“Sta dietro di me. Ti prometto che andrà tutto bene.” sussurrò lei, senza alcuna convinzione nel tono della voce.
Cercando di vedere oltre l’elfa, il portatore distinse solo una sagoma ricurva in avanti che si muoveva lenta verso di loro, alzando, al suo passaggio, una scia di polvere.
“È il mio tesoro!”
Quella voce… così fredda e gracchiante, si fece largo nei pensieri, tra la nebbia che regnava nella mente del portatore, destando Frodo. Conosceva quella voce, la conosceva bene e, col tempo, aveva imparato a temerla perché Gollum bramava ciò che lui aveva... Gollum voleva il suo Anello e avrebbe fatto qualunque cosa puir di riaverlo...
“Un avvertimento...” disse Estryd risoluta. “Vattene e permettici di proseguire per la nostra strada! Non ti permetterò di fermarci! Non accadrà mai!”
La principessa aveva impugnato la propria spada e, tenendola con entrambe le mani, la puntava contro la creatura. Nonostante cercasse d’essere risoluta, Estryd era molto spaventata… temeva per la propria vita e, soprattutto, per quella del proprio bambino.
“Voi non capite! No… non capite… noi lo vogliamo!” urlò Gollum, mentre si avvicinava carponi ai due. “È nostro! Ci è stato rubato dall’hobbit! Ladro! Ladro!”
“Non è tuo! L’Anello non può essere di nessuno... L’Anello obbedisce solo a una persona... a colui che l’ha creato… l’Unico Anello appartiene a Sauron! A Lui obbedisce… solo a lui va la sua lealtà!”
Approfittando della distrazione dell’amica, Frodo si allontanò da lei e, dopo aver impugnato Pungolo, avvertì il suo cervello riattivarsi nel tentativo di trovare una soluzione, di capire cosa fare per scappare da Gollum. Frodo non poteva consegnare a quell’essere il suo prezioso Anello... era tutta la sua vita... l’Anello; il suo unico pensiero, l’unica cosa che davvero gli importava… la sua ossessione! Il portatore chinò il capo…. nella sua mente si fece largo un’eventualità a cui non aveva mai pensato prima; Estryd. Magari lei voleva il suo Anello. Due contendenti volevano il suo bene più presioso! Mai l’avrebbe consegnato a Gollum… ma, d’altro canto, non poteva nemmeno consegnarlo ad Estryd... la studiò; nelle settimane passate da soli, Estryd non glielo aveva mai chiesto ma, presto, anche lei lo avrebbe voluto... l’avrebbe preso e tenuto per sé; ne era certo. Avrebbe cercato di rubarglielo anche lei.
“Frodo scappa!” urlò Estryd, voltandosi e incrociando lo sguardo del portatore, distraendolo dai suoi pensieri insani.
Quella disattenzione dell’elfa, diede a Gollum l’opportunità di attaccarla. Con un balzo scattò verso la bruna, urlando come un folle e, con le mani allungate in avanti, tentò di aggredire la giovane attaccandola al collo.
Un movimento improvviso dell’aria, fece voltare Estryd giusto in tempo per schivare l'attacco di Gollum che, rotolando su sé stesso, precipitò per alcuni metri,  schiantandosi con un tonfo contro delle rocce.
Senza perdere tempo, Estryd afferrò Frodo per il braccio libero e, senza dargli l’occasione di ribellarsi, lo trascinò lungo la via che conduceva al passaggio per il cuore del Monte Fato.
Il portatore continuava a voltarsi, voleva controllare dove si trovasse la creatura. Era solo un ladro; ecco cos’era Gollum! Un ladro che voleva il suo amato tesoro!
“Nooooo!”
Un urlo infranse il silenzio e raggiunse le orecchie di Estryd e Frodo, subito si fermarono. L’elfa si voltò; Gollum stava avanzando verso di loro, strisciando lentamente... lo sguardo fisso su di loro; nei suoi occhi, iniettati di sangue, si vedeva distintamente tutto il disprezzo che provava per lo hobbit, verso colui che reputava responsabile della perdita del suo tesoro.
Allungando la spada contro l’essere, Estryd lo intimò nuovamente: “Vattene! Non seguirci!”
Scuotendo il capo e, continuando ad avanzare verso di loro, Gollum sibilò maligno: “Non vi permetterò di rovinare tutto... noi lo vogliamo! È nostro e né un piccolo hobbit né una schifosa elfa potranno fermarci!”
Con un balzo, Gollum si scagliò contro Frodo; intenzionato a riprendersi ciò che gli apparteneva.
“Scappa!” ordinò Estryd. “Raggiungi il Monte Fato e distruggilo!”
Il portatore non riusciva a distogliere lo sguardo da Gollum... era una minaccia; quando lo vide lanciarsi contro di lui, chiuse gli occhi spaventato e si voltò, dando le spalle a Estryd. Stringendo in mano la catena e l’Unico, iniziò a correre lontano dai due e, soprattutto, lontano dal ladro che cercava di rubargli il suo Anello.
Appena la bruna accertò che il portatore era abbastanza lontano, tirò un sospiro di sollievo e, con un gesto brusco, conficcò la spada nella terra ai suoi piedi. Prese dalla cintura un nastro che teneva sempre in caso di bisogno, si legò i lunghi capelli scuri; ora era pronta per combattere al meglio senza l’ingombro della chioma.


