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Autore: Haney Jardin    23/11/2017    2 recensioni
Lo aveva detto dal primo momento in cui aveva visto Itachi, che un giorno sarebbe andato tutto bene. Ma quando quel giorno arrivò, realizzò di trovarsi già all'inferno. Come un ossimoro, entrambi erano legati dall'amore così come dalla morte, e, alla fine del loro gioco letale, qualcuno rischiava di farsi davvero tanto male. Ma anche ferita mortalmente, perdersi nei suoi occhi andava oltre l'amore. Oltre la morte. Perché, così Sakura diceva, sbagliare in quell'amore tossico la faceva sentire viva, come se fosse meglio della vita stessa.
Tratto dalla storia:
''Se io tornassi indietro, ripeterei sempre gli stessi errori, lo sai, vero?'', lo guardai immergendomi nella notte dei suoi occhi.
''I tuoi errori sono un ossimoro, Sakura'', mi regalò un sorriso composto e rigido, pensando quasi di avermi colta alla sprovvista. Io invece non mi scomposi.
''Un po' come noi due insieme, non trovi?'', ancora una volta, ero sicura di essere morta perdendomi dentro di lui. E, di nuovo, il suo sguardo e i suoi occhi mi salvarono dalle nostre tenebre. Io morivo, lui viveva per me. Io mi perdevo, lui mi riportava in superficie. Amore e morte. Io e lui. Ossimoro della morte.
Genere: Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Naruto prima serie, Naruto Shippuuden
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II.  Lo sguardo che mente.

 


Cominciare non è facile; trovare un punto di partenza nemmeno. La verità è che la mia condanna è cominciata nel momento in cui ho guardato negli occhi la prima volta lui, ma tornare a ritroso nel tempo mi fa capire quante strade ho scelto di ignorare, prima di arrivare a tutto questo.
Partendo da tanto tempo fa, per esempio. Dopo quell’incontro, infatti, cominciò la mia vita a Konoha e sembrava davvero promettere bene. Entrai in Accademia, una delle più prestigiose scuole dei Cinque Grandi Paesi Ninja; mi impegnai molto per affrontare i test di selezione dei chunin e strinsi amicizia con gli altri studenti della mia classe.
Capitai nel Team 7, un numero che non potrò mai scordare, così come non potrò mai dimenticare i miei due compagni di squadra: Naruto Uzumaki e Sasuke Uchiha. Il primo lo conoscevo perché me ne avevano parlato i miei genitori: prima di trasferirci, mi raccontarono di un incidente capitato anni prima al Villaggio della Foglia, in cui molte persone avevano perso la vita a causa di Kyūbi, un demone a nove code che aveva devastato il posto e che fu fermato solo grazie all’intervento del quarto Hokage, deceduto successivamente per la causa. Nella storia c’entrava Naruto poiché ne era diventato la forza portante, e la bestia venne sigillata per sempre dentro al suo corpo. Per questo motivo, quasi tutti lo consideravano una presenza negativa, e quasi tutti lo denigravano; i miei genitori mi dissero semplicemente di fare attenzione, ma che era un bambino come un altro e che non potevano prendersela con lui solo perché era un jinchūriki.
Io, naturalmente, andai oltre tutto questo e ci strinsi subito amicizia. Notai quanto fosse diverso da me: era così estroverso, aperto verso ogni tipo di iniziativa, gli piaceva fare amicizia e mettere di buon umore le persone. E tutto quel male che lo aveva accompagnato per l’intera vita sembrava solo un modo in più per diventare forti e coraggiosi, come solo lui poteva esserlo.
Così mi fece sentire a mio agio sin da subito, per quanto mi seccassero alcuni suoi atteggiamenti, come l’essere troppo invasivo o la morbosità che mi dimostrava. Di contro, il team era calibrato dall’altra faccia della medaglia: Sasuke Uchiha. Quando venni a sapere del suo cognome, subito pensai se fosse imparentato con Itachi Uchiha; si assomigliavano così tanto, e per poco non mi venne un colpo quando lo vidi per la prima volta. Era bello, su questo non c’erano dubbi, ma la cosa che più mi affascinava era quel suo alone misterioso che indossava un po’ come scudo, un po’ per il carattere chiuso. Imparai sin da subito che con lui non potevo scherzare, non potevo sentirmi liberamente me stessa, bensì dovevo attenermi ad una certa rigidità e così, forse, avrei avuto modo di avvicinarmelo di più. Oltre a ciò, realizzai anche di quanto me ne fossi perdutamente innamorata. Ci volle un po’ per capirlo, ma dopo la formazione dei team, si creò una sorta di dipendenza dalla quale non riuscivo più ad uscirne. La verità è che mi piaceva stare in sua compagnia; mi piaceva l’effetto che mi faceva quando mi rivolgeva la parola e questo mi portò a capire di esserne davvero innamorata. D’altronde, era uno dei ragazzi più carini in Accademia e soprattutto uno dei ninja più promettenti dell’intero Villaggio.
Al centro della bilancia c’ero io, che reggevo due caratteri totalmente contrastanti fra di loro: ero definita la più mite, la più ragionevole, la più equilibrata fra i tre e cercavo di gestire gli altri due da potenziali sfide e scontri. Così, piano piano, io, Naruto e Sasuke diventammo davvero inseparabili.
Un giorno, quando a scuola furono annunciate le date di selezione dei chunin, l’Uchiha chiese a me e Naruto di raggiungerlo a casa per discutere delle prove, avendo avuto delle indicazioni da parte di Kakashi, il nostro sensei. Io ero eccitatissima e mi ricordo ancora di quanto il mio cuore battesse forte mentre mi dirigevo verso la sua abitazione.
Il quartiere era lo stesso in cui mi ero imbattuta settimane prima; pensai inevitabilmente a quel ragazzo che mi aveva accolta con quel sorriso così rassicurante, e mi venne da ridere al pensiero che magari lo avrei di nuovo incontrato, nella stessa situazione e nello stesso posto. A quel punto, fiera, gli avrei risposto: ‘’Vado a casa di Sas’ke Uchiha!’’.
Alla fine non lo incontrai, ma arrivai sana e salva dove mi era stato indicato, e decisi di bussare al portone. Mi aprì una donna bellissima, che ricordavo di aver visto il primo giorno in Accademia: era la madre di Sasuke, Mikoto Uchiha.