Il sole brillava alto nel cielo azzurro e nemmeno una nuvola macchiava la sua perfetta superficie. L’aria era frizzante e soffiava leggermente verso est; nessuno pareva accorgersi di quella magnifica giornata autunnale... i raggi del sole toccavano il terreno, riscaldandolo forse per l’ultima volta prima dell’inverno. Poche miglia a nord della capitale, gli alberi perdevano le ultime foglie ormai ingiallite che, tirate dal vento, danzavano su sé stesse fino a posarsi a terra... gli uccellini cantavano allegri dai loro nidi, nascosti tra i rami, e molti animali si preparavano per affrontare il letargo cercando cibo nella foresta... a infrangere la quiete si udivano dei boati provenire da sud che attiravano l’attenzione degli abitanti del bosco, distraendoli da loro lavoro; la tensione, anche a miglia, era palpabile nell’aria... ogni tanto volgevano lo sguardo a sud, cercando di capire cosa stava accadendo, ignari che a Minas Tirith si stava combattendo la più grande guerra della Terra di Mezzo...
I campi di Pelennor si erano tinti di sangue; c’erano state già molte vittime e la guerra era solo all’inizio. Ovunque le urla di uomini ed orchi squarciavano l’aria e una leggera polvere si era alzata sul campo, rendendo difficile distinguere gli uomini di Sauron dai guerrieri di Gondor e Rohan.
Osgiliath era stata liberata dal controllo di Sauron fin troppo facilmente, l’esercito dei dannati aveva fatto piazza pulita di ogni nemico e aveva aperto un passaggio per i cinque verso il cuore del conflitto. Avanzavano correndo tra le macerie della città; le armi in mano, pronti alla guerra. Subito dopo aver conquistato Osgiliath, gli spettri avevano superato i compagni gettandosi nella mischia.
Aragorn in testa, avanzavano tra le macerie della cittadina costiera e, superati dei massi che costituivano un arco, vide Minas Tirith. In un secondo, il suo cuore gli si spezzò nel petto... la Capitale era devastata. Non c’era altra parola per descriverla... le mura erano state abbattute in vari punti e del fumo si alzava dalle sue vie... anche Boromir rimase senza parole; aveva lasciato casa sua che era bellissima ed ora... era irriconoscibile.
“Chi siete voi?” urlò una voce di un uomo. “Non potete procedere! Identificatevi!”
Alcuni soldati che stavano cercando di entrare ad Osgiliath, erano rimasti senza parole nel vedere i dannati avanzare verso di loro e superarli, lasciandoli incolumi, per raggiungere i campi di Pelennor. Non riuscivano a comprendere cosa avevano appena visto... ma poi, dalle macerie di Osgiliath, avevano visto avanzare, correndo, altre cinque figure: quattro uomini e una fanciulla.
Timorosi di incrociare nuovi nemici, avevano impugnato le armi e, il loro comandante, era avanzato verso di loro per capire le intenzioni della strana compagnia che avevano davanti. Strinse appena gli occhi, nel tentativo di distinguere i loro volti… c’erano due elfi e la donna era anche lei un’immortale… ma poi, mentre vagava da un volto all’altro, sorrise… scorse e riconobbero il volto famigliare del figlio maggiore del sovrintendente. Anche altri lo riconobbero e, additandolo, sussurrarono il suo nome... alcuni lo osservavano come fosse un fantasma; l’avevano dato per perduto, tutti loro pensavano fosse morto... Denethor era talmente convinto della perdita del figlio che aveva riferito la sua disfatta e, loro, avevano creduto alle sue parole.
Il comandate, un uomo alto con corti capelli grigi tendenti al bianco, mentre si avvicinava a Boromir, depose nel fodero la spada che teneva in mano e, togliendo l’elmo, lo abbracciò con forza.
“Che gioia riaverti qui… a casa! Tuo padre era certo della tua morte...”
“Ma, come puoi vedere, sto molto bene!” rispose ilare Boromir, ricambiando l’abbraccio dell’amico ritrovato.
“Come hai convinto i morti a venire fin qui? Come li hai convinti ad onorare l’accordo con Isildur?” chiese, sciogliendo l’abbraccio e guardando alle sue spalle l’esercito degli spettri che stava avanzando furente verso la città, uccidendo ogni alleato di Mordor che incontrasse.
“Non li ho convinti io... nulla di tutto questo è merito mio.” rispose il capitano e, voltandosi e guardando Aragorn, lo raggiunse. Posò una mano sulla spalla dell’amico e sussurrò al suo orecchio: “Siamo qui per questo. Per combattere e per salvare il nostro, il tuo popolo.”
Volgendo nuovamente l’attenzione verso le armate di Gondor, Boromir si erse imponente e, con voce profonda, tenendo una mano ben salda sulla spalla dell’amico, disse: “Amici miei e miei compagni di armi sono così felice di vedervi! Per me è un onore combattere al vostro fianco ancora una volta! Ma quest’oggi vi chiedo di affidarvi a quest’uomo. Il suo nome è Aragorn ed è l’unico figlio di Arathorn.... vi state chiedendo le ragioni che hanno portato i dannati a combattere al nostro fianco? Ebbene questo non è merito mio, ma suo! Di Aragorn! Aragorn è l’erede di Isildur ed erede al trono di Gondor!”
Un crescente vociare si alzò tra gli uomini che spostarono l’attenzione da Boromir al dunedain.
“Vi chiedo di seguirmi... di seguire il vostro Re verso la guerra, verso la vittoria e la pace!” concluse Boromir, alzando la mano con la quale stringeva la propria spada verso il cielo.
Un urlo collettivo accompagnò la sua dichiarazione, il popolo di Gondor era con lui... era con il suo legittimo Re!
Aragorn si fece avanti e, chinando il capo verso i suoi uomini, disse: “La mia vita è vostra! Fino all’ultimo mio respiro combatterò per voi, per Gondor e per ogni popolo libero di questa magnifica terra!”

I campi di Pelennor erano una distesa di orchi e uomini morti, il terreno era intriso del loro stesso sangue. Migliaia di corpi privi di vita, ormai senza un futuro, giacevano immobili… gli occhi spalancati ed un’unica espressione sui loro volti.
Avanzando verso la cittadella, Aragorn, insieme ai suoi amici e seguito dagli eserciti di Gondor, sempre più numerosi man mano la voce del ritorno del Re si diffondeva, correva con la spada donatagli da Elrond ben salda tra le mani. Non riusciva a credere che lo stavano seguendo… Gondor stava seguendo lui: il loro Re! Si voltò ed incrociò lo sguardo di Boromir che, alla sua sinistra, lo aiutava guardandogli le spalle. Poco più indietro, alla sua destra, Aragorn distinse i volti amici di Alhena ed Elladan.
Senza rallentare l’avanzata, il Re di Gondor si faceva largo con la forza tra le armate nemiche… la carne degli orchi si lacerava come burro quando veniva colpita dalla sua spada; a Gran Burrone era stato fatto un ottimo lavoro, la lama spezzata era ritornata quella di un tempo, se non migliore!
 
Legolas si era distanziato dal gruppo e, guidando i fantasmi verso nord, tentava di accerchiare gli eserciti di Mordor per impedir loro di raggiungere la cittadella o la fuga verso la terra di Sauron. A lui si erano uniti i cavalieri di Rohan che, insieme al loro Capitano Éomer, erano pronti a tutto pur di aiutare gli alleati. Il giovane principe elfico doveva molto a proprio padre; era stato Thranduil ad insegnargli l’arte del combattimento e le strategie di guerra. Era diventato molto abile, col tempo e la pratica, e solo ora se ne accorse. Con facilità, fronteggiava qualunque nemico si parasse davanti a lui, riuscendo ad abbattere da solo un olifante.
Voltandosi, Alhena vide l’azione di Legolas e, rimanendo senza parole, si fermò, ammirando la forza dell’amico. Aragorn e i suoi proseguirono senza accorgersi che la bionda era rimasta indietro... accadde allora; le urla della guerra vennero sovrastate dallo stridio di un gigantesco drago alato, nero come la pece e con la pelle ricoperta da squame. La bionda vide Éowyn porsi tra il signore dei Nazgûl e suo zio, il re di Rohan, che, ferito gravemente, era bloccato sotto il peso del suo cavallo.
Il sangue si gelò nelle vene dell'elfa. Senza perdere tempo, Alhena iniziò a correre verso l’amica, schivando i nemici che le venivano incontro, colpendoli senza fermare la sua avanzata. Lo sguardo fisso davanti a lei: doveva aiutarla, nessuno aveva sfidato un Nazgûl ed era sopravvissuto!
“Éowyn!” urlò Alhena, ormai a pochi passi dall’amica.
Ma, il suo richiamo, venne sovrastato da un’altra voce.
“Dove credi di andare, lurida elfa!”
Un possente uomo, che superava d’altezza la giovane di diversi centimetri, con la pelle dipinta di rosso e diversi anelli di metallo conficcati nella pelle del volto, si frappose tra le due amiche. A torso nudo, mostrava i forti muscoli ben scolpiti del suo torace e alcune vecchie cicatrici di guerra. Alhena si fermò, scivolando appena e facendo alzare dalla terra un po’ di polvere. Guardandolo, comprese subito che sarebbe stato arduo sconfiggerlo.
“Una donna... un’elfa sul campo di battaglia...” rise l’uomo con odio. “Adorerò penetrare e lacerante la tua carne con la mia spada...” concluse, facendo roteare l’arma davanti a lui mentre iniziava ad accorciare la distanza dalla bionda.
Alhena guardò Éowyn dietro le spalle dell’uomo; aveva appena decapitato il drago e ora stava sfidando il Nazgûl. Chiuse gli occhi e pregò i Valar che vegliassero sulla sua vita.
“Non sarò una preda tanto facile!” esclamò la principessa, volgendo l’attenzione verso il nemico.
Egli rise ancora; nei suoi anni di vita, non aveva mai visto un’elfa prima e, doveva ammettere, che l’esemplare che aveva davanti era davvero meraviglioso. Forse non l’avrebbe uccisa, forse l’avrebbe condotta nelle sue terre e l’avrebbe fatta sua... il solo pensiero lo eccitò...
“Mostrami dunque la tua forza, giovane elfa!” la sfidò, fingendo cavalleria.