‘’Salve, sono Sakura Haruno’’.
‘’Accomodati pure Sakura, io sono Mikoto, la madre di Sas’ke; entra… ti aspettavamo!’’. Mi sorrise facendomi sentire addirittura in imbarazzo, ma era così gentile che non potei fare altro se non ringraziarla.
Di quel clan sapevo poco e niente, ma i miei genitori mi avevano spiegato che gli Uchiha erano importantissimi e fondamentali per il Villaggio: facevano parte della polizia militare della Foglia, e gestivano le cose insieme all’Hokage; sapevo, per tanto, che erano bravissimi ninja e possedevano anche una bellezza particolare. Su questo non c’erano dubbi, avendolo già constatato il primo giorno in cui avevo incontrato lui.
Mikoto mi fece entrare nel giardino della villa: era così grande e immenso; il verde circondava ogni cosa ed emanava una splendida sensazione di freschezza. C’era un sentiero tracciato, il quale portava all’ingresso di un terrazzino. Arrivammo lì e la donna aprì la porta di casa, mi accompagnò per un corridoio lungo e grande, finché non arrivammo davanti ad una stanza.
‘’Sas’ke?’’. Silenzio.
‘’Sono sicura non ci abbia sentite, tu entra pure’’. Io feci cenno di aver capito, e lei mi lasciò lì, regalandomi nuovamente un sorriso bellissimo, di quelli che, per quanto possano darti sicurezza, ti fanno sentire ancora più piccoli e fragili di prima.
E quanto entrai, mi pietrificai all’istante. Nella stanza non c’era traccia di Sasuke, ma c’era lo stesso ragazzo che avevo incontrato tempo prima nello stesso quartiere: Itachi Uchiha. Allora mi fu chiaro che, per quanto i due si assomigliassero, lui doveva essere per forza suo fratello.
‘’S-scusa, pensavo di trovare Sas’ke-kun’’. Mi morsi un labbro, imbarazzata più che mai.
‘’Tu sei quella dell’altra volta, non è vero?’’. Divenni rossa in viso, ma cercai di annuire un sì con la testa. Lo osservai mentre puliva un kunai, seduto ai piedi del suo tatami, con addosso una maglietta nera ed una tuta. Nonostante il suo aspetto semplice, sembrava lo stesso bellissimo.
‘’Questa volta sei riuscita ad arrivare qui… ma ti sei persa in casa!’’, scoppiò a ridere, pensando che io facessi altrettanto, quando l’unica cosa che avrei voluto fare davvero era quella di sprofondare totalmente sotto terra.
‘’Vieni, ti accompagno da Sas’ke; è in giardino’’. Si alzò e mi sfiorò una spalla; a me invece vennero i brividi.
‘’Mio fratello mi ha parlato di te… sei Sakura Haruno?’’. Perché mai Sasuke avrebbe dovuto parlare di me a suo fratello? Aggrottai un sopracciglio e divenni seria in viso, perché mi mancavano le parole e continuavo a pensare a cosa poter dire.
‘’Sai, Sas’ke me ne parla perché va molto fiero dei suoi compagni di team, dice che avete ottime qualità’’.
‘’N-non sapevo che Sas’ke-kun pensasse questo, di noi…’’. Allora sorrisi, e lui mi fissò le labbra.
‘’Sei la figlia dei famosi oinin del Villaggio della Nebbia, non è vero?’’.
Questa fu una domanda insolita, che mi colse alla sprovvista e che nemmeno mi piaceva, ma mi limitai ad annuire, senza aggiungere altro. Lui sembrò pensare a qualcosa, ma rimase composto e non mi chiese nient’altro.
‘’Ecco, Sas’ke si trova lì con Naruto Uzumaki’’, mi indicò i due stesi sul prato, nel giardino dell’abitazione. Io lo ringraziai e Itachi se ne andò senza proferire un’altra parola; quando mi lasciò lì, sentii come se tutta la tensione si fosse sciolta, come se avessi avuto una paralisi e me ne fossi liberata solo in quel momento. Cercai di non pensarci e raggiunsi i miei amici.
‘’Sei in ritardo’’, esclamò Naruto, sorridendomi. Sasuke si limitò a fissarmi, come aveva fatto il fratello prima in camera. Così capii che gli Uchiha dovevano davvero essere degli ossi duri, e che difficilmente lasciavano trapelare un qualche tipo di emozione verso e con gli altri.
Ma la dura verità venne fuori solo dopo aver rotto le loro maschere, e questo errore lo ripagai anni più tardi.