Stringendo con forza la propria spada, Alhena si scagliò contro l’uomo che, prontamente, parò il colpo della giovane. La forza dello scontro tra le due armi fu talmente forte che produsse delle scintille; sorpreso, ammise con sé stesso che aveva sottovalutato la giovane elfa. Era forte... ed anche abile con la spada; riusciva a schivare i suoi attacchi, anche i migliori, con facilità… come se prevedesse le sue mosse… sorrise nuovamente: ogni futuro istante vissuto con lei ne sarebbe valsa la pena.
La risata maligna del Nazgûl, raggiunse le orecchie dell’elfa che, per un solo secondo, si distrasse dal suo avversario. Éowyn stringeva la spada con una mano, la punta della lama sfiorava l’erba... un braccio stretto al petto; era ferita! Approfittando di questa distrazione, l’uomo afferrò della terra ai suoi piedi e la gettò negli occhi di Alhena.
La giovane urlò, portando istintivamente entrambe le mani agli occhi, lasciando cadere la spada che colpì il terreno con un tonfo. L’uomo, con passo spavaldo, si avvicinò alla bionda e, prendendola per i capelli, la schiaffeggiò con forza, facendole perdere l’equilibrio e cadere.
Ignorando la situazione attorno a lui, ignorando gli spettri che stavano distruggendo le armate di Mordo, l’uomo la sovrastò e, chinandosi, le sfiorò il viso con una mano, scendendo fino a toccarle i seni.
“Adoro le gatte selvatiche...” le sussurrò nell’orecchio.
Alhena urlò ancora, divincolandosi con energia e cercando di allontanarlo da lei. L’uomo la colpì nuovamente in volto, facendole voltare il capo... aveva il sapore del sangue in bocca e sentiva che gli stava colando dalla bocca sulla guancia... teneva gli occhi chiusi, le bruciavano ancora... con le mani tastava il terreno attorno a lei, mentre le viscide mani dell’uomo toccavano con forza il suo corpo.
Piegandosi contro la giovane, le sussurrò all’orecchio: “Sei così bella... senti cosa mi fai!” concluse posando l’inguine al corpo della giovane, per farle sentire il proprio membro duro.
Alhena stava perdendo la speranza... le sue mani toccavano solo terra, arbusti spezzati e fili d’erba… nulla che potesse esserle d’aiuto… degli orchi corsero accanto a loro e, uno di loro, calciò un sasso che, rotolando si fermò contro le dita di Alhena. Il cuore le esplose nel petto quando lo sfiorò; piegando il capo, a fatica aprì gli occhi e distinse quello che sembrava una pietra... non troppo grande, ma sufficiente per afferrarla e colpire l’uomo... cercando di allungarsi il più possibile, tentò di avvicinare il sasso facendolo rotolare... doveva prenderlo… non si sarebbe arresa senza lottare!


Aragorn raggiunse il cancello, distrutto sotto il peso di un ariete abbandonato accanto all’ingresso. Senza quel cancello nulla avrebbe fermato i nemici nella loro avanzata verso il palazzo. Quella che avevano distrutto, era l’unica via di accesso che portava oltre le mura di Minas Tirith. Mentre avanzava con i compagni, abbattevano chiunque li sfidasse; si sentiva forte grazie anche al loro sostegno. Sapeva che, senza di loro, senza i suoi amici, non sarebbe mai arrivato fino a Gondor; era grato loro, gli avevano dato la forza per arrivare dov’era, sostenendolo e incoraggiandolo.
Sentiva alle sue spalle la battaglia che si stava consumando... si voltò e vide che le truppe di Mordor stavano ripiegando; scappando, senza successo, dagli spettri. Pochi coraggiosi orchi erano rimasti a combattere, ma venivano soppraffatti con facilità dai cavalieri di Rohan, guidati da Éomer.
Aragorn aveva un altro compito; seguito dai fedeli amici e dagli uomini di Gondor, doveva ripulire le strade di Minas Tirith dagli invasori che avevano superato le alte mura di pietra e che stavano avanzando indisturbati per le vie della città, uccidendo chiunque incontrassero.
Le donne ed i bambini si erano rifugiati dietro le seconda mura, costruite all’interno della cittadella. Quest’accortezza aveva salvato loro la vita... le seconde mura erano state edificate per proteggere gli indifesi in caso di attacco, qualora il grande cancello fosse stato abbattuto.
Dividendosi in gruppetti da dieci uomini, Aragorn e i suoi si separarono in modo tale da poter coprire un più vasto terreno. Correndo per le vie di Minas Tirith, gli uomini inseguirono e uccisero gli orchi che incontravano; non concedevano a nessuno di loro la pietà perché, nemmeno loro, gliel’avrebbero concessa. In meno di un’ora, avevano ripulito le strade e avevano raggiunto il secondo cancello che, con gioia, scoprirono essere ancora intatto.


La guerra era ormai vinta; Legolas, guidando gli spettri, aveva fatto ripiegare le armate di Sauron e, senza lasciar loro scampo, li avevano seguiti, raggiunti ed uccisi. Senza l’aiuto dei dannati non avrebbero mai potuto sconfiggere il nemico, di gran lunga più numeroso.
Anche quando l’ultimo orco e uomo fedele a Mordor cadde a terra, privo di vita, il principe di Bosco Atro si sentì al sicuro. Dopo secoli vissuti nella paura costante della guerra, ora l’avevano combattuta e l’avevano perfino vinta.
“C’è l’abbiamo fatta!” esclamò Éomer, tenendo il proprio cavallo per le redini, mentre si avvicinava all’elfo.
Legolas annuì sorridendo; non aveva e non trovava parole per esprimere la gioia che aveva nel petto. Volse lo sguardo al campo di battaglia e vide ciò che quella vittoria era costato loro… vide quello che avevano perso, si scontrò con la morte ed il sacrificio che si era compiuto per la pace… vide i corpi di migliaia di soldati, migliaia di vite spezzate... quelle immagini rabbuiarono il suo animo ma poi vide qualcosa che non si aspettava; scorse Alhena, stesa a terra, supina, ferma... i capelli sciolti aperti attorno al suo volto, non la vedeva chiaramente in viso...
“Alhena…” sussurrò. Un uomo del sud, un alleato di Sauron, era chinato sopra di lei... grosso almeno il doppio della bionda e possente di corporatura.
“Alhena!” la chiamò, urlando.
Un solo pensiero attraversò la mente del principe, un brivido lungo la schiena: non poteva... non poteva essere morta...!


“Cosa credevi di fare sciocca ragazzina?”
L’uomo aveva fermato il braccio di Alhena prima che potesse stringere la pietra.
“Credevi davvero di potermi colpire?”
I rumori della battaglia erano terminati e, poco distante, la bionda vide Éowyn sconfiggere il Nazgûl... non lo credeva possibile ma, da sola, Éowyn c’era riuscita dove molti valorosi guerrieri avevano fallito.
Chiuse gli occhi... era così stanca... l’uomo la colpì una terza volta, con ancora più forza.
“Credevi davvero di essere migliore di me?! Lo credevi davvero?” urlò, mentre alzava il braccio per l’ennesima volta.
Alhena chiuse gli occhi, pronta a ricevere un altro colpo che, però, non arrivò. Lentamente dischiuse gli occhi e rimase senza parole... una freccia spuntava dal petto dell’uomo; tossì e un rivolo di sangue si fece largo sul suo mento, sporcandogli il volto... con occhi pieni di sorpresa, chinò il capo ed osservò la punta metallica, sporca del proprio sangue, uscire dal suo torace. L’uomo tossì nuovamente, sporcando il volto dell’elfa di macchioline rosse. Una seconda freccia lo trapassò, leggermente più a destra rispetto alla precedente.
Si alzò, tremante dal dolore e dalla rabbia; voltandosi, cercò di capire da dove provenissero le frecce... di capire chi avesse osato colpirlo!
Alhena si alzò a sedere e, muovendosi lentamente, senza far rumore, prese dalla cintura che l’uomo portava in vita il suo pugnale. Si accorse subito che era stato derubato della propria arma, si voltò ma, con un movimento abile di polso, Alhena lo ferì alla caviglia tagliandogli i legamenti.
L’uomo urlò di dolore e, non sopportando più il proprio peso, posò per terra la gamba ferita. Il suo sguardo si incrociò con quello di Alhena che, senza battere ciglio, si alzò in piedi. Si spaventò nel vedere gli occhi impassibili dell’elfa e il suo volto sporco di sangue contratto dall’odio.
“E se, invece, ora io mi divertissi un po’ con te?” gli sussurrò lei, piegandosi in avanti e accostando il viso all’orecchio del nemico.
L’uomo, spaventato, non rispose; spostò lo sguardo dalla giovane immortale a un secondo elfo, anche lui biondo, che, con arco in mano, aveva raggiunto l’amica.
“Alhena...” disse Legolas, scuotendo il capo appena intuì le sue intenzioni. Poteva comprendere il grande odio che in quel momento provava, ma non poteva permettergli di commettere un’azione simile... avrebbe corrotto la sua anima...
“Ma sei fortunato...” continuò Alhena, gettando per terra il pugnale dell’uomo. “Non sono quel genere di persona… mi reputo migliore di te e, dunque, ti concedo una morte veloce.”
Guardò Legolas ed annuì; l’elfo comprese che la principessa non voleva sporcarsi le mani del sangue di quello schifoso... non meritava tanta attenzione... porse l’arco ad Alhena e, prendendo la propria spada, si avvicinò all’uomo. Iniziò a supplicare pietà ma, ogni sua preghiera, fu vana. La spada tagliò l’aria e, con un colpo secco, lo decapitò.


“Ti concedo ancora un’occasione...” disse Estryd. “Frodo, per qualche ragione, ha a cuore il tuo destino... vede in te quello che lui potrebbe diventare...”
Gollum sputò per terra e, carponi, continuò ad avvicinarsi all’elfa.
Estryd indietreggiò di un passo, senza perderlo di vista... sentiva i passi di Frodo alle sue spalle... camminava e, a tratti, perfino correva verso il passaggio.
“Mia sorella è stata buona con te!” esclamò l’elfa, cercando di prendere tempo. “Ti ha aiutato in passato... Alhena ti ha aiutato a fuggire dalla tua prigione...”
La creatura scosse il capo, come se volesse scacciare un pensiero.