***


Gli esami per diventare chunin arrivarono molto velocemente e il primo fu un successo. Il secondo, invece, fu uno dei più difficili, e probabilmente segnò per sempre il resto della mia vita.
Mi trovavo nella Foresta della Morte, insieme ai miei compagni di team. Come aveva spiegato Kakashi a Sasuke, la prova consisteva nell’affrontare altri team, ma era tutto quello che avevamo ottenuto come informazione, e quando ci trovammo ad affrontare il test, ci rendemmo conto di quanto sarebbe stata realmente dura. Io tremavo come una foglia e non volevo darlo a vedere, ma sapevo che anche gli altri se ne fossero accorti.
Una volta entrati, fummo attaccati quasi subito da altri genin, anche se ce la cavammo discretamente. In realtà io non agii molto; prevalentemente Sasuke si impegnò nel proteggere il nostro rotolo e a dimostrare tutte le sue abilità ninja.
Ed io mi sentivo inferiore, debole.
Poi, arrivò il momento cruciale.
‘’Sakura, ancora non te ne sei accorta?’’, fu l’ennesima frecciatina che mandò Sasuke alla mia ottusità. Di fronte a noi, ci osservava un Naruto perplesso.
‘’Ho detto la parola d’ordine, perché mai mi tratti così?, chiese il biondo, irritato dalle strane difensive dell’Uchiha. Poco prima, infatti, questi ci aveva dato istruzioni per poterci riconoscere, perché poteva tranquillamente capitare che qualcun altro potesse presentarsi con le nostre sembianze e spacciarsi per noi. Era capitato con l’Uzumaki, che era stato dapprima catturato e poi nascosto, ma, grazie all’accortezza del bruno, riuscimmo a salvarlo e ad allontanare il nemico, ovvero dei ragazzi di un team che non conoscevamo abbastanza bene.
Ci demmo quindi una ‘’parola chiave’’, ovvero un paio di frasi da ripetere in caso di necessità; effettivamente troppo lunghe per l’ottuso Naruto. Infatti, fu proprio quello a preoccupare l’altro, perché di fronte a noi c’era qualcuno che si spacciava per il biondo, il quale aveva appena perfettamente ripetuto le frasi, senza battere ciglio.
‘’E bravo Uchiha, sei perspicace’’. Io deglutii, tremando. Chi poteva nascondersi dietro quel corpo, adesso?
Subito dopo, si rivelò essere un uomo alquanto inquietante, spaventoso e con l’aspetto di un serpente viscido.
‘’Tu chi saresti?’’, domandai, inferocita.
‘’Non sono affari tuoi, io voglio Sas’ke’’. Vidi Sasuke irrigidirsi, ma non diede a vedere che aveva paura anche lui per la sua incolumità.
Cosa avrei dovuto fare? E mentre ancora me lo domandavo, quel mostro sferrò il primo attacco. Due kunai, schivati da entrambi. Il mio compagno di team sghignazzò e ne lanciò il doppio, ma l’uomo li bloccò con le dita di una mano.
Io, allora, mi pietrificai.
‘’È solo questo quello che sapete fare?’’. Rise sguaiatamente.
Sapevo che Sasuke possedeva delle abilità tecniche eccellenti, era infatti uno dei migliori in Accademia ed ero anche a conoscenza di quanto gli Uchiha fossero forti. Il bruno, allora, sferrò un attacco, ma quello subito si difese: ‘’ Kanashibari no Jutsu’’.
E lì fu un attimo.
Il sangue mi si gelò nelle vene, e tremavo… come tremavo! Vedere la morte in faccia non è mai semplice, e anche se io ormai l’ho fatto non so quante volte, all’epoca non potevo fare altro che rimanerne paralizzata. La tecnica prevedeva proprio questo: immobilizzare il nemico tramite un’illusione ottica, e, attraverso quella, fargli immaginare una propria possibile morte. Io vidi me stessa morire, sotto il colpo di un pugnale. Ma, allo stesso tempo, vidi Sasuke cedere accanto a me. E questo fu il mio trauma più grande.
Il bruno, però, riuscì a prendermi appena in tempo, quando ormai quell’uomo stava venendo verso di noi per colpirci. Io continuavo a tremare, mentre il mio compagno di team aveva trovato un modo per risvegliarsi, ovvero ferirsi direttamente ad una gamba per sbloccarsi dalla paralisi.
Io lo fissai negli occhi, e lui sembrò farmi capire quanto disapprovasse la mia debolezza. Mi tappò la bocca, e mi guardava. ‘’Sakura, cazzo, riprenditi!’’. Ma come potevo riprendermi, se avevo appena visto in faccia la morte? Avevo visto Sasuke morire.
No, non potevo farcela, non potevo riprendermi.
Eppure, ad un certo punto, riuscii a ragionare. Come? Semplice, perché sentii un improvviso dolore che mi colse alla sprovvista. Urlai in preda agli spasmi, e il bruno sgranò gli occhi. Lasciò la presa che aveva su di me e fissò dritto un punto.
Io mi accorsi di perdere del sangue da un braccio, e poco dopo vidi un kunai che veniva estratto dalla mia stessa pelle.