“No!” urlò. “Tu cerchi di confonderci!”
“Affatto! Sto cercando di aiutarti! Per favore!” lo supplicò Estryd. Volontà più ferree di quella di Gollum erano state corrotte dall’Anello... meritava un’opportunità, una seconda occasione.
“Aiutarci?” ripeté.
“Si! Cerco di aiutarti...” ribadì Estryd, abbassando l’arma. “Non voglio farti del male ma devi capire che stiamo facendo la cosa giusta! Gettare l’Anello nel Monte Fato è la cosa giusta da fare!”
“Gettare l’Anello vuol dire...” Gollum prese tempo, chinando il capo. “Distruggerlo!” concluse con rabbia nella voce e, saltando verso l’elfa, urlò l’odio che provava verso quella creatura che aveva davanti e che voleva togliergli per sempre il suo Anello.
Accadde in un secondo; Estryd alzò la spada sopra la propria testa e, schivando di lato la creatura, attese che fosse al suo fianco per poi colpirlo con tutta la forza che gli restava.
La lama trafisse Gollum alle spalle, fermandosi solo quando si scontrò contro la spina dorsale… l’elfa rimase in piedi, la spada ancora conficcata nel corpo esanime della creatura… respirava con affanno e, poi, cadde a terra, stremata. Osservò il corpo di Gollum; i suoi occhi la fissavano aperti, ormai privi di vita.
Portando le mani al volto, chiuse gli occhi e, cercando di riprendere il controllo, si imponeva di respirava più lentamente… ma il cuore le batteva come un tamburo nel petto... si sfiorò il ventre, quel gesto la calmava sempre… sorrise: c’è l'aveva fatta!
Non attese che pochi secondi prima di alzarsi e seguire Frodo; doveva accertarsi che l’Anello fosse distrutto e, questa volta, per sempre.

Il passaggio scavato nella pietra del Monte Fato era antico; costruito da Sauron stesso secoli addietro quando aveva forgiato dalle sue fiamme l’Unico. Questo passaggio, a forma di arco, conduceva ad un ponte scavato nella roccia che avanzava fino al cuore della montagna. La luce, che proveniva dalla lava sotto di loro, tingeva ogni cosa di rosso e l’aria odorava di zolfo.
Estryd avanzò lentamente, il fumo era fitto e faticava a distinguere ciò che aveva davanti.
“Frodo!” urlò a gran voce, cercando di sovrastare il boato che proveniva dal cuore del Monte Fato.
Attese alcuni istanti, ma non ottenne risposta. Avanzò ancora, lentamente, guardandosi attorno con attenzione.
“Frodo!” urlò nuovamente.
Fece altri due passi e lo vide; vide una figura ferma, pochi metri davanti a lei. Doveva essere il portatore... accellerò il passo e, raggiunto lo hobbit, si inginocchiò ai suoi piedi. Lo  afferrò per le spalle e lo guardò in volto... sembrava dormire, perso nell’oscurità dei suoi pensieri… l'anello lo stava uccidendo.
L’elfa lo strattonò con forza, chiamandolo più volte per nome, ma nulla. Frodo continuava a guardare l’Anello, facendolo roteare tra le dita.
Estryd afferrò l’amico per il volto e lo alzò, incrociando il suo sguardo.
“Ascoltami amico mio... ascolta la mia voce...” disse con dolcezza. “Ti ricordi di me? Sai chi sono io?”
Frodo rimase fermo, le parole dell’elfa parevano non raggiungerlo.
“Sono Estryd e siamo amici... ricordi? Ci siamo conosciuti a Gran Burrone e abbiamo viaggiato fino ad arrivare qui... a Mordor... ricordi Sam? Aragorn, Legolas? Ricordi Boromir? Mia sorella Alhena? Mio fratello Elrohir?”
Il portatore rimase impassibile.
“Ricordi perché siamo qui?”
“L’Anello...” sussurrò Frodo con un filo di voce.
“Si! Per l’Anello!” gli fece eco l’elfa, entusiasta.
“Noi… credo che dobbiamo distruggerlo...” continuò Frodo.
“Si... siamo qui per questo!” esclamò entusiasta. “Gettalo e ogni cosa finirà! Gettalo e potremo tornare a casa... ricordi casa tua? La Contea?”
Frodo scosse il capo: “Ci ho provato... per giorni a ricordarla...”
“Getta l’Anello e ogni cosa tornerà!”
Lo hobbit chinò il capo osservando l’Anello; una voce nella sua testa, una voce remota e debole, gli sussurrava di distruggerlo... che questa era la scelta giusta... ma Lui... l’Anello non voleva... era forte... così forte che cosa poteva un piccolo hobbit contro esso?
“Frodo, distruggilo e ricorderai ogni cosa... vedrai ancora il bello nel mondo...”
Estryd guardava il portatore, gli occhi colmi di lacrime... non poteva aver rischiato la sua vita per arrivare fin lì e fallire.
“Frodo...”
Il nome del portatore suonava come una supplica.
Frodo guardò la bruna negli occhi e, lentamente, alzò un braccio, sfiorandole il viso sporco di cenere e asciugandole una lacrima. Quel contatto smosse qualcosa nel profondo dello hobbit che, stringendo l’Unico nell’altra mano, superò Estryd fino a raggiungere la fine del ponte. Si voltò e, guardando l’elfa negli occhi, allungò il braccio nella cui mano stringeva l’Anello.
“Finirà ogni cosa?” domandò, la voce colma di dolore e disperazione.
“Solo le cose brutte.” lo rincuorò Estryd, sorridendogli.
Il portatore aprì il palmo della mano ed osservò per l’ultima volta l’Anello... quel piccolo, e all’apparenza, innocuo oggetto che l’aveva privato di così tante cose... l’Unico cadde nel baratro, quasi a rallentatore... Frodo lo osservò attentamente... era finita! Era tutto davvero finito!
Estryd, correndo, raggiunse l’amico e lo abbracciò con forza. Non ci credeva, ancora non le sembrava vero! Era finita! L’Unico era stato distrutto e, con esso, anche Sauron avrebbe perso ogni potere!


La guerra era dunque finita e, sorprendentemente, i popoli liberi avevano ottenuto una vittoria schiacciante. Avevano lottato, sacrificando le loro stesse vite ed ora avevano vinto… avevano sconfitto Sauron! La vittoria, conquistata tanto faticosamente, era stata meritata.
Alhena chinò il capo, guardando il corpo dell’uomo decapitato ai suoi piedi... gli occhi spalancati che la fissavano privi di vita. Non si sentiva in colpa per la sorte da lui subita; era una persona orribile. Sorridendo si guardò attorno, parando con la mano i raggi del sole che colpivano i suoi occhi.
I campi di Pelennor, svuotati dopo la battaglia, erano irriconoscibili; i dannati erano scomparsi, avevano ottenuto la libertà e il riposo eterno. Le carcasse degli olifanti stavano bruciando e, solo le urla di mogli, madri, figli, amici interrompevano il silenzio mentre chiamavano a gran voce i nomi del loro cari.
Legolas, avvicinandosi alla bionda, le posò sulle spalle il mantello che portava. Guardandola era evidente che era ancora sconvolta; le tremavano le gambe e le mani ed il suo volto era sporco di sangue e terra... gli occhi gonfi di lacrime che scendevano lente lungo le sue guance.
“Sei ferita... dobbiamo curarti.” sussurrò, prendendola per mano.
Alhena però non si mosse, continuava a guardare le figure degli uomini e donne attorno a lei... sentiva il loro dolore, lo riusciva a comprendere.
Volse l’attenzione a Legolas e, con voce rotta, chiese: “Dove saranno Elladan? E Boromir? Aragorn? Li hai visti?”
Il biondo scosse il capo.
“Non da quando ci siamo separati ad Osgiliath... ti credevo con loro...”
“Io...”
La voce si spezzò nella gola dell’elfa.
“Vieni... andiamo a cercarli... saranno preoccupati per noi... soprattutto Elladan.”
Con dolcezza Legolas la prese in vita e, voltandosi verso Minas Tirith, iniziarono a camminare.
Un rumore alle loro spalle attirò l’attenzione di Alhena che si voltò; Éomer aveva trovato la sorella e la stava sollevando da terra. La vide muoversi e abbracciare il fratello col braccio non ferito; quell’immagine di gioia riscaldò il suo cuore.
“Grazie...” disse la bionda, fermandosi e incrociando lo sguardo dell’amico.
Legolas non rispose, carezzò il volto della principessa e, deciso a dirle la verità, sostenne il suo sguardo.
“Alhena io...”
“Come stai?” chiese l’elfa interrompendolo, quando  Éomer ed Éowyn li raggiunsero.
Il cavaliere la stava portando verso la cittadella, al loro seguito c’erano alcuni Rohirrim che, spostato il cavallo morto, avevano deposto il corpo del loro amato Re su delle assi di legno per condurlo a Minas Tirith.
Alhena raggiunse l’amica e, sottraendosi dalla presa di Legolas, carezzò il suo volto, spostandole i capelli dagli occhi. Era ferita ma, fortunatamente, non gravemente.
“Éowyn...” sussurrò Alhena.
La ragazza alzò il capo e sorrise alla bionda.
“Ce l’ho fatta...” disse senza voce.
“È debole... la sto conducendo alle Case di Guarigione...” s’intromise Éomer, procedendo verso la città.
Rimasta sola con Legolas, Alhena si lasciò cadere per terra e, sdraiandosi supina, osservò il sole e lasciò che i suoi raggi le scaldassero il viso. Il giovane principe si stese accanto a lei; era una bella giornata... la prima dopo molte.


Un boato assordante fece tremare la terra sotto i piedi di Estryd e Frodo; il Monte Fato stava urlando, la lava iniziò a muoversi sotto di loro... la montagna stava eruttando.
Afferrando lo hobbit per un braccio, l’elfa iniziò a correre verso il passaggio che li aveva condotti nel suo cuore, non aveva previsto una tale eventualità. Sentiva alle sue spalle dei crescenti rumori che venivano accompagnati da terremoti... pezzi di roccia si staccavano dalla montagna, cadendo nella lava prima di venir inghiottiti dalla stessa... videro la torre che sorreggeva il grande occhio di Sauron crollare, cedere sotto il peso della sconfitta. Mordor esisteva ancora grazie all’Unico e questo era stato distrutto.