‘’Scusami, Sakura’’.
Alzai il viso, cercando di individuare la voce che mi aveva appena chiesto scusa. Per poco non mi presi un colpo: davanti a me c’era Itachi Uchiha, e mi aveva appena conficcato un kunai nel braccio.

 

***


Continuava a fissarsi nello specchio, seria in volto, senza lasciar trapelare alcun tipo di emozione. Gli occhi, seppure fossero di un verde intenso, si proiettavano verso lo specchio in modo irrequieto, quasi stessero leggendo gli stessi pensieri che passavano per la mente della donna.
Una volta finito di sistemarsi i capelli, lunghi e lisci, fu la volta del coprifronte. Se lo cinse attorno alla testa, stringendo sempre di più. Ormai, vedere quel graffio sull’acciaio non le faceva più alcun effetto, ma il simbolo della Foglia continuava, imperterrito, a penetrarle nell’anima. E i ricordi, come corpi morti che giacciono sul terreno, rimanevano sospesi in aria.
Sakura era riuscita a congelarli, in qualche modo. E per quanto questi talvolta venissero ancora a disturbarla, non le provocavano più alcun effetto. Non c’era tensione, non c’era paura, non c’era nulla che potesse dare voce al suo stato psicologico. Semplicemente, la sua mente era diventata un’arma da guerra fredda e silenziosa. Ma gli occhi, certe volte, sapevano anche mentire. E forse fu proprio in quell’espressione che la sua immagine riflessa realizzò di essere stata appena tradita. Era forse paura, quella che stava percependo?
Nel momento stesso in cui aveva sfiorato quel pensiero, la rosa diede le spalle alla sua stessa figura, ritrovandosi di fronte al suo letto. Sembrò essersi infastidita dal suo sguardo, quello vero, quello che ogni tanto riusciva ancora ad emergere dal profondo del suo cuore.
Ma adesso non aveva più il tempo per sprecarsi in simili stupidaggini. Aveva ben altro da fare, e lei e la sua katana lo sapevano fin troppo bene. E quella era lì, poggiata sulle lenzuola stropicciate, fatta con una lama talmente lucente da saper competere anche con i raggi del sole di prima mattina. Allora la donna, delicatamente, la prese in mano, ma non prima di averla fissata a lungo. Anche lì, il suo viso riflesso sull’acciaio non faceva alcun effetto.
Infine prese coraggio e abbandonò quella stanza per raggiungere il luogo in cui avrebbe posto fine a tutta la sua sofferenza, a tutto quell’odio che lei stessa aveva generato, a tutto quel terrore perpetrato a discapito degli altri.E finalmente, avrebbe potuto mettere fine all’incubo in cui per anni aveva vissuto.
Per l’ultima volta, si sarebbe fatta ancora del male portando la morte con sé, ma lo avrebbe fatto con la consapevolezza che sarebbe stato per un bene maggiore. Un bene per lei essenziale.
Eppure, a farsi male stavolta sarebbe stato qualcun altro.

 

 

   
 
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