“Estryd! Frodo!”
Fermandosi, i due si voltarono alla loro destra; videro Sam trascinare Elrohir, lo hobbit sorridente agitava un braccio per farsi vedere.
Un morso allo stomaco, fece temere il peggio ad Estryd; suo fratello era insieme a Sam, ma non si muoveva. Era stato trascinato dallo hobbit fin lì, la bruna lasciò la presa dal braccio di Frodo e corse verso di loro.
“Sta male... non riesco a curare il veleno che ha nel corpo! Deve aver raggiunto il sangue...” disse Sam, preoccupato guardando il giovane elfo.
Era pallido e tremava, aveva gli occhi lividi e respirava a fatica.
“Dobbiamo scappare!” si intromise Frodo, una volta raggiunti e accennando al Monte.
La lava strisciava verso di loro, prendendo sempre più velocità e divorando qualunque cosa incontrasse.
Guardandosi attorno, Estryd non vedeva una via di fuga; erano in trappola. Chinò il capo osservando il fratello e i due hobbit... doveva trovare una soluzione... non poteva finire così! Il viso di Boromir avanzò nella sua mente, non l’avrebbe più rivisto... non avrebbe più potuto dirgli quanto lo amava... 
“Laggiù!”  urlò Sam, indicando delle pietre abbastanza alte da poter sfuggire dalla lava.
Aiutandosi a vicenda, raggiunsero e si arrampicarono sui massi giusto in tempo per sfuggire dal pericolo imminente.
Frodo era sdraiato e stava male, l’influenza dell’anello era più grande di quello che tutti loro pensavano. Annaspava e tossiva, sembrava sul punto di vomitare ma il suo stomaco era vuoto. Estryd gli passò la borraccia che conteneva ancora qualche goccia di liquido, Frodo la bevve avido... ne aveva proprio bisogno...
“Come faremo ad andare via?” chiese Sam a bassa voce, avvicinandosi all’elfa.
“Non so. Quanto cibo avete con voi? E l’acqua? L’avete?”
Lo hobbit scosse il capo; per poter trasportare Elrohir aveva dovuto abbandonare il proprio zaino.
Estryd chiuse gli occhi, cercando di mantenere la calma... la lava, che scorreva veloce attorno a loro, illuminava a giorno Mordor. Il cielo era ancora scuro; la coltre di nuvole, che perennemente sovrastava quella terra, iniziava a diradarsi ma il fumo che fuoriusciva dalla montagna impediva comunque al sole di raggiungerli.
“Verrà qualcuno?” domandò Sam, insistente anche se nel suo cuore conosceva già la triste risposta.
“Qualcuno verrà... le armate di Sauron sono andate a Gondor per combattere... qualcuno, alla fine, verrà...” concluse senza alcun entusiasmo.
La mano di Frodo sfiorò il braccio della giovane, Estryd lo guardò.
“Ora ricordo...” sussurrò, con un gran sorriso sul volto sporco di cenere. “Ora ricordo ogni cosa... ricordo casa mia... e ricordo i colori dell’erba e il profumo dei fiori... ricordo il sapore del cibo... ricordo ogni cosa...!”
Ricambiando il sorriso dello hobbit, Estryd prese la sua mano nelle sue. Sarebbero stati insieme, loro quattro fino alla fine.


Il boato che provenì da est raggiunse Gondor, fecendo tremare la cittadella e molte miglia ancora dopo questa.
Gandalf, raggiunse correndo Aragorn fino al giardino fuori il palazzo di Minas Tirith e, entrambi, volsero lo sguardo a Mordor. Riuscivano a vedere, tra le nuvole cupe sopra quella terra, il bagliore prodotto dal Monte Fato che stava eruttando.
“Ce l’ha fatta... Frodo ha distrutto l’Anello.” disse Gandalf, commosso.
Aragorn non disse nulla, nessuno sarebbe sopravvissuto a tanta violenza...
“Se è ancora vivo devo andare...” continuò lo stregone.
Il Re annuì; non avrebbero abbandonato i loro amici a morte certa, se c’era anche solo una possibilità dovevano andare a salvarli.


Il fumo della montagna rendeva difficile respirare; il caldo era insopportabile e gli schizzi della lava che si infrangeva contro le pietre sulle quali erano saliti, ustionava la loro pelle.
Più le ore passavano, sempre più velocemente i quattro  vedevano la speranza di essere salvati svanire. Ormai erano trascorse un paio d’ore dalla distruzione dell’Unico e ancora nessuno era venuto in loro soccorso. Estryd, anche se non lo avrebbe mai ammesso a voce alta, iniziava a temere che la battaglia a Gondor fosse stata persa...
“Guardate!” urlò Frodo, additando il cielo verso ovest es alzandosi in piedi. “Guardate! Laggiù!”
Estryd e Sam guardarono nella stessa direzione; l’elfa vide subito cosa stava avanzando verso di loro.  Sorrise e raggiunse il fratello poi, chinandosi verso di lui, gli sussurrò all’orecchio: “Tieni duro, Elrohir... tieni duro... ora ogni cosa andrà bene.”
Alcuni istanti dopo Sam esclamò colmo di gioia: “Sono loro! Sono loro!”
“Arrivano le aquile!”

 
  
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